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AMCHOR INVESTMENT STRATEGIES

AMCHOR IS SGIIC è una società di asset management domiciliata in Spagna e specializzata nella gestione e rappresentanza in esclusiva di strategie di investimento in asset tradizionali e alternativi attraverso partnership con specialisti di livello internazionale. La società, fondata nel 2008 da Alejandro Sarrate e Tasio Del Castaño, attualmente rappresenta o gestisce oltre 5 miliardi di euro in veicoli disponibili agli investitori spagnoli, italiani e portoghesi.

  • Mirae Asset – Mercati emergenti: venti favorevoli e contrari nel 2024 in Asia (ex Japan)

    Joohee An, Chief Investment Officer, Mirae Asset Global Investments, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS

    A cura di Joohee An, Chief Investment Officer, Mirae Asset Global Investments, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS

    I venti contrari affrontati quest’anno sono destinati a diventare venti favorevoli nel 2024 per l’Asia (ex Japan), in particolare per quanto riguarda la forza del dollaro USA e i differenziali di rendimento. Molte valute asiatiche si sono deprezzate rispetto al dollaro USA, mentre i rendimenti statunitensi sono rimasti elevati in un contesto di inflazione. La traiettoria del dollaro e dei rendimenti rimane incerta; tuttavia, verso la fine del 2023 sono stati osservati timidi segnali di inversione.

    La performance macroeconomica della Cina rappresenta un’altra dinamica che potrebbe rappresentare un vento di coda o un potenziale vento contrario. Nel 2023, le divergenze nell’attività economica tra Stati Uniti, Europa e altri mercati emergenti, in particolare la Cina, sono state pronunciate. Ciò ha contribuito alla significativa variazione di performance tra mercati emergenti e sviluppati, aggravata dalla forza del mercato statunitense. Nei prossimi mesi, quando l’attenzione si sposterà gradualmente dai rendimenti, i mercati asiatici potrebbero diventare più interessanti per gli investitori globali.

    La stabilizzazione della Cina
    Finora le aspettative sono state più volte deluse ma, a partire dal terzo trimestre, abbiamo iniziato a vedere alcuni segnali di stabilizzazione in Cina. Il passaggio del governo a politiche più proattive, segnato da un aumento del deficit di bilancio a fine ottobre, ha sorpreso il mercato. Secondo il nostro scenario di base, prevediamo una lenta e graduale stabilizzazione della Cina nel corso del prossimo anno. Anche se ci saranno alcuni alti e bassi su base mensile, dovrebbe esserci meno “paura” per i rischi macro-sistemici.


    Pertanto, nel 2024 dovremo aspettarci delle fluttuazioni, in quanto non si prevede che la ripresa sia né regolare né robusta. Tuttavia, almeno abbiamo iniziato a vedere alcuni segnali di stabilizzazione economica, in parte dovuti alla proattività del governo cinese nel sostenere il settore immobiliare. Anche se la ripresa richiederà del tempo, è importante notare che lo scenario non sarà come quello del crollo di Lehman Brothers, anche se alcuni hanno espresso notevoli preoccupazioni. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che la maggior parte delle banche all’interno del sistema finanziario cinese sono imprese statali (SOE), il che riduce intrinsecamente la probabilità di rischio sistemico.

    Nel settore immobiliare, le preoccupazioni dei consumatori si sono concentrate sulla sospensione dei progetti immobiliari. Tuttavia, il governo sta facendo molto per aiutare gli sviluppatori a riprendere e completare i progetti esistenti. Per quanto riguarda il settore delle costruzioni, in autunno abbiamo assistito a numeri incoraggianti, ma la volatilità è tornata a farsi sentire. Poiché il settore immobiliare continua a mostrare debolezza, il governo ha continuato ad allentare le restrizioni, come le regole per l’acquisto di case nelle città più importanti. A seguito dei cambiamenti politici proattivi avviati l’estate e l’autunno scorsi, ci aspettiamo di vedere ulteriori segnali di stabilizzazione nel prossimo anno. Tuttavia, se il ritmo di stabilizzazione dovesse risultare più lento del previsto, l’anno prossimo potrebbe rappresentare un significativo vento contrario.

    Le elezioni statunitensi come ulteriore fattore di oscillazione
    Oltre al settore immobiliare cinese, le relazioni tra Stati Uniti e Cina rimarranno un’altra fonte di rischio nel 2024, che ha influenzato il sentiment degli investitori in passato. Un numero sempre maggiore di aziende internazionali sta adottando la strategia “Cina+1” per spostare parte delle proprie attività produttive in altri Paesi accessibili ma economicamente vantaggiosi all’interno dei mercati emergenti e di frontiera. Ciò ha comportato una riduzione degli investimenti diretti esteri e ha influito sulle spese in conto capitale di queste aziende. Queste mosse hanno iniziato a ripercuotersi sul mercato del lavoro cinese, segnalando che le tensioni USA-Cina stanno estendendo la loro influenza dal sentimento degli investitori agli effetti tangibili sull’economia reale.

    Con le elezioni americane all’orizzonte l’anno prossimo, è difficile prevedere un’attenuazione o un miglioramento dei rischi geopolitici tra i due Paesi. Tuttavia, è possibile che gli Stati Uniti adottino un approccio più pragmatico nei confronti della più grande economia asiatica per conquistare voti negli Stati in bilico. Tali Stati potrebbero beneficiare economicamente dell’importazione di prodotti agricoli da parte della Cina, ad esempio. D’altro canto, il discorso elettorale potrebbe avere un impatto negativo sul sentimento degli investitori nei confronti della Cina se i toni dei candidati si fanno più aggressivi.

    Opportunità in Asia (ex Giappone)
    In Cina, la nostra strategia d’investimento privilegia un approccio bottom-up, puntando su opportunità specifiche piuttosto che sul mercato più ampio. Le nostre aspettative per l’indice cinese sono moderate a causa della situazione del settore bancario che deve essere affrontata e di alcune questioni macro che devono essere risolte. Tuttavia, siamo ottimisti nei confronti di alcune società cinesi che stanno vivendo cicli di aggiornamento degli utili e che scambiano a valutazioni quasi storicamente basse. Un esempio è rappresentato dal settore online che, dopo un significativo de-rating dovuto alle restrizioni normative e alle politiche Zero-Covid, presenta un valore emergente. Queste società continuano a registrare una crescita robusta, beneficiando delle nuove tendenze dell’intelligenza artificiale, dei servizi cloud, dei giochi online, ecc.

    Le nostre previsioni rimangono positive per l’India e l’Indonesia, che stanno beneficiando di un ciclo virtuoso alimentato da una nuova domanda di investimenti. La domanda chiave per il 2024 riguarda la velocità e la forza della stabilizzazione del mercato cinese. Finora l’indice cinese è stato sottoposto a pressioni macroeconomiche più che ai fondamentali delle aziende. La destabilizzazione dei mercati cinesi o l’indebolimento dei dati macro potrebbero avvantaggiare l’India o l’Indonesia, che hanno già sovraperformato negli ultimi tre anni. Entrambi i Paesi stanno vivendo un ciclo costruttivo di crescita, trainato dagli investimenti e dai progressi nelle infrastrutture e nello sviluppo del sistema bancario. In India, in particolare, prevediamo che la crescita del PIL si modererà nei prossimi trimestri a causa del calo della produzione agricola e del rallentamento della spesa fiscale. Tuttavia, dovrebbero persistere fondamentali sani, tra cui una solida domanda dei consumatori, lo slancio degli investimenti da parte del governo per le infrastrutture e dell’industria manifatturiera e la stabilizzazione dell’inflazione, che secondo noi, sosterranno gli utili societari e la sovra-performance del mercato indiano rispetto ad altri mercati regionali.

    Le imminenti elezioni in India e Indonesia del prossimo anno non sembrano introdurre rischi significativi a breve termine, data la continua attenzione globale per la Cina, che rappresenta un’ampia fetta del mercato asiatico. In India è probabile che il Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro Modi vinca nuovamente, mentre in Indonesia sembra che tutti i candidati siano propensi a mantenere la direzione politica del presidente Jokowi. Infine, ci piacciono ancora alcuni nomi del settore tecnologico in Corea e Taiwan, che possono beneficiare della ripresa del ciclo della domanda di prodotti tecnologici di consumo e degli investimenti nell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti, e che hanno un potenziale di revisione al rialzo degli utili.

  • Amchor IS – Il 2024 potrebbe stupire con previsioni al rialzo

    Amchor IS – Il 2024 potrebbe stupire con previsioni al rialzo

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    #amchoris #economia #crescitaeconomica

    Se il significativo allentamento delle condizioni finanziarie registrato negli ultimi mesi si rivelasse persistente, le nostre previsioni di crescita economica per il 2024 dovrebbero essere riviste al rialzo. Negli Stati Uniti, invece di un rallentamento più o meno sensibile, prevediamo tassi di crescita che potrebbero addirittura superare il 2%. Nell’Eurozona, invece, l’attività potrebbe accelerare sensibilmente, fino a raggiungere tassi di crescita economica nettamente superiori all’1%. Per quanto riguarda l’inflazione di fondo, sebbene sia probabile che continui a diminuire nel breve termine, sembra anche chiaro che, ancora una volta, una domanda aggregata più forte, a seguito del rinnovato allentamento delle condizioni finanziarie, genererebbe alcuni rischi al rialzo per l’andamento dei prezzi nel corso di quest’anno.

    Per il resto, al di fuori dell’Europa e degli Stati Uniti, per il 2024 vediamo performance macro interessanti nelle economie emergenti (tra cui la Cina, dove potremmo assistere a una crescita di circa il 5%) e la Banca del Giappone che compie ulteriori passi verso la normalizzazione della politica monetaria, anche se lentamente e solo quando sarà confermato uno slancio salariale sufficientemente forte. In termini di posizionamento sui mercati, manteniamo posizioni caute ma costruttive nell’azionario (soprattutto in Europa e nei mercati emergenti, con una preferenza per le posizioni cicliche/value); una visione ragionevolmente costruttiva sul credito e sul debito emergente in valuta locale e, ancora una volta, una forte preferenza per la duration, con una chiara propensione per la parte breve delle curve.

    Nell’ultima parte del 2023 abbiamo assistito a un significativo allentamento delle condizioni finanziarie a livello globale: i tassi dei titoli di Stato a lungo termine sono diminuiti sensibilmente, anche gli spread di credito hanno continuato a restringersi e abbiamo assistito a un comportamento molto rialzista dei mercati azionari.

    Sia negli Stati Uniti sia nell’Eurozona, i fondamentali della domanda aggregata rimangono solidi: i bilanci delle famiglie e delle imprese sono generalmente sani; i salari crescono in termini reali; i livelli di disoccupazione rimangono molto bassi, generando sicurezza del posto di lavoro e desiderio di consumare; non vi è un significativo eccesso di offerta in nessun settore, il che tende a limitare il rischio di ribasso per quanto riguarda l’evoluzione degli investimenti delle imprese; la prevedibile fine dell’aggiustamento al ribasso delle scorte industriali potrebbe rilanciare l’attività in questo segmento di attività per tutto l’anno; la spesa pubblica associata alla transizione ecologica e alla difesa rimarrà prevedibilmente forte.

