Tag: Partito Comunista Italiano

  • Immigrazione a Salerno. Coppola (PCI Salerno): “Questione sociale. No alla gestione emergenziale”

    Immigrazione a Salerno. Coppola (PCI Salerno): “Questione sociale. No alla gestione emergenziale”

    Anche in provincia di Salerno siamo già all’emergenza migranti.

    Dopo il rifiuto all’accoglienza del Sindaco di Cicerale, arriva puntuale anche quello del Sindaco di Auletta: “Li hanno mandati qui per ordine prefettizio, a nostra insaputa” dichiara il primo cittadino del comune del Vallo di Diano.

    Non è possibile gestire così il fenomeno migratorio in provincia di Salerno come in Italia!!

    Il PCI sostiene che le competenze sulla immigrazione, finora di pertinenza esclusiva del Ministero degli Interni e delle Prefetture, vadano estese agli Enti Locali per superare la logica repressiva sulla “Questione Sociale” dei migranti.

    Il PCI ritiene necessario un incontro col prefetto sul tema degli edifici pubblici abbandonati e delle strutture confiscate alla camorra in provincia di Salerno; il monitoraggio di tali strutture consentirà la messa in comune di edifici per l’accoglienza dei migranti e di quanti possano trovarsi senza un tetto o per iniziative sociali e culturali.

    Bisogna completamente superare la gestione privatistica dei migranti; il superamento del privato nella gestione dell’immigrazione vuol dire il superamento della logica emergenziale e del trattamento di esseri umani come merce di contrabbando o rifiuto speciale a seguito dell’opacità e della segretezza con cui si è gestito un “fenomeno” che va affrontato come “questione sociale”.

    Il PCI ritiene i fenomeni migratori una Questione Sociale e come tale da affrontare e sostiene che le competenze sulla immigrazione, finora di pertinenza esclusiva del Ministero degli Interni e delle Prefetture, vadano estese agli Enti Locali per superare la logica repressiva sulla Questione Sociale dei migranti.

    Il PCI ritiene non più procrastinabile:
    l’organizzazione di un tavolo permanente in Prefettura, aperto, democratico e trasparente, sui temi dell’immigrazione
    l’avvio con il tavolo organizzato in Prefettura di una inchiesta sulle condizioni di lavoro e di vita degli immigrati nella provincia
    l’immediata disponibilità pubblica di strutture ed edifici confiscati alla camorra al fine di renderli beni comuni in uso per accoglienza immigrati e senza tetto
    la sensibilizzazione delle Amministrazioni Locali a spingersi oltre il tabù del blocco delle assunzioni ed a richiedere la presa in carica di personale pubblico proprio tramite nuove assunzioni

  • Il Pci contro i tentativi golpisti contro Maduro e al fianco del popolo e del governo Venezuelano!

    Il Pci contro i tentativi golpisti contro Maduro e al fianco del popolo e del governo Venezuelano!

    di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI e Responsabile Dipartimento Esteri – E’ la storia che si ripete, sempre uguale a se stessa: in America Latina, più è forte il cambiamento, più il cambiamento è del popolo e per il popolo, più determinata, feroce e sanguinaria è la risposta delle forze reazionarie, sollecitate ed organizzate dall’imperialisamo USA. In queste ore, a Caracas, un elicottero rubato alla polizia venezuelana ha attaccato militarmente (sparando e lanciando granate) sia il Ministero degli Interni che la Corte Suprema. Nessun dubbio sulla natura politica dell’attacco: sull’elicottero era ben visibile uno striscione che recitava: “ 350 Libertad”, un riferimento all’articolo 350 della Costituzione bolivariana che le forze della destra venezuela e l’Amministrazione Trump avversano con tutte le loro – poderose – forze, nell’obiettivo di far cadere Maduro e la rivoluzione “chavista”.

    L’attacco militare delle forze reazionarie è, per ora, uno degli apici del lungo tentativo del grande capitale venezuelano, delle oligarchie venezuelane, dei padroni delle terre venezuelani, di riportare l’ordine liberista in Venezuela, di riprivatizzare il petrolio, di riportare a Caracas la bandiera nord americana.

    Dalla prima vittoria elettorale di Hugo Chavez (1998) e lungo tutti gli anni delle altre vittorie elettorali “chaviste” ( 2000, 2006, 2012) la rabbia delle forze reazionarie e degli USA non si è mai placata e mai si è spenta l’idea di soluzioni fasciste e “golpiste” contro la Rivoluzione bolivariana. La nazionalizzazione del petrolio, le immense campagne di alfabetizzazione, gli investimenti massicci per le garanzie sociali – innanzitutto per la sanità pubblica – e una politica internazionale “chavista” incardinata sull’antimperialismo, sulla solidarietà ai popoli opprressi e alle lotte anticolonialiste, entro un progetto generale di unità e integrazione bolivarista per tutta l’America Latina, tutto ciò ha fatto impazzire le forze reazionarie venezuelane e gli USA, che si sono poste l’obiettivo primario di sconfiggere la Rivoluzione, di far cadere prima Chavez ed ora Maduro.
    Già nell’aprile del 2001 i “golpisti” andarono vicinissimi alla vittoria, incarcerando Hugo Chavez, poi liberato dallo stesso popolo di Caracas.
    Ora, anche approfittando della crisi economica, la destra reazionaria si scatena, nell’obiettivo del “golpe” finale contro Maduro.

    Il Partito Comunista Italiano si schiera con tutte le sue forze e senza dubbi alcuni a fianco del governo legittimo, popolare, rivoluzionario, antimperialista e internazionalista del compagno Maduro, ricordando anche il ruolo immenso che il Venezuela bolivarista ha già svolto e svolge a favore di tutti i popoli e i governi antimperialisti e antiliberisti dell’America Latina. Ed è anche a partire da questa consapevolezza, a partire dal grande ruolo volto alla libertà dei popoli di tutta l’America Latina che il Venezuela ha già svolto e potrà svolgere, che il PCI ritiene e riterrà la difesa, anche con la forza, del governo rivoluzionario di Caracas un atto legittimo e rivlouzionario.

  • Assemblea promossa da Falcone e Montanari: Nessuna parola data al PCI

    Assemblea promossa da Falcone e Montanari: Nessuna parola data al PCI

    “Speriamo di essere smentiti, ma se è vero che il buon giorno si vede dal mattino più di un motivo di preoccupazione è legittimo. Al Pci, che ha aderito all’assemblea nazionale “Per la democrazia e l’uguaglianza” promossa con l’appello Falcone/Montanari, non è stato consentito di intervenire nel dibattito, adducendo prima motivazioni inaccettabili, presentando poi addirittura il fatto come una “encomiabile rinuncia”.

    E’ quanto si legge nel comunicato del Partito Comunista Italiano diffuso oggi in seguito all’Assemblea per l’unità della Sinistra promossa da Falcone e Montanarini.

    “Atteggiamento che lascia spazio a più di un legittimo interrogativo. Il Pci conferma il proprio impegno in direzione della ricerca della massima unità possibile a sinistra, la necessità di un’altra agenda per l’Europa, di un’altra agenda per l’Italia, dell’affermazione di una politica in assoluta discontinuità con quella liberista imperante. Tale alternativa, per affermarsi, non può che essere perseguita fuori da ogni logica di accordo con il Pd e di riedizione del centrosinistra qualunque sia la sua articolazione.

    Anche a tal fine il Pci ha invitato tutte le forze comuniste e della sinistra all’iniziativa dallo stesso da tempo promossa per domenica 25 giugno all’hotel Universo a Roma avente al centro le proprie proposte per il cambiamento sociale e politico dell’Italia” conclude la nota.

  • Eboli (Salerno). PCI: “L’Amministrazione guidata dal Sindaco Cariello ha risposto prontamente all’amministrazione americana del Presidente Donald Trump!”

    Eboli (Salerno). PCI: “L’Amministrazione guidata dal Sindaco Cariello ha risposto prontamente all’amministrazione americana del Presidente Donald Trump!”

    “Lavoriamo tutti insieme per una economia verde e competitiva, che serva da un lato a preservare ambiente e territorio, dall’altro a garantire sviluppo ed occupazione!”, queste le parole del Sindaco Cariello pronunciate nell’aula consiliare del Comune di Eboli, in occasione di una manifestazione che ha visto protagonisti Comuni e organizzazioni che si occupano di tutela del territorio.
    Non c’è che dire una vera e propria svolta. Solo che …

    Spulciando il bilancio di previsione approvato non si riescono proprio a trovare stanziamenti che vanno in tale direzione.”

    E’ quanto si legge nel comunicato stampa ricevuto da Alfonso Del Vecchio, segretario cittadino della sezione di Eboli “Mario Garuglieri” del Partito Comunista Italiano.

    “Nell’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti – prosegue il comunicato – si è data, ancora una volta, enorme importanza all’ampliamento delle aree oggetto del servizio e poco, quasi nulla, a quella che oggi viene definita “autostima verde” ovvero una percezione positiva delle potenzialità di un territorio. In pratica, perché nel bando non si è previsto nulla relativamente all’innovazione nel campo del riciclo, allo sviluppo dell’ecodesign e dei sistemi di riuso, al recupero degli oggetti destinati a nuova vita e alla riduzione del consumo o a un consumo più intelligente? Perché non si ragiona a un modello diverso di isola ecologica e allo stesso impianto di compostaggio?

    All’improvviso il Presidente del Consiglio Comunale riprende dal cassetto i progetti riguardanti l’area dell’ex Pastificio Pezzullo e l’ex macello: non pensiamo sia una posizione personale dell’avv. Vecchio. Sembra che il contenzioso sia stato risolto con una “rivisitazione” del progetto e ancora non è dato sapere in cosa essa consisterà. Un centro direzionale di cui Eboli sente una grande mancanza …

    C’è stata una proposta di riperimetrazione della parte del territorio comunale di Eboli interessato dal Parco Regionale dei Monti Picentini? Quali sono le motivazioni addotte? La prima è che non si è concretizzato lo sviluppo stabile e sostenibile previsto per le aree incluse nel Parco. E’ una resa? Si è fatto qualcosa per lo sviluppo di quelle aree? La seconda riguarda l’impossibilità di effettuare interventi edilizi nell’area perché c’è una forte tutela delle stesse. Si vuole maggiore libertà di interventi edilizi a discapito di aree a forte connotazione naturalistica e paesaggistica?

