Categoria: libri

  • “Potere e dominio nelle pratiche di cura”, la nuova opera letteraria dell’antropologo Felice Di Lernia

    “Potere e dominio nelle pratiche di cura”, la nuova opera letteraria dell’antropologo Felice Di Lernia

    Dal 4 novembre tre lectio magistralis dell’autore sulla cura a Trani, Bisceglie e Andria

    In principio fu la cura. Poi vennero il potere, il cambiamento, la libertà. Parole così strettamente legate tra loro che condizionano in maniera estremamente sensibile la nostra esistenza.

    Tra l’origine della vita umana e la cura vige un legame indissolubile: l’una non può esistere senza l’altra. Dove c’è relazione c’è cura ma dove c’è cura c’è anche potere.

    Il tema del potere e del dominio esercitato più o meno inconsciamente nelle relazioni con il proprio sapere, è chiamato a un’indagine severa e sincera, profonda e articolata.

    L’argomento investe la centralità del tema della cura nell’esistenza umana, per garantire la pienezza della nostra natura. Ma il tema della responsabilità e della libertà sono ugualmente presenti, in questo appassionato confronto tra le visioni degli addetti ai lavori della materia e la loro attività terapeutica giornaliera.

    Torna nelle librerie (dopo 15 anni) in una nuova versione più essenziale nei contenuti e di agevole lettura “Potere e dominio nelle pratiche di curadi Felice Di Lernia, edito da Durango Edizioni. Il libro nella prima edizione ha conosciuto un notevole successo, diventando un testo cardine e d’esame negli atenei italiani, oltre che materia di studio in molte scuole di specializzazione, ergendosi a ideale punto di riferimento nell’elaborazione concettuale sull’argomento.

    Nell’architettura della preziosa monografia di antropologia della cura sulle dinamiche di potere e dominio che caratterizzano qualunque relazione di cura e aiuto, è contemplata una suddivisione in tre parti: Archeologia delle pratiche di cura; La parola, le parole; Pratiche identitarie.

    Il testo fa parte della collana della Durango edizioni “Lavorare il mondo”, dedicata a saggi ed esperienze dei professionisti della relazione di cura e aiuto e alla loro pratica quotidiana. Psicologi, antropologi, sociologi, educatori, operatori sociali si osservano e si raccontano nel momento della relazione con l’individuo, il gruppo, il sistema che pongono al centro della propria attenzione.

    In occasione della pubblicazione del libro, l’autore terrà tre lectio magistralis sulla cura. La prima è attesa nella prestigiosa cornice di Palazzo delle Arti Beltrani a Trani, alle ore 19.00, del prossimo sabato 4 novembre. Dopo Trani, “Potere e dominio delle pratiche di cura” sarà presentato sempre alle 19,00, lunedì 13 novembre nelle Vecchie Segherie Mastrototaro di Bisceglie e infine giovedì 23 novembre al Coco hub, il contenitore contemporaneo di Andria. Ingresso libero.

    Felice Di Lernia non è solo un grande antropologo del nostro Paese e membro autorevole della SIAM-Società Italiana di Antropologia Medica e della SIAA-Società Italiana di Antropologia Applicata. Il suo capillare lavoro di ricerca si dedica alle dinamiche di relazione di cura e d’aiuto con lo screening costante del rapporto tra il pensiero e la pratica quotidiana dell’intervento.

    L’esperienza professionale e divulgativa dell’autore e la sua autorevolezza a livello nazionale sono garanzia per avvicinarsi al tema senza pregiudizi e paure di uno scibile ritenuto erroneamente come incomprensibile e destinato a pochi. Il testo, infatti, è rivolto anche a chi voglia approfondire il tema della cura come componente fondamentale della esistenza umana.

    Le politiche della salute e le dipendenze patologiche, la cura psicologica dei migranti e delle vittime di tratta, i disturbi cognitivi degli adolescenti e dei giovani sono scottanti dossier del nostro tessuto sociale e di una società complessa e multietnica, che chiedono metodo e servizi degni per il sostegno.

    L’opera di un attento divulgatore dell’antropologia dei nostri giorni permette alla platea di Palazzo Beltrani e ai convenuti degli appuntamenti di Bisceglie e Andria di cogliere tanti aspetti utili per un mondo in faticosa domanda di luce ed equilibrio nelle relazioni sociali.

    Il libro è acquistabile sul sito www.durangoedizioni.it, sui principali store online e sulla piattaforma di distribuzione www.streetlib.com/it, acquistandolo in versione cartacea su questi siti, il libro verrà consegnato a casa entro pochi giorni. È disponibile, inoltre, in tutte le librerie e Mondadori Bookstore.

    Titolo: Potere e dominio nelle pratiche di cura

    Durango Edizioni

    Collana: Lavorare il mondo

    Anno di pubblicazione: 2023

    Pagine edizione cartacea: 247

    ISBN edizione cartacea: 978-88-99476-31-1

    Sul sito www.durangoedizioni.it

    In tutte le librerie, nei principali book store online e nei Mondadori Book Store.

    Disponibile anche sulla piattaforma di distribuzione www.streetlib.com/it

  • “L’urlo del panda” di Salvatore Varsallona

    “L’urlo del panda” di Salvatore Varsallona

    È disponibile in libreria e negli store digitali “L’urlo del panda”, il nuovo romanzo dello scrittore Salvatore Varsallona, pubblicato da CTL Editore.

    Sinossi

    Il rispetto per le regole e per gli altri valgono poco per i protagonisti di questa storia. Rosario Raciti detto il Panda e Andrea Vallante detto Vallanzasca, sin da ragazzi non hanno mai brillato per le loro capacità prima a scuola e poi nella vita. Sullo sfondo una società in decadenza, una nuova generazione che per la prima volta avrà meno speranze dei padri, una vita senza un futuro radioso davanti. Una classe dirigente anch’essa decadente, con un livello socio culturale sempre più basso. Una piramide rovesciata in cui le menti più brillanti emigrano o lottano per sopravvivere e al potere siedono quasi sempre, con rare eccezioni, i mediocri e i furbi. Pietro Alberghina, giovane ragazzo di buona famiglia con grandi ideali, fa da contraltare a Raciti e Vallante. Rifugge un padre mediocre, anch’esso arrivato al successo con astuzia e percorrendo strade non sempre trasparenti, che vuole portarlo dalla sua parte. Dovrà affrontare, contando solo sue forze, una vita difficile, una società poco meritocratica che spesso premia i furbi e punisce gli onesti. Un intreccio di storie, una rincorsa al potere che ha come epilogo un finale dove la vera sconfitta è la nostra società in cui rincorriamo la felicità confondendola con il potere e la ricchezza.