    In questo contesto di solida domanda aggregata e, molto probabilmente, di un output gap chiaramente positivo, un eccessivo e persistente allentamento delle condizioni finanziarie nel tempo potrebbe mettere a rischio il rapido processo di disinflazione in cui è attualmente immersa la grande maggioranza delle economie sviluppate.

    Alla luce di tutto ciò, è abbastanza probabile che i tagli dei tassi che potremmo vedere nel corso del 2024 da parte delle banche centrali finiranno per essere molto meno “ambiziosi” di quanto attualmente scontato. A sua volta, è anche prevedibile che questo minore “attivismo monetario” sarà accompagnato da revisioni al rialzo delle stime dei tassi neutrali, sia a breve sia a lungo termine.

    Le prospettive macro per le economie emergenti nel 2024 rimangono ragionevolmente positive, in particolare in Asia, ma anche in alcune economie dell’America Latina, grazie a numerosi fattori come tassi di crescita economica generalmente solidi, inflazione sotto controllo, livelli di deficit e debito pubblico inferiori a quelli dei Paesi sviluppati, banche centrali che confermano la loro credibilità anti-inflazionistica.

    Anche in Cina riteniamo probabile una crescita intorno al 5% quest’anno: l’adeguamento del settore immobiliare non è finito, ma è certamente più avanzato rispetto a 12-24 mesi fa; le autorità sono sempre più propense a introdurre stimoli monetari e, soprattutto, fiscali; l’adeguamento al ribasso delle scorte nell’industria potrebbe essere in fase di completamento; il sentimento dei consumatori dovrebbe migliorare con l’allontanarsi del ricordo della pandemia.

    Il Giappone, da parte sua, potrebbe compiere ulteriori passi verso la normalizzazione monetaria non più tardi di aprile, una volta confermata un’evoluzione salariale sufficientemente dinamica. Questo perché la crescita rimane al di sopra del potenziale, l’output gap è probabilmente già positivo, si conferma un significativo movimento al rialzo delle aspettative di prezzo delle famiglie e delle imprese, l’inflazione di fondo è ormai da molti mesi al di sopra dell’obiettivo del 2%, la politica fiscale continuerà ad essere espansiva.

    View di mercato

    Titoli di Stato: dopo il forte calo dei tassi a lungo termine sia negli Stati Uniti sia in Europa, siamo ancora una volta molto cauti nei confronti del rischio di duration e preferiamo quindi concentrare le nostre esposizioni sulla parte breve della curva. Per quanto riguarda il Giappone, prevediamo che il rendimento dei titoli decennali tenderà a salire sensibilmente tra 3-6 mesi.

    Azioni: poiché i dati macro sembrano suggerire che non sia imminente una recessione né negli Stati Uniti né in Europa e in un contesto in cui pensiamo che i tassi reali rimarranno ragionevolmente elevati su base strutturale, continuiamo a ritenere che il segmento di mercato value/ciclico, comprese le banche europee, dovrebbe fare meglio di quello growth/difensivo. Dal punto di vista geografico, alla luce di quanto sopra e dei livelli di valutazione relativi, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli statunitensi.

    Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro centrale i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, dato che gli spread non sono particolarmente elevati, continuiamo a ritenere che abbia senso combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale. Quest’ultima classe d’investimento ci attrae per due motivi principali: in primo luogo, perché offre ottime prospettive di rendimento, soprattutto in termini di carry, ma forse anche grazie a possibili movimenti di apprezzamento dei tassi di cambio; in secondo luogo, perché attualmente esiste un gruppo di Paesi emergenti per i quali prevediamo elevati tassi di crescita relativa e che beneficiano anche di una solida governance economica, di bassi deficit pubblici e di un’inflazione ragionevolmente bassa. Queste caratteristiche, a nostro avviso, fanno sì che l’esposizione al debito in valuta locale di questi Paesi sia oggi meno rischiosa di quanto possa sembrare a prima vista.

    Valute: continuiamo a detenere solo posizioni moderate in dollari perché riteniamo che il differenziale di crescita tra Stati Uniti ed Europa si ridurrà sensibilmente nel 2024. Allo stesso tempo, manteniamo una visione positiva su valute come corona norvegese, dollaro neozelandese e dollaro australiano. Continuiamo inoltre a preferire le valute dei mercati emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli (real brasiliano, rupia indiana, peso messicano, rupia indonesiana). Inoltre, visti i buoni segnali macro che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen, in dosi prudenti, possa rappresentare una buona posizione di protezione per i prossimi mesi.

  • Amchor IS: Fed eccessivamente dovish apre le porte a nuovo allentamento

    Amchor IS: Fed eccessivamente dovish apre le porte a nuovo allentamento

    A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS

    L’ultima riunione della Fed è stata molto dovish. Vediamo i motivi: la banca centrale americana ha segnalato ancora più chiaramente di prima che il piano centrale non prevede un nuovo aumento dei tassi di interesse in questo ciclo. Inoltre, apre chiaramente la porta a diversi tagli dei tassi nel corso del prossimo anno. Da un lato, Powell ammette che i membri del FOMC hanno iniziato a discutere la questione. Dall’altro, ora prevedono tre tagli dei tassi entro il 2024, più di quanto molti economisti si aspettassero (io, per esempio, pensavo che ne prevedessero solo due).

    Powell giustifica questo atteggiamento più incline a segnalare diversi tagli dei tassi con il fatto che l’inflazione è diminuita sensibilmente, in un contesto in cui anche la crescita si sta moderando e la domanda e l’offerta aggregate sembrano avvicinarsi all’equilibrio. Allo stesso tempo, il fatto che le aspettative di inflazione a medio termine rimangano ben ancorate è un fattore che ci permette di essere fiduciosi sul proseguimento del processo di disinflazione. A conferma di ciò, le aspettative di inflazione per i prossimi 12 mesi da parte dei consumatori statunitensi sono diminuite sensibilmente nelle ultime settimane. Per quanto riguarda la crescita economica, la Fed scommette chiaramente sullo scenario di atterraggio morbido: in prospettiva, si prevede una crescita abbastanza vicina al potenziale e si segnala che la disoccupazione non salirà oltre il 4,1%, un tasso basso, che implica sostanzialmente la piena occupazione.

    Lo scenario di atterraggio morbido e disinflazione prospettato dalla Fed mi sembra ragionevole. In questo senso, sembra chiaro che l’economia statunitense non ha bisogno di ulteriori rialzi dei tassi. Ma, allo stesso tempo, ho l’impressione che il tono della dichiarazione e della conferenza stampa di Powell sia stato troppo dovish e che sarebbe stato più prudente prevedere solo due tagli dei tassi invece di tre per il prossimo anno. Perché? Perché, con il tono usato nella riunione odierna, a mio avviso la Fed sta aprendo la porta a un ulteriore allentamento delle condizioni finanziarie, che potrebbe riattivare le pressioni inflazionistiche nel corso del 2024, nella misura in cui la domanda aggregata potrebbe tornare a crescere al di sopra dell’offerta potenziale. In ogni caso, finché non arriverà quel momento, tutto lascia pensare che gli asset rischiosi continueranno a fare festa.

  • Amchor IS – Il 2024 sembra favorevole ai mercati, ma attenzione a tre rischi

    Amchor IS – Il 2024 sembra favorevole ai mercati, ma attenzione a tre rischi

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    I dati delle ultime settimane continuano a essere coerenti con il nostro scenario centrale. Gli Stati Uniti sembrano rallentare moderatamente con una crescita in linea o leggermente inferiore al potenziale. L’attività economica nell’Eurozona continua a mostrare segni di stabilizzazione, con un mercato del lavoro che rimane in buona forma. L’inflazione di fondo sta scendendo sensibilmente su entrambe le sponde dell’Atlantico, mentre le banche centrali stanno ribadendo che il loro piano è quello di non aumentare nuovamente i tassi in questo ciclo. La Cina, nonostante il sentimento negativo prevalente, continua a indicare tassi di crescita leggermente superiori al 5% nel 2023 (e forse anche nel 2024). Infine, il mercato del lavoro giapponese conferma segnali di forza, creando così un contesto sempre più favorevole per i negoziati salariali che si svolgeranno all’inizio del prossimo anno.

    Contesto favorevole agli asset rischiosi

    Ci troviamo di fronte a un contesto favorevole per gli asset rischiosi. In ogni caso, presteremo attenzione a tre principali fonti di rischio: il prezzo del greggio, nel caso in cui un eventuale rimbalzo del prezzo del petrolio possa finire per disancorare le aspettative di inflazione; la situazione di bilancio di alcuni Paesi, nel caso in cui a un certo punto il mercato dovesse mostrare dubbi sulla sostenibilità del debito pubblicoe il livello di tensione delle condizioni finanziarie. Paradossalmente, se il mercato diventasse troppo compiacente sui rischi inflazionistici e continuasse a prezzare un numero eccessivo di tagli dei tassi nei prossimi 12-18 mesi, potrebbe allentare eccessivamente le condizioni finanziarie. La probabile conseguenza sarebbe una nuova accelerazione dell’attività economica nel corso del 2024 e, molto probabilmente, anche una ripresa delle pressioni sui prezzi. Inoltre, terremo d’occhio anche gli sviluppi della politica fiscale in Germania.

    Per farsi un’idea di quello che sarà l’ambiente macro e di mercato nei prossimi mesi ci sono tre elementi che riteniamo importate tenere sotto osservazione. Primo: a meno che le condizioni finanziarie non si allentino eccessivamente, è probabile che la crescita nell’Unione Europea si moderi nei prossimi mesi, fino a raggiungere tassi in linea o leggermente inferiori al potenziale. Continuiamo, invece, a vedere una certa robustezza e a ritenere poco probabile una recessione dell’economia statunitense nel breve periodo. Secondo: i dati macroeconomici dell’Eurozona continuano a mostrare segni di stabilizzazione e aprono la porta, a nostro avviso, a quella che potrebbe essere una crescita superiore all’1% nel 2024. Terzo: in prospettiva, l’inflazione di fondo dovrebbe continuare a scendere sensibilmente sensibilmente sia negli Stati Uniti sia nell’Eurozona, a patto che le condizioni finanziarie rimangano piuttosto rigide per un certo periodo di tempo sufficientemente lungo. Quarto: a meno di sorprese al rialzo dell’inflazione, non vedremo altri rialzi dei tassi in questo ciclo né da parte della Fed né da parte della Bce. Riteniamo essenziale che le autorità monetarie mostrino particolare attenzione alla loro comunicazione d’ora in poi, per cercare di evitare che i mercati finanziari prezzino un numero eccessivo di tagli dei tassi nei prossimi 12 mesi.

    View di mercato

    Titoli di Stato: nel corso del mese di novembre, le curve dei rendimenti degli Stati Uniti e dell’area euro hanno corretto una parte non trascurabile del forte movimento al rialzo in atto dalla scorsa estate. A nostro avviso, non c’è molto spazio perché i tassi medi e lunghi scendano ulteriormente e in modo apprezzabile dai livelli di inizio dicembre. Alla luce di quanto detto, preferiamo puntare sulla parte breve delle curve sia negli Stati Uniti che, in modo ancora più evidente, nell’area euro. Per quanto riguarda il Giappone, la nostra previsione rimane che il rendimento a 10 anni tenderà a salire sensibilmente tra 6-9 mesi.

