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Gaming professionale: una breve guida sul comparto

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Se pensate che giocare ai videogame significhi impugnare un controller di nascosto prima di fare i compiti o limitarsi a qualche partita online con gli amici fuori città, vi sbagliate. Oggi il gaming si è evoluto in modo esponenziale: fino alla fine degli anni ‘90 le console non erano in grado di collegarsi alla rete e quindi il loro utilizzo era circoscritto alla dimensione domestica, ma adesso è possibile dar vita a vere e proprie competizioni a distanza, al punto da rientrare nella sfera professionistica. Non a caso da diversi anni a questa parte si sente parlare sempre più spesso degli eSports, che presto approderanno persino alle Olimpiadi. Chi riesce ad eccellere in qualche titolo specifico può gareggiare in eventi ufficiali e far parte di team veri e propri che rappresentano una società o la propria nazione, come in uno sport propriamente detto.

Al momento il settore in questione è ancora agli albori, ma l’indotto generato è già piuttosto consistente. Va da sé che all’idea di guadagnare giocando sono soprattutto i più giovani a voler ricercare la strada verso il professionismo videoludico, tuttavia si tratta di un percorso abbastanza complesso da onorare. Spesso, infatti, i gamer iniziano la loro attività in giovane età, quando presi ancora dagli impegni scolastici. Un problema che cozza non poco con la formazione di un pro: per diventare competitivi bisogna spendere infatti svariate ore al giorno per allenarsi in un solo titolo, una concessione che ben pochi genitori permetterebbero ai propri figli. Una volta attestata la propria bravura, magari anche attraverso i tornei amatoriali online, arriva il momento di farsi conoscere almeno a livello nazionale. I tornei più seri si tengono dal vivo, dunque è necessario viaggiare in lungo e in largo per confermarsi nel settore e cercare di farsi notare da qualche sponsor, anche se il sogno rimane principalmente uno: il “The International”, dove i montepremi raggiungono le decine di milioni di dollari.

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Come intuibile, i nuovi membri di un team professionistico vengono scelti anche adocchiando i partecipanti ai vari tornei. Le classifiche vanno incontro agli scouter, che riescono a individuare più facilmente i talenti di cui hanno bisogno. In buona sostanza, il primo vero passo da eseguire è quello di scegliere un videogioco nel quale si è sicuri di ottenere risultati più che buoni, a prescindere dall’indice di gradimento. Grazie all’evoluzione di Internet non è poi così difficile farsi un nome se si è davvero bravi. Molto, però, dipende anche dalla popolarità del gioco di cui si parla. Se si tratta di un titolo molto datato, per il quale nemmeno gli sviluppatori avevano pensato a un aspetto competitivo, inutile provare a iniziare una scalata. I giochi moderni vengono progettati infatti anche in funzione degli eSports e le variabili sono molteplici. A differenza dei vari software di slot machine, dove è principalmente una componente casuale a fornire i risultati, nel gaming vero e proprio l’abilità dei giocatori fa enormemente la differenza. Ecco perché non è improprio utilizzare il termine “sport”.

Chiaramente, se si riesce ad ottenere successo bisogna anche regolare la propria posizione fiscale. I redditi dei gamer provengono di solito dai premi messi a disposizione nei tornei, da accordi di sponsorizzazione o da affiliazioni con un team, nel qual caso l’attività viene considerata svolta in modo abituale. Se si fa parte di un team si viene inquadrati come lavoratori dipendenti, altrimenti si figura come lavoratori autonomi ed è necessario aprire una Partita Iva, col vantaggio di poter collaborare anche con più team diversi. L’ammontare delle tasse varierà ovviamente in base al proprio regime, che per gamer e streamer è solitamente quello forfettario o quello di contabilità semplificata: nel primo caso i costi sostenuti sono calcolati ab imis, nel secondo possono essere invece dedotti dal reddito.

Avventurarsi nel mondo del gaming professionistico non è affatto una passeggiata, dunque. La dedizione necessaria è notevole, non si tratta più di divertirsi col proprio videogioco preferito. I più meritevoli, tuttavia, vengono premiati a dovere e riescono a togliersi parecchie soddisfazioni. I modelli che fungono da ispirazione non mancano: già nel 2018 si parlava del campione di “League of Legends” Daniele Di Mauro e sebbene gli eSports fossero ancora poco conosciuti le vittorie dei giocatori italiani iniziavano già a fare notizia. Probabilmente saranno proprio le Olimpiadi di Parigi 2024 ad affermare definitivamente la popolarità degli sport elettronici, generando un fenomeno su larga scala. Nei prossimi anni sempre più videogiocatori vorranno provare a cogliere le opportunità professionali offerte dal loro hobby principale.

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