Franz Weis, CIO, Analyst/Portfolio Manager e Managing Director delle strategie azionarie europee di Comgest
I dati macro hanno rivelato crescenti segnali di rallentamento dell’economia in Europa, con un nuovo calo della produzione industriale tedesca e un tasso di inflazione ancora elevato, sebbene in diminuzione. Alla luce degli sviluppi in Medio Oriente, ci aspettiamo che la volatilità rimanga elevata.
Novo Nordisk ha fornito ancora una volta un contributo positivo, grazie alle buone notizie sull’efficacia del GLP-1 nel trattamento di un’altra patologia, questa volta la malattia renale cronica. Le azioni hanno reagito positivamente alla notizia di un’ulteriore espansione del mercato potenziale del farmaco e di un’argomentazione sempre più convincente per la copertura dei rimborsi. Nemetschek è salita grazie ai solidi risultati del terzo trimestre, in quanto l’azienda ha dimostrato di essere riuscita a portare a termine la transizione in corso nonostante il contesto negativo dell’edilizia. Anche i solidi risultati di Dassault Systèmes hanno dimostrato un buono slancio con l’implementazione della sua piattaforma 3DEXPERIENCE.
Anche le azioni di Lonza sono scese, dopo l’annuncio durante il Capital Markets Day di una revisione al ribasso delle previsioni per il 2024 a causa di una combinazione di diversi fattori. La notizia è stata tuttavia accompagnata da nuove stime per il 2028, che indicano un ulteriore dinamismo della crescita futura dell’azienda.
A cura di Rollo Roscow, Emerging Markets Fund Manager e Andrew Rymer, Senior Strategist, Strategic Research Unit, Schroders
È stato un anno difficile per i mercati emergenti globali a causa della combinazione di una forte performance degli Stati Uniti e di una debole performance della Cina. La dispersione dei rendimenti all’interno dell’universo emergente è stata ampia e ci sono stati vincitori e vinti. L’Europa emergente è una regione che quest’anno ha registrato rendimenti eccellenti. L’indice MSCI EM Europe è avanzato di oltre il 26% da un anno all’altro (al 22 novembre 2023). I risultati elettorali, favorevoli alle prospettive a lungo termine, rappresentano uno dei fattori. Questa performance segue anche un 2022 difficile, con la regione colpita dallo shock dei prezzi dell’energia e dall’impatto dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha portato anche all’eliminazione della Russia dall’asset class d’investimento.
Dal punto di vista degli investitori, l’Europa emergente comprende la Repubblica Ceca, la Grecia, l’Ungheria, la Polonia e la Turchia, sebbene nella regione vi siano anche mercati di frontiera investibili. L’Europa emergente può essere più piccola in termini di capitalizzazione di mercato rispetto al mercato emergente globale, ma racchiude alcune interessanti opportunità strutturali a lungo termine.
Il quadro positivo della crescita economica nell’Europa emergente
In base alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale di ottobre, le prospettive di crescita economica per il 2024 per la maggior parte dei mercati europei emergenti sono positive, con un’espansione del 2% o più per tutte le economie regionali. La Turchia rappresenta un’eccezione, ma per le altre economie le prospettive sono sostenute da un calo dell’inflazione, che consente ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse e che dovrebbe sostenere i consumi. I fondi di coesione dell’Unione Europea e il dispositivo per la ripresa e la resilienza post-pandemia rappresentano ulteriori sostegni, sebbene vi siano alcuni rischi in Ungheria e, in parte, in Polonia. Inoltre, il miglioramento delle prospettive globali dovrebbe essere di supporto alle esportazioni.
Le banche centrali delle economie CE3, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, hanno aumentato significativamente i tassi di interesse da quando è iniziata la stretta monetaria nel 2021, per contrastare l’aumento dell’inflazione. La situazione è stata complicata dallo shock dei prezzi dell’energia seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Di conseguenza, il grado di inasprimento della politica monetaria è stato piuttosto significativo, in particolare in Ungheria, dove i tassi sono stati aumentati di oltre 12 punti percentuali. Come altrove, quest’anno la pressione inflazionistica è diminuita e il calo significativo del prezzo del gas naturale è stato un notevole sostegno.
Tuttavia, c’è ancora del lavoro da fare per riportare l’inflazione più vicina all’obiettivo e i tassi di policy potrebbero rimanere più alti a lungo nella regione, anche se le banche centrali di Ungheria e Polonia hanno iniziato ad allentare la pressione. In effetti, i tassi di riferimento in Polonia e Ungheria rimangono in territorio negativo.
In Grecia, l’inflazione complessiva, nonostante la recente ripresa, è scesa a un livello più basso, attestandosi al 3,4% su base annua (a/a) in ottobre. In quanto membro dell’Eurozona, la politica monetaria della Grecia è stabilita dalla Banca centrale europea. Dopo aver aumentato i tassi di riferimento al 4,0% e al 4,5% a settembre, ci aspettiamo che la Bce rimanga in attesa fino al prossimo anno, quando è previsto il taglio dei tassi.
L’eccezione: la Turchia
La Turchia rimane un’eccezione alla regola. Il tasso d’inflazione nominale in Turchia rimane non ancorato e ha accelerato fino al 61%. La banca centrale, dopo la nomina di un nuovo governatore, ha aumentato il tasso di riferimento di oltre 25 punti percentuali, portandolo al 35%, ma il tasso reale rimane profondamente negativo. In vista delle elezioni municipali del 2024, vi è un notevole incentivo a sostenere l’economia e quindi il rischio di un’altra inversione di rotta rimane elevato.
Il miglioramento dei bilanci
I conti pubblici di tutta la regione sono in deficit ma, ad eccezione dell’Ungheria, sono a livelli ragionevoli. Le proiezioni dell’UE indicano miglioramenti fino al 2024, anche se quest’anno la Polonia potrebbe registrare un certo deterioramento a causa dell’aumento della spesa in vista delle elezioni. Il governo entrante probabilmente onorerà gli impegni pre-elettorali del governo precedente. Nonostante ciò, il rapporto debito/Pil rimane ragionevole rispetto alle altre grandi economie, al di sotto del 50%.
In Ungheria, il deficit fiscale dovrebbe scendere al 4% per quest’anno, dal 6,2% del 2022. Il rapporto debito/Pil era al 74% alla fine del 2022. Anche il debito lordo in rapporto al Pil è elevato, oltre il 70% del Pil, molto più alto rispetto ai vicini dei Paesi CE3.
Quali sono i rischi?
Un rischio evidente per queste economie è il potenziale di un altro shock dei prezzi dell’energia e di un rallentamento più grave nell’Eurozona. Questo rischio si è in qualche modo attenuato, grazie alla moderazione dei prezzi energetici globali e alla buona situazione degli stoccaggi di gas nell’Unione Europea. Tuttavia, lo scenario di prezzi energetici elevati rimane una minaccia per le prospettive, dato il potenziale impatto sulla crescita e sull’inflazione. Una nuova escalation del conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe inoltre far aumentare nuovamente i premi di rischio.
Mentre si prevede un miglioramento delle relazioni della Polonia con l’Ue, in Ungheria questi rischi permangono. Le scarse relazioni con Bruxelles sono state una caratteristica a lungo termine sotto la guida del Primo Ministro Orban. Sembra che alcuni fondi di coesione, pari a circa 13 miliardi di euro, possano essere sbloccati in relazione alla riforma giudiziaria. I fondi per la ripresa e la resilienza rimangono bloccati. Se i requisiti di finanziamento esterno aumenteranno nel 2024, si potrà trovare un ulteriore accordo per sbloccare almeno una parte di questi fondi. L’aumento dei disavanzi fiscali rappresenta un ulteriore rischio soprattutto per l’Ungheria, così come il potenziale di nuove imposte settoriali. In Turchia, il rischio principale è che la politica torni a essere ancor meno convenzionale.
Conclusioni
Non siamo ottimisti su Turchia e Repubblica Ceca. Per quanto riguarda la Turchia, ciò è dovuto ai continui dubbi sull’impegno a lungo termine di una politica monetaria ortodossa. Inoltre, esiste un rischio valutario. Per quanto riguarda la Repubblica Ceca, le prospettive macroeconomiche stanno migliorando, grazie al sostegno dei fondi europei per la ripresa, e le valutazioni sono ragionevoli. Tuttavia, le opportunità bottom-up sono limitate. Abbiamo una visione positiva su Grecia, Polonia e Ungheria, con valutazioni complessive interessanti in tutti e tre i mercati. In Grecia, le solide prospettive a lungo termine rimangono inalterate, grazie al continuo sostegno dei fondi di ripresa di Bruxelles e allo slancio delle riforme.In Polonia, le prospettive di crescita a medio termine sono positive, sostenute dal miglioramento del flusso di fondi europei e dal nearshoring. Infine, in Ungheria, il rischio politico continua a preoccupare, mentre la crescita economica è stata debole. Tuttavia, l’inflazione sta scendendo da un livello elevato e la banca centrale ha iniziato ad allentare la politica monetaria.
A cura di Kaspar Hense, Senior Portfolio Manager, Investment Grade, RBC BlueBay
In Europa, la situazione del rapporto debito/Pil non è così problematica, e diversi Paesi stanno ottenendo buoni risultati nella sua riduzione. Tuttavia, è necessario prestare una certa attenzione all’Italia.
La spesa in deficit dell’Italia è più alta di quanto auspicato dall’Unione Europea
Non si tratta di un campanello d’allarme, ma i dati di bilancio resi noti dall’Italia a settembre non sono così buoni come si sperava. Le previsioni di crescita per il prossimo anno sono state tagliate all’1,2%, mentre gli obiettivi per il deficit sono stati rialzati al 5,3% quest’anno e al 4,5% nel 2024.
Si potrebbe sostenere che le spese in deficit sono necessarie in queste circostanze, dato che i livelli di crescita sono piuttosto stagnanti in tutto il continente, che deve ancora fare i conti con le ripercussioni degli shock causati dal Covid e delle preoccupazioni per l’approvvigionamento energetico. Tuttavia, le cifre dell’Italia sono più alte di quanto auspicato dall’Unione Europea, in particolare dagli stati nordici più austeri.
L’Italia potrebbe essere ancora lontana da un deficit primario stabile, con previsioni dell’1,5% e dello 0,5% per quest’anno e per l’anno prossimo, comunque sufficienti a mantenere per il momento stabile il rapporto debito/Pil. L’unico segnale d’allarme per l’Italia consisterebbe in una perdita del sostegno dell’Unione Europea. Tuttavia, il primo ministro Giorgia Meloni si è mostrata decisamente meno polemica del vicepremier Matteo Salvini. Si è allineata alla posizione dell’UE sull’Ucraina e ha mediato i finanziamenti europei per sostenere l’economia tunisina e affrontare la migrazione irregolare. L’Italia ha inoltre manifestato l’intenzione di ritirarsi dall’iniziativa Belt and Road della Cina, mentre l’Europa sviluppa un proprio progetto d’investimento infrastrutturale a livello mondiale. Questa relazione produttiva dovrebbe contribuire ad agevolare i futuri negoziati sul bilancio.
Ci vorrà del tempo per un calo dell’inflazione
Vediamo che l’Europa è in linea coi mercati globali. L’inflazione è ancora vischiosa e necessita di tempo per calare, pertanto, riteniamo che nel prossimo futuro la Bce manterrà i tassi al 4%. L’inflazione dei costi per le abitazioni, in particolare, richiederà tempo per registrare una flessione, così come l’inflazione salariale, visto che, in Europa, le negoziazioni salariali hanno luogo generalmente su base biennale.
I rendimenti dovrebbero quindi rimanere nella fascia alta, i rendimenti decennali italiani dovrebbero raggiungere il 5% e i bund tedeschi attestarsi attorno al 3%. Allo stesso tempo, è improbabile che le prospettive sul Pil migliorino in modo consistente, e la crescita reale dovrebbe rimanere nell’intervallo 0-1%. Ciò significa che gli investitori dovrebbero beneficiare di opportunità a lungo termine per approcciarsi ai mercati del reddito fisso.
A livello tecnico, esiste un punto interrogativo sul reale funzionamento del mercato del debito europeo. A marzo, la Bce ha ultimato gli acquisti di obbligazioni, noti come investimenti previsti dal Public Sector Purchase Programme, lasciando qualche dubbio sulla capacità del mercato di trovare un equilibrio con l’offerta.
