A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR
In questi giorni sono capitate due ricorrenze, due “Accadde Oggi”, che offrono lo spunto per un ragionamento sulla cronaca finanziaria e sui conseguenti comportamenti finanziari da adottare.
Il primo “Accadde oggi” è del 27 settembre. In quel giorno del 1974 la rivista Science pubblicava l’articolo “Judgment under Uncertainty: Heuristics and biases”.
Due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, presentavano nell’articolo le loro intuizioni su come gli individui pensano e assumono decisioni, descrivendo tre “euristiche”, scorciatoie mentali che le persone utilizzano per valutare le probabilità e decidere.
La prima “euristica” presentata dai due psicologi è la Rappresentatività, cioè la capacità degli individui di farsi un’idea sulla base di somiglianze con stereotipi esistenti, una “scorciatoia” che tende però a far trascurare le statistiche e i fattori di probabilità.
La seconda “scorciatoia mentale” è la Disponibilità, la tendenza a dare maggior importanza a ciò che viene in mente come prima cosa, le idee e i concetti “più disponibili” al pensiero cosciente. Anche in questo caso l’insidia è quella di ignorare la maggiore affidabilità dei dati e delle statistiche. L’ultima euristica descritta da Kahneman e Tversky è l’Ancoraggio, la fatica di fare stime o valutazioni senza allontanarsi da valori iniziali, anche quando tali valori si rivelano fuorvianti o sbagliati.
La conoscenza e la consapevolezza di queste insidie cognitive, o bias, è la precondizione per assumere decisioni finanziarie corrette, è ammonimento a tenere sotto controllo l’impulsività, a non seguire le intuizioni e fidarsi invece delle statistiche e dei fatti concreti
Un criterio “universale” nell’approccio alle scelte di investimento è l’analisi rigorosa delle valutazioni, a maggior ragione in una fase come questa segnata dal premio al rischio ai minimi storici e dalla forte concentrazione delle performance. Far dipendere le scelte di investimento dal buon lavoro fatto sulla valutazione dei titoli è un criterio che resiste alla prova del tempo.
L’altro criterio universale è la pazienza, virtù difficile nel tempo dell’impazienza, eppure i grandi imprenditori e i grandi investitori sono tali perché capaci di sottrarsi alla trappola del presente, capaci di guardare oltre le metriche trimestrali.
Gli investitori ricorrono spesso alle euristiche perché consentono di trovare orientamento in scenari confusi. Una euristica diffusa è la ricerca di protezione con i titoli del Tesoro americano e, a proposito dell’altro “Accadde oggi”, ricordiamo il record segnato dal Treasury il 30 settembre 1981, quando il rendimento toccò il picco storico di 15,84%.
Poche settimane dopo il Congresso americano si sarebbe poi trovato intrappolato nella discussione sul tetto al debito federale e sul rischio del cosiddetto “shutdown”, la sospensione delle attività del governo in mancanza della legge con lo stanziamento dei fondi necessari.
Quarantadue anni dopo, ci ritroviamo ancora alle prese con l’imprevedibilità del rendimento del Treasury e con il ricorrente scontro tra Democratici e Repubblicani sul tetto al debito federale. Lo shutdown è stato evitato e per il momento la più grande economia del mondo non chiude, il problema non è stato risolto ma spostato alla metà di novembre.
Le disfunzionalità della politica americana hanno un costo finanziario ma i mercati non hanno prestato troppa attenzione al braccio di ferro al Congresso, sono molto più concentrati, e preoccupati, su quanto sta accadendo ai tassi, ai livelli più alti dal 2007. E dunque è ai livelli massimi dal 2007 anche il costo del servizio del debito federale, l’altro lato del mantra dei tassi “più alti per più tempo”. Nel 2007 il debito era al 62% del pil degli Stati Uniti, oggi è oltre il 120% e il costo assorbirà risorse finanziarie per circa il 2,5% del PIL.
La spesa pubblica ha contribuito con decisione alla resistenza dell’economia americana all’aumento dei tassi, ma al costo di un debito e un deficit più alti e la discesa dei tassi non è dietro l’angolo.
La maratona delle banche centrali, cominciata con la riunione della Federal Reserve il 20 settembre e proseguita la settimana dopo con le riunioni della Banca Centrale Europea e di altre dieci banche centrali, si è conclusa con la convinzione che l’attuale livello dei tassi ci accompagnerà ancora per un po’ di mesi.
I tassi sono arrivati al plateau dell’”higher”, ora si accingono al “longer”, l’inflazione continua a decelerare ma è ancora lontana dall’obiettivo, resta nelle carte la possibilità che la Fed intervenga ancora a novembre.
La consapevolezza delle insidie cognitive ricordate sopra dovrebbe aiutare a mantenere i risparmiatori fedeli al metodo, ricordando loro che la pazienza è fondamentale in una fase in cui il mercato obbligazionario è di difficile comprensione. Questi rendimenti consentono, senza fretta, la costruzione di posizioni lunghe sulle curve americana ed europea e, come buon auspicio, ricordiamo che spesso l’ultimo trimestre dell’anno si è rivelato benevolo con gli investitori.