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  • Inflazione e TFR: Piccole Imprese Pagano Caro il Prezzo

    Inflazione e TFR: Piccole Imprese Pagano Caro il Prezzo

    L’attuale ondata di inflazione ha fatto scattare un campanello d’allarme per le piccole imprese in Italia, le quali si trovano ad affrontare una crescente sfida economica. In particolare, il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) subisce una rivalutazione che, per le PMI (Piccole e Medie Imprese), si traduce in una spesa aggiuntiva significativa per il 2023. Secondo la Cgia, un’associazione di categoria che rappresenta l’artigianato e le piccole imprese, il costo medio aggiuntivo per ciascun dipendente potrebbe raggiungere i 1.500 euro.

    In effetti, il TFR è un diritto dei lavoratori che, in occasione del termine del rapporto di lavoro, possono ottenere una somma di denaro, che si è rivalutata in modo significativo a causa dell’attuale inflazione. Questo aumento improvviso, se da un lato rappresenta un’ulteriore sicurezza economica per i dipendenti, dall’altro mette a dura prova le finanze delle aziende, in particolare le PMI con meno di 50 dipendenti.

    È importante notare che molte di queste piccole imprese hanno fatto scegliere ai loro dipendenti di lasciare il TFR nell’azienda stessa, anziché incassarlo direttamente. Questa pratica, che può comportare dei vantaggi fiscali, significa ora che le PMI devono fronteggiare l’onere dell’ulteriore rivalutazione del TFR, un costo che si stima possa ammontare a “almeno 6 miliardi di euro” nel complesso.

    La combinazione tra l’inflazione e la rivalutazione del TFR sta mettendo a dura prova il sistema produttivo italiano, soprattutto quando si aggiunge l’aumento dei tassi d’interesse stabilito dalla Banca Centrale Europea (BCE). Quest’ultimo elemento crea una pressione aggiuntiva sull’economia, minacciando di mettere ulteriormente in difficoltà le aziende e di rallentare la crescita economica.

    L’aumento del TFR comporta un ulteriore onere finanziario per le piccole imprese, che si trovano già ad affrontare una serie di sfide economiche, comprese le difficoltà legate alla pandemia di COVID-19. Pertanto, i rappresentanti del settore stanno chiedendo il sostegno delle autorità competenti al fine di garantire che le imprese siano in grado di far fronte a queste nuove spese inaspettate.

    Il futuro rimane incerto, ma la situazione sottolinea l’importanza per le aziende di gestire con attenzione le proprie risorse finanziarie e di cercare soluzioni per affrontare questa sfida economica senza precedenti in attesa che la “coperta” del Governo Meloni si allarghi.

  • AcomeA SGR – É il momento di abbandonare il Beta e puntare sulle PMI italiane

    AcomeA SGR – É il momento di abbandonare il Beta e puntare sulle PMI italiane

    A cura di Antonio Amendola, Senior Fund Manager, AcomeA SGR

    È interessante analizzare le performance da inizio anno di alcuni indici: S&P500 (+15%), Ftse Mib (+20%), Ftse Italia All Share Financials Sector (+24%) e Ftse Italia STAR (-2.5%). Perché guardare questi indici così diversi nella struttura e nei fondamentali? E soprattutto, perché con un orizzonte temporale così breve ovvero YTD? Le ragioni sono molteplici. Da inizio anno ha pagato molto bene essere “betati” sul mercato (ovvero essere stati esposti al mercato in generale e non a singole storie idiosincratiche) a discapito dello stock picking sulle singole storie, però, potrebbe essere ora di abbandonare il Beta, per far fronte a dinamiche da risk off nella seconda parte dell’anno. Abbandonato il Beta si potrebbe puntare su investimenti penalizzati per motivi diversi dai fondamentali e che offrano interessanti punti di ingresso de-correlati con il beta di mercato generale (come si può trovare sullo STAR).

