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  • Una nuova alba per l’immobiliare

    Una nuova alba per l’immobiliare

    A cura di Zsolt Kohalmi, Global Head of Real Estate e gestore del fondo Pictet-Elevation Core Plus

    26.09.2023

    • Tassi d’interesse più alti e inflazione più elevata stanno spingendo al rialzo i tassi di capitalizzazione, facendo scendere le valutazioni degli immobili a parità di flusso di reddito. Solo nel 2022 il segmento immobiliare europeo “prime” ha registrato un ampliamento dei tassi di capitalizzazione tra i 30 e i 100 punti base
    • Nell’UE gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi energetici totali della regione, del 36% delle sue emissioni di CO2 e di più della metà del suo consumo di elettricità. I regolamenti ambientali più restrittivi rappresentano però nuove opportunità di investimento per gli investitori in grado di ristrutturare e modernizzare gli immobili acquistati
    • Riteniamo che, considerati i nuovi livelli dei tassi d’interesse e l’imperativo a rendere più sostenibile il settore dell’edilizia, nel prossimo decennio i fondi value add e core plus in grado di aiutare la transizione green offriranno opportunità di investimento più attraenti (e meno rischiose).

    Rendimenti interessanti senza rischi eccessivi? Se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è. Per oltre un decennio investire in immobili “core” (edifici già esistenti, per lo più in siti urbani di prestigio) in Europa ha offerto qualcosa di molto simile. Oggi, però, il rapporto rischio/rendimento è meno favorevole. L’aumento dei tassi d’interesse (con il conseguente rialzo dei tassi di capitalizzazione), il cambiamento delle preferenze degli occupanti e le normative ambientali più severe rendono il contesto molto più complesso. Tuttavia, ciò non significa che gli investitori immobiliari debbano rassegnarsi a rendimenti più modesti. Piuttosto, si rende necessario andare oltre gli investimenti immobiliari tradizionali. In particolare, gli investitori istituzionali che cercano un certo livello di rendimento dal settore immobiliare dovrebbero, a nostro avviso, valutare l’opportunità di allocare il proprio capitale in strategie di investimento del tipo “value add” o “core plus”.

    Tradizionalmente, la maggior parte dei rendimenti del settore immobiliare core faceva affidamento sul reddito da locazione; tuttavia, negli ultimi anni la strategia ha ricevuto una spinta insolitamente forte dall’aumento di valore degli immobili. Questo perché in un’era di tassi di interesse ai minimi e inflazione bassa gli investitori erano disposti a pagare di più per assicurarsi flussi di reddito. Questo trend ha portato ad avere tassi di capitalizzazione sempre più ai minimi e valori immobiliari sempre più elevati. Tuttavia, al momento vediamo come questa tendenza si stia invertendo. Tassi d’interesse più alti e inflazione più elevata stanno già spingendo al rialzo i tassi di capitalizzazione, facendo così scendere le valutazioni a parità di flusso di reddito. Solo nel 2022 il segmento immobiliare europeo “prime” ha registrato un ampliamento dei tassi di capitalizzazione tra i 30 e i 100 punti base ed è previsto un ulteriore allargamento. A soffrire in misura maggiore potrebbero essere alcune delle proprietà più richieste: gli immobili in centro. La ragione è da ricercare in un altro importante cambiamento in atto nel settore immobiliare: l’inasprimento delle normative ambientali. Al giorno d’oggi, infatti, le considerazioni sulla sostenibilità non sono più opzionali, ma rappresentano virtualmente una necessità.

    Responsabilità verso la sostenibilità

    Nel prossimo decennio, il settore immobiliare dovrà finalmente far fronte alle sue responsabilità ambientali. Questa si preannuncia un’impresa titanica: nell’UE infatti gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi energetici totali della regione, del 36% delle sue emissioni di CO2 e di più della metà del suo consumo di elettricità. Il settore è già sotto stretta osservazione da parte di governi e autorità di regolamentazione e i segnali preannunciano normative ambientali ancora più severe. 

    I Paesi Bassi, ad esempio, hanno recentemente messo al bando gli immobili ad uso ufficio che non soddisfano gli standard minimi di efficienza energetica certificati in un Attestato di prestazione energetica (APE), corrispondenti almeno a C (moderatamente efficiente) o superiori. Questa decisione causerà gravi problemi poiché, secondo l’agenzia immobiliare Savills, circa il 40% degli uffici esistenti nel Paese non soddisfa tali requisiti. In altre parole, gran parte degli uffici dei Paesi Bassi rischia di diventare improvvisamente un asset “stranded”, ovvero un bene destinato a perdere di valore. Per rendere le cose ancora più complicate, il governo olandese prevede di aumentare gradualmente la soglia minima standard, per arrivare ad un APE di classe A entro il 2030, e di estendere la normativa anche ad altri settori dell’edilizia, mettendo così a rischio di svalutazione una quota ancora maggiore del patrimonio immobiliare nazionale.  Tutto ciò rende necessarie ristrutturazioni urgenti, ma molti proprietari di immobili core non sono nelle condizioni di farsene carico.