    Pochi giorni fa si è scatenato un incendio in un deposito di rifiuti (non si sa di che tipo) nella zona industriale di Battipaglia. Sicuramente c’è stato allarmismo e catastrofismo ma è anche vero che il tutto non può passare inosservato e non ci consente di stare tranquilli per il futuro. Non abbiamo avuto alcuna notizia di iniziative della nostra amministrazione in merito all’accaduto, neanche un tentativo di raccordarsi con l’amministrazione di Battipaglia per provare a mettere in piedi un serio piano di controllo e di sensibilizzazione degli enti e degli imprenditori. Si rammenta che la nostra area è tra le eccellenze per la produzione di quarta gamma, frutta, eccetera.

    E il Piano Urbanistico Comunale (PUC)? Non si hanno tracce, nonostante sia stata preannunciata dal consigliere Presutto, in una seduta di Consiglio Comunale, e confermata dallo stesso Sindaco Cariello l’approvazione del preliminare entro giugno. Possibile che non si riesca a conoscerne il contenuto. Dove è stato discusso? Chi lo ha discusso? Se non si adottano le minime regole della trasparenza e della partecipazione ci rimette la democrazia. Essa si misura anche come i cittadini percepiscono la capacità di incidere nella vita di tutti i giorni della propria comunità. Tornando al PUC, è incentrato sulla tutela dell’ambiente e del territorio? Prima o poi lo scopriremo.

    L’ultima chicca è il posizionamento dell’area di sgambatura cani nella nostra centralissima piazza. Nulla contro i cani, ovviamente, e gli animali in genere. Ma era proprio il caso di allocare questa area in piazza? E’ stata una pensata delle solite di questa amministrazione (vedi qualche iniziativa natalizia) oppure è stata veramente ragionata? In entrambi i casi è una cosa di pessimo gusto e mancanza di buon senso. Esiste un regolamento che ne disciplina l’uso?
    Abbiamo seri e fondati dubbi sulla veridicità delle affermazioni dal Sindaco Cariello. Non gli crediamo perché i fatti quotidiani lo smentiscono.

    Il Sindaco Cariello concorre pesantemente ad aggravare la situazione della nostra città.

    Pensavamo che fosse difficile superare in negativo il suo predecessore, Cariello ci sta riuscendo. ” conclude il comunicato.

  • Il filosofo Domenico Losurdo prende parte al convegno indetto dal Partito Comunista Italiano

    Il filosofo Domenico Losurdo prende parte al convegno indetto dal Partito Comunista Italiano

    In occasione del convegno internazionalista indetto dal Partito Comunista Italiano, per la data del 17 giugno 2017, sarà ospite il filosofo Domenico Losurdo.

    Tra i più grandi intellettuali di formazione marxista oggi viventi, la sua riflessione filosofico-politica prende le mosse da una critica radicale al liberalismo, al capitalismo e al colonialismo. È direttore dell’Istituto di Scienze filosofiche e pedagogiche “Pasquale Salvucci” all’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, dove insegna anche storia della filosofia. Fortemente avverso al revisionismo storico, si è dedicato alla decostruzione della narrazione Occidentale, in ambito marxista-leninista.

    È presidente della società hegeliana “Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken” e direttore dell’associazione politico-culturale Marx XXI, vicina all’attuale Partito Comunista Italiano, di cui è membro. Militante politico, condanna fortemente l’imperialismo statunitense, ed è tutt’ora partecipe del dibattito politico nazionale ed internazionale.

    L’ultima sua pubblicazione “Marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere” passa in rassegna l’intera storia del pensiero marxista e avanza alcune proposte di straordinaria importanza per la rinascita di una prassi rivoluzionaria non solo in Italia, ma anche nel resto dell’Occidente.

    Leggi anche: A Catania si analizzano le cause della guerra in Siria

  • A Catania si analizzano le cause della guerra in Siria

    A Catania si analizzano le cause della guerra in Siria

    Il Partito Comunista Italiano (PCI) ha indetto in data 17 giugno 2017 il convegno internazionalista “Mediterraneo. Causa delle guerre, lotta antimperialista e liberazione dei popoli”.

    L’appuntamento è al Palazzo dei Chierici i, in Piazza Duomo 3, dalle ore 10.00 alle ore 19.00.

    Il Mediterraneo è sempre più terreno di scontro tra i rappresentati dei poteri imperialisti. Attraverso il dominio neo-coloniale e le guerre, il capitale insanguina le nostre terre privando i popoli della pace.

    Laddove non vi è la guerra, i Paesi vengono trasformati in piattaforme militari asservite agli ordini dell’imperialismo NATO. Anche l’Italia non è scevra da questo destino e conta il più grosso numero di basi NATO in territorio non americano, in particolare nelle sue regioni meridionali, fra cui la nostra Sicilia. Questo unito al crescente dramma dell’immigrazione fa della città di Catania il teatro naturale di questo convegno.

    Saranno presenti delegazioni dei partiti comunisti dell’area mediterranea, fra cui il Partito Comunista Siriano.

    Fra i relatori si conteranno intellettuali di spicco come Domenico Losurdo e docenti universitari come Daniela Melfa.
    Invitati rappresentanti dei partiti comunisti e della sinistra italiani.

    Focus sulla guerra in Siria

    In occasione del convegno internazionalista indetto dal Partito Comunista Italiano, per la data del 17 giugno 2017, sarà ospite il compagno Ammar Baghdash, il segretario generale del Partito Comunista Siriano.

    Prima di essere travolta dalla catastrofe degli ultimi anni, la Siria era vista come un’oasi di pace e tolleranza religiosa. Considerata un ostacolo all’egemonia congiunta degli Stati Uniti e di Israele nel Medioriente, la Siria è divenuta il bersaglio di un progetto di destabilizzazione che l’ha ridotta in macerie.

    Nel contesto caotico di una guerra civile, che peraltro vede la partecipazione di decine di migliaia di combattenti stranieri, diversi gruppi di ribelli armati dall’Occidente hanno perpetrato massacri contro i civili e fatto persino ricorso ad armi chimiche.

    Mentre i media delle classi dominanti insistevano sulla necessità di porre rimedio alle drammatiche vicende siriane, il popolo siriano ha resistito con coraggio alle aggressioni subite dalle forze imperialiste.

    Il Partito Comunista Siriano, insieme ad altri partiti progressisti e patriottici della Siria, continua a lottare strenuamente per difendere il Paese da una delle più barbare aggressioni subite da un popolo dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

     

  • Il PCI Salerno aderisce al “Comitato Erostraniero Salerno: l’umanità che fa bene!”

    Il PCI Salerno aderisce al “Comitato Erostraniero Salerno: l’umanità che fa bene!”

    Il PCI aderisce al “Comitato Erostraniero Salerno: l’umanità che fa bene!” per la raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che dia dignità e rispetto a chi viene accolto ed ai cittadini.

    Il PCI ritiene il Comitato, per la ricchezza sociale delle adesioni, autorevole per:

    la elaborazione di una piattaforma provinciale sui temi della immigrazione e del lavoro

    una inchiesta particolareggiata e documentata sulle condizioni di lavoro e di vita degli immigrati già presenti, dall’Agro Nocerino Sarnese, alla Piana del Sele, al Vallo del diano, alla Costiera amalfitana

    un tavolo permanente nella Prefettura, aperto, democratico e trasparente, sui temi dell’immigrazione e del lavoro

    Il PCI invita tutti a constatare come la “gestione emergenziale ed arruffona” della questione migranti abbia già generato disorientamento e “rifiuto” nelle comunità locali.
    Il caso di Cicerale vale per tutti, le dinamiche di quegli avvenimenti tristi vanno minuziosamente analizzati per evitarne il ripetersi in futuro.

    Il PCI invita tutto il Comitato a ricucire quella mala pagina della comunità del salernitano dedicando una giornata di dialogo con la popolazione di Cicerale e le sue rappresentanze comunali come la storia di questa provincia ci insegna allorché nel 1974, nel corso di una rivolta ad Eboli in cui si erano ineriti gruppi neonazisti, il movimento studentesco universitario ed il movimento sindacale indirono una grande manifestazione nella città arginando la demagogia e prendendo la testa del disagio.

    Il PCI invita il Comitato ad un incontro col prefetto sul tema degli edifici pubblici abbandonati e delle strutture confiscate alla camorra in provincia di Salerno; il monitoraggio di tali strutture consentirà la messa in comune di edifici per l’accoglienza dei migranti e di quanti possano trovarsi senza un tetto o per iniziative sociali e culturali.

    Il PCI ritiene doversi completamente superare la gestione privatistica dei migranti.
    Mafia capitale ci dice degli spaventosi arricchimenti delle mafie nella gestione del fenomeno e che il terzo settore è stato ampiamente mortificato da quella immagine. Il superamento del privato nella gestione dell’immigrazione vuol dire il superamento della logica emergenziale e del trattamento di esseri umani come si trattasse di merce di contrabbando o rifiuto speciale per l’opacità e la segretezza con cui si è gestito un “fenomeno” che va affrontato come “questione sociale”.

    Il PCI ritiene i fenomeni migratori una Questione Sociale e come tale da affrontare.

    Il PCI richiama tutte le forze e le soggettività sinceramente democratiche ad impegnarsi per l’unità di classe tra lavoratori immigrati e lavoratori locali.
    Ai settori del padronato, alle borghesie ed ai loro alleati fa comodo anteporre questioni di carattere culturale e religioso per mantenere la divisione, la separazione tra lavoratori ed acuire l’intensità dello sfruttamento negando ai lavoratori immigrati ogni legittimazione di cittadinanza ed ai lavoratori locali dignità e giusta paga.

    PER QUESTO IL PCI DICE: LOTTA DI CLASSE SI, GUERRA DI RELIGIONE NO!!

    Il PCI sostiene che le competenze sulla immigrazione, finora di pertinenza esclusiva del Ministero degli Interni e delle Prefetture, vadano estese agli Enti Locali per superare la logica repressiva sulla Questione Sociale dei migranti.
    Per questo si rende necessario il superamento della gestione privatistica della Questione Sociale migranti mediante la assunzione nel Pubblico – Stato Enti Locali – di tutto il personale che da due anni almeno lavora ed è impegnato nella accoglienza, nella gestione e nell’ integrazione dei migranti.