    Biografia

    Salvatore Varsallona Nasce a Catania nel 1971.

    Imprenditore.

    Ha fondato aziende e brevettato nuove tecnologie in campo edile. È appassionato di management e marketing oltre che di letteratura.

    Scrive per passione. Ha vinto il premio Fitel 2018 con il racconto: “L’ultimo nodo del tessitore”. Sempre nel 2018 ha pubblicato “L’ultimo veggente” (2018) con il Seme Bianco.

    È arrivato in finale con il romanzo Le lettere di Emma (2018) al concorso letterario Io Scrittore.

    Ha pubblicato il romanzo “La mossa del cavaliere” (2019) con Ensemble Edizioni.

    L’opera è stata pubblicata in accordo con l’agenzia EditReal di Michela Tanfoglio.

  • Nutrirsi di poesia e amore. Un inno alla vita

    Nutrirsi di poesia e amore. Un inno alla vita

    La leggerezza dei petali, che richiamano la bellezza della breve vita di un fiore, e la consistenza materiale della quotidiana necessità del “nutrirsi” di qualcosa, rappresentata dal “piatto”. Nasce, così, “Petali nel piatto”, la silloge di Annalisa Cutrona, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. L’autrice, avvocato di professione, è nata a Milano e vive nelle Marche, a Porto San Giorgio (Fermo); ha partecipato a numerosi eventi culturali e recital di poesia e musica. Tra le sue passioni, anche la fotografia. La foto di copertina è stata scattata, infatti, proprio dalla poetessa, con uno sguardo spontaneo, sempre attratto da armonia e bellezza. Essa richiama i petali, ma non vi è un piatto nel quale sono contenuti, bensì un vaso bianco, capovolto, generoso, dal quale scivolano nell’aria e nell’aria volano, disposti ad essere raccolti o lasciati andare. «Il piatto – spiega Annalisa Cutrona – è un luogo circoscritto nel quale si trattiene la caduta di quei momenti di poesia che possono restare dentro di noi, alimentando il nostro spirito e nutrendolo di bellezza».

    I versi, sciolti e scritti con uno stile sintetico e ricercato, cantano l’amore in tutte le sue forme. «L’amore – afferma l’autrice – è energia che unisce e salva, che continua, che guida, che attraversa, permeando ogni cellula del nostro corpo e orientando il percorso intero della vita. L’A-more è la non morte e come tale richiama la nostra natura più alta, insegna ad attraversare percorsi difficili e coraggiosi, con la certezza che non avrà mai fine, senza scopo e senza estinzione. Dall’amore scaturiscono le emozioni che suscita, i segnali che esprime, i sentimenti che ispira. La libertà, la giustizia, la bellezza, l’armonia, la comprensione, l’empatia, sono le altre tematiche che la mia poesia esprime; viaggiano sul filo conduttore dell’amore, che conferisce ad ogni cosa e ad ogni tempo l’altitudine di valori naturali, insiti in ogni essere vivente, nascosti spesso, mistificati, traditi, eppure profondamente connaturati all’essenza umana».

    A sottolineare questo aspetto, è anche Alessandro Quasimodo, autore, poeta e critico letterario, figlio del Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo, che ha firmato la Prefazione dell’opera. «La raccolta di Annalisa poggia su una visione di Amore Immenso, nelle sue svariate forme, sentimentale, filiale, materno, spirituale, religioso, che si imbatte frequentemente nell’assenza di reciprocità, spesso neppure cercata, ma solo constatata, consapevole che il percorso d’amore non è finalizzato al “per” ma mosso dallo slancio del “verso” e dalla libertà del “di”. Amare – scrive, ancora Quasimodo – è concedersi il “senza fine” nel duplice significato del “senza scopo” e della “infinità”. Ricorrono spesso nei testi le immagini delle vele, ora stanche, ora lacerate, ora solo bianche, e del mare certe volte in tempesta, altre volte distolto e invisibile allo sguardo e, ancora, “dentro” oppure lontano».

    Al centro della vita di Annalisa vi è sempre l’uomo, con le sue emozioni e i suoi sentimenti, sia nella sua professione di avvocato, che di poeta. «In questo “doppio” della mia vita – racconta – respiro il senso più umano dell’esigenza di giustizia di ogni uomo e, nel contempo, vedo sempre la persona con le sue emozioni e i suoi sentimenti, al centro di entrambe le attitudini della mia esistenza». La poesia, sin da piccola, ha fatto parte della sua vita. «Carta e penna sono quasi un prolungamento della mia mano, quasi un fluire dei pensieri in piena libertà, trascritti solo dall’emozione e dalla musicalità del suono. Ecco, stilisticamente, ho sempre avuto bisogno di sentire la caduta delle parole nell’aria, rileggendole e sentendone il ritmo, anzi la musicalità, disturbata da una sillaba di troppo o da un accento non compiacente, cercando una composizione armonica, quasi ci fosse musica nei versi, leggendo e rileggendo, fino a sentirne la fluidità nella composizione».

    “Petali nel piatto” è un’opera da leggere ad alta voce, creando pause che non sono state scritte, ma che il personale sentire potrebbe inventare ad ogni verso, dando intensità individuale e creando suggestioni. Ne è convinta Annalisa Cutrona, anche pensando ai suoi lettori. «So quello che posso trasmettere, ma non voglio trasmettere nulla che egli non senta o non gli appartenga; io esprimo emozioni e so di suscitarle, non guardo il piatto, ma volo con i miei petali, sperando che qualcuno possa nutrirsene, accogliendo il vaso che li versa, piuttosto che il piatto che li cattura».

    Federica Grisolia

  • “Il mio dolce pensare…”Nei versi di Moiradea l’amore salverà il mondo

    “Il mio dolce pensare…”Nei versi di Moiradea l’amore salverà il mondo

    E’ il lato positivo delle cose, anche nei momenti più bui, quello che vuole trasmettere l’autrice Tiziana De Angelis, con la sua opera “Il mio dolce pensare…”, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. E, da qui, nasce proprio l’idea del titolo. «Pensare sempre dolce, per rinascere nei momenti negativi che la vita ci riserva». Tiziana De Angelis, in arte Moiradea, è nata a Teramo dove risiede. Pittrice, poetessa e scrittrice, ha conseguito premi e riconoscimenti in diverse località d’Italia. I suoi versi e i suoi dipinti cantano l’amore tra sogno e realtà ma anche i dolori che la vita riserva.E cantano l’amore per un paese, che mitiga i dispiaceri e il senso di solitudine che pervade l’esistenza. «Non c’è misura per amare il proprio paese ed io che lo amo lo porto nelle vene ovunque vada. Amarlo, certo, è un modo per non sentirsi mai soli e, quando ci si allontana, più è lungo il tempo che ci divide, più è grande il ritrovarsi, il riscoprirsi: io e il paese, l’uno appartenente all’altro».