La Bce effettuerà una revisione in ambito monetario nel primo trimestre del 2024, sperando che manifesti una maggiore flessibilità per intervenire di tanto in tanto sul mercato. Ha a disposizione il programma Transmission Protection Instrument, ma dovrebbe registrarsi un movimento significativo degli spread italiani per poterlo riattivare.
A cura di Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management
13.11.2023
Le previsioni sulla congiuntura globale sono diverse rispetto a quelle dello scorso giugno: da entrambi i lati dell’Atlantico le attese sono di crescita moderata e inflazione sotto controllo, il migliore dei mondi possibili per gli investimenti, anche perché la politica restrittiva delle banche centrali sembra arrivata al capolinea. Si possono trovare opportunità sia nell’equity sia nei bond. Fari su obbligazioni governative USA a lungo termine, i soliti noti di Wall Street e sul lusso europeo; titoli energetici come copertura dai rischi geopolitici.
Le ombre nere di una possibile recessione d’autunno, che fino a giugno si stagliavano minacciose contro l’economia globale, sembrano svanite. Le previsioni per il 2024 sono tutte a favore di un soft landing, caratterizzato da crescita congiunturale moderata e inflazione sotto controllo. Per gli Usa la Fed delinea una proiezione di crescita del PIL dell’1,5% e un tasso di inflazione del +2,5%, con il consenso degli analisti che si attesta leggermente al di sotto di queste cifre (+1% la previsione di crescita del Pil e +2,7% quella dell’inflazione). Per quanto riguarda l’Europa, Bce e analisti sono allineati con queste aspettative, in quanto prevedono una crescita moderata e un’inflazione non problematica. Segnatamente, l’Eurotower stima il Pil in aumento dell’1%, l’inflazione al +3,2% e il consenso rispettivamente a +0,7% e +2,7%.
Il Fondo Monetario Internazionale, che si è riunito a Marrakech a ottobre, nell’ultimo outlook sull’economia globale ha confermato previsioni simili: nel 2024 il PIL degli Usa aumenterà del +1,5% e quello europeo del +1,2%. Ma il dato che deve essere sottolineato ancora una volta è che, soprattutto per gli Stati Uniti, le stime suggeriscono una crescita del PIL accompagnata da un calo dell’inflazione, il che rappresenta una delle migliori combinazioni possibili. Anche in area Euro, nonostante i ritardi nella fase ciclica e la nuova fiammata dei prezzi energetici, ci sono molte indicazioni che suggeriscono una tendenza deflazionistica anche nel Vecchio Continente: uno scenario che inizia a essere condiviso anche dagli economisti più hawkish.
Effetto Covid: l’onda lunga della pandemia condiziona ancora i mercati
Le previsioni sul ritracciamento dell’inflazione sono rafforzate anche dall’osservazione dell’impatto che il COVID-19 ha avuto sulla dinamica di domanda e offerta. In altre parole, poiché l’inflazione deriva principalmente dagli eventi straordinari del biennio pandemico, la loro conclusione dovrebbe accompagnarsi a una mitigazione anche dei prezzi. Durante la pandemia, infatti, la domanda è stata compressa dai lockdown estesi, mentre l’offerta si è ridotta a causa delle interruzioni nelle catene di approvvigionamento. In risposta sono state adottate politiche economiche ultra accomodanti per risollevare l’economia, stimolando una crescita esplosiva e, come conseguenza, un aumento dell’inflazione nel 2021-2022.
Nel 2022 le misure di stimolo sono state gradualmente ridotte e la domanda si è normalizzata. Al momento stiamo assistendo anche a una normalizzazione dell’offerta, uno sviluppo del tutto positivo perché contribuisce a contenere l’inflazione senza compromettere la crescita economica. Attualmente, la maggior parte delle voci di spesa nel paniere del consumatore statunitense mostra un aumento delle quantità e prezzi stabili.
Figura 1
Persistono alcuni elementi di incertezza per le aziende, le cui emissioni a costo zero arriveranno a scadenza nel 2025
Nonostante il quadro generale sia abbastanza positivo, persistono elementi di preoccupazione, per due motivi. In primo luogo, si ritiene che la robusta crescita economica conservi tracce residue dell’eredità della pandemia, possa, cioè, essere in parte dovuta all’eccesso di risparmio accumulato durante i lockdown dalle famiglie e poi riversato sull’economia massicciamente alla fine della crisi. Quella liquidità si è poi esaurita contestualmente all’arrivo dell’inflazione. Lato imprese, invece, molte di loro hanno emesso obbligazioni aziendali a tassi di interesse molto bassi durante la lunga fase di politiche monetarie accomodanti. Queste obbligazioni arriveranno a scadenza e dovranno essere rifinanziate a tassi più elevati tra il 2025 e il 2026, con conseguente aumento dei costi a carico delle imprese, elementi che potrebbero compromettere la crescita: non a caso, l’attenzione del mercato finanziario si sta spostando dalla paura dell’inflazione al timore di una crescita economica insufficiente.
Dove andranno i tassi di interesse? Il ciclo restrittivo sembra giunto al capolinea
I tassi di interesse sono un argomento chiave in questo contesto. La Bce ha interrotto il ciclo di rialzi per la prima volta dal 2022; la Fed potrebbe avere margine per un ultimo aumento nel 2023, ma gli utili dati e le ultime comunicazioni di Powell lasciano immaginare che anche negli USA il ciclo di rialzi abbia sia terminato. Esiste un disallineamento nelle previsioni sulla direzione della politica monetaria dei prossimi mesi: nel 2024 la Fed prevede due tagli e il mercato ne stima più di tre; mentre dal 2025 la situazione si inverte con il mercato che si colloca su un livello di tassi superiore a quello della Fed, guardando già al tasso terminale.
Figura 2
Come orientarsi, quindi? Una risposta è possibile trovarla nelle curve obbligazionarie. I mercati obbligazionari hanno attraversato un periodo di volatilità a partire dalla metà di agosto, con un aumento dei tassi e la contemporanea correzione dell’equity. È importante comprendere le ragioni di questa turbolenza. Contrariamente alle aspettative, la causa principale di questa situazione non è l’inflazione, che si è attestata su livelli inferiori rispetto alla fine di giugno; al contrario, è la curva dei tassi reali che ha superato il 2,50% su tutte le scadenze. I tassi reali a lungo termine dipendono da considerazioni di lungo termine: riflettono la velocità di crociera dell’economia, dipendono da fattori strutturali come demografia e produttività. Attualmente sono oltre un punto al di sopra dei valori di giugno, nonostante il recupero delle prime giornate di novembre. Difficile trovare spiegazioni convincenti, ma è importante notare come una parte consistente di questi movimenti sia dovuta a fattori tecnici (emissioni, comportamento istituzioni estere). È quindi legittimo aspettarsi una stabilizzazione del mercato obbligazionario, soprattutto per quanto riguarda le scadenze lunghe della curva americana.
Nel medio termine le azioni battono i bond
Per capire come questo quadro macro influirà sui mercati dobbiamo partire dall’assunto che la straordinaria condizione di correlazione tra azioni ed obbligazioni sperimentata nel 2022 e nei tre mesi appena passati del 2023 (agosto-ottobre) sia destinata a non ripetersi. Lo scenario diventa gestibile in termini di costruzione di portafoglio nel momento in cui si transita dalla paura dell’inflazione alla preoccupazione per la crescita economica. Gli investitori che puntano sulla decorrelazione tra diverse classi di attività nel 2024 possono trovare opportunità sia nel mercato azionario sia in quello obbligazionario, tenendo conto dei diversi fattori di rischio e rendimento.
Un confronto tra i rendimenti attesi delle azioni e delle obbligazioni evidenzia alcune considerazioni chiave. Attualmente, il rendimento atteso delle azioni, con un rapporto prezzo/utili (P/E) di 20, è del 5%, mentre il rendimento reale delle obbligazioni è del 2,3%. Questa differenza implica un rendimento aggiuntivo del 2,7% rispetto alle obbligazioni, che è ai minimi dal 2002 e visto da solo renderebbe l’acquisto di obbligazioni più attraente rispetto alle azioni. Questo vale se si limita lo sguardo al lato della “domanda”, ovvero paragonando dinamicamente due attività finanziarie concorrenti. Tuttavia, spostandoci sul fronte dell’offerta, interviene un altro fattore: il numero di azioni disponibili sul mercato negli ultimi 20 anni si è paradossalmente ridotto, mentre il numero di obbligazioni sovrane, societarie e finanziarie è continuato ad aumentare. La scarsità di offerta di azioni è in gran parte attribuibile ai programmi di acquisto di azioni proprie (“buyback”) condotti dalle grandi società tecnologiche, dai farmaceutici, dalle banche e dalle aziende energetiche. Dei circa 2000 mila miliardi di dollari di utili delle società dell’S&P 500 i buyback rappresentano una cifra pari alla metà: poco meno di un trilione di dollari di riacquisto di azioni proprie all’anno. Questo aspetto può alterare il confronto del rendimento relativo tra azioni ed obbligazioni oggi rispetto agli ultimi dieci anni. Infatti, se guardiamo ai multipli di aziende come Google, che attualmente opera con un rapporto P/E previsto del 18 rispetto agli utili del 2024, o Meta (P/E 2024 a 17) è evidente che siano leggermente più care rispetto al mercato nel suo insieme (a quota 14). Ma si tratta di una differenza allineata a quello degli ultimi dieci anni. Estendendo il ragionamento alle cosiddette “magnifiche 7” (Apple, Microsoft, Google, Meta, Nvidia, Amazon, Tesla), si vede come, a dispetto di valutazioni generose come lo sono state in media, si ottiene una crescita degli utili vastamente superiori.
Figura 3
D’altro canto, sul fronte obbligazionario gli alti rendimenti comportano rischi aggiuntivi, in particolare quello di volatilità, che si è attestato per questa asset class nell’ordine del 10-15%, non collimando con il profilo di un rischio moderato di chi acquista sul mercato obbligazionario. In conclusione, è importante sottolineare come ci siano opportunità sia sul mercato azionario sia su quello obbligazionario: diventa sempre più concreta la possibilità di investire su entrambe le attività, visto che è sempre più vicino un mondo di correlazioni più utili alla costruzione di portafoglio.
A cura da Alessandro Guzzini, Ceo Finlabo Sim e gestore di Finlabo Dynamic Equity
L’economia globale è prossima a entrare in una fase di recessione. L’Europa si trova già in questa fase mentre, negli USA, i principali anticipatori dell’andamento del ciclo economico mostrano una probabilità estremamente elevata di una recessione entro il 2024. Il deterioramento dei dati macroeconomici e delle condizioni finanziarie è ormai evidente. L’inversione della curva dei titoli del Tesoro mostra uno spread tra i titoli a scadenza a 2 anni e quelli con scadenza a 10 anni paragonabile a quello che si è registrato a fine anni ’70.
Nelle fasi finali di bull market azionario non è raro vedere i titoli a maggiore capitalizzazione fare da scudo contro i cali in Borsa e scendere in seguito rispetto ad altri titoli. In questo ambiente, il rischio però è che alcune posizioni particolarmente sovraffollate, reputate più sicure dal mercato, si trasformino invece in trappole da cui poi è più difficile uscire, soprattutto se dovessero esserci accelerazioni al ribasso sul mercato, con perdite maggiori rispetto ad altri segmenti che hanno già prezzato in precedenza il rischio di recessione.
Eccesso di euforia
Nell’ultima grande crisi finanziaria, le small e mid cap americane iniziarono a sottoperformare verso la fine del 2007. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, il 15 settembre 2008, iniziarono a recuperare facendo meglio delle blue chip che crollarono in Borsa. Nonostante sia improbabile il ripetersi di uno scenario visto quindici anni fa, è quasi certo dal punto di vista statistico che l’attuale spread tra le small e le large cap sia destinato prima o poi a chiudersi. Il modo più probabile, secondo noi, è che ciò avvenga con la discesa delle blue chip. Ci sono dei segnali in questa direzione anche in Europa dove, per esempio, Novo Nordisk, società danese che opera nel settore dei farmaci per il diabete e l’obesità, è oggi tra i top performer in Borsa, oltre a essere tra i titoli a più grande capitalizzazione e anche tra i più cari. Il titolo è arrivato a quotare quasi 15 volte i ricavi, in un settore nel quale, in media, le aziende non superano tre volte i ricavi. Secondo noi, attorno a questi titoli large cap c’è un eccesso di euforia che non prezza correttamente i rischi derivanti dalla concorrenza nel settore farmaceutico e dalla diversa regolamentazione dei farmaci nei vari paesi.