    Paesi Bassi a capo della rivoluzione immobiliare green

    Suddivisione degli uffici per classi in base al loro attestato di prestazione energetica (APE), %

    Fonte: Savills Research, dicembre 2022. Per uffici esistenti con classificazione APE annotata nei registri immobiliari nazionali; la definizione “senza etichetta” si applica solo per i Paesi Bassi, 30% senza etichetta.

    Tendenze simili sono in atto anche altrove. La maggior parte dei Paesi europei si doterà di requisiti minimi di efficienza energetica entro pochi anni. Il Parlamento europeo ha appena adottato un aggiornamento alla Direttiva sulla prestazione energetica degli immobili che stabilisce le modalità per rendere “carbon neutral” il settore immobiliare entro il 2050. Il progetto include una proposta di divieto degli impianti di riscaldamento a combustibili fossili a partire dal 2035.

    Si tratta di un problema particolarmente serio per gli investitori immobiliari core, che solitamente comprano e detengono gli immobili per lunghi periodi e limitano le ristrutturazioni a modifiche estetiche. Recentemente ci siamo confrontati sul tema con un fondo pensione, il quale stima nei prossimi anni un possibile rischio di obsolescenza di una quota pari fino al 70% del suo portafoglio. I regolamenti ambientali più restrittivi, però, rappresentano anche nuove opportunità di investimento, specialmente per gli investitori dotati delle competenze e delle capacità per ristrutturare e modernizzare gli immobili che acquistano. Circa l’85% degli edifici europei attuali sarà ancora in piedi nel 2050 e al momento il tasso di ristrutturazione della regione è solo dell’1% all’anno. Secondo GRESB, per raggiungere l’obiettivo “net zero” entro il 2050, l’Europa deve effettuare “ristrutturazioni su larga scala”.

    In Pictet Asset Management le ristrutturazioni sono un pilastro chiave delle nostre strategie real estate value add e core plus e il nostro focus punta soprattutto al miglioramento delle credenziali di sostenibilità degli immobili in cui investiamo. Ciò vuol dire, tra l’altro, installare pompe di calore (in grado sia di riscaldare che di raffrescare), ricorrere esclusivamente a fonti di energia rinnovabile, utilizzare sensori per ottimizzare il consumo di energia e acqua, nonché provvedere all’isolamento aggiuntivo di pareti e finestre. In questa sfera rientrano anche l’utilizzo di materiali da costruzione sostenibili (come il legno laminato), l’installazione di pannelli fotovoltaici per generare energia rinnovabile o l’impegno a ridurre i rifiuti. I recenti lavori di ristrutturazione e riqualificazione del nostro data center in Svezia, ad esempio, sono riusciti a ridurre le emissioni di carbonio del 62% rispetto al momento dell’acquisto dell’immobile.

    Opportunità Premium

    Gli edifici green sono già corredati di valutazioni premium. Le ricerche condotte da MSCI mostrano che gli immobili ad uso ufficio con un rating di sostenibilità sono venduti a prezzi superiori di un terzo o di un quarto rispetto agli immobili privi di rating. Inoltre, quest’ultimi possono godere di canoni di locazione più elevati, in quanto gli occupanti (che si tratti di aziende o di privati) cercano in misura crescente immobili ecosostenibili, non solo per questioni di principio o per agevolare il raggiungimento di obiettivi di zero emissioni nette a livello aziendale, ma anche perché gli immobili ad alta efficienza energetica hanno costi di gestione inferiori. Negli ultimi cinque anni, ad esempio, in Europa il canone di affitto medio per uffici con certificazione verde è stato del 21% superiore a quello ottenuto da uffici non certificati (ricerca condotta da CBRE).

    Gli investitori stanno iniziando a vedere i vantaggi dell’adottare strategie immobiliari proattive in grado di adattarsi a questi cambiamenti in atto. I dati di Preqin mostrano che, nel 2022, i fondi del segmento value add sono emersi come la strategia dominante e hanno rappresentato circa il 35% del capitale complessivo raccolto, in aumento rispetto al 27% degli ultimi vent’anni. Negli ultimi 15 anni l’immobiliare core ha offerto agli investitori rendimenti rettificati per il rischio molto interessanti. Riteniamo dunque che, considerati i nuovi livelli dei tassi d’interesse e l’imperativo a rendere più sostenibile il settore dell’edilizia, nel prossimo decennio i fondi value add e core plus in grado di aiutare la transizione green offriranno opportunità di investimento più attraenti (e, per quanto controintuitivo, un po’ meno rischiose).

  • GAM: Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare USA?

    GAM: Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare USA?

