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Come sfatare il mito del bambino perfetto: dedicando cura e attenzione ai suoi reali bisogni

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di Francesca Lecce – Dimmi in quante cose eccelli e ti dirò quanto vali”. Questa sentenza, che spesso suona come una condanna, indica come negli ultimi anni vi siano diversi problemi relativi al rapporto e alle aspettative tra genitori, figli e mondo collettivo. In particolare si evidenzia come le relazioni dentro il sistema famiglia si evolvono e come società, origine e individuo si influenzano reciprocamente tanto da confondere- in alcuni passaggi di crescita- un disturbo dello sviluppo reale da un ritardo momentaneo, dovuto a tempi e modi diversi di maturare. Parafrasando Carl Jung possiamo dire che quando vorremmo modificare qualche aspetto del bambino, sarebbe meglio prima vedere se non sia qualcosa che possiamo piuttosto cambiare in noi stessi. I genitori dovrebbero comportarsi con il bambino fin dall’inizio dedicandogli attenzione, amore, cura nei suoi reali bisogni e rispettando i propri tempi, rinunciando così ad un’idea incarnata di egoismo- del bambino perfetto.

Ormai in letteratura ci sono numerose prove del fatto che, già alla nascita, i neonati hanno competenze chiare “in termini di comunicazione, di conoscenza dei loro limiti e delle loro necessità, anche se spesso hanno bisogno di aiuto per tradurle in frasi comprensibili”. Ed anche se gli infanti sono capaci di esprimere le loro necessità ed i loro limiti, non sono in grado di difenderli da manipolazioni e violazioni da parte degli adulti. Per questo dipendono dalla capacità e dalla disponibilità di chi si prende cura di loro per riconoscere le proprie competenze ed il diritto di prendersi le proprie responsabilità personali.

Quindi, se partiamo dall’ipotesi che genitori e figli sono persone a tutti gli effetti con diritti, bisogni e competenze, tutto sta nel trovare modalità di educazione e convivenza che rispettino il più possibile ogni membro della famiglia, indipendentemente dall’età. I genitori poi, attraverso il riconoscimento delle proprie capacità e potenzialità, potranno avere più fiducia in se stessi e nelle capacità e potenzialità dei propri figli; non pretendendo dal bambino performance da premio Nobel e rispettando l’individualità, la tempistica e la modalità soggettiva.

La Rivoluzione Industriale ha portato con sé l’illusione di poter controllare e dominare la natura attraverso l’uso delle macchine, dei calcolatori e grazie al progresso, nei paesi civilizzati, ognuno di noi gode di innovazioni costanti che hanno cambiato radicalmente la vita. Internet, smarthphone, mezzi di trasporto sempre più veloci annullano le distanze provocando spesso nell’individuo una sensazione simile all’onnipotenza e alla perfezione. Ma se il disastro economico, industriale e ambientale spesso è noto ormai a tutti: quello emotivo?

Forse potremmo considerare l’ABC della sopravvivenza umana proprio a partire dal rispetto del proprio bambino, dell’amore e dell’affettività, scoprendo che, la fisiologia viene in nostro aiuto. Niente di più facile e immediato, quindi che concentrarsi sull’inizio, quando il proprio bambino viene concepito e partorito, passando dall’equilibrio e dall’avvolgimento totale nel corpo caldo della mamma al caos della vita extrauterina, fatta di luci-suoni e spazi che prima della nascita non erano lontanamente immaginabili.

La percezione che genitori hanno della fanciullezza non è qualcosa di statico e appreso in modo definitivo, in quanto ogni generazione di bambini  trasforma e ridefinisce ogni volta la propria immagine sociale. Spesso il bambino viene rappresentato attraverso modalità amplificate di modelli di vita quotidiana non sempre reali e funzionali, che non aiutano il genitore a capire il comportamento da attuare con il proprio bambino.

I maggiori rischi riguardano un aspetto con duplice valenza: da un lato la possibilità che il bambino venga sollecitato ad adeguarsi in modo eccessivo  e troppo velocemente ai bisogni e alle richieste del mondo dei grandi, attuando comportamenti di adultizzazione forzata; dal lato opposto, che il bambino venga mantenuto in una dimensione di dipendenza, passività o emarginazione, con conseguenti importanti limiti a una crescita armonica. Il ruolo del genitore in un’ottica funzionale ed equilibrata, rispetto al proprio bambino, si riconosce in particolare attraverso l’attenzione, la cura e il riconoscimento dei suoi bisogni, che sono in continua evoluzione rispetto all’età e al suo universo psichico e interpersonale. E nelle circostanze in cui il bambino presenta un reale disturbo dello sviluppo, risulta essere ancora più fondamentale il rispetto dei propri tempi e delle proprie modalità di conoscere, relazionarsi ed esprimersi. In quanto ogni bambino costruisce l’immagine di sé attraverso ciò che la famiglia gli rimanda costantemente.

Ogni genitore dovrebbe insegnare al proprio bambino a “non essere IL migliore ma MIGLIORI”, in quanto la più felice gratificazione per la famiglia è quella di sentire il proprio figlio in grado di “cavarsela” da solo ed in ogni situazione. Nell’essere migliori si cela sempre il desiderio (è nel desiderio è sempre inclusa una quota di rischio) che i figli siano felici ed entusiasti di percepire- quella sensazione di successo personale- che solo l’autonomia riesce ad far esperire.

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