Maggiori opportunità nei titoli value
Come negli Usa, anche in Europa i titoli small e mid cap hanno già incamerato nei prezzi il rischio recessione, mentre le Borse sono state sostenute soprattutto dai titoli large cap e growth, una dinamica riscontrabile soprattutto a Piazza Affari e sul mercato azionario francese. In Europa un catalizzatore per la chiusura dello spread tra large cap e small/mid cap potrebbe derivare dal ritorno a una inclinazione positiva della curva dei rendimenti non appena le banche centrali andranno a ridurre i tassi. L’ingresso in una recessione e il successivo allentamento monetario, in quanto crediamo che i tassi abbiano toccato il picco a livello nominale e reale, potrebbero spingere invece quei temi di Borsa che sono oggi particolarmente penalizzati, come nel caso dei titoli ciclici e di quelle aziende meno esposte al ciclo economico, ma particolarmente sensibili all’aumento dei tassi.
Cinque titoli da monitorare in Europa
Un settore particolarmente interessante e sottovalutato è l’immobiliare, dove l’aumento dei tassi ha impattato sull’attività delle imprese del settore che hanno sottoperformato in Borsa e oggi mostrano rendimenti attesi molto elevati. In questo segmento, vediamo del valore in Icade, società immobiliare francese controllata dalla Caisse des dépôts et consignations, che ai prezzi attuali sconta un rendimento atteso superiore al 10% annuo. Vediamo una possibilità di un repricing molto significativo del titolo a fronte di uno scenario sul breve-medio termine con tassi, nominale e reali, in discesa.
Tra gli altri titoli che riteniamo interessanti, c’è Hochschild Mining, società mineraria quotata alla Borsa di Londra, che ha ottenuto un rinnovo ventennale della concessione in Perù ed è prossima ad avviare una nuova miniera in Brasile. Opera in un settore, quello aurifero, che dovrebbe trarre beneficio sia da un rallentamento dell’economia a livello globale, o da una recessione, sia da condizioni monetarie più favorevoli da parte delle banche centrali.
Un altro settore che ci convince è quello dell’Oil & Gas. Una quota consistente di flussi negli ultimi anni è andata su fondi molto stringenti dal punto di vista Esg. L’eccessiva selettività ha portato a una profonda sottovalutazione di alcune società escluse dai fondi sostenibili e che ora offrono rendimenti attesi superiori, in alcuni casi, anche del 20%, e costituiscono interessanti opportunità di acquisto sul mercato. In questo segmento ci ha convinto la società spagnola Repsol, che oggi il mercato valuta 4,5 volte gli utili, sebbene le prospettive di crescita del titolo siano incoraggianti anche per la recente dinamica dei prezzi che ha iniziato a girare al rialzo. Una dinamica simile è riscontrabile nel gruppo Tlc Proximus, società belga che è arrivata quotare circa sette volte gli utili, con dividendi attesi di circa il 10% e stime sulla profittabilità al rialzo. Nel settore finanziario, infine, troviamo eccessivamente sottovalutata l’austriaca Raiffeisen Bank, che oggi è prezzata poco sopra 3 volte gli utili, penalizzata dopo il conflitto in Ucraina per l’esposizione al mercato russo. Prevediamo un forte upside per questa banca, che continua a mostrare fondamentali solidi, anche a seguito dell’annuncio una forte riduzione del portafoglio prestiti in Russia. Inoltre, la banca ha confermato l’intenzione di cedere la controllata russa.
Dopo il rialzo della prima parte dell’anno, all’inizio di agosto l’indice MSCI Europe ha iniziato ad arretrare. L’inflazione di fondo si sta allentando, ma non così velocemente come qualcuno aveva sperato. Il tasso sui depositi della Bce è stato aumentato sei volte quest’anno, fino all’attuale 4%, e la Presidente Lagarde si augura che non siano necessari ulteriori rialzi. Intanto, la crescita rallenta e la BCE ora prevede un incremento del PIL nell’Eurozona di solo lo 0,7% quest’anno e di poco superiore l’anno prossimo. Anche la Cina sembra in fase di rallentamento, come testimoniato negli ultimi mesi da molte società legate ai consumi. Le aspettative degli analisti stanno scendendo di conseguenza e, riguardo agli utili di mercato, ora si prevede un rialzo minimo quest’anno.
Fino ad ora, il 2023 è stato un altro anno positivo dal punto di vista dei fondamentali. Per due volte Novo Nordisk ha rivisto al rialzo le previsioni dell’anno in corso e ha inoltre annunciato risultati incoraggianti dello studio SELECT sui benefici cardiovascolari di Wegovy, il suo farmaco contro l’obesità. Questo dato è importante perché aumenta le possibilità di accesso al mercato in un momento in cui i budget sanitari sono sotto pressione.
Nell’area dei beni di consumo, Inditex ha pubblicato una serie di dati semestrali molto positivi, dove si evidenzia una forte progressione del fatturato e degli utili. La conquista di nuove quote di mercato da parte della società ha subito un’accelerazione dopo il Covid e non vi sono segnali di rallentamento.
Ferrari ha pubblicato solidi risultati e rivisto al rialzo le previsioni dell’anno in seguito all’ottima dinamica del marchio. Il successo del SUV Purosangue, associato all’efficace strategia di “premiumisation” (tendenza dei consumatori ad acquistare prodotti di fascia di prezzo superiore), mette la società nell’invidiabile posizione di avere un portafoglio ordini che si estende fino al 2025.
Le previsioni sull’inflazione e sui tassi d’interesse continuano a dominare i mercati, mentre le stime di crescita sono di nuovo oggetto di una revisione al ribasso. In questo manteniamo il nostro focus anche su società poco indebitate e poco influenzate dal ciclo economico, con alti livelli di ricavi ricorrenti che dovrebbero aiutarle a superare le fasi di rallentamento dell’economia. Crediamo sia importante applicare un nostro approccio rigoroso alle valutazioni, senza mai scendere a compromessi sulla qualità.
Quanto è probabile uno scenario di stagflazione in Europa?
I Cpi si trovano oggi a livelli ben superiori rispetto allo storico dell’ultimo periodo sia nell’Eurozona che nel Regno Unito, mentre il target del 2% che rappresenta l’obiettivo delle Banche Centrali sembra ancora lontano
Rispetto all’inflazione monetaria, l’inflazione da offerta, cioè quella derivante dall’impennata dei costi di produzione, tende a sfuggire al controllo dei banchieri centrali e rischia di impattare negativamente anche sulla crescita, già duramente compromessa dall’aumento del costo del denaro
Nonostante nell’ultimo meeting di settembre la BCE abbia dato segnali abbastanza incoraggianti sul raggiungimento del picco della stretta monetaria, il rialzo del prezzo del petrolio al barile e l’aumento dei consumi durante la stagione invernale potrebbero ostacolare il rallentamento dell’inflazione in Ue
Sul fronte della crescita, sia Ue che Uk hanno dovuto rivedere al ribasso le proprie stime e il contesto produttivo presenta ancora diverse sfide che potrebbero minare ulteriormente il quadro
Al momento, Moneyfarm non considera quello stagflattivo come lo scenario più probabile, ma l’incertezza sui mercati suggerisce di mantenere un posizionamento conservativo e ben diversificato
A cura di Davide Petrella, Portfolio Manager di Moneyfarm
Milano, 5 ottobre 2023 – Tra gli operatori dei mercati finanziari si è tornati a parlare di “stagflazione”, ossia la combinazione di inflazione elevata e bassi livelli di crescita reale. Nella fase attuale del ciclo economico, infatti, l’inflazione è tornata prepotentemente in scena, complici gli shock delle catene di approvvigionamento, di produzione e di distribuzione causati dalla pandemia prima e dall’invasione russa in Ucraina poi.
Il risultato è che i Consumer Price Index (Cpi) si trovano oggi a livelli ben superiori rispetto allo storico dell’ultimo periodo sia nell’Eurozona che nel Regno Unito, mentre il target del 2% che rappresenta l’obiettivo delle Banche Centrali è ancora lontano (Figura 1).
La risposta di BCE e BoE allo shock inflattivo non si è fatta attendere e si è concretizzata nel rialzo dei tassi più repentino della storia recente, che ha contribuito a raffreddare l’inflazione negli ultimi mesi, senza tuttavia risolvere il problema alla radice.
Occorre precisare come l’aumento generalizzato dei prezzi nel continente europeo sia fondamentalmente frutto di due concause:
Inflazione monetaria, cioè l’inflazione derivante dall’elevata liquidità che le banche centrali hanno iniettato nel sistema per far fronte alla pandemia;
Inflazione da offerta, cioè l’inflazione derivante dall’impennata dei costi di produzione che ha causato lo shock energetico dovuto alla crisi in Ucraina e che si è riversata sui consumatori finali.
Sebbene entrambe queste dinamiche concorrano all’aumento dell’inflazione, la seconda tende a sfuggire al controllo dei banchieri centrali e rischia di impattare negativamente anche sulla crescita, già compromessa dall’aumento dei tassi che ha determinato a sua volta un aumento del costo del denaro, complicandol’accesso al credito per imprese e consumatori. Se, da un lato, l’inasprimento della politica monetaria ha sicuramente contribuito al raffreddamento del trend inflattivo, bisogna considerare che l’inflazione è costituita da diverse componenti che possono reagire in maniera diversa ai rialzi dei tassi. La metrica tenuta in maggior considerazione dalle banche centrali, per avere una misura dell’inflazione che sia il più aderente possibile alla realtà, è la cosiddetta inflazione Core, che viene misurata sulla base dello stesso paniere con cui vengono calcolati i Cpi Headline (Figura 1), a cui viene sottratta la componente più volatile legata a energia e beni alimentari. Si tratta di un indicatore caratterizzato da una vischiosità superiore rispetto all’indice Headline, che solo recentemente ha iniziato a mostrare timidi segnali di rallentamento.
Nell’ultimo meeting di settembre, la Bce ha dato segnali più o meno incoraggianti sul raggiungimento del picco della stretta monetaria, affermando che, se mantenuto sufficientemente a lungo, il livello attuale dei tassi sarà abbastanza elevato da riportare l’inflazione dell’Eurozona sotto controllo. Tuttavia, la partita è ancora lontana dall’essere vinta, anche perché il rialzo del prezzo del petrolio al barile nelle ultime settimane e l’inizio ormai prossimo della stagione invernale rimettono al centro del dibattito i costi dell’energia i quali, se l’inverno alle porte si rivelasse freddo e i consumi elevati, potrebbero ostacolare il rallentamento dell’inflazione in Ue. Si stima che l’inflazione nell’Eurozona si attesterà intorno al 5,6% per la fine del 2023, per poi normalizzarsi significativamente nel 2024, quando dovrebbe toccare il 2,9%.
Sul fronte della crescita, come accennato in precedenza, l’attuale contesto economico e i fattori di stress che hanno interessato le catene di approvvigionamento, hanno contribuito a una revisione al ribasso delle stime di crescita per l’Ue. Il Summer 2023 Economic Forecast, prevede un tasso di crescita nominale annuale per il Pil dell’Eurozona pari allo 0,8% nel 2023 e all’1,3% nel 2024.
Dunque, il quadro macroeconomico attuale racconta di un’inflazione ancora elevata e di una crescita, seppur positiva, in rallentamento rispetto alle stime precedenti. Ad aumentare il pessimismo degli economisti anche il fatto che l’indicatore di sorpresa legato alla pubblicazione dei dati economici continui a essere fortemente negativo per l’Eurozona e in netto calo per il Regno Unito (Figura 2). Si tratta di un indice molto popolare tra gli operatori, che stima di quanto i dati economici regolarmente pubblicati si discostino dai valori attesi dagli analisti: se il valore è positivo, i dati economici hanno mediamente superato le aspettative (e viceversa). L’Eurozona, continuando a riportare regolarmente dati al di sotto delle attese, mostra forti segnali di debolezza e il Regno Unito segnali di deterioramento.