    A cura di Tom Mansley, Investment Director per le strategie MBS di GAM

    Il mercato dei mutui ipotecari negli Stati Uniti è di dimensioni significative: oltre 10.000 miliardi di dollari, più grande del mercato delle obbligazioni societarie. Ci sono due modi per accedere a questo mercato: uno è quello dei mutui garantiti dal governo e l’altro è attraverso il credito. Noi preferiamo il seasoned credit dei mutui emessi prima della crisi del 2008/9 (oltre 15 anni fa) in quanto offrono flussi di cassa stabili. Questi mutui appartengono a persone che vivono nelle proprie case da molto tempo, che hanno dimostrato di essere in grado di pagare e che possiedono una grande quantità di capitale proprio. Di conseguenza, si tratta di un asset sottostante molto stabile e in gran parte non correlato con gli asset sensibili al credito. Il mutuo più diffuso è quello a tasso fisso di 30 anni. Di conseguenza, l’aumento dei tassi non ha un impatto significativo sul credito ipotecario negli Stati Uniti, in quanto molti proprietari di case hanno mutui a tasso fisso; non si tratta di un regime a tasso variabile come in altre parti del mondo, dove le rate aumentano al crescere dei tassi.

    Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare?

    Attualmente una delle domande più frequenti che ci vengono poste è: se i tassi dei mutui sono alti, perché ci sono state poche insolvenze e perché i prezzi delle case non stanno scendendo? Molti temono che i tassi elevati e le case con prezzi inaccessibili possano provocare un altro crollo. Tuttavia, come diciamo da un po’ di tempo, ci aspettiamo un calo seguito da una stabilizzazione perché c’è un forte squilibrio tra domanda e offerta. Negli Stati Uniti, il tasso di sfitto, cioè il numero di case vuote, è ai minimi da 60 anni. L’offerta è molto limitata e le scorte non sono molte.

    In termini di domanda, consideriamo quante nuove famiglie si formano ogni anno e quante nuove case vengono costruite ogni anno. Dal 2009, la domanda di alloggi è stata di gran lunga superiore alla costruzione di case. Ciò è avvenuto per molto tempo perché i millennial non hanno acquistato case, scegliendo invece l’affitto. Di conseguenza, attualmente c’è una forte domanda repressa da parte di una grande fetta demografica della società.

    A partire dalla metà degli anni 2000, i millennial hanno spesso optato per l’affitto per vivere in città, evitando di acquistare case. Tuttavia, quando hanno iniziato ad avere figli, hanno avuto bisogno di comprare. La tendenza all’acquisto di case è iniziata intorno al 2016, per poi accelerare durante il Covid. Ora stanno acquistando nonostante l’aumento dei tassi perché hanno bisogno di comprare casa e hanno il reddito e i risparmi per farlo. Un’ampia fetta demografica di un Paese ha ritardato l’acquisto di una casa per circa 10 anni; si tratta di un’ampia domanda da recuperare e questo è ciò che mantiene i prezzi delle case al livello attuale, pari al picco del giugno 2022.

    Perché gli MBS ora?

    Gli spread sono ampi su base storica e generano oltre 300 punti base di extra-rendimento rispetto ai Treasury, con un rendimento di circa il 7,5%. Oltre al rendimento corrente, è ragionevole aspettarsi delle plusvalenze in futuro, quando gli spread si normalizzeranno.

    Perché gli spread sono ampi?

    C’è una paura associata ai mutui. In molte località vige un regime di tassi variabili, che rappresenta un vero problema; i mutui possono diventare più alti e diventa più difficile per i proprietari di casa far fronte al rimborso, causando un problema di credito al consumo. Mentre, negli Stati Uniti, l’aumento dei tassi da parte della Fed ha un impatto minimo sui proprietari di casa.

    I nostri titoli garantiti da mutui residenziali (RMBS) seasoned hanno un forte rapporto prestito/valore e, a nostro avviso, gli spread non dovrebbero essere così ampi. Gli spread scenderanno grazie a un concetto di non-default dimostrato; in altre parole, man mano che continueranno a registrare buone performance, rientreranno.

    Uno dei fattori di supporto che riteniamo impedirà i default di massa è il tasso di disoccupazione. È inferiore al 4%, un valore storicamente molto basso. La disoccupazione potrebbe aumentare in modo sostanziale fino a raggiungere un tasso di disoccupazione “normale”, motivo per cui la Fed non si preoccupa della disoccupazione: è troppo bassa e inflazionistica. Tutti hanno un lavoro, le rate sono ridotte e quindi le morosità sono basse. La gente ha anche molti risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. Le morosità probabilmente aumenteranno leggermente, ma solo perché in questo momento sono molto basse; siamo ben al di sotto della norma.

    Un’altra ragione per cui gli spread dovrebbero rientrare è che la gente poggia su mutui al 3% e non intende cambiare, quindi non c’è molto turnover. In media, il turnover è del 6% e sale all’8% nei periodi di congiuntura favorevole. Ora sta scendendo al di sotto del 6%. Se il turnover diminuisce, l’offerta di RMBS sarà inferiore. Non ci sono più mutui seasoned e il mercato secondario è sempre più piccolo. Questa mancanza di offerta di RMBS dovrebbe portare gli spread a ridursi in futuro.