    Nelle liriche, fantasia e realtà s’intrecciano in un mix di vissuto esistenziale e sogni, marcato, ancor di più, dalle rime baciate, che creano un legame tra dimensione spirituale e materiale. «L’uomo – scrive, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, autore, poeta e critico letterario, figlio del Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo – aspira al trascendente e nel contempo ha esigenze concrete; desidera la serenità, ma non sempre la sperimenta. Pensiamo a tante realtà che destano inquietudine. Sovente la persona cara, dopo aver dimostrato affetto, si allontana, si estranea: “Ho viaggiato nei meandri/ delle tue emozioni/ nelle pieghe/ delle tue follie/ negli anfratti/ delle tue insicurezze…/ Ho viaggiato ovunque/camminando anche/ sui tuoi pensieri/ mentre tu eri altrove.” L’utilizzo dell’anafora (Ho viaggiato – Ho viaggiato) dimostra l’impegno personale nell’instaurare un rapporto sincero e profondo. I vocaboli meandri, pieghe, follie, anfratti rivelano la ricerca continua di conoscere l’universo segreto del partner che, invece, è indifferente, ignaro del concetto di reciprocità. In altre poesie l’altro rimane fermo; non va oltre una pura superficialità».

    Destino o libero arbitrio. Possiamo essere artefici della nostra vita o questa relazione di causa-effetto determinerà sempre le nostre azioni? E’ questa, una domanda esistenziale che emerge nei versi della poetessa. «Credo fermamente nel destino, ciò che ci accade si può modificare ma non cambiare, perché se è vero che abbiamo sempre un’altra strada per scegliere, è anche vero che la forza del destino ti farà intraprendere quella già assegnata. Quindi, saremo sempre mancati artefici della nostra vita con azioni determinate dallo stesso destino». Un ruolo importante assume, così, l’arte e, in particolare, la scrittura, nella possibilità di scegliere ed essere liberi. «E’ un liberarsi di fantasmi – afferma Moiradea – che ci tengono prigionieri. Grazie alla scrittura ci si può sentire primavera anche a dicembre». Nei versi, l’autrice racconta anche la donna, sé stessa, quelle creature nate senza far tanto rumore, come si legge nella poesia “8 marzo”. “Siamo tutte tinte di rosso. Per ogni donna uccisa/ una goccia del suo sangue/ ci rimbalza addosso/ ci si appiccica sulla pelle/ e non va più via. “Auguri e figli maschi” si diceva ma poi/ nascevamo noi senza far tanto rumore/ e insegnavamo il coraggio/ quello delle idee”.

    E questo coraggio, questa positività, questa forza di rialzarsi, sebbene la vita, a volte, sia un percorso ad ostacoli, è ciò che l’autrice Moiradea vuole imprimere nelle sue poesie. «Al lettore voglio trasmettere il coraggio di rinascita anche dopo momenti bui. Mai lasciarsi andare, mai mollare, mai cambiare, e pensare sempre dolce per rinascere, rimanendo col cuore pieno d’amore. Perché, per me, non è la bellezza che salverà il mondo, ma l’amore, solo l’amore».

    Federica Grisolia

  • Libri. “I muri non parlano”. Vita e pensieri di una badante

    Libri. “I muri non parlano”. Vita e pensieri di una badante

    Una gioventù vissuta nel clima dittatoriale dell’Albania, quando la maggior parte dei cittadini viveva in condizioni di estrema povertà, e una maturità trascorsa lavorando nell’Italia della crisi economica. E’ la storia personale di Menda Vreto, autrice del libro “I muri non parlano”, ad essere impressa nero su bianco, nell’opera edita da Aletti, nella collana “Gli Emersi della Narrativa”.La scrittrice, nata in Albania nel 1966, si è trasferita in Italia nel 2005 e, attualmente vive a Martinsicuro, in provincia di Teramo. Al centro della narrazione, le sue riflessioni sul lavoro di badante, sul vivere fianco a fianco con persone che soffrono nel corpo o nella mente, sulle infinite ore trascorse lontana dai propri affetti, tra i muri di una casa che non è la propria e che, come ricorda il titolo, assistono silenziose ai drammi e alle piccole gioie della vita. E, a proposito del titolo, la stessa Menda Vreto spiega: «Ho passato molti anni della mia vita chiusa tra quattro mura a fare compagnia a persone che non erano in grado di uscire di casa e, a volte, neppure di parlare. Allora, mi è capitato di parlare da sola. Parlavo con i muri, ma loro non rispondevano».

    Più che un lavoro, una “condizione di vita”, in cui le badanti sono come delle predestinate, perché la vita di chi si assiste diventa la loro vita, le sofferenze diventano le loro sofferenze, così come le piccole gioie e soddisfazioni. «Penso che quello dalla badante a tempo pieno non sia solo un lavoro, ma sia una condizione di vita del tutto particolare, perché non esiste più alcuna distinzione tra il proprio impegno lavorativo e la propria vita personale. Non c’è più spazio per contatti, amicizie, interessi al di fuori del tuo rapporto con la persona che assisti, sempre che sia in grado di comunicare. Ho voluto raccontare tutto questo per affermare il senso della mia vita e del mio lavoro, e per dire alle donne che fanno la badante che non si tratta un lavoro umile, ma di un impegno difficile e importantissimo di cui devono andare orgogliose».

    Per l’autrice, che ha sempre desiderato studiare e ha sempre avuto la passione per la scrittura, leggere e scrivere diventano modi per restare collegata con il mondo esterno e per sentire che continua a farne parte. Menda, infatti, bisnipote del grande scrittore e intellettuale albanese Jani Vreto, è cresciuta in un clima di speranza e di amore per la cultura e ha studiato fino ad iscriversi alla Facoltà di Agraria. Ma, a volte, è difficile non perdere la speranza, quando le difficoltà sono tante, la povertà incombe e la vita non fa sconti. «Se penso a me e alle altre badanti che conosco, ci sono alcune cose che ricorrono, con poche varianti, in tutte le nostre storie. Emergono poco a poco, dai discorsi che riusciamo a fare mentre camminiamo lente e vicine spingendo ognuna la sua carrozzina, o al telefono sottovoce per non disturbare il sonno leggero dei nostri assistiti, o la domenica sedute davanti a un caffè che ha il sapore particolare del giorno di libertà».