    Il PCI invita il Comitato a chiedere:

    • l’organizzazione di un tavolo permanente in Prefettura, aperto, democratico e trasparente, sui temi dell’immigrazione
    • l’avvio con il tavolo organizzato in Prefettura di una inchiesta sulle condizioni di lavoro e di vita degli immigrati nella provincia
    • l’immediata disponibilità pubblica di strutture ed edifici confiscati alla camorra al fine di renderli beni comuni in uso per accoglienza immigrati e senza tetto
    • la sensibilizzazione delle Amministrazioni Locali a spingersi oltre il tabù del blocco delle assunzioni ed a richiedere la presa in carica di personale pubblico proprio tramite nuove assunzioni
  • Il PCI risponde sì all’appello di Montanari e Falcone

    Il PCI risponde sì all’appello di Montanari e Falcone

    Il Partito Comunista Italiano risponde sì all’appello lanciato da Tommaso Montanari ed Anna Falcone e sarà presente all’iniziativa nazionale promossa per domenica 18 giugno.

    Non può non essere condivisa l’esigenza di mettere in campo una proposta politica radicale, alternativa alle politiche imperanti, una diversa agenda per l’Italia, capace di arrestarne il declino, di rispondere al precipitare della condizione materiale dei più.

    L’affermazione del no al voto referendario del 4 Dicembre scorso ha aperto una nuova fase, che va sostanziata innanzitutto assumendo la centralità dell’applicazione del dettato costituzionale.

    Tutte le forze politiche, sociali, associative che si sono riconosciute nel no e che condividono tale esigenza debbono proporsi l’obbiettivo della massima unità.

    E’ la gravità della situazione con la quale si è chiamati a fare i conti che detta l’agenda.

    Non serve un nuovo demiurgo, una logica politica che è per tanta parte alla base del processo involutivo in corso, anche e soprattutto sul terreno del rapporto tra rappresentanza e rappresentatività, serve fare leva sul noi, non sull’io, sul coinvolgimento delle tante e tanti che non intendono rassegnarsi alla situazione data, presentata come immutabile.

    Tutto ciò parla anche e soprattutto alla sinistra, che deve e può ritrovare le ragioni profonde del suo essere, della propria unità, fuori dalla logica del “pensiero unico” che l’ha largamente permeata e che è per tanta parte alla base della sua crisi politica e culturale.

    Noi ci siamo.

  • Coppola (PCI Salerno): “La riqualificazione dell’area ex Vitologatti nell’interesse della città e non dei comitati di affari”

    Coppola (PCI Salerno): “La riqualificazione dell’area ex Vitologatti nell’interesse della città e non dei comitati di affari”

    Comitati d’affari scatenati in città, palazzinari all’assalto dell’ultimo lembo di terra disponibile nel perimetro comunale; il sindaco Napoli riesce sempre a spuntarla “in due tempi” sui troppo timidi mail di pancia che qualche spirito libero tra i suoi consiglieri riesce ancora a provare guardando lo scenario che si dipana come un ghibli sulla città di Salerno.

    Pensare di poter costruire un grattacielo di 15 piani in un fazzoletto di terra delimitato da ferrovia e svincoli autostradali, fino a qualche anno fa sede della storica ditta Vitologatti, è un atto di vera e propria violenza nei confronti dei residenti e dell’ambiente.

    Operazione realizzata, ovviamente, in perfetto stile deluchista ed infiocchettata dalla prestigiosa firma di turno, l’architetto Stefano Boeri, che ha già progettato analoga struttura “a bosco verticale” nel centro direzionale di Milano.

    Spetterà ai consiglieri decidere nella prossima assise dopo il rinvio dello scorso Consiglio comunale e non tutti quelli di maggioranza sono molto convinti, sia per le volumetrie che per le altezze, giudicate in entrambi i casi eccessive e non in linea con le misure degli altri fabbricati nella zona.

    Il fatto stesso che sia stato chiesto un supplemento di istruttoria per decidere se approvare o meno il cambio di destinazione d’uso sta ad indicare che la partita non è chiusa; in Consiglio comunale in diversi dovranno anteporre la valutazione del bene comune alla valutazione dell’interesse privato.

    I comunisti intendono lottare per il bene comune e per la salvaguardia dell’ambiente, invitano i cittadini e le forze di opposizione sociale ad unire gli sforzi per fermare lo scempio ulteriore della nostra città, si rendono disponibili ad azioni politiche congiunte e finalizzate a tagliare una volta e per sempre le mani che avvinghiano la città.

  • Coppola PCI Salerno: “L’economia italiana nelle sabbie mobili”

    Coppola PCI Salerno: “L’economia italiana nelle sabbie mobili”

    Dati ancora negativi sull’economia italiana anche in rapporto con il resto dell‟Europa; l’Italia che cresce dello 0,2% – mentre l’Unione Europea corre a velocità doppia – ha un ritardo che rischia di alimentare nuovi dubbi ai grandi investitori.
    A tirare il PIL sono le automobili, i veicoli industriali e gli effetti degli incentivi del Piano Industria 4.0. laddove però si registra un nuovo crollo degli investimenti per gli appalti nella Pubblica Amministrazione.

    Di fatto l’Italia non è in ripresa economica, la crescita continua ad attestarsi a poco più dello “zero virgola qualcosa” ed è senza soluzione di continuità ormai dal 2013; il rischio di stagnazione si sta materializzando ed è impietoso il confronto con gli altri Stati europei in quanto peggio del nostro Paese c’e solo la Grecia.

    Da un’attenta lettura dei dati macro-economici si evince che l’Italia è ancora troppo lontana dal livello pre-crisi (anno 2007) di redditi reali e di occupazione, soprattutto giovanile; persiste una crisi di domanda soprattutto nel Mezzogiorno, dove (dati Eurispes) il potere d’acquisto ed il lavoro continuano a diminuire.

    In aggiunta ad un quadro già fosco, l’Italia arranca sulla crescita economica; per il biennio in corso si conferma al penultimo posto in classifica europea ed alla fine del 2018 le previsioni degli esperti indicano come il nostro Paese sarà ancora più indietro rispetto a tutte le principali economie europee e industrializzate.

    Con le politiche economiche, fiscali e di bilancio realizzate in questi anni dal governo e con quelle già messe in programma per i prossimi, il “sistema Paese” sta diventando (e diventerà) più povero e più arretrato; urge invertire la rotta e lo si può fare proprio ripartendo dalle arretratezze e dalle potenzialità anche senza infrangere le regole europee.

    Per generare nuova crescita, nuovi investimenti, nuova occupazione, nuovi redditi, e per cambiare le politiche dell’Unione Europea – trasformando i problemi in opportunità – occorre redistribuire la ricchezza, aumentare i salari e creare lavoro semmai lanciando un “Piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile” segnatamente nel Mezzogiorno.

    Leva strategica e possente per rilanciare lo sviluppo economico su tutto il territorio nazionale resta l’intervento pubblico fondato su importanti investimenti pianificati centralmente ma anche a livello locale.

    Senza l’intervento diretto dello Stato e senza conseguenti investimenti pubblici finalizzati ad una ripresa della crescita economica regolata ed orientata alla socializzazione dei benefici della ripresa economica il futuro del nostro Paese sarà tremendamente compromesso.
    I comunisti si opporranno a qualsiasi ulteriore tentativo di far ricadere sulle masse popolari e sui lavoratori i costi di una politica di breve finalizzata solo ed esclusivamente a continuare a proteggere e salvaguardare ceti ormai parassitari nel nostro Paese.

  • Coppola PCI Salerno :“A Salerno spente le luci sul dramma lavoro”

    Coppola PCI Salerno :“A Salerno spente le luci sul dramma lavoro”

    Un report presentato a fine aprile dall’Osservatorio Statistico dei consulenti del lavoro inchioda la città di Salerno – in un confronto tra 110 capoluoghi di provincia – nei bassifondi della classifica nazionale per tasso di occupazione, collocandola all’ 81° posto in graduatoria.

    Un dipendente salernitano, di età compresa tra i 15 ed i 64 anni, guadagna infatti circa € 1.222,00 al mese (escluse altre mensilità come tredicesima e quattrordicesima) laddove in Campania gli stipendi più alti si registrano a Caserta ed a Napoli rispettivamente con € 1.246,0 ed € 1.227,00 mentre quelli più bassi ad Avellino con € 1.166,00 ed a Benevento con € 1.136,00.

    In vetta alla classifica nazionale è posizionata, ovviamente, Bolzano dove un dipendente guadagna in media € 1.476,00 al mese.

    Un dato è più di ogni altro allarmante: il 42,7% dei salernitani dichiara di non avere voglia o necessità di lavorare; percentuale questa di gran lunga superiore alla media nazionale dove gli inattivi, sempre nella fascia compresa tra i 15 ed i 64 anni, raggiunge la sogia del 35,1%.

    Nella nostra regione meglio di Salerno fa solo Avellino (40,6%) mentre tra le ultime posizioni ci sono Napoli (49,8%) e Benevento (50%) e Caserta con il 51,7%; il tasso più basso in Italia di popolazione inattiva lo si registra invece a Bologna (23,9%).

    A Salerno è aumentato anche il tasso di disoccupazione tra gli ultraquindicenni che raggiunge il 17,5%; il nostro capoluogo di provincia si attesta così alla 24esima posizione nella classifica negativa di chi vorrebbe lavorare ma non trova alcun impiego.

    Parimenti il tasso di occupazione – che incrementa due punti anno su anno – raggiunge la quota di 47,1% e quella degli occupati con contratto non standard raggiunge il 44,1%.

    Sempre a Salerno lavorano più uomini che donne, la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quella femminile è del 24,7%; lo studio in questone attribuisce la disparità nel dato tra uomini e donne all’aspettativa retributiva di queste ulime che – se è bassa – non rende conveniente lavorare in presenza di figli a carico perché il costo dei servizi sostitutivi per la cura dei bambini e per il lavoro domestico può superare lo stipendio o ridurlo drasticamente.
    Da ultimo ma non per ultimo due dati da evidenziare per la loro drammaticità: il 42,5% dei ragazzi con età compresa tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro (e questa percentuale fa piombare Salerno al 75° posto della graduatoria italiana) ed il 31,1% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni non è iscritto né a scuola né all’università e neanche segue corsi di aggiornamento professionale.

    In questo target in Campania, peggio di Salerno, ci sono Napoli (37,4%) e Benevento (34,4%) a dimostrazione che per anni solo chiacchiere e demagogia hanno segnato poltiche nazionali e regionali in materia di lavoro e di sviluppo economico nel Mezzgiorno; in aggiunta, questo dramma è stato oscurato dalla “politica delle luci di artista” usata demagogicamente ed irresponsabilmente affinché l’immagine della città gioiosa oscurasse in primis ai salernitani la tremenda realtà sociale quotidiana.

    E’ giunta l’ora che i salernitani riprendano tra le loro mani il destino della città ed il PCI vuole essere in prima fila in questa battaglia per la piena occupazione e per un lavoro degno!