  • Immobiliare commerciale, un mercato eterogeneo

    Immobiliare commerciale, un mercato eterogeneo

    A cura di Marc Nabi, Equity Investment Director di Capital Group

    Circa metà del mercato dei crediti per il settore IC, che ammontano a circa 5000 miliardi di dollari, è costituita da prestiti erogati dalle banche, in gran parte a tasso fisso. L’altra metà è composta da commercial mortgage-backed security (CMBS), prestiti concessi da enti pubblici federali come Fannie Mae e Freddie Mac, compagnie assicurative e, in misura minore, mortgage real estate investment trust (mREIT), ovvero fondi di investimento immobiliare specializzati in mutui ed MBS.

    Quello dell’IC, nel complesso, è un mercato eterogeneo che non può essere descritto in poche parole. Le principali fonti di preoccupazioni sono gli immobili dedicati a uffici e vendita al dettaglio, mentre altre aree come quelle delle unità multifamiliari e dei magazzini industriali potrebbero reggere relativamente bene.

    In media le scadenze dei crediti in ambito IC sono scaglionate, o spalmate, nell’arco di periodi compresi tra 8 e 10 anni, mitigando i possibili rischi associati a un’impennata del fabbisogno di rifinanziamento. I mutuatari nel settore immobiliare che devono rifinanziarsi, oppure tenuti a versare rate elevate in periodi di discesa dei valori immobiliari, cercheranno con ogni probabilità di negoziare una riduzione dei pagamenti minacciando di riconsegnare il proprio immobile; una tattica detta “default strategico”.

    Il risultato è che gli utili delle banche che detengono a bilancio un’elevata quota di crediti nel segmento IC verranno messi verosimilmente sotto pressione; che ciò possa portare a una crisi di solvibilità nel settore bancario appare tuttavia improbabile.

    In questo ciclo, al contempo, la maggior parte dei REIT sembra essere relativamente ben posizionata: la loro esposizione debitoria è infatti generalmente ben diversificata e possono accedere a un’ampia gamma di creditori sia tra le banche che nei mercati dei capitali.

    A causa dei tassi d’interesse odierni rifinanziarsi può non risultare conveniente dal punto di vista economico, anche nel caso di immobili che continuano a evidenziare buone performance. Ciò significa che alcuni tra i più importanti investitori immobiliari, con ogni probabilità, “riconsegneranno le chiavi” ai rispettivi creditori.

    Per soppesare l’impatto di questa situazione, il nostro team di analisti ha preso in esame tutti i crediti nel settore IC che fungono da sottostanti di CMBS ipotizzando che vengano sottoscritti alle condizioni attuali (periodo di ammortamento pari a 30 anni, cedola tra il 6 e il 7%, rapporto di copertura dei costi di servizio del debito tra 1,25 e 1,50). Da quest’esercizio è emerso che in tutti i segmenti dell’IC esiste un certo numero di mutuatari che (1) saranno costretti a iniettare capitale di rischio per rifinanziarsi con successo oppure (2) sono incentivati dal punto di vista economico ad andare in default strategico.

    Al momento gli immobili da uffici rappresentano circa un quarto di tutti i crediti del segmento IC erogati dalle banche. In base ad analisi Capital Group, perfino qualora i portafogli di immobili da uffici perdessero metà del proprio valore ciò si tradurrebbe in una perdita pari a circa il 5% a carico dei portafogli delle banche nel campo dell’IC.

    Come se la caveranno i REIT?

    Nel corso di questo ciclo i REIT incentrati sul segmento commerciale sono posizionati relativamente meglio di quelli dedicati all’IC privato, con rapporti loan to value molto migliori rispetto ad altri mutuatari immobiliari.

    Storicamente i REIT hanno avuto facile accesso ai mercati del debito, mentre le loro passività sono state generalmente ben diversificate tra crediti garantiti e non, prestiti bancari e linee di credito. Ciò ha fornito loro numerose opzioni a cui attingere con la progressiva riduzione della disponibilità di credito, ma potrebbe non riuscire a isolare il segmento qualora si verificasse un’ondata di default su crediti legati a immobili da uffici a causa di un mix tra riduzione del credito in quest’area da parte delle banche e mancato rifinanziamento per via del calo del valore degli asset e del significativo incremento dei tassi d’interesse.

    Segmento degli uffici

    In molte città statunitensi quella degli edifici da uffici verrà messa verosimilmente sotto pressione più di altre aree del mercato IC; a causa del sempre maggior numero di aziende che sposano il lavoro da remoto è infatti disponibile un’eccedenza di superfici da uffici. Gran parte del segmento (ma non tutto) sopravviverà con tassi di occupazione al di sotto dei livelli pre-pandemici, ma si verificheranno inevitabilmente correzioni al ribasso dei valori.