    E’ un’opera scritta con uno stile semplice e diretto, in cui si alternano fatti e riflessioni, memorie e sguardi al mondo circostante. Che incarna il vero significato di sacrificio e dignità. «Non credo che dalla sofferenza nascano molte cose belle – afferma Menda Vreto -. È invece più facile che indurisca l’animo delle persone o che le spinga a compatirsi e ambedue queste cose non sono positive. Per quanto mi riguarda, la sofferenza mi ha fatto desiderare che, per quanto possibile, le mie figlie non dovessero avere una vita difficile come la mia. Per fortuna fino ad oggi è stato così e, forse anche grazie alla mia fatica, loro sono due donne giovani, belle e con un lavoro gratificante». E’ un libro che l’autrice scrive per lasciare una traccia di sé in questo mondo. Ma anche per alleviare la solitudine di tutte quelle persone che fanno lo stesso mestiere e, quindi, possono riconoscersi nelle lacrime e nei sorrisi della sua storia; e per arrivare a coloro che sono alle prese con seri problemi familiari e hanno bisogno del loro aiuto, con cui spesso è difficile comunicare per problemi di lingua o di riservatezza. «Vorrei far comprendere la dignità del lavoro di badante e quanto sia importante per noi e per i nostri assistiti percepire la collaborazione e la riconoscenza di chi ha bisogno di noi e ci fa entrare nelle proprie case e nella propria famiglia». Infine, quella riflessione finale che conclude l’opera: «Spero di non essere un peso per le mie figlie. Spero di non avere bisogno di una badante. Se invece dovessi averne una, mi domando a volte come la vorrei. Allora, mi capita di scoprire nel fondo del mio cuore un sentimento di cui non conoscevo neppure il nome. L’ho cercato sul dizionario. C’è scritto che si dice orgoglio e adesso sono contenta di sapere come chiamare quella cosa che affiora alle mie labbra e ai miei occhi come un sorriso appena accennato quando penso che sarei contenta se la mia badante fosse come me».

    Federica Grisolia

  • Libri. “Diario precario”. Nella poesia il mosaico delle vite vissute

    Libri. “Diario precario”. Nella poesia il mosaico delle vite vissute

    «Moltissimi versi scritti in gioventù sono andati persi. Ma dal 14 febbraio 2018 ho raccolto con metodo tutto quanto ho avuto bisogno di scrivere: lavoro, lutti, pandemia, svolte e rivolte, traguardi provvisori, gioie e delusioni, dolori, scommesse, sfide, utopie necessarie e sogni possibili. Guardando intorno, leggendo e ascoltando, sempre. Ricordi, amori e visioni, sempre». Nasce, così, “Diario precario”, la raccolta di liriche scritta da Giuseppe Luongo e pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Precario perché non voglio smarrire il filo del pensiero – spiega l’autore, nato a Napoli che, da 34 anni, vive a Quercianella, una frazione di Livorno – e perché precaria è la vita e la condizione umana, individuale e collettiva».

    La raccolta è composta da una settantina di poesie scelte tra oltre seicento, suddivise in dieci paragrafi a cui si è aggrappato il filo del tempo, e che compongono, approssimativamente, il mosaico di un racconto certamente personale ma anche collettivo. La Prefazione è a firma di Alessandro Quasimodo, autore, poeta e critico letterario, figlio del celebre Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo, il quale sottolinea gli aspetti principali dell’opera. «I testi di Luongo, pur soffermandosi su tematiche di carattere esistenziale, trattano anche aspetti di carattere sociale. L’autore non dimentica, dopo tanti anni, le stragi di Bologna e del Moby Prince: Rivendico giustizia e verità / e non si dica mai ch’è troppo tardi!».

    Diverse poesie sono dedicate, infatti, a importanti temi di attualità, ma particolare importanza rivestono anche la natura e i luoghi, perché sono quelli che abitano gli umani, le relazioni, i sentimenti, le emozioni. «In parte ci toccano in sorte – afferma l’autore, classe 1955, conosciuto come pescatore e innamorato del mare -. Nessuno può decidere dove nascere, qualcuno può tentare di decidere dove vivere, almeno per una parte più o meno importante della propria vita. E può incontrare e riecheggiare drammi e tragedie collettive che diventano anche sue. Un poeta trova sé stesso in un luogo o in un altro per quella mistura di eventi che in parte sono casuali e in parte sono scelti profondamente, con percentuali variabili e non programmabili. La poesia tende a rimettere le cose in ordine, con le metriche e le similitudini, per esaltare comunque l’occasione di vivere appieno anche il dolore: quando è troppo forte la poesia si fa automedicazione».

    Secondo Giuseppe Luongo, la poesia è libertà. Ed è contenuti e musica insieme. Alla metrica classica, ora sente il “ritmo” e la “passione”, slanci di gioia e abissi di dolore: l’accettazione stessa dell’umana precarietà è una sfida attuale e costante per tutti. «Meglio tradurre in versi quindici volte lo stesso pensiero, cercando il suo ritmo e la sua musica, e poi cestinarlo definitivamente se mancano o non ci commuovono, piuttosto che accomodarsi in una precisa composizione di endecasillabi a rime baciate che nulla di nuovo hanno da aggiungere per sé stessi e per gli altri». E, a proposito di precarietà, Luongo sostiene che «la stabilità per gli esseri viventi non esiste, se si va oltre il tempo convenzionale di un attimo». «Penso sia più opportuno chiedersi se sia possibile raggiungere, perseguire e difendere, un equilibrio, che peraltro, per sua stessa natura, è mutevole. Il massimo livello auspicabile è l’armonia. A questo punto si manifesta potentemente il bisogno di poesia: un altro linguaggio, un altro sentire, “un altro mondo”, fatto esattamente della stessa materia del mondo che tutti viviamo, ma che intravede, mostra e offre, un’altra visione, altrettanto reale e tangibile, per poterlo vivere meglio, nella ricerca della bellezza».

    La poesia traduce, infatti, i pensieri quasi come fosse un’altra lingua e conserva il pregio di non necessitare di mediazioni, di non mentire. E, come non può esistere una sola realtà, allo stesso modo ognuno ha una vita che è tante vite: sociale, affettiva, privata, esposta, sofferta o gioiosa. A ciascuno spetta, prima o poi, anche il compito di mettere insieme il mosaico delle vite vissute in un unico quadro, proprio come ha fatto l’autore in quest’opera. Ma l’umanità, invece, è una sola grande famiglia, e ogni essere umano è unico e irripetibile. «Mi piacerebbe vedere anche solo l’inizio di un nuovo Umanesimo. Per coltivare meglio la speranza e la bellezza che ci tengono in vita».