    Azioni: poiché la macroeconomia negli Stati Uniti e in Europa dovrebbe evitare la recessione, in un contesto di tassi reali che resteranno ragionevolmente elevati su base strutturale, continuiamo a ritenere che il segmento di mercato value/ciclico (comprese le banche europee) potrebbe fare meglio di quello growth/difensivo. Dal punto di vista geografico, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli statunitensi.

    Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, dato che gli spread non sono particolarmente elevati, riteniamo sensato combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale, perché offrono ottime prospettive di rendimento, soprattutto in termini di carry, e potrebbero beneficiare di possibili movimenti di apprezzamento dei tassi di cambio. In secondo luogo, attualmente esiste un gruppo di Paesi emergenti per i quali prevediamo elevati tassi di crescita relativa e che beneficiano anche di una solida governance economica, di bassi deficit pubblici e di un’inflazione ragionevolmente controllata.

    Valute: continuiamo a detenere solo posizioni moderate in dollari perché riteniamo che il differenziale di crescita tra Stati Uniti ed Europa si ridurrà sensibilmente nel 2024. Allo stesso tempo, manteniamo una visione positiva su valute come la corona norvegese, il dollaro neozelandese e il dollaro australiano. Continuiamo a preferire le valute dei mercati emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli (Brasile, India, Messico, Indonesia). Inoltre, visti i buoni segnali macro che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen, in dosi prudenti, possa rappresentare una buona posizione di protezione per i prossimi mesi.

  • Amchor IS: Usa destinati a rallentare in assenza di ulteriori stimoli

    Amchor IS: Usa destinati a rallentare in assenza di ulteriori stimoli

    A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS

    Negli USA stanno emergendo i primi segnali di un possibile rallentamento dell’economia. Mentre i dati dalla Cina sorprendono le attese, il Giappone continua a fare progressi sempre più evidenti verso l’obiettivo di raggiungere tassi di inflazione intorno al 2% in modo sostenibile nel tempo. Nei prossimi mesi saremo particolarmente attenti a due possibili rischi. Da un lato, un possibile rimbalzo dei prezzi del petrolio. Anche se non ci aspettiamo che ciò accada, un barile di greggio ben al di sopra dei 100 dollari su base duratura potrebbe mettere le banche centrali in una situazione complicata, proprio perché avverrebbe in un contesto in cui l’inflazione è già da tempo al di sopra dell’obiettivo. D’altra parte, presteremo attenzione anche al possibile emergere di tensioni sui mercati dei titoli di Stato, vista la complicata situazione in cui si trovano diversi Paesi.


    I primi effetti del rialzo dei tassi
    Nonostante il dato di crescita del Pil americano nel terzo trimestre sia stato eccezionalmente forte, stanno emergendo i primi effetti del forte aumento dei tassi reali a medio e lungo termine sull’immobiliare, settore molto sensibile alle condizioni di finanziamento. La recente crescita, seppur moderata, delle richieste di sussidi di disoccupazione potrebbe indicare una progressiva correzione dell’enorme eccesso di domanda che sta caratterizzando il mercato del lavoro statunitense. Sebbene le richieste rimangano compatibili con un livello molto basso di licenziamenti, il fatto che stiano aumentando sarebbe un segnale di maggiori difficoltà per le poche persone licenziate a trovare un nuovo lavoro. Allo stesso tempo, il calo del tasso di risparmio delle famiglie statunitensi fa pensare che i consumi privati in futuro non saranno robusti come si è visto quest’anno.


    Inoltre, i dati del bilancio pubblicati lo scorso ottobre hanno mostrato un enorme aumento del deficit pubblico, che confermerebbe il sostegno dato dalla politica fiscale alla domanda aggregata statunitense nel 2023. Tenendo conto delle divisioni nelle camere legislative e sapendo che il debito pubblico USA è su una traiettoria insostenibile, è molto difficile pensare che la politica continuerà a sostenere l’attività economica del Paese, almeno non ai livelli degli scorsi anni. Anche in Germania, in cui si è fatta sentire per tutto il 2023 l’assenza di stimoli all’economia, i più recenti indicatori iniziano a mostrare segni di stabilizzazione.


    Quanto all’inflazione, negli ultimi mesi i dati sull’inflazione core statunitense indicano una stabilizzazione, mentre le aspettative di inflazione a breve termine delle imprese statunitensi si stanno già avvicinando a tassi coerenti con quello che sarebbe l’obiettivo di inflazione della Fed. Anche i prezzi nell’area dell’euro sono in frenata, in un contesto in cui le aspettative di inflazione a medio termine rimangono contenute.

    Cina meglio delle attese, Giappone in progresso
    In Cina, invece, non mancano segnali di miglioramento dell’economia. Sebbene permanga un sentiment negativo nei confronti del gigante asiatico, la maggior parte dei recenti dati ha chiaramente sorpreso in positivo. Guardando al futuro, il fatto che le autorità siano sempre più disposte ad aumentare l’intensità degli stimoli fiscali e monetari ci rende costruttivi sull’andamento dell’economia cinese nell’ultima parte di quest’anno e anche nel 2024. Gli ultimi dati provenienti dal Giappone confermano un significativo progresso dell’inflazione: al netto degli alimenti freschi e dell’energia, rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 2% su base annua, in un’economia che per il resto continua a mostrare segni di crescita superiore al potenziale.


    View di mercato
    Titoli di Stato: negli Stati Uniti, preferiamo continuare a puntare sulla parte breve della curva (fino a 2 anni), almeno fino a quando non vedremo segnali di rallentamento dell’attività economica statunitense. Nell’Eurozona riteniamo che si debba mantenere un atteggiamento cauto sul debito periferico, in attesa che i Paesi più indebitati siano in grado di produrre strategie di consolidamento fiscale ragionevolmente credibili. Per quanto riguarda il Giappone, la nostra previsione rimane che il rendimento a 10 anni tenderà a salire sensibilmente tra 6-9 mesi.

    Azioni: nella misura in cui vediamo una ripresa macro negli Stati Uniti, ci aspettiamo che i rendimenti a 10 anni aumentino sensibilmente tra 6-9 mesi. Continuiamo a ritenere che il segmento value/ciclico del mercato, comprese le banche europee, dovrebbe fare meglio del segmento growth/difensivo, in un contesto in cui riteniamo che i tassi reali rimarranno ragionevolmente elevati su base strutturale. Dal punto di vista geografico, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli nordamericani.

    Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. Riteniamo, tuttavia, opportuno combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale.

    Valute: al momento puntiamo solo su un’esposizione molto moderata al dollaro, perché riteniamo che il rallentamento degli Stati Uniti arriverà presto. Visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen, in dosi prudenti, possa essere una buona copertura per il resto dell’anno. Per il resto, manteniamo una visione positiva su valute come la corona norvegese, il dollaro neozelandese e australiano. Continuiamo, infine, ad apprezzare le valute dei Paesi emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli.

  • Amchor IS – Recessione, quattro rischi da monitorare

    Amchor IS – Recessione, quattro rischi da monitorare

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    Continuiamo a prevedere un atterraggio morbido per la grande maggioranza dei paesi. È molto probabile che l’economia statunitense rallenti e inizi a crescere un po’ al di sotto del potenziale prima della fine dell’anno. Continuiamo a ritenere che l’Eurozona possa ottenere una crescita positiva, anche se moderata, a partire dal quarto trimestre. La crescita leggermente inferiore al potenziale sia negli Stati Uniti che in Europa, unita ad aspettative di inflazione che rimangono ben ancorate e a un’immigrazione che sta aumentando l’offerta potenziale, creano il contesto adatto per un calo significativo dell’inflazione core entro la metà del prossimo anno su entrambe le sponde dell’Atlantico.

    Tali sviluppi sia nell’attività che nei prezzi dovrebbero indurre sia la Fed che la Bce a non aumentare nuovamente i tassi di interesse in questo ciclo, anche se, come il mercato sta imparando a sue spese nelle ultime settimane, è molto probabile che i tassi rimarranno alti ancora per un po’ di tempo. Riteniamo che la Cina mostrerà un certo miglioramento nell’ultima parte dell’anno e riteniamo anche che il Giappone sia sulla strada giusta per stabilizzare l’inflazione intorno al 2%. Dopo aver preso atto di quanto sopra, approfondiremo un po’ i rischi “economici” che potrebbero far deragliare la nostra view.

    I rischi da monitorare

    Il primo dei rischi riguarda la possibilità che il recente spostamento verso l’alto dell’intera curva dei tassi reali finisca per generare una debolezza economica maggiore di quella che ci aspettiamo, forse al punto da spingere le principali economie più o meno immediatamente in recessione. Il secondo rischio è un eccesso di forza della domanda aggregata, in particolare nel caso dell’economia statunitense. La sequenza degli eventi potrebbe essere la seguente: la crescita potrebbe rimanere al di sopra del potenziale; stando così le cose, ci sarebbero poche ragioni per aspettarsi cali sostenuti dell’inflazione core e non sarebbe irragionevole che i salari potessero ricominciare a salire. Di fronte a tutto ciò, le banche centrali non avrebbero altra scelta che riprendere i rialzi dei tassi. Il risultato potrebbe essere una recessione a partire dalla metà del 2024. Il terzo rischio per il nostro scenario riguarderebbe un possibile shock negativo dell’offerta, magari associato a un rapido aumento del prezzo del petrolioInfine, un altro rischio che non possiamo trascurare di menzionare è quello associato a un’eventuale perdita di fiducia del mercato nella sostenibilità del debito pubblico in alcuni paesi. Se ciò dovesse accadere, potremmo assistere a un significativo inasprimento delle condizioni finanziarie che, a sua volta, renderebbe molto difficile per le economie interessate evitare di entrare in recessione.

    Market view

    Obbligazioni governative: preferiamo continuare a puntare sulla parte breve della curva (fino a 2 anni), almeno fino a quando non vedremo qualche segnale di rallentamento dell’attività economica statunitense. Nell’Eurozona riteniamo che si debba mantenere un atteggiamento cauto sul debito periferico, in attesa che i Paesi più indebitati siano in grado di produrre strategie di consolidamento fiscale ragionevolmente credibili. Per quanto riguarda il Giappone, la nostra previsione rimane che il rendimento a 10 anni tenderà a salire sensibilmente tra 6-9 mesi.

    Azioni: continuiamo a credere che il segmento di mercato value/ciclico (comprese le banche europee) dovrebbe fare meglio di quello growth/difensivo. Dal punto di vista geografico, alla luce di quanto sopra e dei livelli di valutazione relativi, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli statunitensi.

    Credito: preferiamo le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, dato che gli spread non sono particolarmente elevati, riteniamo sensato combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in obbligazioni governative emergenti in valuta locale.

    Valute: puntiamo solo su un’esposizione molto moderata al dollaro, perché riteniamo che il rallentamento degli Stati Uniti arriverà presto. Visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen possa essere una buona copertura per il resto dell’anno. Per il resto, manteniamo una visione positiva su valute come la corona norvegese, il dollaro neozelandese e il dollaro australiano; continuiamo, inoltre, ad apprezzare le valute dei paesi emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli.

  • Amchor IS – Fed: si riduce drasticamente il numero dei tagli previsti per il 2024

    Amchor IS – Fed: si riduce drasticamente il numero dei tagli previsti per il 2024

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    La Fed ha deciso di mantenere fermi i tassi di interesse e si è ridotto il numero dei membri del FOMC che prevedono un ulteriore rialzo dei tassi quest’anno. Per giustificare questa pausa, la Fed ha sottolineato che vede segnali di un migliore equilibrio tra domanda e offerta, con prezzi e salari sottostanti in moderazione e aspettative di inflazione ben ancorate. In relazione a quanto sopra, Powell ha affermato esplicitamente in conferenza stampa di ritenere di essere vicino al punto in cui voleva arrivare in termini di rialzi dei tassi.