  • Coppola (PCI Salerno): “Le risorse per il lavoro e per lo sviluppo economico ci sono. Governo succube del capitale”

    Coppola (PCI Salerno): “Le risorse per il lavoro e per lo sviluppo economico ci sono. Governo succube del capitale”

    Questo governo, come tutti quelli che lo hanno preceduto, mente sapendo di mentire… Le risorse utili a rilanciare lo sviluppo economico ed a tutelare i lavoratori ci sono!! Basta andare a prenderle dai 20 miliardi di euro messi a budget per “salvare” le banche oppure dai 18 miliardi di euro che avrebbero dovuto finanziare il costo totale del famigerato Jobs Act e che ora chissà dove siano stati riposti… oppure facendo pagare l’IMU al Vaticano (ancora tutta da quantificare) e che per il solo comune di Roma toccherebbe la cifra di circa € 60 milioni….

    Da ultimo, ma non per ultimo, si può e si deve non solo azzerare l’incremento del budget di spesa previsto per il 2017 a favore del Ministero della Difesa pari a 23,4 miliardi di euro (+ 0,7% su anno 2016 e + 2,3% rispetto alle previsioni) che porterà (quanti italiani lo sanno) a spendere per gli armamenti e per la guerra e non certo per il lavoro e per lo sviluppo produttivo, 64 milioni di euro al giorno e cioè 2,6 milioni di euro all’ora.

    E tutto questo senza tenere conto dell’evasione fiscale accertata (dato agosto 2016) che è pari ad una cifra compresa fra i 250 ed i 270 miliardi di euro, cioè un valore pari al 18% del nostro PIL.

  • Sulla “Russofobia”

    Sulla “Russofobia”

    Lo scorso 12 aprile il direttore del sito “ Marx XXI”, il compagno Mauro Gemma, pubblica un suo indignato commento in merito ad una “irresponsabile” dichiarazione rilasciata il giorno prima da Erasmo Palazzotto, vice presidente della Commissione Esteri della Camera e responsabile esteri di Sinistra Italiana.

    Il direttore di “Marx XXI”, ricordando, in apertura del proprio commento, che il quattro aprile ultimo scorso la Rada ucraina ( il Parlamento) ha decretato – fatto politicamente, culturalmente e moralmente inquietante – la definitiva riabilitazione dei collaborazionisti hitleriani ucraini; che il testo della legge è stato letto alla Rada da Yury Shukhevych, deputato nazi-fascista e figlio del massacratore di comunisti, di partigiani, di civili ed ebrei Roman Shukhevych; che rispetto a tale, raccapricciante, notizia non vi è stata, in Italia, nel Parlamento italiano, nella sinistra politica e istituzionale italiana nessuna reazione e solo silenzio; ricordando tutto ciò, Mauro Gemma rimarca, con giustificata indignazione, appunto, il fatto che invece – al posto di una condanna della riabilitazione dei filo nazisti nell’Ucraina filo-Usa e filo UE- il deputato di “SI” Erasmo Palazzotto diffonde alla Camera una dichiarazione secondo la quale “Notizie di stampa trapelate dall’estero hanno rivelato che in Cecenia alcune caserme militari sono state trasformate per correggere uomini dall’orientamento sessuale non tradizionale o sospetto…”. Naturalmente, rispetto a ciò, rispetto all’ambigua “credulità” con la quale si fanno proprie le più strampalate e feroci “fake news”, la stigmatizzazione di Gemma è tagliente: “Erasmo Palazzotto… che di quanto avviene in Ucraina evidentemente se ne frega (anche se, vista la sua collocazione nella Commissione esteri, dovrebbe esserne ampiamente informato) e il cui “antifascismo” sembra manifestarsi a corrente alternata, diffonde una dichiarazione sulla base di fantasiose e non meglio precisate “notizie di stampa”, battendo tutti in fatto di russofobia esasperata e falsificazioni, di cui è facile capire la provenienza: quella degli stessi che anni fa presentavano i terroristi ceceni come “eroi” di una guerra di liberazione e che oggi sono impegnati nell’ennesimo tentativo di “rivoluzione colorata”, secondo lo stesso copione applicato a Kiev nel 2014. Sono, del resto, gli stessi, identici argomenti che la propaganda dei nazisti ucraini usa quotidianamente nella sua guerra dell’informazione contro la Russia e a supporto della sua guerra criminale di aggressione nel Donbass. Palazzotto getta altra benzina sul fuoco attizzato da chi sta inasprendo lo scontro con la Russia, negli Stati Uniti, nell’UE e in Italia. E lo fa proprio, con un tempismo che non può passare inosservato, nello stesso momento in cui il presidente della Repubblica si trova a Mosca, con il compito dichiarato di contribuire ad allentare la tensione con la Russia, che tanti danni ha già procurato al nostro paese, in particolare dopo le sanzioni”.

    La critica di Gemma non ha bisogno di ulteriori rafforzamenti e commenti, tanto è chiara, netta e condivisibile. Vogliamo invece, da questa critica, enucleare una parola: “russofobia” e il senso di questa parola indagare.

    Innanzitutto: esiste la russofobia? Si, esiste: essa è un “sentimento”, una “forma dell’anima occidentale”, un delirante “bovarismo” pseudo culturale e pseudo politico borghese e piccolo borghese, una perversione ideologica che oggi – come un tempo – striscia nel corpo dell’ intero occidente capitalistico; una lucida follia che un tempo nacque in Europa per poi trasferirsi, espandersi endemicamente, nel nord America.

    E che cos’è, la russofobia? Essa è qualcosa di più, come suggerisce lo stesso suffisso utilizzato ( fobia) di una semplice paura della Russia; è molto di più: è il panico, la repulsione (dal greco φόβος, phóbos), l’irrazionale terrore verso la storia, la cultura, verso “l’anima russa”, il popolo russo e – dunque – verso il potere politico russo, dell’altro ieri storico, della storia russa di ieri e dell’oggi.

    In una famosa copertina di “The Economist” ( febbraio 2015, titolo: Putin’s war on the West), Putin – a tutta pagina e su sfondo ovviamente oscuro – appare come un uomo dal viso tanto algido quanto feroce, mentre con la mano destra – il grande e maligno Burattinaio – manovra i fili del mondo; in un’altra, altrettanto nota, successiva copertina della rivista britannica, la natura di Putin è ancora più definita: egli appare ( eloquente titolo “Putinism”, occhi rossi e infernali e sguardo terrorizzante ) direttamente nelle sembianze di Dracula.

    Se, dunque, la russofobia esiste e ancora – come per le invasioni napoleoniche ed hitleriane – agisce nella storia ed è funzionale all’attacco ( culturale, politico, militare) occidentale contro la Russia, da dove essa trae origine, come e da dove nasce, come si riproduce ?
    Affidiamoci, per comodità espositiva, all’incipit di una recente recensione che Eugenio Di Rienzo fa del libro di Guy Mettan “Russofobia, Mille anni di diffidenza”, Teti Editore. Scrive Di Rienzo: “La Russia è l’incarnazione del male assoluto, tutto il suo popolo ha lavorato nel corso dei secoli per la rovina degli altri popoli”. Questa frase non è tratta dalla sceneggiatura Doctor Strangelove di Stanley Kubrick… Questa frase, invece, è stata detta a chi scrive da un valoroso studioso di storia dell’Europa orientale nel corso di un’accesa discussione sulla crisi ucraina avvenuta poco più di un anno fa. Benvenuta allora, per avere a disposizione un efficace contro-veleno contro tali perversioni mentali, la traduzione italiana del volume del politico e giornalista Guy Mettan “Russofobia”.

    Partendo dal Medioevo, fino ad arrivare al recente confronto tra Mosca e Kiev, Guy Mettan ricostruisce le linee di forza religiose, geopolitiche e ideologiche di cui si nutre la russofobia europea (britannica, francese polacca, tedesca) e americana. Attraverso una serrata discussione critica delle fonti, Mettan pone in luce le debolezze e le mistificazioni del pregiudizio che ancora oggi porta l’Occidente a demonizzare la Russia e a temere, anche contra evidentiam, il suo presunto imperialismo. La russofobia è un male antico radicatosi nella coscienza europea già alla fine del XVI secolo, quando, nel 1591, il letterato inglese Philip Sydney scriveva: “I Moscoviti, nati-schiavi, godono nel vivere sotto la tirannia e a opprimere le altre nazioni”. Parole cui avrebbe fatto eco, nel 1835, il giudizio del poligrafo francese Saint-Marc Girardin, secondo il quale se la Russia fosse riuscita a sottoporre al suo gioco tutti gli Slavi per servirsi di essi in modo da arrivare a dominare l’Europa, il Vecchio continente avrebbe perso ineluttabilmente la sua libertà, la sua cultura, la sua anima”.

    Ma dopo Di Rienzo sentiamo le parole dello stesso Guy Mettan. In un’intervista rilasciata a Tatiana Santi nel 2016, Mettan afferma: “Può sembrare paradossale, ma la russofobia occidentale è più antica della Russia! In effetti, è iniziata con le rivalità politiche e religiose che hanno contrapposto l’Impero di Occidente, fondato dal Carlo Magno nell’anno 800, all’Impero d’Oriente basato a Costantinopoli; la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Carlo Magno era un principe che si ribellò contro il sovrano legittimo dell’Impero romano d’Oriente che regnava a Bisanzio. I suoi successori, che hanno creato il Sacro romano Impero Germanico alla fine del X secolo, sono riusciti ad imporre ai Papi delle riforme religiose contro l’opinione delle Chiese greche d’Oriente, che si erano opposte perché ritenevano tutto ciò un colpo di Stato e non una decisione democratica presa in seno ad un concilio ecumenico universale. In seguito a questo scisma, ufficialmente risalente all’XI secolo, a Roma ebbe luogo una propaganda antiortodossa e antigreca con lo scopo di denigrare gli Orientali sia sul piano politico sia religioso. Quando gli Ottomani conquistarono Bisanzio nel 1453 questi pregiudizi negativi si trasposero sui russi, i quali avevano rivendicato l’eredità politica e religiosa di Bisanzio.