    Federica Grisolia

  • Miriam D’Ambrosio: il nuovo romanzo “Folisca”

    Miriam D’Ambrosio: il nuovo romanzo “Folisca”

    È disponibile in tutte le librerie e negli store online “Folisca” (Arkadia), il nuovo romanzo della scrittrice Miriam D’Ambrosio, che racconta la storia della giovanissima Rosetta Andrezzi, che venne uccisa in una notte d’estate del 1913 in piazza Vetra a Milano.

    Spiega l’autrice a proposito del libro: “La storia di Rosetta è realmente accaduta. Quello che mi interessava e mi interesserà sempre è dare voce a chi non l’ha avuta, a quelli considerati gli ultimi. Per questo ho sentito l’urgenza di raccontare la vicenda di Rosetta Andrezzi, vittima di un pestaggio a cui mai è stata resa giustizia”.

    Sinossi

    È una notte d’estate del 1913 e una ragazza che sogna di riscattare la sua vita viene aggredita violentemente da chi per mestiere dovrebbe far rispettare la legge. Diranno che quello che è successo non è mai avvenuto. Diranno che era solo una prostituta, una poco di buono, troppo vicina al mondo del malaffare, una poveretta che si è suicidata con il veleno usato da quelle come lei. A smentire la versione ufficiale, con i fatti, è il giornalista che non ti aspetti, quando ancora credeva nella verità. È il direttore del quotidiano socialista e presto farà tremare il mondo.

    Questa è la storia di Rosetta Andrezzi, personaggio realmente esistito, una giovane sciantosa, fragile e affascinante. Nei teatri italiani la conoscono come Rosetta di Woltery e in tanti scommettono sul suo talento.

    Il suo nome verrà ricordato per sempre nelle canzoni della mala milanese, la leggendaria ligéra. Sullo sfondo di una Milano immersa nella Belle Époque, nella magia dei café chantant e della vivacità artistica di giovani letterati che si tuffano nella modernità, con l’apocalisse della Grande Guerra alle porte e le contraddizioni di una democrazia immatura, la storia di Rosetta, del suo amore e della sua breve vita diventano il simbolo di un periodo travagliato e ricco di fermenti.

    Biografia

    Miriam D’Ambrosio è nata a Sora (Fr), è vissuta a Napoli, Pescara, Roma (con un piede in Ciociaria) e attualmente vive a Treviglio (Bg) dove insegna Italiano e Storia in un Centro di Formazione Professionale. Laureata in Lettere, per anni ha collaborato con alcune testate nazionali, scrivendo soprattutto recensioni teatrali. “Folisca” (Arkadia editore, 2022),è il suo quarto romanzo dopo “Fuori non è così” (Barbera editore, 2014), “Giuda, mio padre” (Luigi Pellegrini editore, 2016), “L’uomo di plastica” (Epika edizioni, 2018).

    La scrittura è rifugio e salvezza e le piace insistere.

  • “Vite d’insieme”. La bellezza della condivisione restando sé stessi

    “Vite d’insieme”. La bellezza della condivisione restando sé stessi

    Vite d’insieme” è come un: «Noi». Sussurrato all’orecchio, di notte, che vuole essere un monito al fine di fermarsi, anche solo per un istante. Ascoltare, cosa c’è intorno. E appuntarlo: rileggere in quelle brevi righe composte dalle vite altrui, noi stessi, legati gli uni agli altri attraverso la poesia. Emanuele Prisciandaro, giovane autore di Biella ma che vive a Torino da nove anni, parla così della sua opera pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Con l’espressione “Vite d’insieme” – spiega il poeta, classe 1996, che nella vita si occupa di progettazione grafica e comunicazione – intendo ricreare uno spazio di condivisione, il mio bar di quartiere ad esempio: qui sono di passaggio svariate vite, ogni giorno. Ognuno ha la propria, cupa o raggiante che sia non ha importanza. Il titolo del mio libro vuole sottoporre al lettore l’idea di un grande cerchio di persone: io racconto una storia e chi mi sta intorno le dà un tono diverso, la completa con quel pizzico in più che serve per servire un gran piatto, guarnito dalle storie degli altri, amalgamate alla mia».

    La raccolta poetica è un inno alla condivisione, all’importanza di mettere la propria vita in relazione a quella degli altri, conoscendo, però, prima sé stessi. «Per evitare di snaturare l’identità personale è necessario, quindi, stringere un patto allo specchio: il mio consiste nel guardarmici dentro, accettando tutto quello che ha da offrire. Mancherà sempre qualcosa, è inevitabile per ognuno di noi. Eppure, mi piace pensare di poter colmare questa mancanza attingendo dall’empatia, la base della natura sociale dell’uomo. Una raccolta di figurine, alla fine dei conti, si completa solamente scambiandosi le figurine». Il tempo è il concetto cardine dell’intera raccolta poetica. Il tempo inteso come indice, che ha il compito di raccogliere e dare ordine ai capitoli aleatori della vita: dalla goliardia dei vent’anni alla routine quotidiana, dall’amore ai rapporti stretti, ma anche persi. «Vite d’insieme – scrive, nella Prefazione, Alessandro Quasimodo, attore, regista e poeta, figlio del Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo – mette in primo piano il rapporto con gli altri. In una società individualista, in cui, sovente, non si considera importante la collaborazione, ma solo il risultato personale, è interessante riscoprire che cosa significa ascoltare, sentirsi parte di un tutto, senza però annullarsi, potenziando il singolo contributo».

    La produzione poetica del giovane Emanuele si fonda su reali esperienze dettate dal presente. «Non ho alcuna facoltà di scrivere qualcosa che non mi appartiene, che non ho ancora potuto assaporare. Certo, la fantasia gioca un ruolo fondamentale all’interno del processo creativo ma, da sola, è un concetto svuotato del suo stesso significato, qualcosa lontano da ciò che sono in “realtà”». Nell’era dei social è cambiato radicalmente il concetto di “condivisione”, per l’uso che ne viene fatto. «Non cerchiamo veramente l’altro – spiega il poeta – bensì l’idea che l’altro ha di noi stessi, distorta e camuffata dall’innumerevole quantità di luoghi comuni ai quali, quotidianamente, siamo sottoposti. La morale è che, oggi, non vogliamo più condividere noi stessi, così come siamo, semplicemente perché non ci farebbe guadagnare abbastanza interazioni e notorietà. Paradossalmente, i social sono stati ideati per rafforzare i legami con gli altri, amplificarli: è sorprendente, ma nel contempo inquietante, la capacità dell’uomo di manipolare e ribaltare l’innato candore di cui è provvisto in puro squallore». “Poesia condivisa” rappresenta il cuore pulsante di “Vite d’insieme”, in cui si esprime al meglio l’idea della raccolta di liriche. “25 parole hanno contribuito a scriverla, ovvero 25 persone differenti. Legate da una poesia condivisa”.

