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Fsi-Usae Coordinamento Nazionale Infermieri: stigmatizzate le premesse della delibera della Regione Veneto sulla formazione complementare degli OSS. Inaccettabili. Sembrano quasi una velata minaccia destinata alla categoria.

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Lunga Riunione quella di ieri sera del Coordinamento Nazionale Infermieri (FSI-USAE CNI) che aveva un nutrito programma di argomenti all’ordine del giorno. Ovviamente il tema caldo del giorno è stato rappresentato dai contenuti dell’art.  4 del Decreto Legge, n. 44 del 1 aprile 2021 “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” con cui il legislatore ha introdotto l’obbligo di vaccinazione anti COVID-19 per “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie e parafarmacie e negli studi professionali”.

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L’argomento è stato trattato sotto diversi punti di vista, da quello giuridico a quello sanitario, con una discussione che è stata assai articolata e a tratti accesa, in cui sono state individuate numerose lacune sia sul piano sanitario che su quello giuridico. Molti hanno sottolineato che un obbligo vaccinale  dovrebbe estendere i propri effetti a tutti, cosa che invece il decreto non fa, e dovrebbe essere scritto in modo diverso. Il Governo, insomma, avrebbe dovuto assumersi le proprie responsabilità fino in fondo anche per gli eventuali effetti dannosi del vaccino, abolendo l’obbligo del consenso, cosa che non ha alcuna intenzione di fare. Il Governo, invece, rendendosi conto di fare una forzatura, con la norma introdotta ha cercato di aggirare i vari problemi sia sotto il profilo giuridico che sanitario ed ha finito per scrivere una sorta di  ricatto professionale per gli operatori sanitari. Insomma una brutta norma, giuridicamente e stilisticamente “sporca” che creerà un sacco di problemi e numerosi contenziosi. Un decreto che, in fase di conversione in legge, andrà modificato.  A tale proposito, la Federazione FSI-USAE, che è tra quelle che hanno invitato i propri associati a vaccinarsi, ha già chiesto di essere ascoltata in sede parlamentare per chiedere una diversa formulazione dell’articolato.

C’è stata una discreta discussione anche sulla delibera della Regione Veneto sulla formazione complementare degli OSS: le opinioni anche qui sono state articolate ma tutti hanno convenuto che i contenuti del provvedimento non sono una novità assoluta; infatti   già nell’accordo tra Stato-Regioni del 2003 si attribuivano agli OSS alcuni compiti dell’infermiere senza che potesse paventarsi una sua sostituzione.
“Ciò che dà fastidio e va stigmatizzato” dice Calogero Coniglio Coordinatore Nazionale CNI “sono le intenzioni che emergono dalle premesse dell’atto e dalle dichiarazioni stampa che – al di là dei contenuti del provvedimento che non sono scandalosi – paventano una sostituzione degli infermieri con gli OSS nel settore sociosanitario privato. Sembrano un avvertimento velatamente minaccioso alla categoria che si potrebbe tradurre così: attenzione a non chiedere troppo perché altrimenti vi sostituiamo. Inaccettabile.”

Gli fa eco Beatrice Mura, altra Coordinatrice Nazionale CNI: “il problema è che per colpa della classe medica – che ha fatto quadrato per garantirsi ampi spazi di manovra – è fallito ogni tentativo di applicare il comma 566 della vecchia legge di Stabilità 2015, che per i medici era una eresia. La norma infatti prevedeva che ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e Regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, fossero definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie per definire esattamente il perimetro delle attività sanitarie di ciascuna professione in rapporto a quelle riservate alle altre professioni sanitarie. Ancora una volta, quindi,  il problema è la dignità professionale e l’autonomia operativa di ogni  professionista ed i limiti e le responsabilità derivanti dalle proprie competenze professionali a fronte di organizzazioni aziendali che non vogliono tenere conto di tali norme, concedendosi ampie deroghe.” 

Alla Riunione, che ha visto la partecipazione di oltre 90 Infermieri delegati dei Coordinamenti Territoriali, dove è stato trattato anche il documento FNOPI  “Nuovi orizzonti del personale infermieristico criticità e proposte per la valorizzazione della professione” insieme con le proposte di politica sanitaria regionale e contrattuale per gli infermieri, è intervenuto anche il Segretario Generale della Federazione, Adamo Bonazzi  che ha focalizzato il suo intervento sui nodi che ancora attanagliano le procedure per il rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni alla luce del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale soffermandosi sui problemi specifici della sanità che l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni sembra non voler sciogliere prima dell’apertura della stagione contrattuale P.A. 2019-2021. Nel piatto, infatti, c’è l’uscita dal comparto con il passaggio alla dirigenza (in una autonoma sezione della stessa area) delle professioni sanitarie, richiesta che il Segretario generale ha ribadito al tavolo interconfederale ARAN, ma anche l’esiguità delle risorse per i comparti che sarebbero pari ad un 4,07% della massa delle retribuzioni con un aumento (del tutto teorico) che sarebbe corrispondente ai 107,00  euro medi mensili. Da questa somma però vanno sottratte alcune voci come l’indennità di vacanza contrattuale, l’elemento “perequativo” introdotto dal precedente contratto,  i fondi per il trattamento accessorio delle Forze di polizia, delle Forze armate e dei Vigili del fuoco, voci che si mangeranno il 25% degli aumenti (pari ad un 1,03% circa della massa stipendiale). Questo significa che per la sanità si tradurrà, al netto delle indennità previste dalla legge di bilancio, in una somma media di 72,00 euro lordi mensili.

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