     I pregiudizi occidentali sono di due ordini. Innanzitutto i greci, e quindi i russi, sono dei barbari e i loro sovrani sono dei despoti e dei tiranni. Inoltre sono degli espansionisti, degli annessionisti, delle persone aggressive, le quali non fanno altro che sognare di conquistare e sottomettere l’innocente e virtuoso Occidente…Sono gli stessi pregiudizi che ritroviamo oggi sotto la piuma dei giornalisti occidentali antirussi. È da notare che la russofobia moderna è cominciata in Francia alla fine del XVIII secolo, quando il Gabinetto segreto del re Luigi XV ha forgiato un falso “Testamento di Pietro il Grande”, nel quale il grande zar russo avrebbe comandato ai suoi successori di conquistare l’Europa. Napoleone lo fece pubblicare nel 1812 con lo scopo di giustificare meglio la sua invasione preventiva della Russia nel 1813. Gli inglesi tradussero il libro e lo usarono per giustificare la loro invasione della Crimea nel 1853. Questo pseudo testamento è stato denunciato come falso solo alla fine del XIX secolo, dopo aver ispirato decenni di russofobia francese e inglese…Si tratta della stessa manipolazione che gli americani hanno utilizzato nel 2003 per giustificare l’invasione dell’Iraq. Le false armi di distruzione di massa di Saddam Hussein ci rivelano la stessa mistificazione. Solo una volta commesso il crimine, la verità esplode. La storia è ancora troppo recente per vederci chiaro, ma potremmo scommettere che gli avvenimenti di Maidan in Ucraina a febbraio 2014 rilevano la stessa tecnica di manipolazione. Il putsch che ha permesso di travolgere il governo legale ucraino è stato saggiamente preparato durante lunghi anni da delle campagne finanziate da miliardi versati dagli Stati Uniti, come è stato ammesso dal segretario di Stato aggiunto Victoria Nuland davanti al Congresso (i famosi 5 miliardi di dollari), per essere attivati in favore delle manifestazioni popolari contro il governo, d’altronde legittime data la corruzione diffusa. Il risultato è che il governo attuale si rivela altrettanto corrotto che quello precedente, ma questo non interessa alcun media occidentale…Il discorso occidentale antirusso si appoggia sui due principi di cui parlavo prima: l’Occidente incarna il Bene, i valori universali, la democrazia, i diritti dell’uomo, la libertà (soprattutto economica), mentre la Russia rappresenta l’autocrazia, il nazionalismo revanscista, la negazione delle libertà dell’individuo. Questo discorso bianco-nero strumentalizza senza vergogna l’opinione pubblica, perché questa sostenga la rimilitarizzazione dell’Europa e il rafforzamento della NATO, che non ha smesso di allargarsi in 20 anni con l’integrazione di tutta l’Europa dell’Est, e ora del Montenegro. Senza parlare del vassallaggio dell’Ucraina, della Svezia, della Georgia e anche della Svizzera “neutra” che partecipa alle sue esercitazioni in nome di un “partenariato per la pace”, che in realtà è solo un giro di parole…Più che dei professionisti interessati ad informare, i giornalisti dei principali media occidentali sembrano dei registi. L’opposizione fra i “buoni”, gli Occidentali, e i “cattivi”, i russi, nonché la demonizzazione della Russia, presentata come una minaccia per l’Occidente, diventano così degli elementi essenziali del discorso mediatico occidentale”.

    La citazione di Guy Mettan è lunga, ma di grande efficacia e poiché, come diceva Balzac “ L’originalità è un mito della piccola borghesia”, è meglio utilizzare la compiuta chiarezza di Mettan, per far luce sui primordi e sulle degenerazioni della russofobia, piuttosto che rubargli le parole e intestarcele.
    Certo è che la russofobia impiega, per costituirsi e radicarsi come una sorta di inconscio nella struttura psicologica e culturale dell’ “uomo occidentale” (non diciamo appositamente “europeo”, poiché sposiamo l’affermazione razionale di Charles De Gaulle: “L’Europa va dall’Atlantico agli Urali”, constatazione che tanto servirebbe, oggi, a chi, dalle postazioni dell’Unione Europea, demonizza sia la Russia che Putin e demonizza sino a giungere all’embargo economico e alle minacce di guerra) impiega, dicevamo, diversi secoli e si organizza su mille pregiudizi, travisamenti e falsità. Affermazione, questa, che peraltro non ha nulla di assolutamente nuovo: basterebbe rievocare l’opera di Edward Said ( “Orientalism”, del 1978) per capire come l’Occidente ha storicamente letto l’Oriente. Muovendo dalle riflessioni, tra gli altri di Antonio Gramsci e Michel Foucault, Said ha messo per sempre in luce il carattere mistificatorio della nozione occidentale di “Oriente”, funzionale – per Said – sia alla costruzione, per forzata contrapposizione ontologica, alla costruzione della stessa concezione di “Occidente”, sia per rinchiudere le cosiddette culture orientali in stereotipi e generalizzazioni che potevano giungere al “disumano” ( pensiamo alla demonizzazione e alla de-storicizzazione disumanizzante di Attila, di Ivan il Terribile o di Stalin, ad esempio…) e – infine – per fornire le basi materiali al dominio, sull’ “Oriente”, dell’imperialismo occidentale.
    Centinaia sarebbero le tappe della via crucis “culturale”, “filosofica”, “ideologica” occidentale lungo la quale è stata infine crocifissa la Russia e lungo la quale ha preso corpo la russofobia e le sue ramificazioni degenerative.

    Di notevole importanza, ad esempio, è ciò che rievoca Eugenio Di Rienzo: “Subito dopo la fine della prima guerra mondiale, l’Ucraina divenne il perno del progetto Prometeizm, elaborato dal maresciallo Józef Piłsudski fin dal 1904 e perseguito dai suoi successori ancora alla vigilia del secondo conflitto mondiale con l’obiettivo di mettere la Polonia a capo di un movimento destinato ad emancipare le nazionalità non russe (ucraina, caucasiche, di etnia turca), un tempo sottomesse a San Pietroburgo e in seguito a Mosca. Il Prometeizm doveva portare alla creazione di una Federazione politico-militare (Międzymorze), diretta a provocare la distruzione della potenza economica e militare russa, estesa dal Mare del Nord, al Golfo di Botnia, al Baltico, al Mar Nero, al Mediterraneo, comprensiva in primo luogo dell’Ucraina e poi di Cecoslovacchia, Ungheria, Paesi scandinavi e baltici, Italia, Romania, Jugoslavia, Grecia.

    Questo programma, significativamente riproposto nel 2012 in una versione solo leggermente modificata, all’attenzione del Dipartimento di Stato statunitense, ha dato luogo, in coincidenza con la crisi ucraina, al cosiddetto progetto Intermarium. Un patto di mutua assistenza, promosso dal Pentagono, esteso dal Baltico al Mar Nero al Caspio, che avrebbe dovuto essere sottoscritto da Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, Moldavia, Romania, Georgia, Azerbaigian, Turchia, indirizzato a rendere possibile lo smembramento della  Federazione Russa e la sua definitiva liquidazione come potenza eurasiatica. Si avverava così l’auspicio formulato da un altro polacco, Zbigniew Brzezinski (già consigliere della Sicurezza nazionale sotto la presidenza di Jimmy Carter), nel 1997, nel 2004 e ancora nel 2012, che puntava all’obiettivo di “una Russia frammentata in una Repubblica europea, una Repubblica di Siberia e una Repubblica asiatica, più idonee ad assicurare lo sfruttamento delle risorse e del potenziale economico di quella terra, troppo a lungo dilapidati dall’ottusa burocrazia moscovita”.

    E serve ricordare con quali argomentazioni razziste ( “il bestiale popolo russo”) la Francia di Napoleone Bonaparte, nel 1812, prepara l’invasione in Russia? Un’invasione pari solo, nella sua spropositata forza militare ( 700 mila soldati, una Grande Armata di uomini provenienti da tutte le regioni e da tutti gli Stati dell’Impero), all’odio ideologico antirusso dell’intellighenzia imperialista francese. Ma ciò è conosciuto, mentre meno conosciuta, poiché strumentalmente rimossa dalla cultura egemonica occidentale, è la risposta “filosofica” ( la stessa che muoverà il popolo russo contro l’invasione hitleriana) con la quale la Russia resiste a Napoleone: Отечественная война, Otečestvennaja vojna, termine col quale ci si riferisce al carattere nazionale e popolare russo messo in campo contro l’invasore straniero. Quello spirito già identificato da Puskin (“il vasto, profondo, inestirpabile spirito popolare russo”) che il grande scrittore mette in contrapposizione alla coscienza che le “elite” intellettuali, sia russe che, soprattutto, occidentali, puntano a mettere in campo per formare “ la coscienza di una società sradicata, senza più terra”. Cioè, “traducendo” Puskin, una coscienza borghese senza più anima, se non quella segnata dall’egemonia del narcisismo individuale di carattere totalmente borghese. Muovendo da Puskin, peraltro, si potrebbe azzardare ( ma non è certo questo lo spazio consono per sviluppare la tesi) un confronto tra la profonda e ancora in gran parte inalterata spiritualità del pensiero religioso ortodosso russo e il pensiero religioso cattolico d’Occidente, molto attraversato ( come lo stesso Papa Francesco denuncia) dagli stessi violenti processi di mercificazione che segnano di sé l’ intera società capitalistica. E anche questo per capire la vasta provenienza delle continue ondate russofobiche.

    La stessa “Operazione Barbarossa”, l’invasione da parte di Hitler dell’Unione Sovietica, fu, non a caso, la più grande operazione militare della storia, organizzata dal nazifascismo a nome dell’intero occidente capitalistico e antirusso.

    E certo è che agli occhi dell’Occidente capitalistico, già pieni d’odio ontologico verso la Russia, la Rivoluzione d’Ottobre rappresentò la ratifica finale della stessa “diversità umana” della Russia e del popolo russo. Scrisse incredibilmente (ma non tanto incredibilmente, a ben vedere) nel 1932 l’economista democratico, John Maynard Keynes che “l’oppressione dittatoriale dei Soviet non era altro che il logico risultato della bestialità della natura russa e di quella giudaica, ora fusesi insieme”, essendo “la crudeltà e la follia della “Nuova Russia” (comunista) del tutto identiche a quelle della “Vecchia Russia” (zarista)”.

    La descrizione delle tante tappe che hanno formato la via crucis alla fine della quale, nell’immaginario collettivo occidentale, è stata crocifissa la Russia e tutta l’Europa dell’Est e sulla quale si è sostanziata la russofobia, potrebbe prendere lo spazio di un lungo libro e, qui, non è il caso di farlo.