    Allo stesso tempo, il numero di tagli dei tassi previsti per il 2024 si riduce significativamente: il tasso di interesse previsto alla fine del prossimo anno passa dal 4,6% al 5,1% e questo nuovo tasso è compatibile con due tagli dei tassi o forse uno solo se non ci saranno altri rialzi dei tassi nel 2023.

    Per giustificare il fatto che i tassi resteranno più alti più a lungo rispetto a quanto la Fed si aspettasse in precedenza, e oltre a sottolineare che i rischi di inflazione sono ancora più al rialzo che al ribasso, le nuove previsioni alzano le prospettive di crescita e abbassano quelle di disoccupazione, che ora raggiungerebbe il picco del 4,1% invece del 4,5% previsto in precedenza. Questi nuovi dati della Fed sono chiaramente compatibili con uno scenario di atterraggio morbido, anche se Powell non ha osato dire che l’atterraggio morbido è lo scenario centrale, ha detto che tale scenario è possibile e che l’obiettivo è raggiungerlo.

    Powell ha ammesso che il tasso neutro potrebbe essere più alto di quanto attualmente stimato, ma ha anche affermato che è molto difficile saperlo con certezza in questa fase.

    Analizzando quanto accaduto, le cose sono andate un po’ come ci si aspettava. Probabilmente la Fed ha già raggiunto il picco dei tassi, ma la tenuta dell’economia ci induce a credere che i tassi di interesse impiegheranno molto tempo a scendere. Per il resto, continuiamo a pensare che nei prossimi 6-9 mesi assisteremo a revisioni al rialzo delle stime sui tassi neutrali. Guardando ai mercati, è possibile che la significativa riduzione del numero di tagli dei tassi previsti per l’anno prossimo si faccia sentire, soprattutto sul fronte della crescita, in quanto esercita una pressione al ribasso sui multipli. Tuttavia, nella misura in cui questi tassi più alti per un periodo più lungo sono spiegati da un’economia più forte del previsto, non pensiamo che ci saranno correzioni eccessive negli asset di rischio (anche nel credito). Per quanto riguarda le curve dei rendimenti, non mi aspetto grandi movimenti, anche se nella parte media e lunga della curva vedo ancora curve di rischio leggermente più alte che basse.

  • Amchor IS – Bce: l’inflazione scenderà ma i tassi rimarranno alti per molto tempo

    Amchor IS – Bce: l’inflazione scenderà ma i tassi rimarranno alti per molto tempo

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    Oggi la Bce ha alzato i tassi di 25 punti base ma ha indicato chiaramente che questo, in condizioni normali, sarà l’ultimo rialzo; Christine Lagarde, durante la conferenza stampa, ha detto che alcuni membri avrebbero preferito una pausa; per evitare che il mercato inizi a scontare subito un taglio dei tassi, la Bce si è preoccupata di sottolineare che intende mantenere i tassi elevati per tutto il tempo necessario per controllare l’inflazione.

    Penso che l’inflazione di fondo nell’Eurozona scenderà in modo significativo nei prossimi mesi e che questo significherà che la Bce non dovrà aumentare ulteriormente i tassi. Allo stesso tempo, come sapete, considero che l’economia europea sia meno debole di altre e quindi penso anche che i tassi impiegheranno molto tempo a scendere. In generale, ritengo che la riunione odierna della Bce sia stata positiva e che darà fiducia al mercato.

  • AMCHOR IS – Cinque previsioni per il secondo semestre e l’inizio del 2024

    AMCHOR IS – Cinque previsioni per il secondo semestre e l’inizio del 2024

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    La maggior parte dei dati sull’attività degli ultimi mesi indicano una chiara divergenza tra l’economia degli Stati Uniti e quella dell’Eurozona. Negli Stati Uniti, nonostante i rialzi dei tassi della Fed, la crescita sembra oggi essere superiore al potenziale. Nell’Eurozona, invece, i dati macroeconomici (soprattutto in Germania) sarebbero compatibili con un’attività economica sostanzialmente stagnante. Cosa possiamo aspettarci per l’ultima parte di quest’anno e per l’inizio del 2024?

    Prima previsione: rallentamento dell’economia statunitense

    Anche se non vediamo ancora una recessione, riteniamo che l’economia statunitense sia destinata a rallentare nei prossimi trimestri, a tassi in linea o leggermente inferiori alla crescita potenziale.

    In primo luogo, perché i tassi di interesse reali a medio e lungo termine sembrano ormai sufficientemente elevati da avere un effetto di trascinamento sull’economia statunitense. In secondo luogo, poiché l’impulso fiscale derivante sia dall’Inflation Reduction Act che da altre misure fiscali espansive adottate dalle autorità statunitensi nel recente passato dovrebbero affievolirsi nei prossimi trimestri. Terzo, perché entro la fine di quest’anno i risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia dai consumatori statunitensi potrebbero essere quasi completamente esauriti.

    Seconda previsione: crescita positiva dell’Eurozona

    Nonostante la debolezza di molti dati macroeconomici, nei prossimi trimestri l’Eurozona dovrebbe raggiungere una crescita economica positiva (anche se modesta).
    Ci sono diverse ragioni per sostenere questo ottimismo. I consumi privati, anche se indubbiamente influenzati dai rialzi dei tassi e da livelli di incertezza probabilmente più elevati del previsto, stanno beneficiando di un significativo effetto di coda. In secondo luogo, la politica fiscale rimane chiaramente espansiva e quindi continua a fornire un ulteriore sostegno alla domanda aggregata. In terzo luogo, la possibile imminente fine del processo di aggiustamento al ribasso che ha interessato le scorte potrebbe fornire un certo incoraggiamento al settore manifatturiero verso la fine dell’anno o all’inizio del 2024.
    Infine, sebbene i tassi di interesse reali siano saliti bruscamente negli ultimi trimestri, i loro livelli attuali sono coerenti con un grado di inasprimento monetario che, a nostro avviso, è solo moderato.

    Terza previsione: inflazione in calo negli Stati Uniti

    È molto probabile che, da qui alla fine dell’anno, si possa assistere a un calo significativo dell’inflazione sottostante negli Stati Uniti. È molto probabile che la componente “shelter cost” dell’IPC – ovvero quella legata ai costi degli alloggi – deceleri in modo molto significativo nei prossimi mesi. In secondo luogo, l’aumento dell’immigrazione sta contribuendo ad aumentare l’offerta potenziale e quindi a ridurre le pressioni sui salari e sui prezzi. Inoltre, le aspettative di inflazione rimangono ben ancorate, e questo riduce anche la probabilità che un comportamento inadeguato di salari e prezzi nei prossimi mesi.

    Quarta previsione: fine dei rialzi della Fed

    Alla luce dello scenario sopra descritto per gli Stati Uniti (crescita in linea o al di sotto del potenziale, inflazione core in calo e aspettative di inflazione ben ancorate), molto probabilmente abbiamo già assistito all’ultimo rialzo dei tassi da parte della Fed in questo ciclo. Allo stesso tempo, continuiamo a ritenere che i tassi di interesse, in assenza di ulteriori shock, impiegheranno molto tempo per scendere e riteniamo anche probabile che, in un futuro non troppo lontano, possano esserci revisioni al rialzo delle stime del tasso neutrale da parte non solo della Fed, ma anche di molte altre banche centrali.

    Quinta previsione: la Bce sarà più colomba e siamo positivi per la Cina

    Anche nell’Eurozona esistono le condizioni per un calo sensibile dell’inflazione sottostante nel resto dell’anno, che a sua volta potrebbe consentire alla Bce di iniziare, già a settembre, un lungo periodo di pausa nei rialzi dei tassi di interesse: i salari hanno accelerato in modo significativo, ma non al punto da poter generare complicate spirali prezzo-salario; le aspettative di inflazione nell’Eurozona sono ben ancorate; allo stesso tempo, la politica monetaria, anche se in modo moderato, è diventata innegabilmente restrittiva e questo potrebbe essere sufficiente a bilanciare la domanda e l’offerta; allo stesso modo, la fine della distorsione generata da alcuni sussidi ai trasporti in Germania eserciterà una pressione al ribasso sui prezzi sottostanti proprio a partire da questo settembre.

    Per quanto riguarda la Cina, e senza dimenticare i rischi che indubbiamente esistono, continuiamo ad avere una visione ragionevolmente costruttiva. Le previsioni di crescita per il 2023 sono ancora vicine al 5%, una cifra nettamente superiore a quella che ci si può ragionevolmente aspettare nel mondo sviluppato. Inoltre, una parte non trascurabile dell’attuale debolezza del settore immobiliare cinese deriva dalle misure restrittive adottate dalle stesse autorità, misure che, tra l’altro, sono state sempre più attenuate negli ultimi mesi. Infine, sebbene il governo centrale cinese e la Pboc rimangano cauti, non bisogna dimenticare che entrambe le istituzioni hanno un margine più che sufficiente per aumentare gli stimoli monetari e fiscali se lo ritengono necessario per raggiungere i loro obiettivi di crescita.

    Market view

    Titoli di Stato: sebbene la curva statunitense abbia registrato un significativo movimento al rialzo negli ultimi due mesi e sia, a nostro avviso, più vicina al fair value, vediamo ancora più rischi di rialzo che di ribasso nelle scadenze medie e lunghe. Continuiamo pertanto a privilegiare le posizioni focalizzate sulle scadenze brevi. Nel caso dell’Eurozona, riteniamo che i tassi a lungo termine siano ancora un po’ al di sotto del loro valore fondamentale: preferiamo, dunque, la parte breve della curva europea.

    Azioni: riteniamo che il segmento value/ciclico del mercato (comprese le banche europee) dovrebbe fare meglio del segmento growth/defensive. Dal punto di vista geografico, alla luce di quanto sopra e dei livelli di valutazione relativi, preferiamo i mercati europei e dell’Asia emergente agli Stati Uniti.

    Credito: il nostro scenario macro centrale è compatibile con tassi di default ragionevolmente bassi. Sul versante negativo, gli attuali bassi livelli degli spread richiedono a nostro avviso una certa cautela. In questo contesto, riteniamo opportuno combinare un’esposizione moderata al credito a bassa duration con posizioni ben selezionate in titoli di Stato dei mercati emergenti in valuta locale.

    Valute: abbiamo una visione positiva su valute come NOK, NZD e AUD, in quanto offrono un’interessante combinazione di carry, stabilità macro, rating elevato e, nel caso delle ultime due, rappresentano anche un modo indiretto per acquisire esposizione alla riapertura della Cina. Allo stesso tempo, continuiamo ad apprezzare le valute dei mercati emergenti con una buona governance macro, solide prospettive di crescita e livelli di carry ragionevolmente elevati (MXN, BRL, IDR, INR). In termini di valute che potrebbero fungere da “copertura” per un investitore in euro, i livelli di dollaro nella regione di livelli del dollaro intorno a 1,10-1,12 sembrerebbero interessanti per rendere questa valuta una buona copertura per gli investitori in euro.

