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  • Leucemia linfatica cronica, Congresso ASH: presentati dati follow-up su studi con idelalisib

    Leucemia linfatica cronica, Congresso ASH: presentati dati follow-up su studi con idelalisib

    leucemia

    San Francisco, 10 dicembre 2014 – Gilead Sciences, Inc.  ha annunciato oggi i risultati del follow-up a lungo termine degli studi registrativi che descrivono la durata della risposta, la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progression-free survival) e il profilo di sicurezza di idelalisib nei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) e da due tipi di linfoma non-Hodgkin indolente (LNHi). I risultati sono stati presentati questa settimana, in occasione del Congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH).

    In Europa, idelalisib è indicato in combinazione con rituximab per il trattamento di pazienti adulti affetti da LLC che hanno ricevuto almeno una terapia precedente, oppure come trattamento di prima linea in presenza di delezione 17p o di mutazione del gene TP53 in pazienti non idonei alla chemio-immunoterapia. Idelalisib è stato anche approvato come monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con linfoma follicolare (LF) refrattario a due linee di trattamento precedenti.(1)

    Il LNH indolente e la LLC sono neoplasie ematologiche incurabili a crescita lenta, che insorgono tipicamente in soggetti anziani e possono determinare complicanze potenzialmente letali, come anemia, gravi infezioni e compromissione del midollo osseo.(2-4) In seguito alla chemio-immunoterapia iniziale la recidiva è piuttosto comune (5,6) e molti pazienti con malattia recidivante non sono in grado di tollerare ulteriori trattamenti chemioterapici con conseguente limitazione delle opzioni terapeutiche.(7,8)

    “I risultati presentati questa settimana dimostrano il beneficio a lungo termine di idelalisib nelle popolazioni di pazienti che spesso presentano opzioni terapeutiche limitate, o del tutto assenti, a causa dell’età o della mancata risposta alle terapie attualmente disponibili”, ha dichiarato Norbert Bischofberger, PhD, Executive Vice President, Research and Development e Chief Scientific Officer, Gilead Sciences. “Nell’ambito del nostro continuo impegno per caratterizzare ulteriormente il profilo di sicurezza ed efficacia di idelalisib, stiamo continuando a perseguire studi di follow-up a lungo termine e più ampi studi clinici di Fase II e III, in combinazione con i regimi di trattamento esistenti, nella LLC e nel LNHi sia recidivanti sia nel trattamento di prima linea”.

    Lo studio 101-09 sul LNHi (9)
    Lo studio 101-09 (Abstract no. 1708) è uno studio di Fase II a singolo braccio che valuta idelalisib in monoterapia in 125 pazienti con LNHi precedentemente trattato ma refrattario sia a rituximab sia alla chemioterapia contenente un agente alchilante, una popolazione di pazienti che dispone di poche o nessuna opzione terapeutica. Secondo le più recenti analisi ad interim dei dati (giugno 2014), 72 pazienti (58%) hanno risposto alla terapia, inclusi 12 (10%) che hanno ottenuto una risposta completa – con un aumento rispetto alle 7 (6%) risposte complete riportate inizialmente e pubblicate all’inizio di quest’anno nel The New England Journal of Medicine. Alla più recente analisi ad interim dei dati, la durata mediana della risposta per tutti i pazienti è stata pari a 12,5 mesi. La durata mediana della risposta tra i pazienti nei sottogruppi linfoma follicolare (LF; n = 40) e linfoma linfocitico a piccole cellule B (SLL, small lymphocytic lymphoma; n = 17) è stata rispettivamente pari a 10,8 e 12,5 mesi.

    Gli eventi avversi di grado ≥3 insorti più comunemente tra tutti i pazienti sono stati diarrea/colite (19%) e polmonite (12%). Nel 14% dei pazienti si sono verificati aumenti delle transaminasi di grado ≥3.

    Dati a lungo termine nella LLC
    Sono stati anche presentati ulteriori risultati a lungo termine dello studio 116, condotto con idelalisib in pazienti con LLC trattati in precedenza.