    Il libro è dedicato a Gabriele Galloni, poeta morto a soli 25 anni. «Un episodio “maieutico” – racconta Emanuele – è sicuramente l’incontro a Lanuvio (Roma) con il poeta e amico Antonio Veneziani e Irma Bacci, la mamma di Gabriele. Da quel preciso istante, ho sentito il bisogno di tradurre in versi l’amore di una madre, Irma, concepito ancor prima della sua stessa origine. E l’amore di un figlio, Gabriele, per la poesia».

    I versi sono pensieri tradotti in poesia, in cui l’autore utilizza molto le rime alternate e i punti di sospensione, come congiunzione, ma anche per concedere a ciascuna parola il tempo di esprimere appieno il potere del suo significato. L’intento è quello di suscitare immagini evocative, attraverso una scrittura immediata, d’impatto, ma allo stesso tempo profonda e riflessiva. «Vorrei che il lettore s’immaginasse altrove – afferma Emanuele Prisciandaro -, seduto all’ombra di un maestoso albero secolare, a contemplare il tempo che scorre su ogni singolo anello. Vorrei che si sentisse parte della storia, decifrata nei resti lasciati dal tempo e mai più custoditi, perché sono i pensieri dati per scontato a mancare, quelle piccole debolezze che, una volta, ci appartenevano. Voglio trasmettere ciò che il lettore fa finta di non vedere, quello che considera “niente”. La poesia è in grado di trasformare quel niente in qualcosa che c’è, un po’ come il microscopio che rivela l’invisibile».

    Federica Grisolia

  • “Il Bruco non balla”. Dopo la malattia si ritorna farfalla. La testimonianza diventa speranza

    “Il Bruco non balla”. Dopo la malattia si ritorna farfalla. La testimonianza diventa speranza

    «Fino a che non ti accorgi che strisciare è solo la fase propedeutica a volare, finché ti ostini a vedere solo il fango senza alzare la testa al cielo per guardare il sole e spiccare il volo, non ballerai mai… di conseguenza non sarai mai felice». E’ da questa metafora che prende il titolo l’opera di Ivonne Pagliari “Il Bruco non balla”, edito da Aletti nella collana “I Diamanti della Narrativa”. Il libro affronta la dolorosa tematica della malattia, ma non solo. Si parla anche di amicizia, amore, maternità, fede, lavoro, sogni. Ivonne racconta la propria esperienza di vita e la sua personale battaglia al cancro al seno. E’ un esempio di forza e di speranza, perché dinanzi ad una diagnosi impietosa, bisogna aggrapparsi anche alle storie di chi ce l’ha fatta per non cadere nello sconforto.

    Anna è nata farfalla e, anche se il destino prova a schiacciarla a terra, con le sue prove e durezze, lei ancora anela al volo. Anche quando la malattia, con accanimento, ne proverà il corpo e l’anima, avvicinandola alla sembianza del bruco, lei si comporterà ancora come una farfalla, perché Anna è nata così; libera, elegante, combattiva. Si batterà contro il fato avverso e lo sfiderà, continuando ad amare, con ancora più forza, la vita. «Se dolorosamente, ti staccherai da tutto ciò che ti tiene incollato al terreno – afferma Ivonne Pagliari, Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni, che vive a Colbordolo di Vallefoglia (in provincia di Pesaro – Urbino) – se ti libererai dalle cose inutili che fanno da zavorra, se ti accetterai per come sei, allora potrai volare». Ivonne ha deciso di mettere nero su bianco la sua storia, la malattia, il dolore, ma anche la speranza, la voglia di rialzarsi, la fede, il potere della preghiera e la grandezza dell’amore. E lo ha fatto spinta dalla volontà di condividere la sua esperienza di vita con l’altro, perché solo condividendo si può gestire la paura. E’ cruciale il concetto legato all’ascolto; ascoltando le persone, parlando con loro, ma anche semplicemente guardandosi negli occhi, si può scoprire l’anima dell’altro e si può entrare con dolcezza dentro le sue necessità, senza giudicare.

    La storia di Anna può essere paragonata a quella di tantissime altre donne. «Il libro – racconta l’autrice – deve far sentire il lettore come davanti ad uno specchio. Le vicende che racconto sono eventi della vita, che tutti in un modo o nell’altro abbiamo affrontato. La differenza la fa con quale spirito le affronta Anna. La fede è il fulcro della sua e della mia vita. Se sono ancora qui, sono sicura che Dio ha per me un progetto». Sebbene il racconto sia autobiografico e con un linguaggio diretto, la presentazione delle vicende avviene da narratore esterno, lucido, che cerca di mantenere un distacco dalla materia. «Tutto ciò – spiega l’autrice, psicologa e direttrice di alcuni CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria migranti) presso un’Impresa Sociale marchigiana – per evitare di impietosire il lettore, perché il fine è raccontare un’esperienza che possa essere d’aiuto agli altri. La ricerca scientifica sta facendo cose inimmaginabili; bisogna dirlo, per continuare a sperare, per educare a sostenerla e per non avere paura, anche se c’è ancora tanto da fare».

    La scrittura, come tutte le arti, è considerata, così, terapeutica; l’importante è maneggiare con cura le parole, che possono salvare la vita ma anche uccidere. Ma, soprattutto, la scrittura diventa uno strumento per parlare alla gente e sensibilizzare su tematiche importanti, come la prevenzione. Ne è convinta Ivonne Pagliari, attualmente Testimone della Ricerca AIRC. «Ho scelto di mettere in scena la poesia e i monologhi che avevo scritto; ho girato l’Italia, gratuitamente, chiedendo di poter raccontare, attraverso la poesia e la musica, le donne in tutte le varie sfaccettature. Durante questi eventi (tra cui la nota trasmissione televisiva “L’Eredità”, in onda su Raiuno), si aprivano finestre di dibattito con gli spettatori, e qui ho potuto, e ancora lo farò, parlare di prevenzione come di ricerca scientifica, amalgamando questi temi così sensibili alla storia raccontata nel libro. Le persone hanno bisogno di vedere in faccia chi ha scritto certe parole, vuole capire, raccontarsi a sua volta». E in questi volti si riconosce la bellezza di chi ce l’ha fatta, la bellezza di anime che hanno conosciuto la sofferenza e hanno toccato il baratro, di vite che si fanno dono per gli altri, l’infinita bellezza che risiede nella convinzione di non essere soli e inutili.