Un’altra metrica da tenere in considerazione riguarda la produzione industriale: i tassi di crescita rispetto all’anno scorso sono attualmente pari a -2,2% per l’Ue e al +0,4% per Uk, a conferma del fatto che gli stress passati non sono ancora stati pienamente assorbiti (Figura 3).
Tutti questi dati contribuiscono a spiegare perché la parola “stagflazione” è tornata sulla bocca degli esperti. L’inflazione rimane ben al di sopra dei livelli di guardia e l’incertezza crescente sul comparto energetico potrebbe rallentarnela normalizzazione. Per quanto riguarda la crescita, sia Ue che Uk hanno dovuto rivedere al ribasso le proprie stime e il contesto produttivo presenta ancora diverse sfide che potrebbero minare ulteriormente il quadro, facendo sì che inflazione elevata e crescita bassa (o addirittura negativa) coesistano all’interno dello stesso scenario.
È inoltre fondamentale evidenziare che, sebbene Ue e Uk si trovino ad affrontare un contesto sotto certi aspetti similare, le differenze tra i due casi sono nette (basti semplicemente pensare che l’Eurozona è composta da 20 economie diverse) e le specificità in questione potrebbero portare a sviluppi opposti. Il compito di analisti e gestori resta quello di monitorare costantemente l’evoluzione del contesto macroeconomico e geopolitico, in modo da ottimizzare il profilo rischio/rendimento dei portafogli.
Attualmente non riteniamo quello stagflattivo come lo scenario più probabile. Il nostro caso base prevede un rallentamento dell’economia piuttosto contenuto e accompagnato da una progressiva normalizzazione dell’inflazione. Visto il contesto di incertezza sui mercati, riteniamo che un posizionamento conservativo e ben diversificato possa portare benefici agli investitori.
A cura di Karin Kaiser, Head of Private Markets Europe, James Samworth, Co-head of Energy Transition, e Kristian Høeg Madsen, Co-head of Hydrogen, Schroders Greencoat
Come viene usato l’idrogeno
L’idrogeno è oggi utilizzato in diversi settori e la sua produzione lo rende uno dei principali responsabili delle emissioni di anidride carbonica (CO2). La molecola dell’idrogeno è molto flessibile e può essere utilizzata come materia prima per molti processi. Ci sono casi in cui viene utilizzato direttamente, ad esempio nell’industria siderurgica, che è responsabile del 9% delle emissioni globali, rappresentando, quindi, un importante settore da decarbonizzare.
Il nostro focus principale è rappresentato dall’idrogeno verde, ovvero quello prodotto dall’elettrolisi dell’acqua utilizzando come fonte di alimentazione l’energia rinnovabile. Fra le industrie “early mover” che lo utilizzano troviamo quelle rivolte ai consumer che, oltre a fattori economici, possono avere un ritorno anche a livello di brand o ESG, legato alla decarbonizzazione. Ciò include alcune aziende cartarie, ma anche produttori di alimenti e bevande. I grandi settori industriali stanno iniziando a muoversi man mano che i regimi di sovvenzione si consolidano, e questo porterà a una rapida crescita.
Il mercato dell’idrogeno in Europa e come investire
Per raggiungere il Net Zero entro il 2050, la strategia di transizione energetica dell’UE si concentra su alcune aree specifiche. Tra queste, la decarbonizzazione dell’elettricità, l’elettrificazione del calore e l’elettrificazione dei veicoli. Un ruolo importante nella strategia europea è l’adozione dell’idrogeno per i settori difficili da decarbonizzare.
Nel breve termine, le opportunità di mercato sono più limitate, ma riteniamo che nei prossimi decenni gli investimenti annuali nell’idrogeno diventeranno paragonabili a quelli delle energie rinnovabili. Entro il 2030, l’UE ha l’obiettivo di raggiungere una capacità produttiva annuale di circa 20 milioni di tonnellate. Secondo le nostre stime, entro il 2050 circa il 30% dell’attuale domanda di elettricità sarà impiegata per la produzione di idrogeno per elettrolisi. Ciò significa che abbiamo di fronte un’opportunità di mercato complessiva di circa 2.000 miliardi di dollari.
Per quanto ci riguarda, siamo esposti all’intero set di opportunità della transizione energetica, combinando l’esposizione alle energie rinnovabili, una asset class molto consolidata e che rappresenta un insieme di opportunità su scala istituzionale, con l’esposizione a quelle che chiamiamo tecnologie adiacenti, di cui l’idrogeno costituisce la parte più consistente.
In Europa, a livello strategico, ci muoviamo seguendo tre punti fondamentali: lavorare in partnership, essere attivi nella supervisione della costruzione e nella gestione degli investimenti (circa la metà del personale è costituita da ingegneri) e, infine, concentrare le nostre risorse sugli asset di generazione di energia su scala.
Dal punto di vista dei prodotti, questo significa che siamo molto concentrati sulla produzione e sul consumo locale di idrogeno e di e-Metanolo che, probabilmente, al momento, sono i prodotti più maturi e hanno maggiori probabilità di produrre flussi di cassa simili a quelli delle infrastrutture.
A breve termine, non intendiamo assumerci rischi di sviluppo su larga scala, ma entriamo nella fase avanzata di sviluppo e/o costruzione. Ciò garantisce un impiego relativamente rapido e ci consente di ottenere rendimenti sicuri in modo relativamente veloce. Dal punto di vista della struttura delle operazioni, cerchiamo di investire in piattaforme di asset e in asset singoli.
I paesi più interessanti a livello europeo
In Europa i progetti in fase di sviluppo relativi all’idrogeno si sviluppano intorno alle principali aree di consumo e produzione. In particolare, Spagna, Portogallo e Paesi nordici sono considerati i principali centri di produzione del prossimo futuro, grazie soprattutto ai bassi prezzi dell’energia elettrica e alla forte penetrazione delle energie rinnovabili. Abbiamo diversi progetti in divenire in Germania, paese destinato a diventare un importante centro di consumo non solo di idrogeno, ma anche di molti suoi derivati.
Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments
Si avvicina la prospettiva di una recessione per UK e UE?
· Gli indici dei responsabili degli acquisti dell’Eurozona, Stati Uniti e Regno Unito hanno registrato forti cali.
· Per l’Eurozona e il Regno Unito, l’indice composito è sceso al di sotto di 50, indicando una contrazione.
· Il quadro generale dei dati ci porta a stimare un rischio elevato di recessione in Europa, soprattutto in Germania, Paesi Bassi e Italia.
· Il Regno Unito dovrebbe cavarsela con una crescita debole, mentre gli Stati Uniti sembrano avere una base più solida.
Durante la scorsa settimana si è registrato un forte calo degli indici dei responsabili degli acquisti in zona Euro, Stati Uniti e Regno Unito. Per l’Eurozona e il Regno Unito, l’indice composito è sceso al di sotto di 50, indicando una contrazione e riaccendendo i timori di una recessione. Questi indici PMI sono tenuti sotto stretta osservazione e sono ampiamente considerati come indicatori accurati e tempestivi dell’attività economica complessiva. Alla luce di questi ultimi dati, dopo un’approfondita analisi, riteniamo che via sia un rischio elevato di recessione in Europa, soprattutto in Germania, Paesi Bassi e Italia, mentre il Regno Unito dovrebbe cavarsela con una crescita debole e gli Stati Uniti sembrano presentare una situazione ancora più stabile.
I dati provenienti dall’Eurozona mostrano una debolezza generale. In particolare, la fiducia dei consumatori e delle imprese si è indebolita, nonostante il calo dell’inflazione e i livelli record di disoccupazione. Diversi sono i fattori alla base di questa situazione. In primo luogo, sebbene i prezzi dell’energia siano scesi, sono ancora ben al di sopra dei livelli che si registravano prima che la Russia interrompesse le forniture di gas. Le imprese tedesche che si affidavano al gas russo a basso costo non sono più in grado di sostenere la concorrenza. Sebbene la disoccupazione in Germania sia in calo, l’impennata dei fallimenti aziendali, ampiamente pubblicizzata, spaventa sia i consumatori che le aziende. Si registra, dunque, un’incertezza diffusa, dovuta anche all’aumento dei tassi d’interesse.
La mancanza di fiducia implica che i consumatori sono riluttanti ad utilizzare i risparmi accumulati durante la pandemia da Covid-19. Sebbene la spesa dei consumatori non sia debole ovunque, con le vendite al dettaglio in Spagna in piena espansione, questo trend rappresenta più un’eccezione che la regola. Con l’inflazione ancora ben al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato dalla BCE, i tassi di interesse sembrano destinati a salire ulteriormente e vi è una concreta possibilità di andare incontro ad una crescita negativa nel corso dell’inverno. È probabile che la disoccupazione aumenti, anche se non in misura significativa.
Anche nel Regno Unito i PMI sono risultati deboli, con gli ultimi dati che mostrano un forte calo, in particolare nel settore dei servizi, che si era finora dimostrato resiliente. Nonostante ciò, i dati più ampi si sono rivelati solidi. A differenza dell’Eurozona, nel Regno Unito la fiducia dei consumatori è in ripresa e si prevede un aumento delle vendite al dettaglio in autunno. Con il passare delle settimane si assisterà, inoltre, ad un incremento del numero dei mutui a tassi molto più alti, mentre il prezzo delle case continuerà a diminuire e la disoccupazione aumenterà. Tuttavia, i tassi ipotecari sono scesi significativamente dai massimi registrati all’inizio di luglio e il calo dell’inflazione significa che i redditi reali stanno iniziando a crescere. La Banca d’Inghilterra potrebbe decidere di alzare i tassi ancora una volta, ma il picco dovrebbe essere ormai vicino.
I PMI sono tenuti sotto stretta osservazione, sebbene da un po’ di tempo a questa parte siano troppo pessimisti sulla crescita economica. Nell’Eurozona, la debolezza dei PMI è stata confermata dai dati concreti, soprattutto in Germania, Paesi Bassi e Italia. Tutto questo contribuisce a delineare un quadro preoccupante, anche per il Regno Unito. Se la prospettiva di un’inflazione in calo si rivelerà corretta, si registreranno miglioramenti per quanto riguarda la fiducia dei consumatori e la crescita. Infine, negli Stati Uniti la recessione sembra meno probabile; la ripresa dei pagamenti dei prestiti agli studenti potrebbe causare una battuta d’arresto, ma i fondamentali economici più ampi si dimostrano positivi.
A cura di Tomasz Wieladek, Chief European Economist, T. Rowe Price
Il presidente Powell ha appena segnalato che la Federal Reserve procederà con cautela nel considerare il prossimo rialzo dei tassi. È importante notare che il suo discorso ha riconosciuto una crescita più forte e un mercato del lavoro più resistente del previsto. Ha sottolineato che è necessario un periodo di crescita inferiore al trend per riportare l’inflazione al target. Ha sottolineato che la politica rimarrà restrittiva finché l’inflazione non diminuirà in modo sostenibile.
Il fatto che la Fed continuerà a dipendere dai dati e potrebbe alzare ancora i tassi in risposta alla forte crescita e alla tenuta del mercato del lavoro, mantenendo una politica restrittiva per un periodo prolungato, ha implicazioni importanti per l’Europa e la Bce.
In primo luogo, a differenza degli Stati Uniti, ci sono chiari segnali che l’economia europea sta scivolando verso la recessione. Ma la Fed potrebbe alzare ancora i tassi quest’anno e mantenere la politica restrittiva per un periodo di tempo prolungato. In ultima istanza, i mercati potrebbero prezzare eventuali tagli della Federal Reserve più in là nella curva rispetto ad oggi. Ciò indebolirebbe l’euro nei confronti del dollaro, con la prospettiva di un cambio EUR/USD a 1,05. Un euro più debole darebbe sollievo all’industria manifatturiera europea in difficoltà. Tuttavia, i prezzi delle materie prime, dei prodotti alimentari e del petrolio diventerebbero più costosi in euro. L’inflazione rimarrebbe più a lungo al di sopra dell’obiettivo rispetto a quanto previsto in precedenza. La Bce potrebbe quindi essere costretta a rialzare nuovamente i tassi o a mantenere la politica più restrittiva più a lungo, nonostante i segnali di debolezza della produzione inviati dai PMI di questa settimana, per tenere a bada qualsiasi ulteriore inflazione derivante da un euro più debole.