    Riprendiamo, però, la copertina del “The Economist” già citata, quella in cui appare il viso di Putin con gli occhi iniettati di sangue alla Dracula. Vedremo come ciò non sia affatto casuale. Nel 1987 lo scrittore irlandese Bram Stoker scrive, appunto, il romanzo “Dracula”. Il Vampiro sanguinario uscito dalla penna di Stoker diverrà, attraverso la letteratura, il cinema e l’intera struttura mediatica occidentale, un vero e proprio personaggio mitologico, volto ad incarnare – in modo, insieme, esplicito e inconscio – “l’orrore insito nell’ oscurità – come scriveva lo stesso Stoker- della Transilvania” e, per estensione mitologica, in tutta l’Europa dell’Est ( demonizzazione di un’intera area geografica e storica funzionale alla successiva demonizzazione del “socialismo realizzato” e, oggi, degli immigrati albanesi o rumeni). La cosa singolare, tuttavia, è che il Dracula di Stoker ( e tutti i vampiri successivi della sterminata letteratura e filmografia che si sono ispirati al suo romanzo) – che tutta la letteratura occidentale individua nel personaggio storico del Principe Vlad, della Transilvania – è una totale invenzione letteraria e una terribile mistificazione della storia, dai caratteri platealmente razzisti e colonialisti. In verità – come si studia normalmente in ogni liceo di Bucarest- Dracula, il Principe Vlad Tepes della “tenebrosa” Transilvania, altri non era che un grande intellettuale e un grande rivoluzionario – un insieme di Mazzini e Garibaldi, ma rumeno – che tutta la vita lottò contro l’oppressione dell’impero ottomano, per l’indipendenza, l’unità e la libertà del popolo della Romania. Ma l’imposizione della figura mitologica del Dracula vampiro da parte della cultura colonialista occidentale spiega bene il perché, oggi, il “The Economist” tratteggia Putin con le sembianze del Dracula di Stoker e anche il perché Stalin sia stato trasformato anch’esso in un Dracula sovietico.

    E il comunismo come “male assoluto”, nella propaganda occidentale; gli orrori antidemocratici del maccartismo USA; la gigantesca rimozione storica e culturale in relazione al contributo determinante dell’Armata Rossa per la vittoria sul nazifascismo; i manifesti della Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra, in cui i bolscevichi mangiavano, letteralmente, i bambini e molti ci credevano; la funzione dell’anticomunismo viscerale nelle vittorie berlusconiane? Non sono anch’esse derivazioni, almeno in buona parte, della stratificazione ideologica della russofobia?

    Un dogma reazionario e imperialista – la russofobia- che in questa fase storica e per ragioni palesemente legate agli interessi imperialisti, sembra di nuovo esplodere. Scrive Gennaro Sangiuliano, sul “Sole 24 Ore” ( non sulla Pravda!) del 19 giugno 2016: “ Molte vicende, negli ultimi anni sono state raccontate con una prospettiva molto parziale. L’Occidente definì brutale l’intervento russo in Cecenia; ora che i ceceni si sono dimostrati i più feroci tagliagole che operano in Siria e in Iraq, molti analisti convergono nel ritenere che forse Putin ha evitato l’insorgere di un pericoloso califfato nel Caucaso. Allo stesso modo, va riconsiderata la posizione di Putin che, nel 2003, non volle aderire all’operazione per spodestare Saddam Hussein in Iraq, giudicandola avventata. Così abbiamo urlato per la distruzione di Palmira ma poi è toccato ai russi liberarla, come già fecero con il grande tributo di sangue nella lotta al nazismo”. E prosegue ancora Sangiuliano nello stesso articolo del “Sole 24 Ore”: “L’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines è stato addossato ai separatisti filorussi, prima ancora delle verifiche degli organismi internazionali. L’intera vicenda Ucraina è stata raccontata secondo lo schema lineare e un po’ banale dell’aggressione russa, senza valutare la memoria di un passato lacerante, le nostalgie filonaziste dell’estremismo ucraino, gli eccessi della classe dirigente locale, gli assetti della geopolitica. Mettan (il già citato autore del libro “Russofobia”, n.d.r.) esamina il referendum in Crimea: “il fatto che il 95% degli abitanti si sia pronunciato a favore dell’Unione con la Russia non ha avuto alcuna importanza”. E pochi hanno ricordato che un analogo referendum si svolse nel gennaio del 1991, con lo stesso risultato”.

    Un punto alto del ritorno militante della russofobia è senza dubbio la Risoluzione n° 758 del 4 dicembre 2015, passata alla Camera dei Rappresentanti USA con 411 voti favorevoli e 10 (10!) contrari. Rispetto a questa Risoluzione scrive il “Der Spiegel” ( la rivista tedesca di maggior tiratura, non certo un terribile foglio rivoluzionario) il successivo 12 dicembre: “La Camera dei Rappresentanti ha portato il mondo un passo più vicino alla tragedia. La risoluzione accusa la Russia di scatenare un’aggressione militare contro l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia e chiede aiuti militari e di intelligence per l’Ucraina. Il documento chiede agli alleati della NATO, ai partner degli Stati Uniti in Europa e alle nazioni in tutto il mondo «di sospendere ogni forma di cooperazione militare con la Russia e di vietare la vendita al governo russo di materiale militare letale e non letale”. La Camera dei Rappresentanti vuole che l’Ucraina e l’Unione europea frenino l’interazione con la Russia e inaspriscano le sanzioni. Inoltre, si invitano l’Ucraina e l’Unione europea a respingere le forniture energetiche russe. I rappresentanti minacciano direttamente la Federazione russa e la accusano di violare il trattato INF, Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty. Infine, la Camera suggerisce che gli Stati Uniti intensifichino la guerra d’informazione con la Russia. Nel documento si “ invitano il Presidente e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti a sviluppare una strategia di coordinamento multilaterale per la produzione o comunque la diffusione di notizie e informazioni in lingua russa nei paesi con significative minoranze di lingua russa”. E il “Der Spegel”, nello stesso articolo, ricorda che in un’intervista allo stesso giornale di una settimana prima, ( un’intervista dal titolo eloquente: “Una guerra è l’unica cosa che può salvare un dollaro morente?) il 91 enne Kissinger aveva già evocato il pericolo e la follia di una tale Risoluzione da parte degli USA.

    L’intervento USA-UE-NATO in Ucraina che costruisce sul campo, in funzione anti russa, un esercito nazi fascista; la lunga guerra in Afghanistan volta a dislocare basi NATO ai confini russi; le provocazioni anti russe in Cecenia; le sanzioni economiche dell’occidente capitalistico contro Mosca; le ultime provocazioni anti Putin di Trump in Siria; la demonizzazione caricaturale di Putin e l’ enfatico appoggio occidentale ad ogni contestazione interna anti Putin: tutto ci dice che, di nuovo, la russofobia è tornata in campo a servire gli interessi imperialisti. Scrive Sergio Romano sulla sua biografia politica di Putin ( Longanesi editore, 2016) : “L’intervento russo in Siria non sembra aver cambiato, se non in peggio, la percezione della Russia in Occidente. Le ultime manovre della NATO in Europa sono state organizzate nel giugno 2.016. Il loro nome in codice è “Anaconda 16” ( un serpente costrittore che soffoca la preda), i Paesi che hanno partecipato sono stati più di 20 e i soldati inviati sui confini della Russia non meno di 30 mila ( di cui 14 mila americani), con un numero imprecisato di carri armati, aerei, navi. Le esercitazioni hanno compreso un attacco notturno con elicotteri, un lancio di paracadutisti, la costruzione di un ponte sulla Vistola. Il loro obiettivo, tra gli altri, era quello di integrare il comando nazionale polacco in un contesto multinazionale; quasi una prova generale per il giorno in cui sarebbe scoppiata una terza guerra mondiale, non lontana dai luoghi in cui era cominciata la seconda”.

    Le parole di Sergio Romano sono terribili quanto verosimili: l’imperialismo USA in crisi strategica non sembra affatto scartare la guerra mondiale contro il tandem Russia-Cina. Ciò che in qualche modo ci conforta è che ogni volta che l’Occidente ci ha provato, a travolgere militarmente la Russia, lo spirito russo ha reagito e vinto. Scriviamo mentre Trump interviene militarmente nello Yemen; mentre pensa di bombardare nuovamente la Siria; mentre rafforza le truppe nazifasciste a Kiev; mentre invia la flotta Usa (la sua grande “armada”) verso i mari della Corea del Nord; mentre prosegue il rafforzamento, già ordinato da Obama, della presenza navale militare USA nei Mari del Sud della Cina, e ci viene da pensare: tutti pericoli che richiederebbe una ben più sostanziosa solidarietà internazionalista e antimperialista di quella che mettono in campo, oggi, uomini di sinistra come Erasmo Palazzotto.

  • Jobs on call: il lavoro a chiamata semplificato che calpesta la dignità umana

    Jobs on call: il lavoro a chiamata semplificato che calpesta la dignità umana

    Da tempo se ne parla – solo negli ambienti parlamentari e ministeriali – ma a pochi giorni dalla festa del lavoro è forte la sensazione che si stia arrivando alla definizione della legge sul lavoro intermittente, gestibile attraverso una piattaforma Inps.

    Il vuoto normativo lasciato dall’abolizione della pessima legge sui voucher sarà presto colmato da una nuova pessima forma forma contrattuale.

    Infatti, in base a quanto recentemente reso noto dal Governo è allo studio un nuovo tipo di contratto a chiamata, che sarà notevolmente “semplificato” rispetto a quello attualmente esistente ed il rapporto di lavoro potrà essere gestito tramite un’apposita piattaforma interna al sito dell’Inps, proprio come i voucher; previste modalità di assunzione ancora più semplici, poi, per le famiglie e gli enti no profit, che potranno avvalersi di uno strumento molto simile ai vecchi buoni lavoro.

    Il governo continua a lavorare alla “semplificazione dei diritti” e, nella fattispecie, alla “sburocratizzazione della dignità del lavoro” facendo però presente che unitamente alle procedure relative alla chiamata dei lavoratori saranno previste anche nuove tutele, sia dal punto di vista previdenziale, per fare in modo che i periodi lavorati non vadano sprecati ai fini della pensione, che anche in materia di malattia, maternità e disoccupazione.

    Ovviamente, neanche a dirlo, non vi sarà un’equiparazione completa di trattamento con quella prevista per i dipendenti assunti in via continuativa.

    L’attuale job on call – detto anche lavoro intermittente – è il contratto con cui un lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione su chiamata del datore di lavoro; il dipendente, a seconda della tipologia contrattuale di job on call, può avere o meno l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro e, nel caso in cui accetti, ha diritto a un’indennità per i periodi di disponibilità obbligatoria.