    Lo studio 116 (Abstract no. 330), (10), è uno studio randomizzato e controllato con placebo che ha valutato idelalisib più rituximab rispetto a rituximab in monoterapia in 220 pazienti con LLC recidivante che non erano in grado di tollerare la chemioterapia standard. I pazienti arruolati in questo studio sono stati ritenuti idonei a continuare a ricevere la terapia con idelalisib in uno studio di estensione in aperto (studio 117). I risultati dello studio primario e di quello di estensione dimostrano che tra i 110 pazienti randomizzati a ricevere idelalisib più rituximab, la PFS mediana è stata ormai raggiunta, ed è pari a 19,4 mesi.

    Nello studio 116/117 gli eventi avversi di grado ≥3 insorti più comunemente nei pazienti trattati con idelalisib più rituximab sono stati diarrea/colite (16%) e polmonite (13%). Nel 6% dei pazienti si sono verificati aumenti delle transaminasi di grado ≥3.

    Idelalisib
    Idelalisib è un inibitore orale dell’isoforma delta della fosfoinositide-3-chinasi (PI3K), una proteina che svolge un ruolo nell’attivazione, proliferazione e vitalità delle cellule B, una componente fondamentale del sistema immunitario. Il pathway dell’isoforma delta della PI3K è attiva in molte leucemie e linfomi a cellule B e, inibendo la proteina, idelalisib blocca diverse vie di segnalazione cellulare che stimolano la vitalità delle cellule B. (11)
    Il 23 luglio 2014 idelalisib è stato approvato con procedura accelerata dalla US Food and Drug Administration come monoterapia per i pazienti con LF o SLL recidivante che hanno ricevuto almeno due precedenti terapie sistemiche, ed è stato approvato in combinazione con rituximab per i pazienti con LLC recidivante per i quali il solo rituximab sarebbe considerato una terapia appropriata, a causa della presenza di comorbilità. (12) Il 19 settembre 2014 la Commissione europea ha approvato idelalisib come monoterapia nei pazienti con LF refrattari a due precedenti linee di trattamento; in combinazione con rituximab, per i pazienti con LLC che hanno ricevuto almeno una terapia precedente e in pazienti che presentano delezione 17p o di mutazione del gene TP53 e che non sono idonei a ricevere la chemio-immunoterapia. (13)

    Attualmente il programma di sviluppo clinico per idelalisib include sei studi clinici di Fase III – ancora in corso o già completati – sui tumori a cellule B. Ulteriori informazioni sugli studi clinici con idelalisib e sugli agenti tumorali sperimentali di Gilead sono disponibili all’indirizzo www.clinicaltrials.gov.

    Riferimenti

    1. European Medicines Agency. ZYDELIG (idelalisib) SPC.
    2. Chronic Lymphocytic Leukemia Treatment (PDQ). National Cancer Institute (NCI).
    3. Adult Non-Hodgkin Lymphoma Treatment (PDQ). National Cancer Institute (NCI).
    4. What you need to know about non-Hodgkin lymphoma. National Cancer Institute. September 2007.
    5. Brown JR. The treatment of relapsed refractory chronic lymphocytic leukemia. Hematology Am Soc Hematol Educ Program 2011;2011:110-8. doi: 10.1182/asheducation-2011.1.110.
    6. Salles GA. Clinical Features, Prognosis and Treatment of Follicular Lymphoma. American Society of Hematology Education Program Book. 2007;2007:216-225.
    7. Furman RR et al. Idelalisib and Rituximab in Relapsed Chronic Lymphocytic Leukemia. N Engl J Med. 2014;370:997-1007.
    8.Gopal AK et al. PI3Kδ inhibition by idelalisib in patients with relapsed indolent lymphoma. N Engl J Med. 2014;370:1008-18.
    9. Gopal AK et al. Mature Follow up from a Phase 2 Study of PI3K-Delta Inhibitor Idelalisib in Patients with Double (Rituximab and Alkylating agent)-Refractory Indolent B-Cell Non-Hodgkin Lymphoma (LNHi). [ASH abstract 1708; Session 623; Date: December 7, 2014; Time: 17:30-19:00].
    10. Sharman JP et al. Second Interim Analysis of a Phase 3 Study of Idelalisib (ZYDELIG) Plus Rituximab (R) for Relapsed Chronic Lymphocytic Leukemia (LLC): Efficacy Analysis in Patient Subpopulations with Del(17p) and Other Adverse Prognostic Factors. [ASH abstract 330; Session 642; Date: December 8, 2014; Time: 08:15].
    11. Lannutti BJ et al. CAL-101, a p110delta selective phosphatidylinositol-3-kinase inhibitor for the treatment of B-cell malignancies, inhibits PI3K signaling and cellular viability. Blood 2011;117:591-4.
    12. FDA Press Release. FDA approves Zydelig for three types of blood cancers. July 2014.
    13. Gilead Press Release. European Commission Grants Marketing Authorization for Gilead’s Zydelig® (Idelalisib) for the Treatment of Chronic Lymphocytic Leukemia and Follicular Lymphoma. September 2014.