Se la politica monetaria statunitense rimarrà restrittiva più a lungo del previsto, ciò si rifletterà anche in un aumento dei rendimenti obbligazionari globali, il che rappresenta una sfida significativa per la sostenibilità del debito della periferia europea. Un tasso di interesse di equilibrio permanentemente più alto e quindi tassi di policy più elevati implicano che i rendimenti decennali statunitensi rimarranno a livelli molto più alti rispetto al decennio precedente la pandemia. Il rapporto debito/PIL in Italia supera ormai il 150% e le prospettive di crescita a lungo termine sono deboli. Ciò comporta il rischio che i mercati tornino a percepire la dinamica del debito italiano come insostenibile. Ciò significa anche che sarà difficile per la Bce svincolare completamente dal proprio bilancio i BTP in suo possesso. A causa di questi rischi, il QT della Bce potrebbe quindi avere una portata più limitata rispetto a quello di altre banche centrali.
STATI UNITI
A cura di Blerina Uruci, Chief U.S. Economist, T. Rowe Price
Il discorso di Powell ha ripercorso i progressi dell’inflazione da quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi di interesse all’inizio del 2022: l’inflazione è scesa in modo significativo, mentre il mercato del lavoro ha retto in modo sorprendente. Ma ecco cosa conta di più quando si parla del futuro percorso dei tassi di interesse: ha osservato che due mesi di dati positivi non sono sufficienti per dare fiducia che l’inflazione sarà su un percorso di discesa duraturo. È emerso chiaramente che non pensa che la lotta della Fed all’inflazione sia finita e che, visti i dati recenti, è molto più probabile che la prossima mossa della Fed sia un rialzo che un taglio.
Oggi abbiamo anche appreso due potenziali fattori scatenanti per il prossimo rialzo dei tassi di interesse: (1) segnali di accelerazione della crescita e di un’economia che continua a crescere al di sopra del suo tasso potenziale e (2) segnali che indicano che il mercato del lavoro non si sta allentandoulteriormente e che il processo di creazione di ulteriore allentamento del mercato del lavoro si è arrestato. I commenti di Powell ribadiscono che l’asticella per un rialzo a settembre è molto alta, ma che anche quella di novembre sarà una riunione molto importante.
Powell ha inoltre ribadito che il target della Fed in materia di inflazione rimane del 2% e che è compito della Fed far sì che scenda, richiamando il tono del suo intervento a Jackson Hole dello scorso anno. Di recente ci sono state diverse pressioni affinché la Fed alzasse il suo target di inflazione. Mi aspetto che il dibattito su questo tema si intensificherà con l’avvicinarsi del prossimo Monetary Policy Framework Review, che avrà luogo tra un paio d’anni, ma non credo che la Fed darà molto sostegno a questa idea.
La reazione iniziale del mercato ha visto un aumento della probabilità di un altro rialzo di 25 pb entro novembre e un aumento dei rendimenti lungo tutta la curva, in linea con il messaggio di Powell secondo cui i tassi potrebbero aumentare ulteriormente e rimanere più elevati più a lungo. Mi aspetto che,man mano che ci avviciniamo alla riunione di novembre, i tassi possano aumentare ulteriormente, in linea con la conferma che l’economia rimane sulla buona strada per espandersi nel resto dell’anno.
A cura di Natalia Luna, Analista senior investimenti tematici, Investimento Responsabile di Columbia Threadneedle Investments
22.06.2023
Dall’introduzione dell’IRA negli Stati Uniti, l’Unione Europea ha espresso la propria preoccupazione riguardo alla possibilità di una fuga di investimenti del settore manufatturiero e di sviluppo dei prodotti verso gli Stati Uniti, accorgendosi di dover agire per sostenere le proprie imprese green.
L’obiettivo comune dei pinai, di entrambi USA e UE, è quello di aumentare le capacità produttive delle tecnologie pulite a livello nazionale, riducendo così l’eccessiva dipendenza dalla Cina.
Quali sono le conseguenze per gli investimenti in questo testa a testa e come risponderà la Cina?
Per quanto l’IRA sia una legge climatica, rimane comunque una politica industriale. Offre supporto fiscale all’intera value chain dell’energia pulita – dai materiali alla produzione e alla diffusione – con l’obiettivo di sviluppare supply chains nazionali e ridurre la dipendenza dalla Cina. Per questo motivo, le norme nazionali legate ai crediti d’imposta sono una caratteristica fondamentale della legge. La presenza di un quadro di crediti IRA chiaro e attuabile ha sostanzialmente spostato l’interesse verso gli Stati Uniti, attraendo investimenti nell’energia pulita e dirigendo i capitali lontano dall’Unione Europea.
Dall’introduzione dell’IRA, l’UE ha espresso la propria preoccupazione rispetto a due rischi fondamentali: l’allontanamento degli investimenti produttivi e di quelli per lo sviluppo di progetti. Tali possibilità si sono concretizzate nel momento in cui numerose industrie europee hanno annunciato i loro piani di espansione negli Stati Uniti; ad esempio, Volkswagen ha deciso di dare priorità allo sviluppo di uno stabilimento di batterie situato negli Stati Uniti anziché in Europa orientale[1]. Pertanto, nel primo trimestre del 2023, l’UE ha risposto all’IRA annunciando il Green Deal Industrial Plan[2]. Il Piano non è rivoluzionario ma evoluzionario, in quanto rappresenta un’accelerazione delle politiche europee in materia, al fine di restare competitivi nel settore dell’energia pulita post-IRA. Il piano europeo prevede due atti: il Net Zero Industry Act e il Critical Materials Act, i quali stabiliscono il target di aumento delle capacità produttive nazionali di otto tecnologie strategiche a zero emissioni, in modo che almeno il 40% della loro domanda sia fornita dall’UE stessa entro il 2030 e il 40% dei minerali necessari sia lavorato all’interno dell’Unione.
I target previsti sono significativi ma non vincolanti e si propone di raggiungerli diminuendo la burocrazia, agevolando i finanziamenti già esistenti e abbreviando i processi di autorizzazione. Sebbene il Piano non includa un regime di sovvenzioni di massa a livello europeo simile a quello dell’IRA, propone comunque un allentamento temporaneo delle norme sugli aiuti di Stato previste per i Paesi dell’UE, per consentire a quest’ultimi di fornire un sostegno fiscale che sia potenzialmente equivalente ai benefit dell’IRA. Questo rappresenta indubbiamente un segnale deciso che l’UE è determinata a competere per le industrie green, sebbene le modalità di realizzazione effettiva nei singoli Paesi restano al momento ancora incerte (figura 1). Pertanto, riteniamo che la semplicità e la chiarezza dell’IRA saranno verosimilmente i fattori chiave nel processo decisionale di investimento in uno scenario che vede lo scontro tra US e UE, riducendo quindi il sostegno nell’UE.
Figura 1: due approcci in competizione
Fonte: European Commission data/Columbia Threadneedle Investments analysis, March 2023
Obiettivo principale dell’IRA statunitense e del Green Industrial Plan europeo
Nonostante le due policy presentino approcci e strumenti diversi hanno in comune un obiettivo: incrementare le capacità produttive delle tecnologie pulite a livello nazionale, riducendo così l’eccessiva dipendenza dalla Cina.La transizione energetica rappresenta, infatti, una sfida per la supply chain. Solo una piccola quantità della produzione è situata negli Stati Uniti o in UE attualmente, mentre la Cina domina la produzione dei settori chiave della transizione energetica (solare, eolico e produzione di batterie) con più dell’80% della capacità mondiale (figura 2). Pertanto, l’obiettivo comune di USA e UE nel sostenere le supply chains nazionali tramite lo sviluppo della produzione locale sarà difficile e costoso.
Figura 2: Supply chain nel settore dell’energia pulita
Fonte: BNEF, Novembre 2022
Conseguenze dirette
La combinazione di IRA e Green Deal dovrebbe generare benefici per le industrie presenti nella value chain dell’energia pulita, in particolare per quelle con esposizione globale in entrambe le regioni. La natura illimitata dei crediti di imposta dell’IRA significa che l’ammontare del capitale potenzialmente investibile potrebbe superare in modo significativo i 370 miliardi di dollari inizialmente previsti nel piano[3], con Goldman Sachs e Credit Suisse che stimano circa 1.5 trilioni di dollari in investimenti nel prossimo decennio[4].
Nel frattempo, nonostante il fatto che il Green Deal non preveda nuovi finanziamenti, l’UE afferma di avere a disposizione circa 250 miliardi di euro dei fondi RePowerEU da spendere[5]; tale cifra sarebbe esigua rispetto alla stima di 1 trilione di dollari in investimenti annui necessari nell’UE[6]. Tuttavia, un accesso più veloce ai fondi, insieme a regole meno rigide nel richiedere gli aiuti di Stato a livello nazionale, potrebbe essere determinate per sbloccare il capitale privato. La buona riuscita del Green Industrial Plan risiede anche nella sua implementazione da parte dei singoli stati membri, cosa che rende difficile valutarne l’impatto. Una risposta politica più ampia e rapida potrebbe stimolare l’interesse degli investitori e fornire maggiore sostegno alle imprese europee. In particolare, all’interno dell’UE le imprese con una maggiore esposizione alla Germania potrebbero trarre maggiori benefici, considerando la flessibilità fiscale tedesca nel fornire sussidi e la spinta a competere per l’allocazione di capitali.
Tra i settori che potrebbero maggiormente beneficiare dalle doppie dinamiche US e UE rientrano:
Generatori di energie rinnovabili: tra i vincitori indiscussi ci sono quelle società per cui l’eolico e il solare sono già competitivi anche senza sussidi e si trovano in regioni, come l’Iberia, la Germania e gli Stati Uniti, dove ci sarà una mobilitazione di capitali e una forte crescita di energie rinnovabili. In questo contesto, l’IRA e il Green Deal rappresentano dei vantaggi aggiuntivi.
Operatori integrati dell’industria del gas, in quanto potranno beneficiare di una più ampia adozione dell’idrogeno blu e verde.
Produttori di idrogeno puro e di elettrolizzatori, specialmente le aziende con una forte presenza mondiale che già producono gran parte dei loro ricavi negli Stati Uniti.
Produttori attivi nel settore delle rinnovbili, quali produttori di turbine eoliche, pannelli solari e batterie, che vedranno impatti molto positivi considerando il supporto delle supply chains nazionali.
Riciclo miniere/minerali: i minatori e i trasformatori esposti a materiali critici che si stanno espandendo nella regione europea dovrebbero trarre vantaggio da processi di autorizzazione semplificati e finanziamenti statali.
Industrie esposte alla value chain delle rinnovabili: Uno scatto in avanti delle energie rinnovabili determinerà un aumento della domanda da parte di quelle aziende che nella value chain producono prodotti differenziati per la loro generazione. La significatività e la tempistica dell’impatto sugli utili varieranno a seconda delle società, ma quelle che operano nel settore delle apparecchiature elettriche, delle apparecchiature minerarie e dell’efficienza energetica avranno indubbiamente un impatto positivo.
Implicazioni di ampio respiro e prospettive future
Le dinamiche dell’IRA e del Green Deal spingono chiaramente verso l’onshoring e una diversificazione maggiore delle supply chain. Un mercato globale più frammentato – compresi i mercati interni europei – genereranno nuove considerazioni e ponderazioni da parte di investitori e aziende. L’obiettivo di evitare l’eccessiva dipendenza dalla Cina, rimanendo comunque competitivi, sarà impegnativo. Il reshoring di fattori produttivi critici può potenzialmente limitare la capacità di crescita di alcune industrie, mentre le sfide legate all’approvvigionamento di materie prime e all’ampliamento degli impianti di produzione potrebbero avere conseguenze indesiderate. Per esempio, per costruire supply chains diversificate e localizzate, le esigenze di approvvigionamento diventeranno una priorità strategica per le aziende: partnership a lungo termine, acquisizioni mirate e integrazione verticale possono essere leve fondamentali per assicurarsi le materie prime. In particolare, potremmo assistere sempre più spesso a iniziative simili da parte di produttori di apparecchiature originali, per garantirsi l’accesso alle materie prime, e da parte di sviluppatori di energie rinnovabili per collaborare con i fornitori al fine di costruire capacità produttive aggiuntive o investire direttamente nell’integrazione verticale. Questo potrebbe includere l’insourcing di componenti critici, l’espansione degli impianti di produzione o la creazione di nuovi impianti.