    In base alle indiscrezioni circolanti, col nuovo lavoro a chiamata “semplificato” non sarà previsto il periodo “a disposizione”, ma si procederà direttamente alla chiamata del lavoratore; ad ogni modo, diversamente dal part-time, nel lavoro intermittente il lavoratore è titolare dei diritti normalmente riconosciuti ai dipendenti solamente nei periodi di effettivo impiego, mentre non è tutelato nei periodi in cui rimane a disposizione del datore di lavoro.

    Attualmente il lavoro a chiamata è ammesso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi – nazionali, territoriali o aziendali – oppure da appositi decreti ministeriali o dalla normativa sull’orario di lavoro che definisce determinate attività come discontinue; non è ancora chiaro se le attuali limitazioni varranno anche per il nuovo lavoro a chiamata semplificato.

    Il “contratto di lavoro intermittente” è ammesso per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un massimo di 400 giornate effettive nell’arco di 3 anni con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo; se il numero di giornate viene superato il contratto a chiamata si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

    Il “contratto di lavoro intermittente” può essere stipulato solo da lavoratori che abbiano almeno 55 anni di età, anche pensionati, oppure che non abbiano ancora compiuto 24 anni (ma in questo caso le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni ).

    L’attuale procedura per assumere il lavoratore a chiamata è piuttosto articolata; non basta, infatti, l’assunzione del lavoratore ai servizi per l’impiego della propria Regione comunicata nelle forme ordinarie tramite modello Unilav in quanto, prima dell’inizio della prestazione lavorativa oppure di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto ad inviare un’ulteriore councazione all’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL) competente per territorio e nella maniera più “semplice” e “veloce” possibile (digital, mail, app, sms).

    Come in fretta e furia il governo Gentiloni ha cancellato i voucher per cancellare il referendum proposto dalla CGIL così, con altrettanta fretta e furia, questo stesso governo sta “sburocratizzando” il diritto al lavoro, trasformando il lavoratore in “merce-lavoro sottocosto” acquistabile con offerte speciali che di volta in volta gli imprenditori danno in pasto a giovani e meno giovani.

    Questa è una umiliazione che non può e non deve essere sottaciuta!!

    I comunisti invitano tutti i sinceri democratici, i giovani, i lavoratori, le associazioni, i sindacati e tutte le forze progressiste presenti nel Paese ed in Parlamento a trasformare la festa del 1 Maggio da usuale e ricorrente celebrazione musicale ad effettiva giornata di lotta e di resistenza nel Paese, per il diritto al lavoro degno e per la piena occupazione!!

  • Scuola. Cangemi (PCI): “Governo infligge altro duro colpo alla scuola italiana”

    Scuola. Cangemi (PCI): “Governo infligge altro duro colpo alla scuola italiana”

    “Il governo Gentiloni si è assunto la responsabilità gravissima di infliggere un altro duro colpo alla scuola italiana, approvando i decreti attuativi della disastrosa controriforma renziana”- ha dichiarato Luca Cangemi, responsabile nazionale scuola del PCI.

    “Sono decreti che annunciano nuovi tagli, colpiscono il diritto allo studio, precarizzano e umiliano ulteriormente il lavoro docente, attaccano in modo particolarmente odioso i diritti degli studenti con disabilità.

    Di fronte alla scelta di proseguire sulla strada scellerata della “buona scuola” nessuno può fare finta di niente”.- ha proseguito Cangemi.

    Abbiamo in queste settimane ascoltato tra i parlamentari che hanno abbandonato il PD (e persino tra qualcuno che vi è rimasto) molte voci critiche su quanto è stato fatto dal governo Renzi nel mondo della scuola. Vogliono questi parlamentari continuare a sbagliare? Possono continuare a sostenere un governo che si fa servile continuatore dei peggiori disastri di quello precedente? Tutti, a cominciare dalle forze che si raggruppano sotto la sigla di Articolo1, sono chiamati a una verifica di serietà e coerenza.

    “Per quanto ci riguarda, continueremo, nelle scuole e nel paese, la nostra linea di durissima contestazione della 107 e dei suoi derivati. Una lotta che potrà fermarsi solo con l’abrogazione di queste norme devastati per la scuola italiana”.- ha concluso Cangemi.

  • Nuovo attacco USA in Siria. Il PCI dice “No!”

    Nuovo attacco USA in Siria. Il PCI dice “No!”

    Questa mattina, alle 2.30, 59 missili Tomahawk sono stati lanciati da due portaerei USA al largo del Mediterraneo contro la base di Al Shayrat, in Siria. Donald Trump ha dichiarato guerra e ha già iniziato l’attacco militare – come i suoi predecessori, come aveva già affermato di voler fare Hillary Clinton – contro un Paese già distrutto da una violentissima guerra imperialista, dall’esercito USA e dalla NATO.

    Trump ha affermato che l’attacco militare USA sarebbe una risposta alla strage di Khan Sheikhoun, dove martedì mattina sono morte più di 80 persone, fra cui 28 bambini, strage prontamente addebitata all’esercito di Assad.

    L’affermazione di Trump è chiaramente un cinico e volgare pretesto volto all’attacco militare, che in ogni modo si voleva scatenare: ogni serio analista di politica internazionale, infatti, rileva come oggi – in relazione alle vittorie militari che Assad ha conseguito sul campo sia contro l’ISIS che contro lo stesso “Esercito Libero” costruito dagli USA e dai suoi alleati – l’utilizzo delle armi chimiche da parte della Siria sarebbe un suicidio politico. Le affermazioni di Trump volte ad attribuire ad Assad le colpe dell’orrenda strage di Khan Sheikhoun non si scontrano solo con le dichiarazioni del governo siriano, che respinge duramente le accuse USA; non si scontrano solo con le posizioni russe che definiscono “provocatorie e inaccettabili” le motivazioni USA all’attacco militare: le affermazioni di Trump si scontrano anche con i giudizi di grandi e cristalline personalità politiche, intellettuali e religiose che vivono la tragedia siriana dall’interno, come il vescovo di Aleppo, che si è dichiarato “per nulla convinto della responsabilità di Assad per la strage di Khan Sheikhoun”.
    Ciò che è evidente è che il nuovo attacco militare USA contro la Siria altro non è che il prolungamento del lungo e strategico attacco imperialista contro l’intera regione mediorientale, attacco orrendo e sanguinario che prosegue, impunito, da decenni e che ha già visto la completa distruzione dell’Iraq, della Libia e della Siria, con centinaia di migliaia di morti e dispersi, di interi popoli gettati nella disperazione e nella fame, di intere nazioni distrutte. E tutto ciò – questo si, senza ombre di dubbio! – storicamente attribuibile alle aggressioni imperialiste guidate dagli USA e dalla NATO! Di ciò occorrerebbe parlare e non si parla. Per questo lungo orrore occorrerebbe portare i governi e i presidenti USA degli ultimi vent’anni di fronte ad un nuovo Tribunale di Norimberga!

    Ed è altrettanto chiaro che gli USA e la NATO, mentre ritengono di aver finito il lavoro sporco in Iraq e in Libia – dove, oltre aver distrutto gli interi Paesi, hanno assassinato i legittimi gruppi dirigenti, gli uomini di governo e i leader, come Saddam Hussein e Gheddafi, imponendo governi amici degli USA – in Siria non ce l’hanno fatta: hanno “solo” distrutto il Paese senza aver potuto assassinare Assad. E l’obiettivo di cacciarlo e conquistare la Siria evidentemente è l’ obiettivo che resta nel mirino USA. E’ a partire da ciò, dalla frustrazione USA verso la vittoria militare e politica conseguita in Siria dall’asse Assad – Putin contro l’ISIS e contro l’ “Esercito Libero” filo americano, che va compreso il nuovo attacco USA contro la Siria, l’aggressione militare condotta da Trump, sempre a nome dell’imperialismo USA.
    Nel momento in cui, ora, Trump attacca militarmente la Siria con la motivazione della strage di Khan Sheikhoun, va ricordato come, con una scusa feroce e cinica, gli USA e la NATO attaccarono la Siria nel 2011: allora, un vasto arco di forze imperialiste ( USA, Francia, Arabia Saudita, Qatar,Turchia,Gran Bretagna) investirono politicamente ed economicamente nella costruzione del “movimento sociale arancione” contro Assad e ancor più investirono nella costruzione dell’ “ Esercito Libero Siriano” contro Assad, “ Esercito Libero” di 100 mila uomini che si unì, nella lotta militare contro il legittimo governo siriano, ai jiadisti di Al-Nusra e alle milizie del Califfato. Quando le forze dell’ordine di Assad risposero agli attacchi sempre più forti e destabilizzanti del “movimento arancione” e quando l’esercito regolare e statuale di Assad rispose agli attacchi militari dell’ “Esercito Libero” unito ai jiadisti di Al-Nusra e al Califatto, allora scattò la “scusa” USA e NATO, e iniziò l’attacco militare imperialista contro la Siria, che portò ai 300 mila morti, ai 2 milioni di siriani senza più casa, ai 4 milioni di siriani fuggiti dal loro Paese, alla distruzione dell’intera Siria e alla vittoria degli USA e del Califfato. E ora che Assad, sostenuto dalla Russia di Putin, ha reagito e sconfitto sul campo sia l’ “Esercito Libero” imperialista che il Califfato – questo è il punto! – gli USA attaccano di nuovo.

    Va notato come l’illusione che alcuni avevano nutrito – anche a sinistra – di un Trump “diverso” e meno incline alla guerra e alla politica imperialista dei suoi predecessori e della stessa Hillary Clinton, sia stata davvero una pia illusione: l’imperialismo USA ha immediatamente infarcito di generali di guerra lo stesso governo Trump, ristabilendo immediatamente il principio di chi comanda davvero negli USA e chi manovra i Presidenti- fantocci: il potere economico-militare imperialista statunitense.

    Va notato, per finire, come l’attacco militare con i 59 missili Tomahawk USA contro la Siria, in questa nuova alba tragica, sia partito contemporaneamente all’incontro, in Florida, tra Trump e il leader cinese Xi- Jinping: una chiara e alta provocazione di guerra anche contro la Cina, a conferma della pulsione militare del fantoccio Trump in mano al potere economico e all’apparato industriale bellico nord americano.
    Dall’attacco militare allo Yemen di questi giorni; dalla minaccia di guerra contro la Corea del Nord di queste ore; alle stesse minacce contro la Cina, sino alla nuova guerra già iniziata contro la Siria, Trump “promette” guerra ovunque.

    Il pericolo della guerra mondiale imperialista, pericolo mia cessato, torna prepotentemente a dichiararsi: è tempo, davvero è tempo, che le forze comuniste, di sinistra, democratiche, pacifiste tutte, tornino, unite, in campo, a lottare e a ricostruire ciò che manca da troppo tempo: un movimento di lotta e di massa contro la guerra. Contro le politiche imperialiste, contro il riarmo e per l’uscita dell’Italia dalla NATO.
    IL PCI è in campo, sarà in ogni piazza, a lottare e a costruire la più vasta unità contro la guerra.