    La posizione centrale di molti immobili da uffici costituisce un forte incentivo alla loro riconversione. In altri casi conviene di più demolirli. Ma nel segmento degli uffici i valori degli immobili non hanno subito una correzione tale da dare luogo alla loro obsolescenza.

    Dal punto di vista dei fondamentali il mercato IC, salvo il segmento degli uffici, ha conservato una relativa resilienza. In tali aree dovrebbero sussistere margini a sufficienza per una crescita ininterrotta delle locazioni, purché venga evitata una grave recessione. Gli immobili multifamiliari, ad esempio, godono ancora di una domanda robusta: a causa dei prezzi delle case e dei tassi dei mutui elevati, infatti, molte persone sono costrette a rimanere in affitto. La robusta crescita dell’e-commerce, al contempo, alimenta la domanda di magazzini e altre tipologie di immobili industriali.

    Alcuni hanno suggerito la possibilità di convertire gli uffici inutilizzati in alloggi, ma è improbabile che l’eccesso di offerta di immobili da uffici influisca sul segmento multifamiliare. Trasformare gli uffici in appartamenti non è semplice: gli impianti idraulici ed elettrici commerciali non sono compatibili con le esigenze abitative, per non parlare degli inevitabili problemi legati ai permessi in molte grandi città statunitensi. Il segmento multifamiliare gode inoltre della protezione delle “government-sponsored enterprise” (Fannie Mae, Freddie Mac ecc.), che rende improbabile un’ondata di svendite.

    Grande crisi finanziaria 2.0?

    L’esposizione agli asset in sofferenza del segmento IC, dunque, darà luogo a una nuova crisi finanziaria? Al momento l’esito più probabile sembra essere quello di un contraccolpo per la redditività delle banche più che una crisi sistemica.

    Sebbene nei prossimi anni l’incremento dei saggi di capitalizzazione e dei default sui crediti nel segmento IC possa provocare delle perdite, per gran parte degli istituti finanziari le conseguenze dovrebbero risultare gestibili. Le perdite su crediti a cui potremmo assistere si verificheranno con ogni probabilità nell’arco di un periodo di un paio d’anni.

  • Analisi Abitare Co. su base dati su base dati Osservatorio Mercato Immobiliare (OMI) – Agenzia delle Entrate

    Analisi Abitare Co. su base dati su base dati Osservatorio Mercato Immobiliare (OMI) – Agenzia delle Entrate

    Mercato immobiliare residenziale: nel I trimestre 2023 calano ulteriormente le compravendite (-8,3%), più di 15 mila in meno. Tra le città metropolitane Bologna segna -23,9%, Milano -22,9%, Roma -10,3%, Firenze -9,4%, Torino -7,1%, Napoli -7%, Genova -5,5%, Palermo -4,4%

    Milano, 09 giugno 2023 – Prosegue il calo del mercato immobiliare residenziale in Italia: dopo il -2,1% registrato nel IV trimestre 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021, i primi tre mesi del 2023 segnano un ulteriore -8,3%, con 166.745 transazioni (più di 15mila in meno)Secondo l’analisi di Abitare Co. –società di intermediazione e servizi immobiliari– sulla base dei dati dell’Osservatorio sul Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entratenel I trimestre 2023 a soffrire maggiormente sono i comuni capoluogo (-10,6%) rispetto ai non capoluoghi (-7,4%).  A livello territoriale, il calo maggiore si registra nei comuni capoluogo del Nord Ovest (-12,5%), mentre l’unico incremento si registra nei non capoluoghi delle Isole (+2,3%).

    Cosa accade nelle principali città italiane? Sempre nel I trimestre 2023, il calo maggiore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si registra a Bologna (1.264 transazioni, -23,9%) e Milano (5.920 transazioni, -22,9%). Ma anche nelle altre città metropolitane il segno è sempre negativo, seppur in modo più contenuto: a Roma -10,3% (8.274 transazioni), a Firenze -9,4% (1.208 transazioni), a Torino -7,1% (3.552 transazioni), a Napoli -7,0% (1.952 transazioni), a Genova         -5,5% (2.034 transazioni), a Palermo -4,4% (1.598 transazioni).

    “L’andamento delle compravendite residenziali in Italia, nel primo trimestre di quest’anno, conferma le previsioni che erano state formulate alla fine dell’anno scorso, ovvero che il 2023 sarebbe stato un anno in cui la crescita degli scambi avrebbe subito uno stop, probabilmente per tutti i dodici mesi – dichiara Alessandro Ghisolfi, responsabile del Centro studi di Abitare Co. – L’aumento dei tassi di interesse applicato ai mutui pesa sulle decisioni di acquisto delle famiglie e pare essersi esaurita la spinta della ricerca di spazi più ampi del periodo post pandemia: calano infatti gli acquisti degli appartamenti in generale, ma in particolare di quelli con superfici superiori ai 100 metri quadrati. Se ci saranno ripercussioni sui prezzi di vendita, dovremo aspettare probabilmente la seconda parte dell’anno per registrare un calo in primis delle abitazioni più vecchie e da ristrutturare.”