    Come dicevamo, questi indici hanno strutture e caratteristiche molto diverse. Dall’inizio del 2023 lo scetticismo sulla tenuta dell’economia, e delle borse, da parte degli operati è stato dilagante. Mese dopo mese, però, questo pessimismo è stato frutto di importanti sottoperformance in quanto i mercati si sono mostrati più resilienti del dovuto. In Italia in particolare il settore bancario ha dominato la scena grazie a un mix di rialzo dei tassi che ha favorito il margine di interesse e ha reso di nuovo “sensato” il business della banca commerciale, basso (se non nullo) livello di accantonamenti in previsione del deterioramento dell’asset quality, generose politiche di distribuzione del capitale tramite buyback e dividendi e una strutturale assenza o sottoperformance nei portafogli dei gestori europei (e non) delle banche italiane

    Da inizio anno quindi il Ftse Mib è tra i migliori indici del mondo, trainato in particolare dal comparto bancario. Al netto delle banche però tutto l’indice ha fatto bene e ha quindi pagato essere stati esposti al fattore mercato in generale. Il tutto favorito da un contesto di generale rialzo dei mercati come si vede anche dalla performance del S&P500. Essere stati “betati” ha dato i suoi frutti da inizio anno.

    Il rovescio della medaglia, restando sul mercato italiano, è il comparto delle PMI. Lo STAR, indice che racchiude le aziende piccole e medie con i più elevati standard di qualità, ha performato particolarmente bene dal post Covid.

    Allargando a 10 anni, abbiamo una performance dello STAR non solo nettamente superiore al Ftse Mib ma anche all’S&P500. Come mai allora questa sottoperformance così marcata da essere un unicum nella storia tra STAR e FTSE MIB? La risposta è nei prodotti che hanno rilanciato questo indice: i PIR. Nel 2023 inizia a maturare il beneficio fiscale di questi prodotti il che ha portato importanti riscatti sui fondi dedicati per ottenere il beneficio fiscale e investire nei BTP resi appetibili dal rialzo dei tassi. Si stima che gli outflow per tutto il 2023 dovrebbero essere più di 1 miliardo di euro, il che combinato con i bassi volumi dei mercati ha portato a prese di profitto ingiustificate e forzate su società dall’indubbia qualità

    Small Cap premium

    Le small cap, incorporando maggiore rischio (ma anche maggiore ritorno atteso), necessitano di un premio rispetto alle large cap. Osservando gli Stati Uniti (S&P500 per le Large Cap vs S&P Small Cap 600) il premio per il rischio delle società Small è più alto che per le Large. Tuttavia, questa dinamica non viene rispettata per gli indici italiani (FSTEMIB vs FTSE Italia Small Cap): lo small cap premium varia nel tempo, ma con la forte sottoperformance delle società più piccole nel 2023, sarebbe stato ragionevole osservare un equity risk premium (ERP) in crescita.

    La ragione della divergenza deve essere individuata nella dinamica degli Earnings per Share (EPS): gli utili del FTSEMIB in aggregato sono cresciuti ininterrottamente perché trainati dal settore bancario (che ha beneficiato del clima di alti tassi di interesse), mentre gli EPS del comparto Small sono cresciuti in maniera inferiore, con una lieve contrazione nei risultati del primo semestre dell’anno. È importante ricordare che questa formulazione dell’ERP è una misura basata su dati passati, e calcolando il premio includendo gli EPS stimati per il prossimo anno, otteniamo uno small cap premium positivo e che tende a crescere, coerente con le attese del mercato per la crescita futura e la sottoperformance effettiva dell’indice Small Cap.

    Lo small cap premium è una misura dibattuta in letteratura finanziaria, ma nell’attuale contesto di forte sconto delle società più piccole contribuisce a dare ulteriore chiarezza sulla sottovalutazione del comparto. Particolarmente per il mercato italiano, dal 2023 i titoli delle PMI soffrono per innumerevoli motivi slegati dalla qualità delle società stesse, che è rimasta invariata come dimostrato dalla capacità di resistere agli shock a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni. Infatti, i titoli sono penalizzati per lo più da temi esterni spesso legati al funzionamento del mercato: bassa liquidità e volumi scambiati e deflussi dai fondi PIR tra i principali. Pertanto, riteniamo che questo sia il momento ideale per aumentare il posizionamento nel comparto Mid/Small che offre valutazioni attraenti per PMI italiane di qualità, con un premio per il rischio in aumento.