  • Anemia: un problema clinico, sociale e di politica sanitaria

    Anemia: un problema clinico, sociale e di politica sanitaria

    microchirurgia
    Anemia

    Verona, 10 settembre 2014 – La carenza di ferro è il disturbo nutrizionale più comune al mondo che colpisce 1,62 miliardi di persone a livello globale, ma è anche la causa più frequente di anemia, che rappresenta circa il 50% dei casi. E’ una patologia molto diffusa e si stima possa causare ogni anno oltre 800.000 morti, prevalentemente in Africa e in Asia. Ma l’anemia non è solo un problema dei Paesi in via di sviluppo. Esistono, infatti, evidenze che dimostrano come sia presente anche nel mondo occidentale compresa l’Italia. Ciononostante, si tratta di una problematica fortemente sottostimata e sotto trattata, tanto da diventare un grave problema di “salute pubblica”, oltre che un costo importante per la sanità regionale, incidendo su mortalità, ospedalizzazioni e qualità della vita di chi ne soffre.

    Per questo è importante favorire la prevenzione e la diagnosi precoce della malattia, oltre che migliorare la gestione del paziente. Da qui la proposta dell’Associazione non-profit “Anemia Alliance”, nata lo scorso dicembre con lo scopo di promuovere la diffusione della conoscenza dell’anemia al fine di prevenirla, curarla e affrontare le relative complicanze e disabilità, fatta alla Regione Veneto di istituire un Gruppo di Lavoro interdisciplinare per la definizione di un percorso nella rete regionale dei servizi, che fornisca le necessarie garanzie di efficacia e continuità dell’assistenza sanitaria per il paziente con anemia.

    “L’anemia, a prescindere dall’eziologia, colpisce il 24,8% della popolazione globale (WHO, 2008), rappresentando, di fatto, la più frequente patologia al mondo – dichiara Robin Foà – Direttore dell’Istituto di Ematologia presso l’Università Sapienza di Roma, past-President della Società Europea di Ematologia (EHA) e Presidente di “Anemia Alliance” – La fascia di età percentualmente più interessata corrisponde ai bambini in età prescolare (47,4%); tuttavia le donne in età fertile sono, in assoluto, il gruppo di pazienti numericamente più importante (circa mezzo miliardo). Dal punto di vista geografico – continua Foà – l’Africa è il continente a più alta percentuale di anemia nella popolazione generale (47,5% – 67,7%), così come il più elevato numero in assoluto di anemici è presente nel sud Est Asiatico (315 milioni), ma il “Global WHO Anaemia Data Base” ci mostra come l’anemia sia un vero e proprio problema di salute pubblica, che non riguarda solo le nazioni più povere. Non esiste, infatti, alcun Paese in cui la problematica non sia presente, sia pur in modo limitato.”

    Nonostante gli studi epidemiologici ed osservazionali riguardino principalmente i Paesi del terzo mondo, per quanto riguarda l’Italia, esistono dati relativi ad un campione rappresentativo di circa un milione di persone provenienti dal database di Health Search della SIMG (l’unico database della Medicina Generale validato a livello nazionale e internazionale).