  • AMCHOR IS – Commento post Bce

    AMCHOR IS – Commento post Bce

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    Come la Fed, anche la Bce oggi non ha sorpreso: ha alzato i tassi di 25 punti base e ha legato eventuali ulteriori rialzi al fatto che i dati lo richiedano. Questo potrebbe essere l’ultimo rialzo di questo ciclo da parte della Bce, ma è molto probabile che i tassi impiegheranno un bel po’ di tempo a scendere. Nonostante la debolezza di molti dati macro recenti, c’è anche una certa forza di fondo nell’Eurozona.

    Compatibilmente con quanto detto sopra, e pensando ai rischi di rialzo o di ribasso dello scenario dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, ritengo che sia più probabile assistere a rialzi che a ribassi.

  • AMCHOR IS – Segnali incoraggianti, in attesa della pausa delle banche centrali

    AMCHOR IS – Segnali incoraggianti, in attesa della pausa delle banche centrali

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    L’economia statunitense continua a mostrare segni di tenuta, confermando che i rischi di recessione per il resto dell’anno sono piuttosto bassi. Allo stesso tempo, sembra che la politica monetaria moderatamente restrittiva della Fed stia iniziando a correggere il forte eccesso di domanda generato dalla pandemia. Sul fronte dei prezzi sottostanti, continuano i segnali di (graduale) moderazione, grazie ai rialzi dei tassi di interesse e anche perché le aspettative di inflazione rimangono ben ancorate. Pertanto, il nostro scenario centrale per gli Stati Uniti rimane invariato: crescita economica moderata, ma positiva per il resto dell’anno; progressivo controllo dell’inflazione; ulteriori rialzi dei tassi a luglio, seguiti da una pausa prolungata.

    Nel caso dell’Eurozona, riteniamo che la debolezza recentemente evidenziata da alcuni dati macro sarà temporanea. In particolare, il nostro scenario centrale per l’Eurozona continua a indicare una crescita positiva nei prossimi trimestri, con il settore del turismo che gode di prospettive molto favorevoli e con la domanda aggregata che continua a beneficiare di significativi venti favorevoli: politica fiscale espansiva, calo dei prezzi delle materie prime importate, aumento dei salari, disoccupazione ai minimi storici, buona posizione in termini di bilancio di famiglie e imprese.

    Per quanto riguarda la politica monetaria della Bce, analogamente a quanto detto per la Fed, ci aspettiamo un ulteriore rialzo dei tassi a luglio, una pausa prolungata dopo settembre e un appiattimento della curva dei rendimenti dovuto a un movimento verso l’alto nella parte centrale e lunga della curva.

    Continuiamo a essere molto vigili sulla possibilità che l’inflazione impieghi troppo tempo a scendere, con ciò che potrebbe significare in termini di disancoraggio delle aspettative sui prezzi, ulteriori rialzi dei tassi di interesse e una possibile recessione economica nel 2024.

    Tornando all’economia statunitense Cosa sta succedendo al settore manifatturiero? Nell’analizzare i recenti sviluppi del settore manifatturiero negli Stati Uniti (e altrove), occorre tenere presente che la performance dell’industria è stata fortemente influenzata al rialzo nel periodo immediatamente successivo alla pandemia, per due motivi. Da un lato, perché la domanda aggregata si è inizialmente spostata verso i beni a scapito dei servizi, che hanno impiegato più tempo a normalizzarsi. Dall’altro, perché le imprese industriali, temendo all’epoca una carenza di forniture, hanno esagerato i livelli degli ordini per accumulare scorte “cuscinetto”In questo contesto, riteniamo possibile che l’attuale debolezza del settore industriale in molti paesi sia più il riflesso di una normalizzazione degli eccessi del passato che un indicatore anticipatore di recessione.

    Per il resto, negli Stati Uniti le aspettative di inflazione a medio termine rimangono ben ancorate, mentre quelle a breve termine hanno subito una flessione verso il basso. Progressivamente, queste aspettative di prezzo ben ancorate e una domanda aggregata un po’ più moderata stanno permettendo all’inflazione di fondo di iniziare a muoversi nella giusta direzione. A loro volta, un’attività economica resistente ma moderata, aspettative d’inflazione ben ancorate e un’inflazione di fondo che inizia a flettere verso il basso aprono la strada a una sospensione dei rialzi dei tassi da parte della Fed dopo la riunione di luglio e a una successiva lunga pausa. A nostro avviso, perché la Fed inizi a ridurre i tassi, dovranno esserci segnali simultanei di debolezza significativa sia nell’attività che nei prezzi, cosa che riteniamo improbabile nei prossimi trimestri.

    Nell’Eurozona, nonostante la debolezza mostrata da alcuni dati nell’ultimo periodo, riteniamo che alla fine prevarrà uno scenario macro simile a quello degli Stati Uniti. In particolare, riteniamo che i buoni fondamentali della domanda aggregata menzionati in precedenza porteranno a una crescita positiva per il resto dell’anno, con una disoccupazione che rimarrà vicina ai minimi storici.

    Riteniamo inoltre che l’inflazione di fondo inizierà presto a mostrare segni di moderazione, grazie alla politica monetaria della Bce e al fatto che le aspettative sui prezzi sono ben ancorate anche nel nostro continente. Questo, a sua volta, potrebbe consentire alla Bce di alzare i tassi un’ultima volta a luglio, per poi iniziare una lunga pausa dopo la riunione di settembre.

    Oltre Stati Uniti ed Europa

    In Cina, i rischi geopolitici stanno portando, a nostro avviso, a una valutazione eccessivamente negativa della situazione macroeconomica del Paese.

    A questo proposito, continuiamo a ritenere che la crescita economica cinese si attesterà molto probabilmente intorno o addirittura sopra il 5,5% quest’anno, con un settore dei servizi dalle prospettive favorevoli e un settore immobiliare che non crediamo possa destare grandi preoccupazioni.

    Allo stesso tempo, rimaniamo positivi sull’Asia emergente nel suo complesso grazie a crescita in linea con il potenziale nel 2023, inflazione in calo, bassi deficit pubblici, buon equilibrio delle partite correnti. Vediamo anche segnali incoraggianti in alcune economie dell’America Latina come Messico e Brasile.

    Per quanto riguarda il Giappone, gode ancora di un’apprezzabile spinta propulsiva “post-pandemia”. e di politiche monetarie e fiscali chiaramente espansive. Per i prossimi trimestri prevediamo che la crescita economica tenderà ad essere superiore al potenziale, con un output gap sempre più positivo. In secondo luogo, prevediamo un comportamento sufficientemente dinamico sia dei prezzi sottostanti sia dei salari. A loro volta, entrambe le cose apriranno la strada a un nuovo allentamento della politica di controllo delle curve da parte della BoJ, forse già a luglio o, in caso contrario, entro la fine dell’anno.

    Market view

    Titoli di Stato: i tassi d’interesse rimarranno relativamente alti più a lungo di quanto attualmente previsto dai mercati. Non escludiamo che nei prossimi trimestri si possa assistere a un graduale appiattimento delle curve dei rendimenti sia negli Stati Uniti sia in Europa, con la parte breve della curva che rimarrà vicina ai livelli di chiusura di giugno e la parte media e lunga della curva che si sposterà leggermente verso l’alto. Continuiamo a vedere chiari rischi di rialzo per la curva dei rendimenti giapponese.

    Azioni: vista la buona tenuta macro negli Stati Uniti e in Europa e considerando che non escludiamo ulteriori spostamenti verso l’alto delle curve dei rendimenti nei prossimi trimestri, riteniamo che il segmento value/ciclico del mercato, comprese le banche europee, dovrebbe fare meglio di quello growth/difensivo. Dal punto di vista geografico, alla luce di quanto sopra e dei livelli di valutazione relativi, preferiamo i mercati europei e dell’Asia emergente agli Stati Uniti.

    Creditocontinuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro centrale i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, visto che gli spread sono tornati a scendere sensibilmente, riteniamo sensato combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in obbligazioni governative emergenti in valuta locale grazie a un gruppo di Paesi emergenti per i quali prevediamo elevati tassi di crescita relativa e che beneficiano anche di una solida governance economica, di bassi deficit pubblici e di un’inflazione ragionevolmente bassa.

    Valutei livelli del dollaro intorno a 1,10 ci sembrano interessanti per rendere questa valuta una buona copertura per gli investitori in euro. Allo stesso tempo, visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, riteniamo che anche lo yen possa essere una buona posizione di copertura per il resto dell’anno. Per il resto, abbiamo una visione positiva su valute come corona norvegese, dollaro neozelandese o dollaro australiano; continuiamo inoltre ad apprezzare le valute dei mercati emergenti con una buona governance macro.

  • Beutel Goodman: investire in titoli value per proteggersi dalle turbolenze del mercato

    Beutel Goodman: investire in titoli value per proteggersi dalle turbolenze del mercato

    A cura di Rui Cardoso, gestore del portafoglio del fondo BA Beutel Goodman US Value Fundrappresentato in Italia da Amchor IS

    Potrebbe essere un buon momento per investire in titoli value negli Stati Uniti, perché il divario tra value e growth è vicino ai massimi storici.

    Ma non si tratta di acquistare indiscriminatamente i titoli più a sconto. Occorre investire in grandi aziende quando trattano a prezzi convenienti.

    Quello che vediamo oggi nel mercato statunitense è un ritorno al 2021, quando erano i grandi temi a guidare i flussi degli investitori. Wall Street è diventata una borsa molto sottile, dove la performance dell’indice è determinata da una manciata di società: Apple, Alphabet, Meta, Amazon, Tesla, Nvidia e Microsoft. Il contributo di questi sette titoli da inizio anno rappresenta il 96% del rendimento dell’S&P 500. Questo è il risultato sia dei rendimenti molto elevati dei singoli titoli sia di pesi nell’indice insolitamente elevati, come il 6,8% per Apple e il 6,0% per Microsoft. Per avere un’idea del contesto, 500 società pesate allo stesso modo rappresenterebbero lo 0,2% ciascuna.

    Mentre Nvidia e Microsoft possono essere favorite dai recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale generativa, Google e Apple crescono appena e hanno valutazioni elevate. Apple è attualmente scambiata a 28 volte gli utili futuri rispetto a una media storica di 18 volte. Complessivamente, l’S&P 500 tratta a 18 volte gli utili attesi a fronte delle 13,8 volte dell’indice Russell 1000 Value. A titolo di confronto, il benchmark per i titoli growth, l’indice Russell 1000 growth, tratta a 24,3 volte.

    Se ammettiamo che non possiamo sapere dove andranno i mercati, perché sono troppe le variabili in gioco e prevedere con successo l’esito di ciascuna variabile è impossibile, è necessario concentrarsi su un’analisi rigorosamente bottom-up delle società e del loro posizionamento competitivo sul mercato per identificare quelle più sottovalutate rispetto al valore della loro attività, determinato dalla valutazione della loro capacità di generare flussi di cassa futuri.

    Per proteggersi dai ribassi del mercato occorre infatti di acquistare quando i prezzi dei titoli sono bassi: le valutazioni contenute forniscono una certa protezione dalle turbolenze del mercato che possono essere determinate dai dati macro e dalle decisioni delle banche centrali.

    È il caso di Omnicom, un titolo che era da acquistare quando il settore delle agenzie pubblicitarie è caduto in disgrazia presso gli investitori per il timore di essere spazzato via da società come Facebook e YouTube.