  • Coppola (PCI Salerno), “No alla sburocratizzazione dei diritti umani”

    Coppola (PCI Salerno), “No alla sburocratizzazione dei diritti umani”

    Attentato alla Costituzione perfettamente riuscito: è stato approvato al Senato il decreto legge Minniti-Orlando relativo alle nuove procedure per la richiesta di asilo nel nostro Paese.

    Questo decreto legge – che vuole introdurre nuove misure per accelerare le procedure per l’asilo da parte dei migranti che decidono di fare richiesta d’asilo in Italia – ha superato il primo esame alla Camera dei Deputati ma poi è stato approvato al Senato solo dopo un maxi-emendamento del governo su cui è stata posta la fiducia e con numeri poco rassicuranti: con soli 145 voti a favore. Cosa prevede la normativa appena approvata? Gli attuali CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) verranno ripensati e la loro presenza sul territorio nazionale verrà estesa: diventeranno Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e ce ne sarà uno in ogni regione per un totale di venti. Secondo le rassicurazioni governative, i CPR non ospiteranno più di cento persone, sorgeranno lontano dalle città ed anche, eventualmente, vicino agli aeroporti; posti totali saranno 1600 e i centri si occuperanno di offrire alloggio ai migranti smistati dopo la prima accoglienza in attesa dell’esame della richiesta di asilo.

    Il decreto legge prevede anche la creazione di “sezioni speciali” dedicate interamente alle richieste di asilo e ai rimpatri, formate da magistrati con una profonda conoscenza del fenomeno migratorio. Su questo specifico, ultimo, punto potrebbe sorgere – come sostengono le ONG – un problema di legittimità costituzionale: infatti, la nostra Costituzione all’articolo 102 vieta l’istituzione di giudici straordinari o giudici speciali lasciando solo la facoltà di creare “sezioni specializzate in determinate materie”.

    I criteri di scelta dei giudici che andrebbero a comporre queste sezioni potrebbero quindi entrare in contrasto con i principi costituzionali espressi dall’articolo 102 sebbene appare chiaro un tentativo di “aggiramento” del disposto della Costituzione.

    Nel decreto legge non si parla di giudici speciali – vietati espressamente dalla Costituzione – ma di sezioni specializzate; però la specializzazione non è riferita all’intera materia (il diritto dell’immigrazione nel suo complesso) ma solo ai rifugiati e cioè solo alla protezione internazionale. Questa specifica può confermare che la figura del giudice speciale viene istituita solo per i richiedenti asilo, configurando quindi un possibile conflitto di legittimità con conseguente interpretazione la norma come discriminatoria.

    Come se non bastasse, il testo prevede anche l’abolizione del secondo grado d’appello per chi si è vista rifiutata la richiesta di asilo in primo grado; per il legislatore la creazione delle sezioni speciali e le competenze specifiche dei giudici che le comporranno sarebbero una garanzia sufficiente per determinare l’adeguatezza di merito per una richiesta d’asilo.

    Questo disposto è stato pensato per “snellire e velocizzare” le procedure di rimpatrio e quindi il richiedente asilo, che si vedrà rifiutata la domanda, dovrà rivolgersi direttamente solo alla Corte di Cassazione per evitare il rimpatrio.

    Di fronte ad una procedura che ha lo scopo di accertare la lesione di un diritto fondamentale per la persona, che potrebbe comportare in caso di violazione un grave pericolo anche per la stessa vita umana del richiedente, si attribuisce al giudice di primo grado tutta la responsabilità della decisione e, come se non bastasse, siccome le nuove disposizioni prevedono un rito camerale senza udienza, il giudice si limiterà a prendere visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale.

    Siamo davvero in presenza di un obbrobrio Costituzionale, giuridico e politico, di inaudità gravità: un’attività di salvaguardia dei diritti umani sacrificata sull’altare – tutto “renziano” e già chiaramente pensato e sperimentato con la controriforma costituzionale fortunatamente bocciata dal popolo italiano – della velocità dell’azione amministrativa e sullo snellimento delle pratiche burocratiche!! Assicurare una corretta ed equa sentenza deve assolutamente prevedere (e non lasciare facoltà) che il giudice ascolti il richiedente asilo, faccia delle domande, legga oppure ascolti le fonti; esaminare cioè tutti gli elementi di fatto e di diritto, non solo una videoregistrazione.

    Appare ovvio che se il principio che ha portato alla scrittura della legge è basato su criteri di snellimento e di velocizzazione della “pratica” in essere, il giudice possa convintamente allinearsi alla sottostante volontà politica del legislatore contribuendo alla rapida soluzione della questione. La verità è che il decreto legge Minniti-Orlando configura per gli stranieri una “giustizia secondaria” ed un “diritto diseguale” ed è connotato da significative deroghe alla garanzie processuali comuni; si potrebbe addirittura ipotizzare una sorta di “diritto etnico” appositamente confezionato per aggirare principi costituzionali e diritto internazionale.

    Il governo italiano sta calpestando la Costituzione e stracciando la Dichiarazione Universale dei diritti umani sancita dall’ONU ed i comunisti non possono rimanere neutrali in questa battaglia di civiltà né tantomeno indifferenti nei confronti di un governo che vuole sburocratizzare velocemente dignità umana e solidarietà!!

  • Coppola (PCI Salerno), “Dopo i voucher, il peggio del peggio”

    Coppola (PCI Salerno), “Dopo i voucher, il peggio del peggio”

    Di male in peggio: dai Mini jobs senza vincoli al posto dei buoni lavoro, ai contratti di prossimità.

    L’obiettivo primario del governo, fortemente voluto, era di certo quello di evitare un altro referendum a rischio; a causa però del vuoto normativo creato dall’abolizione dei voucher e spinti dalla necessità di trovare una formula contrattuale corretta, per regolamentare il lavoro occasionale, i ministri competenti stanno ipotizzando alte soluzioni e – per necessità – si stanno rispolverando contratti dei quali si era quasi dimenticata l’esistenza.

    Gli esperti del Ministero sono al lavoro per rimettere in pista i “contratti di prossimità” che sono uno strumento utile sia per regolamentare una forma contrattuale apposita che sostituisca i voucher (come i mini jobs dei quali si sta parlando in questi giorni) che per adattare una forma contrattuale già esistente (come il lavoro a chiamata).

    Cosa sono i contratti di prossimità? Sono una particolare tipologia di contratto di secondo livello, sottoscritto a livello aziendale o territoriale, caratterizzato da una maggiore “forza di legge” in quanto in grado – da un lato – di derogare (in senso migliorativo e peggiorativo) alla disciplina del contratto collettivo nazionale e della legge e – dall’altro – di poter essere applicabile a tutti i lavoratori interessati (c.d. efficacia “erga omnes”).

    Il contratto di prossimità deve comunque rispettare i limiti stabiliti dalle norme della Costituzione e i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro; gli accordi possono essere sottoscritti da singoli datori di lavoro o da associazioni di datori di lavoro rappresentative a livello territoriale.

    I lavoratori possono essere rappresentati sia dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale che dalle rappresentanze sindacali aziendali. I contratti di prossimità possono servire a regolamentare le forme contrattuali atipiche: contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile; inoltre, possono regolamentare le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro.

    Ma nella fattispecie in questione – vuoto normativo lasciato dai voucher – gli accordi di prossimità potrebbero servire a modificare le regole dei contratti vigenti adattandoli alle esigenze del lavoro occasionale oppure a realizzare una regolamentazione specifica ex novo per i mini Jobs.

    In pratica, attraverso i contratti di prossimità si possono rimuovere i limiti esistenti nei contratti attualmente vigenti, come i limiti anagrafici individuati dalla legge sul contratto a chiamata.

    Il contratto a chiamata, infatti, retribuisce i lavoratori solo quando prestano effettivamente attività lavorativa, con un meccanismo simile a quello dei voucher ma limitato ai soli lavoratori con meno di 24 anni di età o con almeno 55 anni di età e solo per 400 giornate nell’arco di 3 anni.

    Con un contratto di prossimità, invece, si potrebbero togliere questi limiti per rendere la regolamentazione simile ai voucher oppure riscrivere le regole della definizione di occasionalità dello stesso contratto.

    Questa ultima soluzione introdurrebbe una maggiore flessibilità normativa a fronte di una maggiore occupazione; il lavoratore assunto avrebbe il diritto all’applicazione delle “normali regole economiche e normative” di un lavoro subordinato.

    La strategia governativa è chiara e lucidamente di classe: con i contratti di prossimità si mette in pista una disciplina contrattuale nuova, appunto i mini jobs dei quali si sta discutendo in questi giorni, con l’obiettivo di “attualizzare” il ricatto sul posto di lavoro, concedendo ai giovani nuovi assunti gli stessi “diritti” dei loro colleghi “ piu anziani” ma consegnandoli “legalmente” nelle grinfie di datori di lavoro ormai liberi da remore etiche oppure da leggi di intralcio alla rapacità dello sfruttamento.

    Infatti, il governo starebbe pensando di attivare i mini jobs con un contratto di lavoro subordinato, prevedendo uno specifico inquadramento professionale ed il relativo trattamento economico potrebbe essere in linea con quanto era stabilito con il voucher.

    Operazione di facciata per cambiare tutto senza cambiare nulla ma avendo evitato il referendum. Se passasse questa controriforma del mondo del lavoro giovanile sarebbe un atto di forza senza precedenti da parte di un governo imbelle, prone ai diktat della BCE sulla parità di bilancio (a carico solo e sempre del mondo del lavoro, soprattutto giovanile, quello più debole e ricattabile) e di fatto “commissariato” dalla Commissione Europea.

    Il Partito Comunista deve farsi carico di questa battaglia di classe in favore dei giovani e dei lavoratori tutti, non per difendere privilegi (di chi non ne ha ma li vede sempre più concentrati nelle elites economiche e finanziarie del nostro Paese) bensì per tirare fuori le masse popolari dalle sabbie mobili nelle quali sono state sprofondate da decenni di liberismo è rapacismo senza scrupoli e senza freni.

    Questa è una battaglia che deve unire i comunisti e tutte le forze della sinistra di alternativa; questa è una battaglia da vincere nelle piazze tra le masse popolari; questa è una battaglia di civiltà che non si può e non si deve lasciare nelle mani di qualunquisti e di populisti.