    Nell’opera, Anna è un esempio di coraggio. È un’eroina, senza la consapevolezza di esserlo. Ha la tempra dell’invincibile: perché dopo le cadute, non si rassegna a strisciare, ma prova con le ali stropicciate a librarsi in volo, sempre e comunque. E quando chiediamo a Ivonne se sia possibile tornare ad essere una farfalla, non ha dubbi: «Sì, certamente, ma solo ad una condizione: mai immaginarsi farfalla, mai sognarsi farfalla! Ma attendere con curiosità quel momento che, inaspettatamente, un giorno, ti permetterà di volare di nuovo. Dopo di che, accettarsi per la nuova farfalla che si è diventati». Ivonne si rivolge, poi, a chi sta affrontando questa battaglia: «Non sei solo, non farti imbrigliare dalla paura, ma con calma affronta la tua malattia un passo dopo l’altro. Affidati a professionisti e amati più che puoi: tu non sei la tua malattia, ma puoi essere il propulsore della tua nuova vita».

    Federica Grisolia

  • “Aforismi esistenziali”. Un inno alla bellezza e all’amore, da parte del giovane filosofo Stefano Chiesa

    “Aforismi esistenziali”. Un inno alla bellezza e all’amore, da parte del giovane filosofo Stefano Chiesa

    Il giovane scrittore, filosofo, pianista e poeta Stefano Chiesa (classe 1990) ha appena realizzato l’opera “Aforismi esistenziali” (“Edizioni Helicon”), nella prestigiosa collana “Organze”, diretta dall’illustre Cav. Marina Pratici, con una prefazione di altissimi livelli, a cura della Dott.ssa Cristiana Vettori.

    Il sottotitolo del libro comprende i seguenti termini: “vita e morte, amore, arte, pianoforte”. L’autore dichiara espressamente di essere partito – come premesse dall’“Esistenzialismo” di Sartre e Jaspers. Se, nei loro scritti, questi intellettuali hanno messo in luce le sofferenze e le negatività della vita, Stefano Chiesa tenta – con i suoi 174 Aforismi – di trovare un “antidoto” alla crudezza che la stessa ci pone innanzi; e lo fa, conferendo massima dignità alle arti (pittura e scultura, in particolare) ed alla musica del pianoforte. Gli aspetti appena elencati sono realtà alle quali Chiesa approda, sulla base delle premesse dei pensatori sopracitati e -secondo quanto viene affermato nella Prefazione- rappresentano una modalità di espressione aforistica, capace di dare vita ad un’“alternativa” al nichilismo imperante che, dal Novecento, si è protratto fino ad oggi.

    In tal senso, il presente libro è un elogio della bellezza, intesa sia in senso contemplativo, sia secondo un approccio passionale. Una continua ricerca di amore caratterizza il testo, che si configura, in definitiva, come desiderio di speranza e “fiducia” in ciò che le arti e la musica del pianoforte ci possono offrire.

    Breve Biografia:

    Stefano Chiesa (Milano, 1990) è uno scrittore, filosofo, critico e pianista.

    Ha pubblicato un romanzo, due sillogi e tre saggi. Ha ottenuto 41 riconoscimenti letterari, (tra cui 15 finali e 3 primi premi), in oltre 15 Premi, nazionali ed internazionali (dal 2020 ad oggi). Ha sostenuto tre conferenze presso la “Casa della Cultura” di Milano (2020, 2022, 2023) e ha lavorato per diverse testate online (dal 2019 ad oggi), ottenendo una notevole quantità di ascolti. Ha al suo attivo un Canale “YouTube”, in cui ha pubblicato svariate videoconferenze.

    È un pianista classico che ama suonare Chopin, Rachmaninov e Beethoven e, in un repertorio non classico, anche Ludovico Einaudi, del quale ha ben 10 brani al suo repertorio. Contatto: stefano.chiesa90@libero.it

  • Quando la storia di una donna e una cagnolina si intrecciano in una felice coincidenza

    Quando la storia di una donna e una cagnolina si intrecciano in una felice coincidenza

    La storia di una pittrice francese, rimasta sola per la perdita del marito italiano, si intreccia con quella di una cagnolina, reduce da un’adozione traumatica a lieto fine. Entrambe si ritrovano a dover affrontare varie e complesse situazioni, per poter riprendere in mano la propria vita, una nuova vita, alla ricerca della libertà. E’, in sintesi, il nuovo libro di Carla Zanardi, autrice di Segrate, pochi chilometri a Est di Milano, dal titolo “Una donna, un cane. Felice coincidenza”. Il titolo stesso suggerisce il contenuto dell’opera di Narrativa pubblicata nella collana “I Diamanti” dell’Aletti editore. A fare da cornice, l’esplicita immagine di copertina (un disegno della stessa autrice): lo sguardo del cane che osserva i protagonisti della storia. Sarà proprio il cane, infatti, testimone razionale senza pregiudizi, a narrarne gli intrecci.

    «L’idea – racconta Carla Zanardi – è nata da una storia vera di cui sono stata testimone. I traumi del cane adottato dal canile, che deve affrontare una nuova realtà, e la situazione difficile di una donna rimasta sola che vorrebbe rinascere, rispecchiano due situazioni molto attuali e diffuse». Mentre la cagnolina, dopo varie esperienze di fughe e disagi, torna dalla famiglia adottiva, apprezzandone i vantaggi, la donna cerca uno spazio in cui identificarsi e costruirsi un futuro, in stretto rapporto con le esperienze vissute con l’altro. «La mia solidarietà nei confronti delle donne – spiega l’autrice, giornalista, con la passione per la pittura e il giardinaggio – e l’amore che ho per gli animali, mi hanno dato modo di entrare nel mondo dei protagonisti e dimostrare quanto l’affetto e la condivisione dei disagi siano un supporto per superare i traumi. Il coinvolgente impegno ha dato impulso alla donna, che riesce a procedere con nuove modalità».