L’intensificarsi della concorrenza nelle supply chain di fornitura delle batterie o delle energie rinnovabili potrebbe essere dannoso per le aziende di questi settori, oltre a comportare una potenziale maggiore volatilità dei prezzi dei componenti e delle materie prime chiave per l’energia pulita. A sua volta, vi è il rischio di una transizione energetica più inflazionistica: produrre localmente molti dei componenti e approvvigionarsi molti dei materiali critici per le tecnologie pulite potrebbe essere costoso e inefficiente, risultando dunque più oneroso dell’attuale importazione dalla Cina. Per quanto riguarda il solare, in particolare, c’è il rischio di un eccesso di offerta. Non sono solo gli Stati Uniti e l’Unione Europea a cercare di incrementare la produzione nazionale; anche l’India sta fornendo sussidi[7] e la stessa Cina ha in programma di espandere la produzione attraverso l’intera supply chain molto più rapidamente di altri Paesi. L’International Energy Agency (IEA) prevede che ciò provocherà una sovrabbondanza importante di energia entro il 2027, con un’offerta di energia solare nettamente superiore alla domanda globale prevista. Il risultato sarebbe un livello di utilizzo degli impianti del 25%-30% in Cina per tutti i segmenti produttivi, circa la metà del livello attuale[8]. Questo eccesso potrebbe inoltre creare una forte concorrenza sui prezzi e indurre gli investitori a cancellare molti progetti di espansione produttiva annunciati sia all’interno che all’esterno della Cina. Altre conseguenze indesiderate potrebbero essere requisiti locali e disponibilità limitata di materiali che promuovono un’accelerazione dell’economia circolare/riciclaggio per ridurre il consumo di risorse, ad esempio una maggiore enfasi sul riciclaggio delle batterie e dei minerali; crescita di nuove tecnologie/stimolo all’innovazione (ad esempio l’UE non produce litio e i produttori di batterie saranno quindi incentivati a continuare a innovare le batterie agli ioni di sodio prodotte senza litio).
Cosa significherà tutto ciò a livello geopolitico? L’elefante nella stanza è la risposta della Cina. Dato che sia l’IRA statunitense che il Green Deal europeo potrebbero svantaggiare gli operatori cinesi nel settore delle tecnologie pulite, a favore degli stessi Stati Uniti e dell’UE, non è inimmaginabile una ritorsione da parte della Cina. Esiste quindi il rischio di un aumento delle tensioni commerciali globali. Tuttavia, il rovescio della medaglia è l’aumento del “friend-shoring”, in base al quale gli Stati Uniti espandono i propri accordi commerciali altrove, offrendo vantaggi alle imprese di Giappone, Corea, Cile, Australia – e forse anche dell’UE – tra le altre. Seguiremo gli sviluppi con grande interesse.
[1] FT.com, VW puts European battery plant on hold as it seeks €10bn from US, 8 March 2023.
A cura di Greg Kane, Head of European Investment Research for PGIM Real Estate
Case in affitto a prezzi accessibili
I rendimenti si stanno adeguando, ma la domanda di alloggi in affitto è trainata dalle pressioni sull’accessibilità economica e i suoi flussi di reddito resilienti restano interessanti per gli investitori. In tutta Europa, le opportunità nell’ambito del segmento degli alloggi a prezzi accessibili sono determinate da fattori sociali, strutturali e di offerta. Sulla scia di un ciclo che ha visto un consistente aumento dei prezzi rispetto ai redditi, il cambiamento chiave dell’ultimo anno è stato un forte aumento dei tassi di finanziamento. Con prezzi delle case elevati, la riduzione dell’accessibilità economica è uno schema coerente in tutta Europa, anche se l’impatto è maggiore nel Regno Unito, dove l’esposizione ai mutui è elevata, rispetto ad esempio alla Francia, dove la crescita dei prezzi delle case è stata più contenuta nell’ultimo ciclo, e all’Italia, dove il ricorso all’indebitamento è tipicamente molto basso. Negli ultimi anni l’aumento dei prezzi è stato determinato soprattutto da bassi tassi di interesse, ma anche la scarsa offerta ha rappresentato un problema nella maggior parte dei mercati principali. Una stagnazione nelle costruzioni a fronte di una significativa nascita di nuclei familiari per gran parte dell’ultimo ciclo ha comportato una carenza di offerta abitativa, che solo ora si sta gradualmente riassorbendo.
Data center
I rendimenti sono destinati a migliorare, poiché la correzione dei prezzi è ben avviata e la solida domanda sostiene le prospettive di crescita degli affitti nei principali mercati. La domanda di data center in Europa rimane solida. L’attività di locazione, guidata dai principali hub di data center come Londra, Francoforte e Amsterdam, rimane elevata nonostante l’incertezza economica globale. L’assorbimento netto ha raggiunto un totale di 750 megawatt nel 2022, un valore sostanzialmente superiore ai livelli di attività registrati negli ultimi anni. La crescita della domanda di data center in Europa è stata sostenuta dallo spostamento secolare verso il cloud pubblico e quindi dalla richiesta di data center hyperscale e di grande capacità. L’attività di locazione è stata più pronunciata a Londra e Francoforte, dove la rete di data center è la più grande d’Europa, sebbene la domanda sia in aumento anche in altri mercati chiave come Parigi e Dublino.
Guardando avanti, le prospettive di rendimento rimangono favorevoli, in particolare grazie al miglioramento dei fondamentali economici previsto per il 2024 e alla stabilizzazione dei rendimenti, dato che gran parte del repricing è già avvenuto. Lo spostamento della domanda verso impianti moderni e ad alta capacità – in particolare quelli associati agli obiettivi ambientali – implica opportunità sia a breve termine che strutturali nel settore.
Logistica
I rendimenti della logistica sono saliti oltre i 100 punti base rispetto alla metà dello scorso anno. Un tale ritmo di adeguamento significa che i prezzi si stanno rapidamente avvicinando a livelli per cui la logistica torna ad essere una proposta di investimento interessante. Ciò è particolarmente vero laddove le prospettive di crescita dei canoni di locazione rimangono solide; ad esempio, nei principali mercati portuali e di distribuzione, come Amsterdam, Rotterdam, Berlino, Parigi e Londra.
Il fattore più visibile a stimolo della domanda è forse il fatto che gli operatori di e-commerce stanno affittando grandi quantità di spazi logistici per soddisfare la crescente domanda dei consumatori. Si prevede che questa situazione rimarrà invariata: le previsioni di crescita a due cifre dell’e-commerce guideranno la domanda di spazi logistici nei prossimi cinque anni. Le opportunità nel settore si basano soprattutto sull’acquisto di una domanda resiliente con una crescita diffusa dei canoni di locazione, a fronte di un’offerta contenuta, almeno nel breve termine, ma interessante, visto il repricing già avvenuto. La logistica urbana è chiaramente quella che sta registrando la più forte crescita dei canoni di locazione e ci aspettiamo che questa tendenza continui. Anche altri segmenti del mercato offrono rendimenti trainati dalla crescita dei canoni di locazione, tra cui il settore dei magazzini frigoriferi, in particolare nel Regno Unito, dove la crescita della domanda post-Brexit si scontra con un’offerta limitata.
Senior living e abitazioni per studenti
Un fattore comune a molte delle opportunità del settore residenziale trainate dalla demografia è la necessità di servizi alla persona, comfort e spazi comuni che vanno oltre il tipico contratto d’affitto; ad esempio, l’erogazione di un ulteriore supporto all’apprendimento per gli studenti stranieri o l’assistenza per i residenti anziani. I rendimenti sono ora sostanzialmente più elevati, ma naturalmente lo sono anche i rischi operativi legati ai costi del personale, alle normative e a tutti gli altri fattori che incidono sulla redditività aziendale. È inoltre importante ricordare che gli investimenti operativi sono soggetti alle stesse forze di repricing delle tipologie immobiliari tradizionali, che si manifestano con multipli di guadagno più bassi nelle transazioni.
La presenza di competenze ed esperienze specialistiche è fondamentale per un impiego efficace del capitale negli asset operativi. Il senior living rappresenta una delle dinamiche più interessanti dal punto di vista della domanda, ma le opportunità variano a seconda del mercato. Tra i principali Paesi, la maggior parte ha una dotazione di posti letto pro capite simile e la Germania ha il settore dell’assistenza agli anziani più grande in assoluto, date le dimensioni del Paese e l’età media della popolazione.
Tuttavia, il Regno Unito rimane il mercato più investibile, dato che il settore è dominato da fornitori privati. È preferibile una strategia che si rivolga ai residenti con un patrimonio netto relativamente elevato della periferia di Londra e della regione del Sud-Est dell’Inghilterra, in quanto i futuri residenti dispongono in genere di un ampio pool di risorse a cui attingere per finanziare le loro esigenze di assistenza, oltre al patrimonio della casa.
Uffici di grade A
Un mercato del lavoro rigido e le aspettative di una maggiore crescita della produttività nel prossimo ciclo sostengono le prospettive della domanda di uffici, mentre i posti vacanti rimangono significativamente al di sotto della media dopo un ciclo di bassa offerta, soprattutto nei mercati CBD (Central Business Districts), dove continuano a diminuire in quanto gli occupanti continuano a competere per aggiudicarsi i migliori asset per incoraggiare i dipendenti a tornare in ufficio. Lo vediamo chiaramente nel CBD di Parigi, ma anche nelle aree centrali di Amsterdam e Madrid. L’aumento dei posti vacanti nei mercati non CBD e periferici sottolinea che il mercato è selettivo. Per gli investitori, ci sono due fattori cruciali da considerare nel settore degli uffici: i rischi legati all’adozione di pratiche lavorative remote e ibride e l’aumento dei requisiti di spesa in conto capitali legati ai fattori ESG.
Il lavoro remoto e ibrido sta influenzando i mercati in modo diverso a seconda delle tendenze pre-pandemia. I mercati degli uffici come Milano in Italia, Madrid e Barcellona in Spagna e Francoforte e Monaco in Germania presentavano una bassa quota di lavoro flessibile e sono stati relativamente resistenti al lavoro da remoto dal 2020. Le ragioni principali sono da ricercare nella cultura del lavoro, nella scarsa diffusione di grandi aziende e, in molti casi, nella limitatezza degli spazi residenziali delle famiglie per facilitare il lavoro a distanza.
In situazione opposta si trovano i mercati nordici, tra cui Copenaghen e Stoccolma, e Amsterdam nei Paesi Bassi, che da tempo sono all’avanguardia nel lavoro a distanza e negli accordi di lavoro flessibile, dove i cambiamenti causati dalla pandemia non sono stati così significativi. Gli investitori devono prestare attenzione a un terzo gruppo di mercati. Si tratta dei grandi mercati del Regno Unito e della Francia, come Londra, Lione e Parigi, che prima della pandemia avevano una cultura moderata del lavoro a distanza, ma in cui è diventato rapidamente un modo di lavorare maggiormente accettato. Uno spostamento verso un modello nordico-olandese potrebbe comportare un forte freno alla domanda nei prossimi anni: per questo motivo le previsioni di crescita degli affitti sono più basse.
In termini di fattori ambientali, sta crescendo il rischio di una biforcazione nel mercato degli uffici – tra asset che rispettano le normative o che possono essere adattati in modo sostenibile, mantenendo così il loro valore, e quelli che semplicemente non possono farlo. Tuttavia, si sta anche creando l’opportunità di offrire spazi per uffici di grade A, conformi alle norme ESG, sia attraverso la proprietà di edifici nuovi ed esistenti, sia attraverso l’enorme necessità di capitali per riadattare uffici altrimenti obsoleti. Le stime indicano un fabbisogno di capitale di circa 17 miliardi all’anno per riposizionare tutti gli uffici EPC C e D in modo che siano conformi ai più elevati standard ESG.