    Andamento mercato immobiliare residenziale

    Grandi cittàCompravendite I Trim. 2023Var % compravendite I Trim. 2023 / I Trim. 2022
    BOLOGNA1.264-23,9%
    MILANO5.920-22,9%
    ROMA8.274-10,3%
    FIRENZE1.208-9,4%
    TORINO3.552-7,1%
    NAPOLI1.952-7,0%
    GENOVA2.034-5,5%
    PALERMO1.598-4,4%
    ITALIA166.745-8,3%

    Fonte: Osservatorio Mercato Immobiliare (OMI) – Agenzia delle Entrate

  • NAPOLI MERCATO IMMOBILIARE NEL 2022: +3% LE COMPRAVENDITE

    NAPOLI MERCATO IMMOBILIARE NEL 2022: +3% LE COMPRAVENDITE

    Tempi medi di vendita di 3 mesi e scontistica dei prezzi del 14%

    Report a cura dell’Ufficio Studi Gabetti

    Nel 2022, secondo quanto emerge dalle rilevazioni dell’Ufficio Studi Gabetti, il capoluogo campano ha visto una sostanziale stabilità dei prezzi rispetto al 2021.

    Per quanto riguarda le transazioni, come evidenziano i dati dell’Agenzia delle Entrate, nel 2022 si sono registrate 8.314 compravendite, in aumento del 3% rispetto al 2021.

    Da quanto emerge dalle rilevazioni presso le agenzie Gabetti, Grimaldi e Professionecasa, i tempi medi di vendita nel 2022 si sono attestati su una media di poco superiore ai 3 mesi. Gli sconti in sede di chiusura delle trattative sono stati mediamente intorno al 14%, con forte variabilità a seconda del rapporto qualità/prezzo delle specifiche soluzioni immobiliari.

    Transazioni residenziali a Napoli per trimestre e variazione tendenziale

    Elaborazione Ufficio Studi Gabetti su dati Agenzia delle Entrate

    La città di Napoli è interessata da un periodo di intense trasformazioni a livello territoriale, prime fra tutte quelle connesse alla riqualificazione del patrimonio dismesso. Per quest’ultimo, la strategia consiste non solo nella conservazione ma anche nella sua trasformazione radicale in modo che zone, rimaste abbandonate per troppi anni, siano ora restituite alla città in una nuova forma e versione.

    ZONA PREGIO

    A Napoli, per quanto riguarda il residenziale di pregio nell’ambito dei quartieri più esclusivi, è in aumento la domanda a Chiaia e Vomero, in un contesto di prezzi che, nel secondo semestre, risultano in rialzo rispetto alla prima parte dell’anno.

    Analizzando le diverse zone, i top pricessi registrano a Posillipo e Chiaia.Quiil signorile in buono stato è rispettivamente su una media di 5.000-6.450 euro al mq e, con riferimento alle vie e agli immobili di maggiore pregio, si possono raggiungere punte di 7.500 euro al mq per immobili nuovi o ristrutturati.

    In zona Posillipo Manzoni – Petrarca – Orazio Vomero – Falcone, abbiamo valori intorno ai 5.500-5.900 euro al mq per immobili signorili in buono stato mentre a Chiaia – Mergellina – Caracciolo gli immobili di tipo signorile in ottimo stato raggiungono i 7.400 euro al mq.

    CENTRO ANTICO

    San Ferdinando si hanno i valori più elevati, che raggiungono i 4.490 euro al mq per immobili signorili ristrutturati; nella stessa zona le soluzioni medie in buono stato hanno quotazioni intorno ai 2.750 euro al mq.

    Prezzi minori, ma comunque elevati, anche nelle restanti zone del Centro Antico. Nella zona Pendino si hanno quotazioni tra 2.550 euro al mq per immobili signorili in buono stato e 2.750 euro al mq per l’ottimo stato. Per gli immobili usati medi in buono stato in questo quartiere i valori medi si attestano attorno ai 2.150 euro al mq, mentre nel quartiere San Giuseppe, l’usato medio in buono stato si attesta sui 2.700 euro al mq; per gli immobili signorili, invece, i valori si aggirano tra i 3.000 e i 3.200 euro a mq, in base alle condizioni di nuova costruzione o usato ristrutturato.

    SEMICENTRO STORICO

    Corso Vittorio Emanuele – Cariati e Corso Vittorio Emanuele – Piazza Mazzini sono le microzone che presentano le quotazioni maggiori. Nella prima siamo intorno ai 3.975 euro al mq per soluzioni signorili in ottimo stato e sui 2.900 euro per l’usato medio in buono stato. Nella seconda, per immobili medi in buone condizioni, siamo sui 3.200 euro al mq con punte di 3.575 euro al mq per l’usato ristrutturato.

    Montecalvario e Montesanto la cifra è di 2.250-2.150 euro al mq per immobili medi in buone condizioni.