    Conclusioni

    Da inizio anno i gestori sono stati presi in contropiede dal mercato particolarmente rialzista nonostante le previsioni macroeconomiche in progressivo deterioramento con le tensioni geopolitiche a fare da sfondo. In questo contesto ha premiato essere lunghi mercato, in particolare lunghi sulle large cap italiane (quasi) indiscriminatamente. A questo punto però cosa fare? Uno scenario di “hard landing” non sembra essere più nei radar dei macroeconomisti. Tuttavia, iniziano a vedersi concretamente sull’economia reale i segni di deterioramento che precedentemente era stati soltanto ipotizzati. L’economia cinese continua ad arrancare nonostante una politica monetarie espansiva e inizia a destare serie preoccupazioni la crisi di liquidità inarrestabile del settore immobiliare. In questo scenario, e reduci da performance del 1H23 stellari, il rapporto rischio/rendimento nel continuare con lo stesso posizionamento della prima parte dell’anno è piuttosto sbilanciato sul rischio. Sull’Italia, inoltre, il settore più “sensibile” a momenti di risk off (anche per rischi politici e non solo macroeconomici) è proprio quello che ha fatto meglio sino ad ora ovvero il settore bancario. Crediamo quindi che in una fase delicata come quella attuale sia il momento di abbandonare il Beta (o ridurlo) per favorire storie idiosincratiche dai fondamentali solidi in particolare sul fronte del debito. In questo scenario l’universo ideale è proprio l’indice STAR ed in parte il più piccolo EGM in quanto presentano aziende dai fondamentali solidi e dal comprovato track record, hanno sottoperformato per dinamiche tecniche (outflows) e non di fondamentali. Hanno quindi molto meno downside degli altri indici e hanno una componente di performance de-correlata dal resto del mercato il che dà protezione in momenti di elevata volatilità.

    Oltre a questi indici segnaliamo anche le situazioni company specific con catalyst precisi e totalmente slegate dall’andamento dei mercati o delle trimestrali come può essere il caso Telecom Italia. Fra i titoli che rispecchiano queste caratteristiche per la seconda parte dell’anno possiamo segnalare, oltre a Telecom Italia, anche Biesse, Fine Foods Pharmaceuticals, Reply, Sesa, Tinexta, Svas Biosana, ABP Nocivelli, Officina Stellare, El En.

  • Crisi energetica, a Napoli convegno Confapi col sindaco Manfredi

    Domani l’incontro a Villa Doria D’Angri su possibili scenari per Pmi

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  • Covid, Confapi: con nuovo decreto rischio dipendenti Pmi

    Il presidente junior, Di Santis: impossibile sostituire subito i no vax

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  • Campania, Confapi: Amazon valore aggiunto per Pmi

    Campania, Confapi: Amazon valore aggiunto per Pmi

    Il presidente Marrone: «Bene accordo per internazionalizzazione»

    NAPOLI – «L’accordo concluso da Confapi con Amazon, il Politecnico di Milano e Ice per sostenere le sue imprese in un percorso di digitalizzazione e innovazione volto alla crescita nei mercati domestici e internazionali toglie finalmente la maschera da nemico che qualcuno aveva voluto mettere a una delle più grandi multinazionali del mondo».

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  • Agroalimentare, Confapi jr: “Bene Academy per tutelare Pmi”

    Agroalimentare, Confapi jr: “Bene Academy per tutelare Pmi”

    NAPOLI – «L’Academy dell’agroalimentare è un’ottima idea, e la Regione Campania può sostenerla attivamente affidandole il ruolo di “ambasciatore” del buon cibo campano nel mondo».

    A dirlo è Raffaele Marrone, presidente del gruppo Giovani Confapi di Napoli.
    «Abbiamo sempre creduto nelle potenzialità della filiera agroalimentare – ha aggiunto – tant’è che siamo ancora convinti che Palazzo Santa Lucia dovrebbe dotarsi di un assessorato specifico per sviluppare appieno tutte le sue potenzialità».
    «L’Academy, sul modello di quella della Apple a San Giovanni a Teduccio, oltre a rappresentare un’occasione di crescita per uno dei comparti più importanti della nostra economia, sarà anche il modo di mettere alla prova le giovani generazioni nel mercato del lavoro».

    «Le Pmi del comparto agroalimentare campano si stanno riprendendo solo da poco tempo dalle tempeste mediatiche degli anni scorsi che hanno colpito i nostri prodotti di eccellenza associandoli ingiustamente alla Terra dei fuochi – ha concluso Marrone –. Proteggere le aziende significa proteggere la nostra cultura, le nostre tradizioni e i posti di lavoro e le possibilità di crescita di un settore ormai di famoso a livello internazionale».