    “L’andamento della prevalenza dell’anemia sideropenica in Italia, secondo i dati di Health Search – dichiara Ovidio Brignoli, Vice Presidente SIMG – Società Italiana Medicina Generale – si dimostra crescente con l’aumentare dell’età e riveste particolare evidenza nella popolazione femminile nella fascia tra i 35 e i 54 anni (10%), che comprende le donne in età fertile e in fase pre-menopausale. Negli anziani (75-84 anni) il trend è sovrapponibile nei due sessi ( 5,7% nelle donne e 3,9% negli uomini). Nella popolazione con anemia sideropenica – continua Brignoli – il 59% dei soggetti è rappresentato da donne con età inferiore ai 55 anni, il 25% da donne con più di 55 anni e solo il 16% da maschi”.

    Disaggregando i dati a livello regionale, si stima che, per quanto riguarda il Veneto, ci siano 183.000 pazienti con anemia sideropenica, pari al 4,4% della popolazione adulta, di cui circa 100.000 le donne in età fertile e oltre 40.000 anziani.
    “La spesa sostenuta dalla Regione Veneto nel 2013 per prodotti contenenti ferro è stata di 1.340.000 euro – riferisce Giovanna Scroccaro, Responsabile del Settore Farmaceutico Regionale – distribuiti prevalentemente a livello territoriale, con il 70 % a carico della spesa in convenzionata e il rimanente utilizzato in regime di ricovero ospedaliero o distribuito dagli ospedali in distribuzione diretta.
    Sempre nel 2013 – continua Scroccaro – 95.454 pazienti di età superiore ai 15 anni hanno ricevuto una prescrizione di ferro, con una prevalenza del 2,3%. La prevalenza nelle donne è 3 volte rispetto agli uomini (3,4 verso 1 %). La differenza si accentua nei giovani (3,9% F verso 0.3% M nell’età compresa tra 15 e 55 anni ), ma diventa invece simile – circa il 5.2% – nell’età anziana sopra i 74 anni. In linea con i dati di Health Search , il ricorso all’uso di preparati a base di ferro è più elevato nei pazienti che assumono FANS , così come nei pazienti che presentano tumore all’intestino (9 volte più elevato) o ulcera peptica (6 volte più elevato). Ciò a conferma che i pazienti che presentano queste caratteristiche sono più a rischio di sviluppare anemia e quindi di assumere ferro. Analogamente – conclude Scroccaro – anche il ricorso ad esami quali gastroscopie e colonscopie e’più frequente nei pazienti che assumono ferro”.

    Il ferro non è solo una componente funzionale dell’emoglobina, ma è necessario anche per assicurare il funzionamento corretto di molte tra le più importanti vie metaboliche. Per questo motivo, la carenza di ferro e l’anemia sono gravi comorbilità, che insorgono frequentemente in diversi quadri clinici come, ad esempio, la malattia renale cronica, le malattie infiammatorie intestinali, lo scompenso cardiaco e anche nel corso di sanguinamenti uterini gravi e chemioterapia.

    “I pazienti anemici soffrono spesso di un grado variabile di stanchezza, mancanza di concentrazione, maggior predisposizione alle infezioni e hanno una scarsa qualità di vita. Ciò – aggiunge Foà – si ripercuote negativamente sulla produttività e la capacità lavorativa. La gestione della carenza di ferro e dell’anemia ha come obiettivo l’apporto di adeguati quantitativi di ferro per normalizzare e mantenere livelli target di emoglobina, stimolando una corretta eritropoiesi e ricostituendo le riserve di ferro nell’organismo”.

    Se, come si è detto, l’anemia è nel suo complesso un fenomeno sotto diagnosticato e sottotrattato, lo è in modo particolare nella popolazione anziana.