A cura di Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments
19.06.2023
A dispetto delle turbolenze bancarie e dei rialzi dei tassi, il mercato azionario si è dimostrato resiliente per via di aspettative di tagli prima della fine dell’anno
Nonostante una recessione tecnica, le azioni europee hanno sovraperformato le loro omologhe statunitensi del 30% dall’autunno, interrompendo un decennio di sottoperformance
L’eccesso di risparmio, la solidità finanziaria delle famiglie e il calo dei prezzi energetici sono fattori positivi per l’Europa
La Federal Reserve statunitense ha portato i tassi da zero al 5-5,25% nel corso degli ultimi 15 mesi, mentre il rendimento del Treasury USA decennale è aumentato dall’1,5% dello scorso anno al 4,25% . Da allora ha evidenziato una flessione a causa del crollo di Silicon Valley Bank, Signature Bank e First Republic Bank. Le turbolenze nel settore bancario sono state solo il secondo evento imprevisto. I rialzi dei tassi e i rendimenti elevati avevano già causato perdite mark-to-market sulle obbligazioni, spingendo i depositanti statunitensi ad abbandonare le banche per rivolgersi ai fondi del mercato monetario. I listini azionari si sono mostrati resilienti, un comportamento ascrivibile ad aspettative di tagli dei tassi nel prosieguo dell’anno. Ma l’inflazione rimane ostinatamente alta: il PCE core statunitense, rappresentativo dei prezzi di beni e servizi acquistati dai consumatori, potrebbe superare il 3,5% a fine anno, ben al di sopra del target del 2%. Tuttavia, la Fed non sta rallentando i rialzi dei tassi, privilegiando altre leve per mantenere la stabilità bancaria (vedi Figura 1).
Si osservano lunghi ritardi in entrambi i cicli di inasprimento e allentamento: occorrono in media 16 mesi dal momento in cui la Fed smette di alzare i tassi (e 10 mesi dopo il primo taglio dei tassi) prima che finisca una recessione. Quindi, anche se la Fed dovesse interrompere i rialzi adesso, l’effetto impiegherebbe mesi per manifestarsi. In futuro questi aumenti avranno probabilmente un impatto sui prestiti, sulla redditività aziendale e sul mercato del lavoro. L’occupazione segue il ciclo dei profitti in quanto le aziende licenziano i lavoratori per tutelare gli utili; l’aumento della disoccupazione segnala una recessione. Non abbiamo ancora osservato un’evoluzione in questo senso, nonostante il tasso di disoccupazione abbia evidenziato un andamento piatto dall’estate 2022.
Figura 1: l’inflazione è al di sopra del target / la Fed sta usando il proprio bilancio per gestire le tensioni bancarie
Fonte: BCA Research, aprile 2023
Europa e Stati Uniti a confronto
Nonostante l’entrata in recessione (la crescita è stata del -0,1% sia nel quarto trimestre del 2022 che nel primo trimestre 2023), le azioni europee hanno sovraperformato le loro omologhe statunitensi del 30% dallo scorso autunno. Un inverno mite, il calo dei prezzi energetici e la riapertura della Cina hanno dato impulso agli indici PMI e agli utili dell’Eurozona, interrompendo la sottoperformance osservata dalla crisi finanziaria globale, effetto di una preferenza per i titoli value e dell’assenza di crescita strutturale. I prezzi in Europa non si sono raffreddati: a marzo l’inflazione complessiva e quella core hanno toccato lo 0,9% e l’1,2% su base mensile, pertanto i rialzi dei tassi d’interesse proseguiranno.Inoltre, molti dei problemi che interessano il settore bancario statunitense non esistono in Europa: le banche europee sono più forti di quanto non lo fossero durante la crisi finanziaria globale, non devono fare i conti con una crisi di solvibilità e non sono esposte al rischio di tasso d’interesse (il crescente costo del capitale semplicemente rallenterà la crescita economica e l’inflazione); i portafogli obbligazionari delle banche europee sono più contenuti; il quantitative easing in Europa prosegue mentre gli Stati Uniti hanno iniziato un ciclo di inasprimento; l’esposizione al debito rappresenta il 17% dei depositi europei rispetto al 25% negli Stati Uniti, il che significa che le banche europee possono sostenere maggiori deflussi prima di dover vendere obbligazioni.
Dal punto di vista dei mercati, anche se l’Europa ha sovraperformato gli Stati Uniti negli ultimi sei mesi, i mercati statunitensi restano onerosi a oltre 18 volte il P/E prospettico. Un tasso privo di rischio del 5% e un rendimento delle obbligazioni decennali statunitensi al di sopra del dividend yield USA di certo non aiutano. Per quanto riguarda il raffronto tra dividendi e rendimenti obbligazionari, l’Europa offre un panorama più interessante. Il premio al rischio azionario è al minimo da 15 anni, lasciando poco spazio a shock negativi; nonostante margini resilienti, la crescita degli utili è scarsa. I titoli industriali hanno registrato un rally dall’autunno con l’avvicinarsi dell’ultimo rialzo dei tassi. Secondo alcuni ci troviamo all’inizio di un nuovo ciclo, ma noi abbiamo qualche dubbio al riguardo. Nell’azionario, la leadership settoriale è difensiva sia prima che dopo un cambiamento nel ciclo; ciò significa titoli con caratteristiche obbligazionarie come quelli appartenenti ai settori tecnologico, della sanità e dei beni di prima necessità. La tecnologia ha sovraperformato e sta scontando eccessivamente il previsto calo dei rendimenti. Il prezzo del settore tecnologico è ai massimi storici. Neutrale a livello settoriale, l’Europa appare più conveniente degli Stati Uniti di oltre una deviazione standard: gli Stati Uniti hanno quindi sottoperformato per un motivo (Figura 2). Il Regno Unito continua ad apparire eccezionalmente conveniente, con il dividend yield più elevato, una distribuzione del 40% e un beta inferiore a 1 rispetto all’MSCI World Index.
Figura 2: utili per azione USA rispetto a Eurozona e performance relativa
Fonte: IBES, aprile 2023
Il futuro
L’inflazione sta calando, la disoccupazione è ai minimi e le banche centrali sono prossime alla fine dei rialzi dei tassi d’interesse. Ma il calo dell’inflazione potrebbe indicare che l’eccesso di domanda legato agli extra-risparmi accumulati durante la pandemia (che hanno sostenuto l’economia) sta diminuendo. Se ciò dovesse influenzare la curva dell’offerta, la disoccupazione potrebbe aumentare e la produzione diminuire, innescando uno shock di mercato. Il numero di posti di lavoro vacanti è in calo ormai da tempo, ma il tasso di disoccupazione è basso. In precedenza, quando i posti vacanti diminuivano la disoccupazione saliva. La differenza oggi sta nel divario venutosi a creare all’indomani della pandemia tra posti di lavoro e lavoratori, tra domanda e offerta di lavoro, che ha raggiunto un massimo di quasi il 4% all’indomani del Covid (Figura 3). In uno stato di piena occupazione, le aziende competono per i lavoratori offrendo retribuzioni più elevate. Se non c’è una crescita di produttività, la domanda alimenta l’inflazione di stipendi e prezzi.
Figura 3: il divario tra posti di lavoro e lavoratori ha raggiunto un massimo storico nel 2022 negli Stati
Fonte: BCA Research, aprile 2023. Il divario tra posti di lavoro e lavoratori corrisponde alla differenza tra domanda di manodopera (somma di offerte di lavoro e lavoro in ambito civile) e offerta di manodopera (forza lavoro civile) espressa come percentuale dell’offerta di manodopera.
Normalmente, quando la domanda di manodopera si indebolisce, i posti di lavoro vacanti e la crescita dei salari scendono. Essendoci stato un eccesso di domanda di manodopera, il calo dei posti vacanti non ha intaccato la fiducia nella ricerca di nuovi posti di lavoro. Il PIL, che è legato alla crescita dell’occupazione, è rimasto positivo nonostante il rallentamento della domanda. Questo rallentamento fa abbassare l’inflazione, da cui i titoli che annunciano uno scenario “Goldilocks”. Il problema è quando il calo della domanda incontra l’offerta aggregata: se la domanda continua a scendere ciò avrà un impatto su posti di lavoro e produzione, innescando una recessione. Questo probabilmente si verificherà con l’indebolimento del mercato immobiliare dovuto ai rialzi dei tassi d’interesse e a criteri di concessione dei prestiti più rigidi, pertanto l’eccesso di risparmio accumulato durante la pandemia si sta assottigliando.
La forza tattica delle azioni USA potrebbe non durare: la recessione del Paese è stata rimandata, non scongiurata. In Europa, invece, i flussi di credito hanno indebolito la crescita economica, analogamente a retribuzioni e occupazione. Ma grazie all’eccesso di risparmio, alla solidità finanziaria delle famiglie, al calo dei prezzi energetici e all’allentamento della politica fiscale – con l’avvio del piano NextGenerationEU – questa recessione non sembra troppo profonda.
Per ulteriori informazioni si veda il sito internet di Columbia Threadneedle Investments: www.columbiathreadneedle.it
A proposito di Columbia Threadneedle Investments
Columbia Threadneedle Investments è un gruppo di asset management leader a livello globale, che gestisce EUR 559miliardi[1] per conto di clienti individuali, istituzionali e corporate in tutto il mondo.
Ci avvaliamo delle competenze di oltre 2500 collaboratori, tra cui più di 650 professionisti dell’investimento operanti nel Nord America, in Europa e Asia[2]. Offriamo ai nostri clienti un’ampia gamma di strategie incentrate su azioni, obbligazioni e strumenti alternativi, nonché competenze specializzate nell’investimento responsabile e una suite completa di soluzioni.
Columbia Threadneedle Investments è il gruppo globale di asset management di Ameriprise Financial, Inc. (NYSE:AMP), uno dei principali fornitori statunitensi di servizi finanziari. In quanto parte di Ameriprise, beneficiamo del sostegno di una grande società di servizi finanziari diversificata e adeguatamente patrimonializzata.
[1] Al 31 marzo 2023.
[2] Fonte: Rapporto sugli utili relativo al primo trimestre 2023 di Ameriprise Financial.
A cura di Tom Southon, Senior analist High Yield di Columbia Threadneedle Investments
31.05.2023
Confermiamo la nostra previsione di tassi d’insolvenza relativamente contenuti a breve termine ma rileviamo che la tendenza sottostante è moderatamente negativa
Le prospettive sono incoraggiate dalla riapertura del mercato primario europeo ma le previsioni di rifinanziamento per gli emittenti eccessivamente indebitati restano incerte
Prevediamo che i tassi d’insolvenza aumenteranno man mano che si avvicinerà il muro di scadenze del 2025/26
Attualmente, come Columbia Threadneedle, siamo convinti che il tasso d’insolvenza dell’High Yield europeo (EHY) sarà dell’1,4% per i prossimi 12 mesi e del 3,7% per i prossimi 24 mesi. La nostra previsione generale resta sostanzialmente invariata rispetto a ottobre ma volge tendenzialmente in negativo sul lungo periodo. Tutto ciò a fronte di un tasso d’insolvenza dello 0,4% negli ultimi 12 mesi (fino a dicembre 2022), secondo JP Morgan, e di un recente picco del 6,9% durante la pandemia di Covid-19. Per la precisione, Moody’s calcola un tasso d’insolvenza cumulativo speculativo globale medio a lungo termine del 4,1% nell’arco di 12 mesi e dell’8,2% nel corso di 24 mesi.
Fattori principali
I motivi della nostra previsione sono molteplici.
Innanzitutto, Adlerè finito in stato di insolvenza e dopo l’approvazione del piano di ristrutturazione del gruppo immobiliare tedesco il mese scorso, il rischio di default è stato ampiamente ridotto. Se ciò non fosse avvenuto, la nostra previsione a 12 mesi sarebbe aumentata dello 0,2% e quella a 24 mesi dello 0,3%. Nel complesso, in Europa, la forte preoccupazione per i prezzi dell’energia, che ha dominato gran parte del secondo semestre 2022, si è ridimensionata e per ora non si profilano gravi casi di ribasso dovuti alla pesante situazione di crescita/inflazione.
Alla luce del lieve miglioramento delle prospettive per i fondamentali, il rendimento medio per gli emittenti EHY (secondo l’indice ICE Bank of America HPS2) è sceso di circa 120 punti base dall’apice del 7,6% raggiunto nel periodo post-Covid a ottobre 2022 all’attuale 6,4%. Questo ha contribuito alla riapertura del mercato primario nelle ultime settimane e facilita alcune operazioni di rifinanziamento di scadenze 2024/25. A margine, abbiamo assistito a un incremento delle fonti di finanziamento alternative, come il finanziamento sui crediti commerciali e il credito all’esportazione, il che ha contribuito a sostenere la liquidità immediata e a soddisfare le esigenze di rifinanziamento delle scadenze a breve termine. Vista la riapertura piuttosto recente del mercato primario europeo esiste ancora un considerevole muro di scadenze da rifinanziare. In considerazione di ciò, le nostre previsioni di insolvenza sono aumentate, specialmente nell’orizzonte a 24 mesi, per tutta una serie di emittenti.