    Un altro caso in cui ci si può avvantaggiare della flessione di un intero settore è con i prodotti farmaceutici, spesso penalizzati dai timori per i prezzi dei farmaci o dai vincoli normativi e dalle approvazioni della Food & Drug Administration. Ad esempio, Merck & Co. è diventata interessante nel 2013, quando era il momento di guardare oltre le preoccupazioni del mercato per la perdita dell’esclusività del suo farmaco oncologico di successo Keytruda e di concentrarsi sull’impegno di lunga data di Merck nella ricerca e nello sviluppo, sul suo interessante profilo di rendimento e sulle solide pratiche di allocazione del capitale.

    Un altro esempio: Harley Davidson era un’occasione nel 2017, quando le vendite hanno sofferto a causa dell’aumento delle scorte e dell’eccesso di offerta di nuove moto, oltre che della guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina. I problemi legati alle scorte e ai prezzi sono gradualmente migliorati insieme alla redditività, in quanto il titolo rimane anche oggi un prezzo interessante con solidi dati finanziari e una forte disciplina del capitale.

    Anche eBay, una storia di ristrutturazione di successo, rappresenta un’opportunità. L’azienda ha finalmente rinunciato a competere con Amazon, tornando alle sue origini di “mercatino delle pulci”, concentrandosi sulla vendita di articoli di seconda mano e su nicchie di prodotto specifiche come i ricambi per auto. L’azienda dispone di liquidità in eccesso che sta utilizzando per riacquistare le proprie azioni, con rendimenti interessanti per gli azionisti. 

    Un altro esempio di grande occasione trascurata dagli investitori è Campbell Soup, che è diventata interessante dal 2017. Il mercato si è a lungo concentrato sul rallentamento del business dei cibi in scatola, che rappresenta la metà delle vendite di Campbell, ignorando l’altra fetta di ricavi generata dal business degli snack. Quest’ultima offre un forte potenziale di crescita e margini in miglioramento. L’azienda ha inoltre dismesso alcune attività non strategiche e ha un bilancio solido.

    Abbiamo trovato interessante American Express quando il titolo ha sofferto nel 2015 a seguito della cessazione della partnership con Costco. A differenza di concorrenti come Mastercard e Visa, che dipendono dalle banche, la società dispone di una rete indipendente e di un modello commerciale basato sulle commissioni e offre un rendimento del capitale proprio superiore al 25%.

    Utilities e immobiliare pensiamo siano settori da cui stare alla larga perché hanno rendimenti a nostro avviso esagerati a causa della forte leva finanziaria. Non ci piacciono neppure le società energetiche, che stanno riducendo gli investimenti in riserve anche a causa dei vincoli di sostenibilità ambientale. Sebbene questo abbia un effetto positivo sulla generazione di cassa di queste società e sulla solidità dei loro bilanci, riteniamo che le renda vulnerabili nel medio-lungo termine e che attualmente non soddisfino i nostri elevati requisiti di investimento.

    L’ultima banca che abbiamo reputato interessante negli Stati Uniti è stata J.P. Morgan Chase ma solo fino al 2021, quando il titolo è diventato pienamente valutato. Riteniamo che i rendimenti attualmente offerti dai titoli bancari statunitensi non siano sufficientemente interessanti e che per generarli sia necessario assumere molti rischi a causa dell’elevata concorrenza nel settore.

  • AMCHOR Investment Strategies, partnership con Südtirol Bank

    AMCHOR Investment Strategies, partnership con Südtirol Bank

    • Südtirol Bank potrà distribuire la totalità dei comparti UCITS gestiti dagli asset manager selezionati e rappresentati da Amchor IS che hanno l’autorizzazione al collocamento al retail
    • Grazie alla partnership, gli investitori finali italiani hanno accesso diretto alle capability di due asset manager attivi internazionali: Brown Advisory e Mirae Asset

    Milano, 19 giugno 2023

    AMCHOR Investment Strategies – società di gestione spagnola indipendente specializzata nell’identificazione e selezione di gestori internazionali di comprovato talento e nella strutturazione e gestione di prodotti d’investimento alternativi – annuncia la stipula di una partnership di ampio respiro con Südtirol Bank, banca privata e indipendente specializzata nella gestione di portafogli e nel collocamento di strumenti finanziari affidabili e performanti.

    La partnership si concretizza in un accordo che consentirà alla banca di collocare presso la propria clientela una selezione dei comparti UCITS degli asset manager rappresentati in Italia da Amchor IS che hanno l’autorizzazione al retail. A oggi, quindi, nel perimetro dell’accordo rientrano i comparti gestiti attivamente da due asset manager rappresentati da Amchor IS in Italia: Brown Advisory, asset manager americano attivo indipendente con un AuM di oltre 120 miliardi di dollari, e Mirae Asset, player asiatico dell’asset management con oltre 200 miliardi di dollari in AuM. Entrambi sono accessibili direttamente agli investitori finali italiani e sono presenti sulle piattaforme di Allfunds Bank e Online SIM.

    In particolare, i comparti UCITS attualmente oggetto dell’accordo sono:

    • (Azionario US): Brown Advisory US Equity Growth, Brown Advisory US Smaller Companies, Brown Advisory US Flexible Equity, Brown Advisory US Sustainable Growth
    • (Azionario Globale): Brown Advisory Global Leaders Sustainable, Brown Advisory Global Leaders
    • (Azionario Asia): Mirae Asset India Sector Leader, Mirae Asset Asia Pacific, Mirae Asset Asia Great Consumer, Mirae Asset Asia Sector Leader Equity.

    Attiva dal 2008, AMCHOR IS opera su due differenti aree di business:

    • rappresenta in esclusiva un parterre ristretto di asset manager specializzati in strategie liquide, selezionati grazie a una metodologia rigorosa che si basa su tre pilastri: people, process e performance. Grazie all’expertise inhouse nell’analisi e nella fund selection, AMCHOR IS individua boutique indipendenti e specializzate, dove operano gestori di talento e di comprovata esperienza, fedeli al loro processo di investimento e che hanno dimostrato di saper generare alpha in modo constante. Oltre a Brown Advisory e Mirae Asset, gli altri asset manager rappresentati in Italia sono Aktia, CQS, Fulcrum Asset Management e Lonvia Capital.
    • in qualità di asset manager, struttura e colloca in Spagna prodotti di investimento alternativi sui private market, facendo leva sulla propria expertise di gestione interna o sulla sua capacità di fund selector di strategie ad alto e costante valore aggiunto gestite da asset manager di primaria grandezza del calibro di JP Morgan, AlpInvest, Apollo.

    Cristiano BusnardoCountry Head per l’Italia di AMCHOR IS, ha dichiarato: “Con questo accordo Amchor IS mette la propria capacità di talent scout di strategie liquide a disposizione anche della distribuzione in Italia. Questo nuovo canale di raccolta contribuirà al nostro progetto di penetrazione del mercato italiano, affiancandosi alla nostra attività di supporto degli investitori istituzionali nell’analisi e nella fund selection di strategie di successo”.

    Peter Mayr, fondatore Südtirol Bank, ha aggiunto: “Fare scouting di talenti della gestione finanziaria, promuovere per primi brand dell’asset management ancora poco diffusi sul nostro mercato ma con solide e peculiari expertise. Sono, questi, due obiettivi ambiziosi per una banca-rete ma, quando raggiunti, in grado di dare grande lustro e distintività presso la platea degli investitori. La partnership con Amchor IS ci attrezza ulteriormente per conseguirli entrambi”.

  • Nuovo rialzo per la Bce, ma quello di luglio potrebbe essere l’ultimo

    Nuovo rialzo per la Bce, ma quello di luglio potrebbe essere l’ultimo

    A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS

    In modo simile alla Fed ieri, sembra chiaro che la Bce voglia evitare a tutti i costi il rischio che un tono percepito come non sufficientemente falco possa portare a un allentamento troppo precoce delle condizioni finanziarie.

    Per raggiungere questo obiettivo, oggi ha fatto diverse cose oltre ad alzare i tassi: dire che è molto probabile che vengano alzati di nuovo a luglio; non escludere ulteriori rialzi – Lagarde ha detto che non hanno ancora pensato a una pausa; rivedere al rialzo le previsioni di inflazione per il 2025 al 2,2% – un messaggio agli operatori, non solo sul fatto che ci sarà ancora qualche rialzo ma, soprattutto, che i tassi impiegheranno molto tempo a scendere; fare ripetutamente riferimento alla forza del mercato del lavoro e alla necessità di seguire l’evoluzione dei salari – facendo più volte riferimento al costo unitario del lavoro come variabile chiave per l’evoluzione futura dei prezzi.

    In ogni caso, oltre a tutto ciò che è stato detto finora, la Bce riconosce anche che le pressioni sui prezzi stanno iniziando a moderarsi un po’, che gli effetti dell’inasprimento delle condizioni finanziarie iniziano a farsi sentire e che, dato il ritardo con cui la politica monetaria normalmente agisce, è possibile che gli effetti dei passati rialzi dei tassi non si siano ancora pienamente riflessi nell’economia. Questi messaggi, a mio avviso, suggeriscono che non ci saranno molti altri rialzi dei tassi oltre a quello di oggi.

    La mia conclusione provvisoria è che a luglio la Bce aumenterà ancora i tassi e che questi impiegheranno molto tempo per iniziare a scendere. Allo stesso tempo, però, non escludo che il rialzo di luglio possa essere l’ultimo, a patto che i salari e l’inflazione di fondo diano la sensazione di aver raggiunto il picco da qui a settembre.

  • La Fed si prende una pausa, ma il dot plot indica altri due possibili rialzi nel 2023

    La Fed si prende una pausa, ma il dot plot indica altri due possibili rialzi nel 2023

    A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS

    La Fed ha deciso di fare una pausa, ma il dot plot indica altri due possibili rialzi quest’anno.

    È chiaro che la Fed sta cercando di evitare a tutti i costi di dare l’impressione che la lotta all’inflazione sia già stata vinta. In questo senso, Powell ha fatto notare che non si aspetta di tagliare i tassi quest’anno e sottolinea che la Fed inizierà a tagliarli solo quando vedrà un calo molto evidente dell’inflazione di base (un processo che, secondo lo stesso Powell, durerà forse due anni). Powell sottolinea inoltre che i rischi di inflazione rimangono più al rialzo.

    Probabilmente la Fed è in modalità “gestione del rischio” e in questo caso il rischio che teme maggiormente è un allentamento prematuro delle condizioni finanziarie che potrebbe riattivare la domanda aggregata e le pressioni sui prezzi.

    Detto questo, Powell riconosce che si cominciano a vedere alcuni progressi in termini di moderazione dei prezzi. Inoltre, osserva che alcuni degli effetti dei passati rialzi dei tassi potrebbero non aver ancora raggiunto l’economia. Inoltre, afferma di ritenere che la Fed sia vicina a raggiungere un livello sufficiente di inasprimento monetario (questo suggerirebbe che non ci saranno più molti rialzi dei tassi e, in questo senso, lo stesso Powell afferma che il dot plot non è un piano e che le prossime decisioni sui tassi saranno prese riunione per riunione).

