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Un’altra crisi finanziaria?

Gerwin Bell, Lead Economist per l’Asia del team Global Macroeconomic Research di PGIM Fixed Income
Gerwin Bell, Lead Economist per l’Asia del team Global Macroeconomic Research di PGIM Fixed Income
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A cura di Gerwin Bell, Lead Economist per l’Asia del team Global Macroeconomic Research di PGIM Fixed Income

Chi segue con attenzione i dati economici alla ricerca di segnali di recessione negli Stati Uniti e a livello globale è stato di recente colto di sorpresa. Lo stress del settore finanziario è emerso in tutta la sua evidenza e ha oscurato i dati economici positivi. Ciò dimostra due cose: in primo luogo, gli aggressivi aumenti dei tassi dello scorso anno hanno creato conseguenze indesiderate; in secondo luogo, il settore finanziario rappresenta un importante veicolo per le recessioni. Analizziamole una per una.

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La portata della sorpresa è meglio illustrata dall’affermazione fatta nel 2017 dall’allora presidente della Fed e ora segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Yellen, secondo cui “non assisteremo a un’altra crisi bancaria nel corso della nostra vita”. Ironia della sorte, il recente episodio di stress bancario dei mercati sviluppati appare in qualche modo simile a quello che ha preceduto la crisi finanziaria globale del 2008, con un’importante differenza: questa volta la fonte principale di vulnerabilità è scaturita da misure volte a rendere le banche più sicure.

A differenza del 2008, la causa scatenante non sono stati i prodotti finanziari esotici, ma gli asset più sicuri che esistano, i Treasury statunitensi e gli agency bond, proprio gli asset che le banche erano state incoraggiate a detenere con le normative post-2008. Naturalmente, il valore di queste obbligazioni, molte delle quali acquistate durante il periodo di tassi d’interesse ai minimi, è crollato con i loro rialzi. È un po’ un mistero che, nonostante le banche centrali avessero preannunciato rialzi dei tassi storicamente ampi e rapidi, i dirigenti e i supervisori di queste banche fallite (e probabilmente anche di altre) abbiano apparentemente ignorato questa matematica obbligazionaria di base e le implicazioni negative per le valutazioni degli asset e le riserve di capitale.

La conseguente reazione politica è stata incoerente con i nuovi quadri definiti dopo il 2008, un fatto che non ha certo contribuito a rafforzare la fiducia nella loro efficacia. Negli Stati Uniti, dove si era capito che le banche di importanza non sistemica sarebbero state lasciate fallire (come contropartita per una regolamentazione meno invasiva) e i loro depositi non assicurati sarebbero stati liquidati in amministrazione controllata, è stata dichiarata una “esenzione dal rischio sistemico” per le banche più piccole e tutti i depositi sono stati garantiti retroattivamente. In Svizzera, le regole di prelazione dei creditori sono state messe da parte e alcuni titoli azionari sono stati rimborsati, mentre le obbligazioni AT1 junior non lo sono state.

Quindi, anziché infondere fiducia, queste misure hanno innescato ulteriore incertezza. Negli Stati Uniti, tutti i depositi non assicurati sono ora garantiti? Oppure i correntisti delle banche più piccole faranno bene a trasferire i depositi nelle banche più grandi “di importanza sistemica”, alimentando così la fuga dei depositi? I nuovi inquadramenti non funzionano o il problema di fondo è così grande che può essere risolto solo violando le norme istituite per la risoluzione? I governi e le autorità di regolamentazione hanno cercato di rispondere a queste preoccupazioni sottolineando ripetutamente la sicurezza delle banche. Inoltre, i responsabili delle politiche monetarie hanno insistito sulla possibilità di continuare ad aumentare i tassi per combattere l’inflazione, poiché dispongono di ulteriori strumenti per salvaguardare la stabilità finanziaria.

Quest’ultima affermazione invita gli investitori a essere scettici. La curva dei rendimenti fortemente invertita – quando i tassi di interesse a breve superano quelli a lungo termine – ha rappresentato un enorme fattore sfavorevole per le banche, non solo per quanto riguarda le minusvalenze da valutazione del loro portafoglio obbligazionario, ma anche per quanto riguarda la loro attività principale di trasformazione delle scadenze: prendere a prestito a breve e prestare a lungo. Sebbene i finanziamenti di emergenza possano risolvere i problemi di liquidità, non possono aumentare le riserve di capitale di una banca per concedere prestiti; solo tassi più bassi possono farlo. Nella situazione attuale, la curva dei rendimenti è ancora più invertita rispetto a prima del 2008 e c’è il rischio concreto che, continuando ad aumentare i tassi, le banche centrali siano pronte a innescare una contrazione del credito e una conseguente recessione prima di tagliare i tassi.

Tuttavia, una nota positiva è che non pensiamo che tutto questo sia un nuovo 2008. È improbabile che le banche siano l’epicentro di una nuova crisi, dati i livelli generalmente elevati di capitalizzazione e le misure di sicurezza ufficiali.

Detto ciò, vi sono ovvie preoccupazioni in altri ambiti dei mercati finanziari. Abbiamo già assistito all’implosione di gran parte dell’ecosistema delle criptovalute e al crollo delle valutazioni del settore tecnologico quando l’aumento dei tassi di interesse ha messo in discussione i loro fondamentali. Inoltre, vi sono altri settori che durante il periodo di tassi d’interesse ai minimi hanno registrato una crescita spettacolare, soprattutto i mercati privati, mentre circolano preoccupazioni per gli immobili commerciali (che oltre all’aumento dei tassi d’interesse sono colpiti dal potenziale passaggio al lavoro e alla vendita al dettaglio da remoto). In un certo senso, il fallimento di Silicon Valley Bank ha raccolto tutti e tre questi rischi, oltre a una scarsa gestione e vigilanza.

Con i problemi del sistema bancario negli Stati Uniti e in Europa, l’Asia può sembrare un porto sicuro in caso di tempesta. Questa prospettiva è in parte fondata, poiché la crisi finanziaria asiatica della fine degli anni ’90 sembra aver dato vita a sistemi più resilienti rispetto alla crisi del 2008 nei Paesi occidentali. Tuttavia, anche i sistemi finanziari dei Paesi nord-asiatici in surplus hanno investito pesantemente in obbligazioni quando i rendimenti erano bassi e stanno registrando perdite mark-to-market simili. Di conseguenza, una grave perturbazione finanziaria negli Stati Uniti e in Europa – pur non essendo il nostro scenario di base – si riverserebbe sull’Asia.

In tale contesto, è poco probabile che le turbolenze finanziarie siano finite. Non abbiamo la sfera di cristallo, ma è bene che gli investitori non confondano una tregua nelle preoccupazioni e nella volatilità di mercato con il via libera a una nuova indiscriminata assunzione di rischio. Anche la fiducia nella competenza normativa è inficiata. In definitiva, i rialzi aggressivi delle politiche monetarie dovranno probabilmente essere allentati, anche a costo di accettare un esito dell’inflazione di medio termine più elevato. Un mondo di shock finanziari continui e di stretta creditizia sarebbe un’alternativa ancora meno appetibile.

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