    Le zone AvvocataMaterdei Alta e Stella hanno quotazioni simili, siamo sui 2.200 – 2.600 euro al mq per immobili usati in buono stato. Prezzi intorno ai 1.700 – 2.100 euro al mq in zona Materdei VecchiaSanità, San Lorenzo, Vicaria e Mercato. Prezzi inferiori per San Gennaro – Fontanelle dove l’usato medio in buono stato ha valori intorno ai 1.600 euro al mq, mentre la tipologia economica scende a 1.050 euro al mq.

    ZONA COLLINARE

    All’interno di questa macrozona i top prices si registrano nelle zone Vomero – Scarlatti – Vanvitelli – Funicolare e Vomero – Cilea, dove i prezzi per immobili signorili ristrutturati, risultano intorno ai 6.400 euro al mq per la prima zona e 4.700 euro al mq per la seconda.

    Le zone Collana, Colli Aminei Arenella hanno quotazioni per l’usato in buono stato che si attestano sui 3.200 – 3.500 euro al mq.

    PERIFERIA

    Nella parte nord di Chiaiano – Camaldoli, per immobili medi in buone condizioni, siamo intorno ai 2.300 euro al mq. In zona Frullone le quotazioni scendono a 1.600 euro al mq per immobili di tipo economico ristrutturati.

    Nella periferia orientale, il quartiere di San Carlo all’Arena è quello che presenta i prezzi più alti. Siamo intorno ai 2.200 euro al mq per l’usato in buono stato, che scende a 1.800 euro al mq in zona Capodichino e a 1.550 euro al mq a Poggioreale.

    La periferia occidentale presenta situazioni diversificate al suo interno. Si hanno valori intorno ai 2.400 euro al mq per immobili medi in buone condizioni in zona Fuorigrotta Centro, 2.100 euro al mq in Fuorigrotta Consalvo – Bixio e 2.200 euro al mq in Fuorigrotta Terracina – Kennedy.

    Nell’area di Bagnoli, la zona di Bagnoli Beccadelli presenta prezzi intorno ai 1.900 euro al mq per l’usato in buono stato. Quotazioni più basse per Bagnoli – Coroglio Cavalleggeri d’Aosta, dove i valori per immobili economici in buone condizioni sono intorno ai 1.700-1.750 euro al mq.

    SOBBORGHI

    Nei “Sobborghi Settentrionali” si riscontra un’ampia variabilità in base alle specifiche zone. In particolare, le quotazioni per immobili usati in buono stato, a seconda della tipologia, si attestano intorno ai 1.300 euro al mq in zona Secondigliano – Corso Italia, tra gli 1.300 euro al mq in Rione Berlingeri e tra i 1.200 in Masseria Cardone.

    Procedendo verso sud, per soluzioni usate in buono stato, i valori si attestano intorno ai 1.300 euro al mq in zona Piscinola Miano, 1.200 euro al mq a Miano – Rione Don Guanella e 1.000 euro al mq a Scampia e Rione Monte Rosa.

    Anche nei “Sobborghi Occidentali” si ha molta varietà in termini di prezzi a seconda delle specifiche zone. I valori più alti si hanno a Fuorigrotta – Parco San Paolo, dove l’usato medio in buone condizioni ha valori intorno ai 2.450 euro al mq; anche in Fuorigrotta – Università Federico II l’usato in buone condizioni ha valori sui 2.400 euro al mq.

    Nelle zone Soccavo Giustiniano – PiaveSoccavo – Epomeo e Soccavo Paradiso le quotazioni per immobili di categoria civile in buono stato vanno dai 1.800 ai 2.200 euro al mq. A Soccavo – Rione Traiano scendono e si attestano sui 1.300 euro al mq per la stessa categoria d’immobile.

    Quotazioni in aumento per l’area Loggetta dove si registrano valori per l’usato medio in buono stato intorno ai 1.650 euro al mq. Valori intorno ai 1.050-1.450 euro al mq in zona Agnano e in zona Montagna Spaccata – Masseria.

  • Le piccole banche USA sono dei colossi negli immobili commerciali, ma i rischi sistemici sono bassi

    Le piccole banche USA sono dei colossi negli immobili commerciali, ma i rischi sistemici sono bassi

    A cura di Karsten Junius, Chief Economist di Banca J. Safra Sarasin

    I fallimenti di SVB e Signature Bank hanno alimentato le preoccupazioni per le banche più piccole e per la stabilità finanziaria in generale. In particolare, l’esposizione delle banche regionali al settore immobiliare commerciale ha riportato alla memoria la crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, questi timori sembrano esagerati. Anche se l’immobiliare commerciale come asset class continua a presentare rischi di ribasso, a nostro avviso, non è potenzialmente in grado di far deragliare la stabilità del sistema finanziario.