    La mia impressione è che, anche se probabilmente lentamente, l’inflazione di fondo negli Stati Uniti si ridurrà e che la Fed potrebbe aumentare i tassi solo un’altra volta (probabilmente a luglio). Tuttavia, data la forza di fondo della domanda, penso che i tassi impiegheranno parecchio tempo a scendere (forse fino a ben oltre il 2024?). Inoltre, in relazione a questa forza di fondo e al fatto che i tassi potrebbero essere vicini al picco, continuo a pensare che l’economia statunitense si stia dirigendo verso un atterraggio morbido (bassa crescita ma nessuna recessione). Infatti, ieri la Fed ha dovuto rivedere al rialzo le sue previsioni di crescita per quest’anno.

  • La recessione è sempre più lontana?

    La recessione è sempre più lontana?

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor IS

    I dati sull’attività economica negli Stati Uniti continuano a essere troppo solidi perché sia ragionevole aspettarsi una recessione nella seconda metà dell’anno. Allo stesso tempo, gli indicatori più recenti dei salari e dei prezzi sottostanti, anche se ancora provvisoriamente, mostrano segnali nella giusta direzione. Nel caso dell’Eurozona, l’attività del settore dei servizi rimane forte, consentendo alla disoccupazione di raggiungere nuovi minimi storici in aprile. Sul fronte dei prezzi, tuttavia, la strada da percorrere è ancora più lunga rispetto agli Stati Uniti. Infatti, i salari in Europa continuano ad accelerare e non è affatto escluso che, grazie all’enorme forza del settore turistico, si possa assistere a un ulteriore aumento dell’inflazione di fondo nel corso dell’estate.

    Ciò premesso, il nostro scenario macro non è cambiato e si può riassumere in quattro elementi. In primo luogo, la domanda aggregata negli Stati Uniti e in Europa gode di fondamentali solidi. In secondo luogo, questi buoni fondamentali e gli enormi stimoli fiscali e monetari attuati durante la pandemia hanno contribuito a creare una situazione di eccesso di domanda, che a sua volta ha portato a significative pressioni inflazionistiche. In terzo luogo, come conseguenza di quanto sopra, sono ora necessarie politiche monetarie restrittive mantenute per un periodo di tempo relativamente lungo per moderare sia l’inflazione sia i salari. In quarto luogo, il fatto che le aspettative di inflazione rimangano ragionevolmente ancorate rende possibile il controllo dell’inflazione senza una recessione.

    Pensiamo che la Fed possa aver raggiunto il picco dei tassi e che la Bce, invece, dovrà probabilmente aumentarli ancora due volte nelle riunioni di giugno e luglio. E, guardando un po’ più avanti, pensiamo che dovremo aspettare fino a ben oltre il 2024 per vedere tagli dei tassi di interesse. Per il resto, in termini di rischi, nel nostro scenario centrale, temiamo che l’inflazione impieghi più tempo a scendere di quanto pensiamo, il che potrebbe disancorare le aspettative sui prezzi e costringere le banche centrali ad alzare i tassi di interesse oltre quanto previsto. Se ciò dovesse accadere, sarebbe difficile evitare una recessione più o meno significativa fino al 2024.

    Stati Uniti ed Europa: gli scenari sono così diversi?

    Negli Stati Uniti gli ultimi dati sui posti vacanti sono tornati a salire e mostrano valori straordinariamente alti: il rapporto posti vacanti/disoccupazione è di 1,8 contro l’1,2 pre-pandemia. Inoltre, il ritmo di creazione di posti di lavoro rimane straordinariamente elevato, con una media di314.000 posti di lavoro al mese, finora, quest’anno. In Europa il mercato del lavoro si sta dimostrando molto forte, tanto che l’Eurozona ha creato posti di lavoro a tassi annualizzati vicini al 2,5% nel primo trimestre e ha raggiunto un nuovo minimo nel tasso di disoccupazione in aprile. Non crediamo affatto che la relativa debolezza del settore manifatturiero negli Stati Uniti e nell’Eurozona sia un segnale precoce di ciò che potrebbe presto accadere al settore dei servizi. A nostro avviso, tutto ciò che sta accadendo è che, dopo essere stata orientata verso i beni durante la pandemia, la domanda aggregata globale si è ora spostata verso i servizi.

    Molti analisti hanno guardato alla crescita negativa della Germania nel primo trimestre per concludere che l’economia europea è destinata a mostrare uno scarso dinamismo nei prossimi trimestri. Riteniamo possa essere un errore, per almeno due motivi. Il primo è che parte della debolezza mostrata dalla Germania negli ultimi due trimestri è idiosincratica e dovuta alla sua enorme dipendenza dalle forniture energetiche russe. Un esempio del fatto che ciò che accade in Germania non è indicativo di ciò che accade in altri paesi dell’area dell’euro è che l’Italia, nello stesso primo trimestre, è stata in grado di crescere a tassi annualizzati vicini al 2,5%. Il secondo è che la stessa economia tedesca ha iniziato a dare segni di ripresa all’inizio del secondo trimestre dell’anno: il settore dei servizi si sta rafforzando, le esportazioni hanno sorpreso in positivo e, soprattutto, il dato sulla creazione di posti di lavoro di aprile è stato ancora una volta molto positivo.

    Tornando agli Stati Uniti, segnali di moderazione salariale, accompagnati da una prevedibile evoluzione favorevole della componente degli affitti dell’IPC nei prossimi mesi fa pensare a una prosecuzione nel breve periodo del processo di (progressiva) disinflazione che sembra già essere iniziato nella prima economia mondiale.

    Quali rischi all’orizzonte

    È necessario essere molto attenti alla possibilità che l’inflazione impieghi più tempo a scendere rispetto alle stime, che questo possa smorzare le aspettative di inflazione e che, di conseguenza, le banche centrali possano essere costrette ad attuare politiche monetarie ancora più restrittive di quanto ci aspettiamo. In questo senso, e per capire se questo rischio è destinato a concretizzarsi o meno, da qui alla fine dell’anno monitoreremo da vicino variabili quali: i prezzi degli affitti negli Stati Uniti, la crescita dei salari, soprattutto nell’Eurozona, per monitorare che non superi di molto il 4,5-5%, i prezzi dell’energia e dei generi alimentari, le aspettative di inflazione dei consumatori e delle imprese e, infine, l’orientamento della politica fiscale in Europa e negli Stati Uniti. Sarebbe positivo che, con l’output gap già positivo e l’inflazione così alta, le politiche fiscali diventassero almeno neutrali, aiutando così le banche centrali nel loro obiettivo di moderare la crescita della domanda aggregata.

    View di mercato

    Titoli di Stato: sebbene l’ultimo movimento al rialzo abbia portato le curve dei rendimenti a livelli più ragionevoli, continuiamo a ritenere che i tassi di interesse rimarranno relativamente alti più a lungo di quanto attualmente scontato. Inoltre, non escludiamo affatto future revisioni al rialzo delle stime sui tassi neutrali.

    Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie a bassa duration perché nel nostro scenario macro centrale i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. In ogni caso, continuiamo a combinare questa esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato dei mercati emergenti in valuta locale. Quest’ultima asset class ci attrae per due motivi principali: in primo luogo, perché offre ottime prospettive di rendimento, sia in termini di carry che di potenziale apprezzamento del tasso di cambio; in secondo luogo, perché attualmente esiste un gruppo di Paesi emergenti per i quali prevediamo tassi di crescita economica molto interessanti e che beneficiano anche di una solida governance economica, di deficit pubblici contenuti e di un’inflazione ragionevolmente bassa. Queste caratteristiche, a nostro avviso, fanno sì che l’esposizione ai titoli di Stato in valuta locale di questi Paesi sia oggi meno rischiosa che in passato.

    Azioni: nella misura in cui vediamo una forza di fondo nella domanda aggregata e tassi d’interesse ragionevolmente elevati nel medio termine, riteniamo che il segmento value/ciclico del mercato (comprese le banche) dovrebbe fare meglio del segmento growth/difensivo nella seconda metà dell’anno. Dal punto di vista geografico, alla luce di quanto sopra e considerando anche i livelli di valutazione relativi, preferiamo il mercato europeo a quello statunitense. Allo stesso tempo, pur essendo ben consapevoli dei rischi geopolitici presenti in Cina, riteniamo che l’Asia emergente sarà la regione che crescerà più rapidamente a livello globale sia nel breve che nel medio termine e pertanto continuiamo a privilegiare una certa esposizione alle azioni di questa regione.

    Valute: visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, e considerando anche che lo yen è piuttosto deprezzato dai fondamentali, riteniamo che la valuta giapponese possa essere una buona posizione di protezione per il resto dell’anno. Per il resto, come già detto, continuiamo a preferire le valute emergenti dei Paesi con una buona governance macro e livelli di carry interessanti. Allo stesso tempo, riteniamo che la corona norvegese possa beneficiare nel resto dell’anno di un possibile aumento dei prezzi del petrolio.

  • Variabili macro sotto controllo, è ora di investire negli high yield europei. Anche in Italia

    Variabili macro sotto controllo, è ora di investire negli high yield europei. Anche in Italia

    A cura di Tapio Jokisaari, Lead Portfolio Manager, Aktia European High Yield+, Aktia AM, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS

    I rischi posti dall’inflazione si sono rivelati meno pericolosi del previsto e anche i timori per una recessione in Europa si sono affievoliti. Per questo potrebbe essere il momento di investire in emissioni ad alto rendimento europee con una gestione rigorosamente attiva.

    L’occupazione in Europa non ha infatti subito contraccolpi, lasciando potere di spesa ai consumatori, nonostante l’aumento dei prezzi. La stessa inflazione appare sotto controllo, con i costi dell’energia in ridimensionamento. I tassi di interesse dovrebbero dunque essere vicino al picco e potrebbero iniziare a scendere l’anno prossimo. Anche i livelli di fallimento delle aziende non si sono impennati: secondo Moody’s dovrebbero salire al 4% di qui ad un anno rispetto al 2-3% degli ultimi anni.

    Restano alti invece i rendimenti nel segmento delle emissioni high yield europee, che ha visto nel 2021 un alto numero di emissioni: gli yield sono saliti mediamente all’8% rispetto ad una media del 3% dell’era pre-Covid. I rendimenti elevati rappresentano anche un cuscinetto rispetto ad eventi avversi futuri, che potrebbero portare ad un allargamento degli spread, rendendoci ottimisti per questa asset class anche guardando avanti.

    Puntare su tlc, servizi, farmaceutica

    In questo momento sovrappesiamo tlc, servizi e farmaceutici, settori in cui più difficilmente si trovano business soggetti ai nostri criteri di esclusione ESG.

    Questi settori sono, allo stesso tempo, meno sensibili al rallentamento della crescita economica o all’indebolimento della fiducia dei consumatori. Nelle telecomunicazioni, ci piacciono le obbligazioni ibride con rating high yield di operatori storici europei come Vodafone e le obbligazioni garantite di operatori che beneficiano di leva finanziaria come SFR e T-mobile Olanda.

    Nel settore dei servizi privilegiamo quelli informatici. Tra i farmaceutici, un tipico emittente high yield è una piccola società con un numero limitato di prodotti sviluppati in proprio, completati da un portafoglio di prodotti acquistati da società più grandi. In questo ambito ci piace la società tedesca Gruenenthal.

    Investiamo nei green bond di aziende appartenenti ai settori da noi esclusi per ragioni ESG: è il caso della emissione verde della tedesca Zf Europe Finance, un produttore di componenti per auto che, in quanto appartenente ad un settore che produce emissioni, troverebbe solo uno spazio limitato nei nostri portafogli.