Figura 1 – Previsione di insolvenza HY di Columbia Threadneedle
(12 mesi e 24 mesi, per categoria di settore e di rating)
Fonte: Analisi di Columbia Threadneedle Investments, 27 aprile 2023
Andamento e previsoni sui singoli settori
Il settore TMT e utility si confermano un porto sicuro. Sebbene ciò sia in parte dovuto a modelli di business intrinsecamente stabili/non ciclici, i settori sono favoriti anche da una combinazione favorevole di emittenti ibridi e/o a grande capitalizzazione con buone strutture di scadenze. L’incremento percepito del tasso d’insolvenza nel settore delle Utility è dovuto all’inclusione dell’operatore di condutture del gas EP Infrastructure, che precedentemente figurava nel settore energia. Il calo del tasso d’insolvenza nel settore dei Media è dovuto a United Group, che beneficerà di una migliore situazione di liquidità dopo la vendita annunciata della sua attività relativa alle torri.
I comparti del tempo libero e trasporti restano ancora ad alto rischio. Continuano a preoccupare, in particolare, il rischi associati alla spesa al consumo e alle strutture del capitale un po’ abbreviate/eccessivamente indebitate. Mentre il settore immobiliare appare guidato da fattori idiosincratici. La riduzione del rischio di default è interamente dovuta ad Adler, finita effettivamente in situazione di insolvenza dopo l’approvazione del suo piano di ristrutturazione questo mese.
Riguardo al settore automobilistico, quest’ultimo vede le proprie difficoltà ampiamente compensate da solidi bilanci. Le minori preoccupazioni legate alle catene di approvvigionamento e all’inflazione quest’anno sono compensate da quelle per la pressione sulla spesa per i beni di consumo discrezionali. I bilanci sono generalmente molto solidi, soprattutto per gli emittenti più grandi e con rating a doppia B.
Infine, il segmento dele vendite al dettaglio è attualmente esposto a pressioni di rifinanziamento. Il settore ha assistito a un concreto incremento delle aspettative di insolvenza, principalmente dovuto a due emittenti: il fornitore di carburante EG Group e il gruppo francese di supermercati Casino. Il primo presenta elevati livelli di indebitamento e un notevole muro di scadenze a partire da febbraio 2025; il secondo ha difficoltà a ridurre i suoi debiti e sta erodendo elevati volumi di liquidità. Il gruppo Casino, in particolare, ha scadenze esigibili nel 2024 e nel 2025 che non sarà in grado di rimborsare se non realizzando il suo piano di cessioni ripetutamente posticipato.
a cura diSteven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments
Il consenso economico vede ora un aumento del rischio di recessione negli Stati Uniti e una riduzione dello stesso rischio nel Regno Unito e nell’Eurozona. Si tratta di un grande cambiamento rispetto all’inizio dell’anno.
I problemi delle banche regionali statunitensi non sembrano portare a una contrazione del credito, eppure sembra che sia in corso una stretta.
I dati economici stanno migliorando in Europa e nel Regno Unito e questa tendenza potrebbe continuare per il resto del 2023.
Una recessione negli Stati Uniti rappresenterebbe una cattiva notizia per le azioni statunitensi, ma prevediamo che l’eventuale calo sarà modesto. Le azioni europee e britanniche potrebbero sovraperformare in termini relativi.
Attualmente il consenso economico vede un aumento del rischio di recessione negli Stati Uniti e una riduzione del medesimo rischio nel Regno Unito e nell’Eurozona. Si tratta di un grande cambiamento rispetto all’inizio dell’anno, quando la probabilità di recessione nei successivi 12 mesi era stimata a un notevole 90% nel Regno Unito, all’80% in Europa e al 60% negli Stati Uniti.
La scorsa settimana si è, infatti, assistito a un drammatico balzo nelle richieste di disoccupazione iniziali negli Stati Uniti e in passato un simile movimento è stato seguito da una recessione; tuttavia, sembra che tale movimento rifletta una frode nel Massachusetts e una ricerca di Deutsche Bank suggerisce che la tendenza al rialzo delle richieste di disoccupazione, che ha caratterizzato il 2023 fino ad oggi, tenderà a scomparire se si tiene conto di queste richieste fraudolente.
Inoltre, i timori di molti – me compreso – che i problemi delle banche regionali statunitensi possano portare a una contrazione del credito sono stati smentiti da nuovi dati la scorsa settimana. Sia l’indagine della Fed sui funzionari di prestito senior, che l’indagine sulle piccole imprese, non hanno mostrato un calo della disponibilità di credito. Anzi, hanno evidenziato il contrario.
Quindi gli economisti si stanno sbagliando sul rischio di recessione negli Stati Uniti? A mio parere no, e rimango fedele alla previsione di una recessione statunitense entro la fine dell’anno. La stretta creditizia potrebbe essere stata evitata, ma la stretta è ancora in corso. Il credito può risultare ancora disponibile, ma le condizioni sono molto più onerose e gli aumenti dei tassi avranno un loro impatto. I mutuatari stanno riducendo la domanda di credito e i consumatori sono a corto di risorse. Quest’ultimi nel 2022 hanno attinto a piene mani dai loro “salvadanai Covid”, ma ci sono diversi segnali che indicano come questo sostegno si sia arrestato. Questa settimana otterremo maggiori informazioni sulle prospettive di spesa dei consumatori grazie ai dati sulle vendite al dettaglio e alle relazioni sugli utili di Walmart e Home Depot.
Se gli Stati Uniti entreranno in recessione entro la fine dell’anno, il Regno Unito e l’Europa seguiranno il loro esempio? Ritengo che i dati economici continueranno a migliorare in Europa e nel Regno Unito nel corso del 2023. In entrambi i paesi la fiducia dei consumatori sta migliorando, grazie al calo dei prezzi dell’energia, e questo potrebbe portare a un aumento della spesa. Probabilmente vedremo queste tendenze replicarsi anche nelle imprese.
Cosa significa tutto questo per i mercati finanziari? La recessione negli Stati Uniti comporterà probabilmente un calo delle azioni statunitensi e, dato l’umore ribassista prevalente tra gli analisti e gli investitori, qualsiasi calo dovrebbe rivelarsi modesto. Tuttavia, è probabile che le azioni degli Stati Uniti sottoperformino rispetto a quelle dell’Europa e del Regno Unito. In secondo luogo, i tassi d’interesse statunitensi dovrebbero scendere entro la fine dell’anno, anche se prima saliranno ulteriormente. Ciò significa che il rimbalzo del dollaro della scorsa settimana dovrebbe rivelarsi temporaneo. Pertanto, dopo qualche oscillazione, le obbligazioni statunitensi dovrebbero recuperare.
A cura di Elaine Lin, Analista degli investimenti di Capital Group
Il rischio che l’eurozona entri in recessione è in crescita già da diverso tempo, ma il recente nervosismo dei mercati l’ha resa un’eventualità significativamente più probabile.
Per quanto riguarda i dati, quelli sul prodotto interno lordo (PIL) del quarto trimestre indicano che l’eurozona ha evitato per poco una recessione tecnica. Osservandoli più da vicino, però, emergono una domanda dei consumatori via via più debole e una crescita penalizzata dalla domanda interna. Ulteriori segnali di un indebolimento della domanda al consumo arrivano dai dati sulle vendite al dettaglio in Germania, il cui trend ribassista è proseguito a gennaio. Insieme al crollo dell’offerta di moneta M1 e all’inasprimento degli standard per l’erogazione dei prestiti, tali dati indicano che la stretta monetaria sta producendo gli effetti desiderati.
Una BCE aperta al futuro
Nonostante il nervosismo dei mercati, in occasione della riunione di marzo la BCE è andata avanti per la propria strada mettendo in atto il rialzo da 50 pb preannunciato, ma ha abbandonato la propria forward guidance e ha fatto sapere di seguire ormai una traiettoria totalmente “dipendente dai dati”. A nostro giudizio si tratta probabilmente dell’approccio giusto, dato che l’istituto non è più in grado di farsi un’idea chiara di come si evolverà la situazione economica.
La discesa del tasso finale
Riteniamo che il nuovo approccio “attendista” della BCE comporti una progressiva riduzione del tasso finale data l’elevata probabilità di un ulteriore deterioramento dei dati economici. Questo fatto è messo in evidenza dal peggioramento del sentiment economico in Germania rilevato dall’indagine ZEW. Nonostante ciò, non è ancora chiaro quanto tempo impiegherà la BCE ad avviare un ciclo di taglio dei tassi.
Ma l’inflazione non è ancora passata, e non è più solo un problema legato all’energia
Dopo l’incertezza e la volatilità dell’ultima settimana sarebbe bello non doversi più preoccupare dell’inflazione; purtroppo, però, le pressioni al rialzo sui prezzi permangono.
È pur vero che in seguito al recente calo dei prezzi energetici l’inflazione primaria potrebbe aver superato il proprio picco, con i prezzi “headline” trascinati al ribasso secondo le previsioni dagli effetti base nei prossimi mesi. Ma la maggior parte dei parametri che misurano l’inflazione di fondo continuano a crescere: nell’eurozona il dato core, che esclude i prezzi di generi alimentari ed energia, è ai massimi storici. A contribuire alle pressioni sui prezzi è la scadenza prevista per quest’anno delle misure varate dai governi per tenere bassi i prezzi energetici. Inoltre, fatto più importante, a causa della natura retrospettiva e pluriennale del meccanismo di adeguamento dei salari vigente nell’eurozona è probabile che la loro inflazione acceleri fino a raggiungere livelli al di sopra di quelli coerenti con il target del 2% della BCE.
Di conseguenza l’inflazione si trasformerà da problema esogeno a endogeno, sfida che nell’ultimo decennio la BCE non ha mai dovuto affrontare.
Implicazioni per gli investimenti
Benché l’incertezza permanga, finora dai dati emerge a nostro parere un significativo incremento della probabilità che l’eurozona entri in recessione. Alla luce di ciò riteniamo sia possibile acquisire valore incrementando l’esposizione alla duration, dati i livelli attuali.
A oggi la curva del mercato monetario sconta tagli dei tassi nell’eurozona a partire dal 2024. Ipotizzando che questa previsione sia a grandi linee corretta e che i dati emersi dalle rilevazioni evidenzino l’ulteriore deterioramento da noi atteso, pronostichiamo un calo dei rendimenti sui Bund tedeschi. Calo che potrebbe verificarsi anche qualora l’inflazione rimanesse vischiosa. Se le turbolenze sui mercati si intensificassero e le banche centrali fossero costrette a fornire maggiori stimoli, i titoli di Stato potrebbero beneficiare di una tentata “flight to quality”.
Confermiamo il posizionamento per un ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie tramite un sottopeso sugli spread tra i titoli di Stato e in particolare sull’Italia. Con il sempre maggiore rischio di una recessione i titoli di Stato italiani (BTP) si comporteranno via via di più come un asset creditizio. A fronte di ciò le loro valutazioni restano poco attrattive. Il profilo di debito dell’Italia rimane inoltre vulnerabile a causa delle consistenti attività di emissione del Paese e della forte esposizione ai titoli di Stato italiani del suo settore bancario, contribuendo così potenzialmente a un ampliamento degli spread in periodi di avversione al rischio.
Con l’aumento del rischio di una recessione è probabile che crescerà anche la pressione affinché la curva dei rendimenti si appiattisca. L’incertezza rimane tuttavia elevata e, dato l’approccio restrittivo “condizionato” atteso della BCE, manteniamo una posizione di ridotte dimensioni sul possibile appiattimento della curva come forma di copertura rispetto al rischio di un ulteriore incremento dei tassi.
Dopo un decennio di politiche monetarie ultra-accomodanti iniziamo ad osservare le conseguenze desiderate e indesiderate del loro aggressivo inasprimento. Sebbene banche centrali e autorità di regolamentazione siano pronte a schermare il sistema finanziario da un altro “momento Lehman”, è importante tenere a mente che non serve una crisi finanziaria globale per far andare in recessione l’economia.
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