    Le piccole banche statunitensi sono importanti soggetti nel settore immobiliare commerciale degli Stati Uniti. Sebbene rappresentino solo un terzo del totale delle attività bancarie statunitensi e del totale dei prestiti immobiliari residenziali degli Stati Uniti, sono piuttosto rilevanti quando si tratta di immobili commerciali. Oggi detengono nei loro bilanci la quota record del 70% dei prestiti per immobili commerciali erogati da banche statunitensi, dopo una significativa e costante espansione dell’attività di prestito negli ultimi anni. L’importo totale dei prestiti per immobili commerciali nei bilanci delle piccole banche è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, raggiungendo oggi i 2.000 miliardi di dollari, lasciando alle piccole banche circa il 45% dell’intero mercato dei mutui per immobili commerciali (prestiti bancari + prestiti non bancari), del calibro di 4.500 miliardi di dollari.

    Con i prestiti per immobili commerciali che ora rappresentano il 28% degli asset totali delle piccole banche e un considerevole 280% del loro patrimonio netto, sono aumentati i timori per le ricadute sistemiche di un calo dei prezzi degli immobili commerciali. Tuttavia, anche se i singoli istituti potrebbero dover sopportare delle perdite, riteniamo che ci siano diverse ragioni per cui la situazione attuale non è assolutamente paragonabile alla crisi finanziaria globale del 2007/2008:

    Innanzitutto, le dimensioni. All’apice della crisi finanziaria globale, le dimensioni del mercato dei mutui erano cresciute fino a circa 11.000 miliardi di dollari, pari a un impressionante 75% del PIL del 2007. Oggi, le dimensioni del mercato dei mutui per immobili commerciali sono inferiori al 18% del PIL.

    In secondo luogo, l’esposizione. Come già accennato, l’entità dei prestiti per immobili commerciali nei bilanci delle banche regionali è pari a circa 2,8 volte il loro patrimonio netto. Sebbene si tratti di una cifra elevata, è un’inezia rispetto alle dimensioni dei prestiti immobiliari nel 2007. Le grandi banche, che all’epoca erano la parte più esposta del sistema finanziario, avevano in bilancio prestiti immobiliari residenziali pari a oltre 4 volte il loro patrimonio netto.

    Terzo, non tutti i segmenti dell’immobiliare commerciale sono uguali. Il settore degli uffici è di gran lunga il più vulnerabile del mercato degli immobili commerciali e l’unico in sofferenza. Negli Stati Uniti non è solo esposto alle forze cicliche e all’aumento dei tassi, ma si trova anche nel bel mezzo di un cambiamento strutturale post-COVID, che ha spinto i tassi di sfitto a livelli record. Altri segmenti del mercato degli immobili commerciali sembrano molto meno vulnerabili al raffreddamento dell’economia e all’aumento dei tassi. Poiché gli immobili ad uso ufficio rappresentano solo il 18% del totale dei prestiti per immobili commerciali negli Stati Uniti, il problema diventa molto più circoscritto e più piccolo di quanto non sembri a prima vista.

    Quarto, la gestione del rischio è stata molto più prudente nei prestiti per immobili commerciali di quanto non lo fosse nel settore immobiliare residenziale prima della crisi finanziaria globale. Se i mutui al 100% del rapporto prestito/valore non erano rari prima della crisi finanziaria globale, oggi il rapporto prestito/valore massimo offerto dagli istituti di credito per immobili commerciali è del 75%, con rapporti prestito/valore medi più vicini al 50%. Di conseguenza, i prezzi dovrebbero scendere molto di più rispetto al 2007/08 prima che le perdite si concretizzino.

    Pertanto, anche in uno scenario di forte stress, i rischi dovrebbero essere gestibili. Per fare un esempio, circa il 20% dei 2.000 miliardi di dollari di prestiti per immobili commerciali presenti nei bilanci delle piccole banche è costituito da prestiti per uffici, di cui circa il 25% è in scadenza nei prossimi 12 mesi, ossia 100 miliardi di dollari. Ipotizzando un rapporto prestito/valore del 75% su questi mutui e un calo del 50% dei prezzi degli uffici, con i mutuatari inadempienti sull’80% di questi prestiti, il danno potenziale per le piccole banche ammonterebbe a circa 20 miliardi di dollari, ovvero il 3% del loro patrimonio netto totale. Anche se l’80% di tutti i mutui per uffici presenti nei bilanci delle piccole banche venisse colpito dallo scenario sopradescritto, la perdita salirebbe solo al 12% del patrimonio netto, il che sembra ancora gestibile.

    Dunque, sebbene alcuni istituti possano essere colpiti più gravemente di altri e le condizioni di prestito siano destinate a inasprirsi ulteriormente, una crisi sistemica è improbabile. Riteniamo addirittura che sia un vantaggio per le autorità di regolamentazione che i rischi siano concentrati nelle piccole banche piuttosto che negli istituti più grandi. In questo modo dovrebbe essere più facile per loro agire con rapidità e forza nel circoscrivere e risolvere la situazione degli istituti di credito in sofferenza, come hanno dimostrato con SVB e Signature Bank.