    “L’anemia nell’anziano rappresenta un problema molto comune, dato che la sua prevalenza aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età – dichiara Domenico Girelli, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Verona e Coordinatore del locale Centro di Riferimento per le Malattie del Ferro — Ciò nonostante, tradizionalmente vi è sempre stata una forte sottovalutazione del problema da parte di medici, decisori istituzionali, e pubblico, che tendono a considerare il fenomeno come un fatto “para-fisiologico” (in altri termini “normale”), secondario ad altre malattie (infiammatorie, neoplastiche, renali, etc.), nella cui diagnosi e cura si investono maggiori impegno e risorse. A meno che i livelli di emoglobina circolante arrivino a valori allarmanti (sotto i 9-10 g/dl, considerando che i valori normali sono maggiori di 12-13 g/dl)”.

    “Negli ultimi anni – continua Girelli – una serie di evidenze scientifiche concordi ha, invece, dimostrato che l’anemia nell’anziano ha di per sé un impatto primario sulla qualità di vita, favorendo il declino delle performance globali e cognitive, e anche sulla stessa sopravvivenza. Inoltre, è ormai chiaramente documentato che nel paziente ospedalizzato la presenza di anemia si associa, in modo indipendente, a un prolungamento della degenza, con le implicazioni individuali, sociali, ed economiche che ne conseguono. Essendo, poi, un problema non raramente legato a gravi patologie quali neoplasie dell’apparato gastroenterico, una diagnosi negli stadi iniziali di anemia può portare alla scoperta di tumori in fase di curabilità. Considerando che gli esami diagnostici di primo livello (assetto marziale e vitaminico) sono in genere semplici e poco costosi, ma ancora ampiamente sotto-utilizzati”.

    “Alla luce di tutto quanto esposto – dichiara Luigi Giuliani, Farmacista Ospedaliero Regione Piemonte,
    già Direttore del Dipartimento di Farmacia Clinica e Farmacologia dell’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara – diventa cruciale e urgente aumentare la consapevolezza del problema dell’anemia, cercando di modificare la mentalità corrente che considera tale condizione “secondaria”. Vi sono evidenze oramai acclarate che l’anemia abbia un impatto pesante sulla qualità della vita di chi ne soffre e che, in presenza di altre patologie, riuscire a trattare questo problema aiuti a migliorare il quadro generale di salute del paziente. Per questo motivo – aggiunge Giuliani – a quasi un anno dalla sua costituzione, l’Associazione Anemia Alliance, nella sua opera di diffusione di conoscenze sull’anemia, ritiene sia importante stimolare iniziative volte all’approfondimento della patologia come problema clinico, sociale e di politica sanitaria. Da qui, la proposta alle Istituzioni sanitarie regionali del Veneto, realtà molto sensibile a questo tipo di tematiche, di definire un percorso diagnostico e terapeutico che porti innanzi tutto a una valutazione oggettiva di come sono gestiti questi pazienti oggi e quali sono i costi relativi per fornire le necessarie garanzie di efficacia e continuità dell’assistenza sanitaria. Sulla base di queste evidenze – conclude Giuliani – sarà, poi, possibile da parte dell’Associazione stessa fare proposte più ampie, come avviare programmi educazionali e di comunicazione, oltre che sostenere studi clinici, epidemiologici e di costo-efficacia correlati all’anemia, per contribuire al cambiamento dell’approccio alla malattia”.
    MAggiori informazioni su allianceanemia.org

  • Malattie del sangue: una rivoluzione lunga dieci anni

    Roma, 17 giugno 2014 – I dieci anni che hanno cambiato la storia dell’Ematologia. I dieci anni in cui si sono raccolti i frutti della grande rivoluzione delle terapie mirate, avviata alla fine degli anni ‘90, quando l’avvento di imatinib, capostipite degli inibitori della tirosin-chinasi, ha riaperto per i pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica un futuro che sembrava compromesso. Oggi la speranza di guarigione è una prospettiva reale. L’avvento delle terapie mirate di seconda generazione come nilotinib consente di ottenere risposte molecolari definite “profonde”, che corrispondono a un livello minimo di malattia e aprono la strada all’interruzione della terapia. Questa prospettiva viene oggi esplorata in diversi studi nei quali sono coinvolti anche pazienti italiani che hanno smesso di assumere il farmaco. (altro…)