    Da notare che il mercato delle emissioni green ad alto rendimento è molto più piccolo e meno diversificato di quello investment grade e attualmente rappresenta appena il 7% del totale. È costituito da green bond di società più grandi, in grado di disegnare e implementare un progetto “green”. Più comuni, invece, i sustainabilty linked bonds, legati a impegni a ridurre le emissioni.

    Focus su finanziamento di leverage buy out (LBO)

    Spazio anche alle emissioni singola B nell’orbita del LBO financing dove, ad esempio, è coinvolto un operatore di private equity che acquista e finanzia una società. Tipicamente gli operatori di private equity, infatti, hanno un grande focus sulla generazione di cassa della società in cui investono. Sono inoltre investitori professionali e quindi garantiscono standard di governance e di trasparenza maggiori.

    Oltre ai temi legati all’investimento sostenibile, puntiamo sugli ibridi high yield di emittenti investment grade, come è il caso di Telefonica ed Energias de Portugal, per cui non dobbiamo preoccuparci del rischio di credito. Pensiamo ci sia valore, inoltre, sui subordinati Additional Tier 1 di banche e assicurazioni come Llodys, SocGen e BNP Paribas che, recentemente penalizzati dalla vicenda Credit Suisse, oggi rendono quasi il 10%.

    L’investimento in obbligazioni AT1 consente di diversificare il rischio rispetto ad un’esposizione ai soli bond societari puri. Storicamente, i rendimenti delle obbligazioni AT1 sono stati maggiori di quelli dei bond societari high yield, anche se accompagnati da una altrettanto superiore volatilità. Nella selezione degli emittenti AT1 ci avvaliamo dei nostri colleghi specializzati in investment grade.

    Telecom Italia una scommessa tattica

    Ci piace anche il debito di Telecom Italia, una posizione che si potrebbe definire “event-driven”,che abbiamo assunto quando lo spread ha iniziato ad allargarsi alla fine del 2021.Puntiamo infatti sulle implicazioni potenzialmente positive per gli obbligazionisti che verranno dalla cessione della rete fissa in termini di riduzione dell’indebitamento complessivo.

    Ancora in Italia investiamo nel produttore di occhiali Marcolin, che continua ad offrire rendimenti del 10% nonostante un business solido, e in Ima, un’azienda che riteniamo sia molto ben gestita e che attualmente mette la riduzione del debito prima del pagamento di dividendi.

    Altre storie che troviamo interessanti sono Elis SA, società francese di noleggio e lavaggio biancheria che sta aspettando il passaggio a “investment grade” prima di rifinanziarsi e, più recentemente, la tedesca Adler Pelzer, un produttore di componenti per auto che è stato in grado di rifinanziarsi grazie ad un aumento di capitale sottoscritto dall’azionista di maggioranza, l’imprenditore italiano Paolo Scudieri e dall’investitore giapponese Hayashi Telempu Corporation.

    Vale la pena anche menzionare l’operatore di palestre britannico Puregym, di proprietà di un private equity, le cui obbligazioni fanno parte del nostro portafoglio dall’inizio dell’emissione e ci hanno garantito rendimenti superiori al benchmark.

    Guardiamo infine opportunisticamente ad aziende detenute da singole famiglie, che spesso hanno problemi di governance e di trasparenza ma hanno bisogno di capitali. Le emissioni ad alto rendimento in questo segmento hanno tipicamente come collaterale le azioni della società e quindi rappresentano una opportunità interessante, anche in Italia. 

    L’area di investimento opportunistica in cui abbiamo investito più di recente è quella delle obbligazioni senior delle società immobiliari nordiche, che sono state messe sotto pressione dal contesto di tassi di interesse più elevati. Alla fine dell’anno scorso abbiamo costituito una posizione su tre di queste società, che hanno ancora un rating investment grade ma le cui obbligazioni sono scambiate a livelli di high yield.

  • Eurozona e USA: prospettive migliori del previsto

    Eurozona e USA: prospettive migliori del previsto

    A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor

    La domanda ricorrente che ci si pone in questi giorni è se sia possibile che, a seguito di quanto accaduto nelle ultime settimane nel settore bancario, le condizioni finanziarie si inaspriscano abbastanza da generare una recessione negli Stati Uniti e/o in Europa. Sembrerebbe improbabile, principalmente per due motivi. In primo luogo, perché la situazione attuale è caratterizzata da fondamentali nettamente più solidi rispetto a quelli che prevalevano all’alba della crisi finanziaria globale: banche molto meglio capitalizzate e con indici di liquidità nettamente più elevati, bilanci delle famiglie e delle imprese non finanziarie notevolmente più solidi, assenza di squilibri rilevanti dal lato dell’offerta nell’area dell’euro, assenza di squilibri dal lato dell’offerta nell’economia reale. In secondo luogo, le autorità non solo dispongono di un arsenale di strumenti per la fornitura di liquidità molto più ampio rispetto al 2008, ma anche la loro disponibilità a utilizzarlo è significativamente maggiore. In questo caso, anche se non si possono escludere incidenti, il nostro scenario per gli Stati Uniti e l’Eurozona rimane sostanzialmente lo stesso: i tassi d’interesse rimarranno moderatamente elevati per molto tempo e questo permetterà di tenere sotto controllo l’inflazione senza generare una recessione. In termini più concreti, ciò che riteniamo più probabile per l’economia statunitense nei prossimi trimestri è che la Fed manterrà i tassi di interesse al livello attuale (o forse 25pb in più) almeno fino alla fine dell’anno, i salari e l’inflazione di fondo confermeranno un percorso di progressiva moderazione e, infine, una crescita economica positiva, anche se forse al di sotto del potenziale.

    Nel caso dell’Eurozona, il calo dei prezzi delle materie prime, l’accelerazione dei salari e la forte espansione fiscale agiscono come venti favorevoli per la domanda aggregata, costringeranno la Bce ad alzare i tassi due volte e a lasciarli fermi per parecchio tempo. In secondo luogo, una politica monetaria così moderatamente restrittiva da parte della Bce, insieme ad aspettative di inflazione ben radicate, aiuterà l’inflazione di fondo a raggiungere il picco prima dell’estate. Infine, la crescita rimarrà in territorio nettamente positivo e forse vicina al potenziale nel 2023, nel suo complesso.

    Al di fuori degli Stati Uniti e dell’Europa, quest’anno l’Asia emergente sarà di gran lunga la regione con la crescita economica più forte, con la Cina in forte ripresa dopo l’abbandono della politica zero Covid, insieme a India e Sud-est asiatico che mostrano prospettive nettamente favorevoli. Difficile prevedere quanto si restringeranno le condizioni di credito a seguito di quanto è accaduto (o potrebbe ancora accadere) nel settore bancario. Per questo motivo, nelle prossime settimane, sarà necessario essere particolarmente attenti alle variabili di natura finanziaria che possono aiutarci a individuare possibili fonti di tensione come i movimenti dei depositi bancari, l’utilizzo delle linee di liquidità delle banche, lo spread delle obbligazioni societarie le condizioni di prestito delle banche, i livelli di concessione del credito da parte delle banche o, ancora, i livelli di volatilità dei mercati. Ciò detto, questo episodio sarà molto probabilmente superabile senza grandi scossoni.

    Stati Uniti, inflazione sulla via della moderazione

    Nonostante il recente rimbalzo dei prezzi del greggio in seguito all’ultima decisione di taglio della produzione da parte dell’OPEC, il calo dei prezzi delle materie prime rispetto ai massimi dell’anno scorso permetterà una diminuzione relativamente rapida dell’inflazione nei prossimi mesi. I tassi di interesse mantenuti al livello attuale (o al di sopra di 25pb) per un periodo di tempo sufficientemente lungo saranno probabilmente sufficienti per ottenere una graduale correzione dell’eccesso di domanda che ha caratterizzato l’economia statunitense nell’ultimo periodo. La minore domanda in eccesso, il calo previsto dell’inflazione complessiva e le aspettative di inflazione ben ancorate contribuiranno a far sì che i salari confermino il percorso di moderazione iniziato nei primi mesi del 2022 per il resto dell’anno. Tutti questi fattori dovrebbero portare a una determinazione dei salari ragionevolmente prudente da parte delle imprese nei prossimi trimestri. Alla luce di questo, il percorso di moderazione dell’inflazione di fondo negli Stati Uniti dovrebbe intensificarsi entro la fine dell’anno e l’economia statunitense dovrebbe superare l’attuale periodo di forti pressioni sui prezzi mantenendo una crescita moderatamente positiva.

    Eurozona: previsioni di crescita nettamente positive per tutto l’anno

    Il calo dei prezzi delle materie prime rispetto all’anno scorso, la forte espansione fiscale e la forte accelerazione dei salari sono significativi venti favorevoli per la domanda aggregata e quindi rendono quasi inevitabile che la Bce sia costretta ad aumentare ulteriormente il tasso di deposito, forse al 3,5%, e a mantenerlo a tale livello per un periodo di tempo sufficientemente lungo. La politica monetaria restrittiva della Bce contribuirà a moderare la domanda aggregata nell’area euro nella seconda metà dell’anno e questo, insieme al fatto che anche nel nostro continente le aspettative di inflazione rimangono ben ancorate, renderà possibile che la crescita dei salari rimanga entro limiti ragionevoli. Grazie a un andamento ragionevole delle politiche salariali nell’Eurozona e a politiche di fissazione dei prezzi sufficientemente prudenti da parte delle imprese europee, l’inflazione di fondo nell’Eurozona potrebbe raggiungere il picco prima dell’estate. Alla luce di questi elementi, la crescita economica dell’Eurozona nel 2023 dovrebbe rimanere complessivamente in territorio nettamente positivo.

    View di mercato

    Titoli di stato: a meno che la situazione del sistema bancario non diventi molto più complicata di quanto atteso, i tassi di interesse dovrebbero rimanere relativamente alti per un periodo più lungo di quanto attualmente scontato dai mercati.

    Credito: in uno scenario macro in cui i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo sono da preferire le obbligazioni societarie. In ogni caso, sarebbe sensato combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale che presentano ottime prospettive di rendimento, sia in termini di carry sia di potenziale apprezzamento del tasso di cambio. C’è un gruppo di paesi emergenti per i quali ci si aspetta alti tassi di crescita relativa, che beneficiano di una solida governance economica, di bassi disavanzi pubblici e di bassi tassi di inflazione ragionevolmente sotto controllo, fattori questi che rendono, oggi, l’esposizione al debito in valuta locale di questi paesi meno rischiosa di quanto possa sembrare.

    Azioni: in presenza di spostamenti verso l’alto delle curve dei tassi d’interesse tra oggi e la fine dell’anno, il segmento value/ciclico del mercato, comprese le banche, performerà meglio del segmento growth/defensive. Geograficamente, puntiamo sui mercati europei ed emergenti asiatici rispetto a quelli del Nord America.

    Valute: i livelli del dollaro intorno a 1,10 (o meglio ancora 1,12, qualora dovesse arrivarci) sono interessanti per fare di questa valuta una buona copertura per gli investitori in euro. Allo stesso tempo, e considerando i buoni segnali che il Giappone sta generando, anche lo yen potrebbe essere un buon strumento di copertura. Inoltre, abbiamo anche un atteggiamento costruttivo sulla sterlina e continuiamo ad apprezzare le valute dei mercati emergenti con una buona governance macro.