    I fatti vengono narrati con estrema cura e attenzione particolare alla sfera emotiva, soprattutto quella riguardante l’universo femminile. La sensibilità, infatti, è l’elemento cardine che l’autrice, in prima linea nella tutela dell’ambiente e nella difesa degli animali, utilizza per analizzare e comprendere in profondità i comportamenti e le reazioni dei protagonisti. La scrittrice parte sempre dalla realtà, alla quale unisce storie immaginarie come complementi, per ampliare il percorso della storia e potenziare il messaggio, con l’intuizione che, a volte, aiuta a svelare il significato profondo degli eventi. «Prima di tutto – afferma Carla Zanardi, in riferimento alla sua opera – l’uomo non deve considerarsi dominatore della natura. Come gli altri animali e tutti i viventi, siamo parte di un unico sistema evolutosi in tante espressioni. Guardando negli occhi un animale, vediamo una vita che scorre parallela alla nostra. La diversità non deve suscitare ostilità, ma solidarietà. Specialmente quando il “diverso” cerca un posto accanto al nostro. In particolare, il cane, accanto a noi umani, comprende i nostri stati d’animo, persino il nostro linguaggio, desidera condividere le nostre esperienze, non vuole mai allontanarsi da noi, ci accompagna in ogni situazione senza mai opporsi. Da lui possiamo imparare a scambiare affetto senza riserve e timore».

    E questa sensibilità, l’empatia nei confronti del mondo femminile e degli animali, si rispecchia anche nel messaggio finale che l’autrice vuole dare ai suoi lettori. «Alle donne che attraversano la solitudine, suggerisco di utilizzare la razionalità per avviare uno stile di vita che rinnovi e completi l’esperienza passata. E di non trascurare il rapporto con gli animali, che con l’affetto risvegliano potenzialità inaspettate. Come amica proprio degli animali, vorrei rassicurare quanti progettano l’adozione di un cane, comunicando che le difficoltà iniziali si superano con uno scambio di affetto dal reciproco beneficio».

    Federica Grisolia

  • “Il sorriso della fantasia”. Un romanzo di denuncia sociale contro le violenze sui bambini

    “Il sorriso della fantasia”. Un romanzo di denuncia sociale contro le violenze sui bambini

    La violenza fisica o psichica, subita da tanti bambini e adolescenti, che traumatizza e segna per sempre una vita intera. E’ questo il tema dell’opera di Antonietta Dembech, affrontato con una profondità che coinvolge nella lettura, dal titolo “Il sorriso della fantasia”, pubblicato nella collana “I Diamanti della Narrativa” dell’Aletti editore. «Fantasia – spiega l’autrice, nata ad Orta Nova (Foggia), dove vive – è parola che significa sapienza, saggezza ed è qualità insita in tutti i bambini della terra. In tutti i bambini del mondo c’è il desiderio di sentir meglio la vita, d’immaginarla fantastica. Sempre, si lasciano portar via da questa esigenza. Con essa si ritrovano e si rinnovano ed è la relazione più bella che hanno con la vita. La sentono con ingenua chiarezza, l’affrontano con nobile ingenuità e la vivono come la sognano. Ciò dà loro gioia di vivere: una gioia inebriante d’amore, di calma, di lucentezza inesauribile, la più bella di quanto possa essere racchiusa in un sorriso».

    In questo mondo, siamo tutti bambini che subiscono ingiustizie e violenza. In varie forme. In vari ambiti. E’ ciò che emerge, pagina dopo pagina, nel libro, in cui risulta evidente come ciascuno di noi sia un bambino la cui voce non viene ascoltata. Vittime di sfruttamento o abusi. Bambini di strada, figli della guerra. Vittime e orfani dell’Aids. A cui viene negata una buona scuola e una buona assistenza medica. E che ora devono ribellarsi a questa condizione. «In me sorge la mia voce umana, a recupero di una vera rinascita per tutti i bimbi, per i ragazzini ai quali è stato fatto e si fa del male. Il mio libro è la mia voce – sostiene Antonietta Dembech -. Il terrore sgomenta e fa tremare e, per quel che è nel mio sentire, ne ho piena la mente e l’animo. Ne scrivo nel mio romanzo e c’è stato un momento, un altro momento e tanti altri ancora, in cui ho pensato a quanta ingiustizia sono sottoposti piccini e ragazzi».

    Corpicini sfregiati a causa delle guerre, costretti ad un sonno eterno dal nazismo, dallo stalinismo, da una malsana ambizione e, arrivando anche ai giorni nostri, colpiti dalla completa assenza di amore. La scrittura assume, così, un ruolo decisivo contro le ingiustizie e gli orrori della società, perché riesce ad esprimere bellezza e a dare voce a ciò che, solitamente, resta sopito e nascosto. Ne è convinta l’autrice, che parla di una scala di parole, pronte subito là, scritte riga dopo riga, a soluzione di un bisogno di figurarsi in un mondo migliore per i suoi nipotini. «Un mondo – racconta – che abbia la sua identità nella forza intima che solo l’amore può dare e che sia tale da far sì che ogni essere della terra abbia a conquistare la sua unità col mondo». Una scrittura frutto dell’istinto e della fantasia, strumento principale per raccogliere le idee, come suggerisce il titolo dell’opera ma anche l’immagine di copertina: un bambino sospeso tra le nubi, in un cielo azzurro, che tenta di afferrare un palloncino a forma di cuore. Paradossalmente, con un’unica difficoltà: «scrivere questo romanzo pur sapendo di non sapere come va fatto un romanzo». «Una vera gittata di dubbi mi veniva contro. Poi mi sono lasciata liberare da questo gran peso, perché la mia facoltà di mente, di pensieri, di sentimenti hanno avuto il sopravvento sicché io potessi gestire le mie idee».

    E’ un mondo migliore quello che Antonietta Dembech vuole costruire con la sua penna. Un tenero paesino fatto di zucchero, dove i tanti bambini sfortunati, vittime di violenze di ogni tipo, possono gustare la dolcezza della natura. Un luogo dove farli esistere e respirare serenamente ed è vivo il senso di giustizia e onestà. «Se l’influsso che può esercitare la mia scrittura sul lettore – conclude l’autrice – ha il polo d’attrazione su ciò che succede di male ai piccini, si può dire che avrò raggiunto il mio scopo. Il mio romanzo è una denuncia, che ritengo essere l’unica strada per fare in modo che l’orrendo di un mondo maledetto raggiunga ad avere finalmente uno spirito nuovo, tale da non togliere i limiti al puro significato della vita».

    Federica Grisolia

  • La Madonna di Ripalta, in un libro di Antonella Migliorati la storia, le tradizioni, la devozione e il culto dell’icona che unisce i cerignolani in Italia e all’estero

    La Madonna di Ripalta, in un libro di Antonella Migliorati la storia, le tradizioni, la devozione e il culto dell’icona che unisce i cerignolani in Italia e all’estero

    Martedì 5 settembre 2023 alle ore 20,30, nella Rettoria del Carmine a Cerignola, si terrà la presentazione del libro “La Madonna di Ripalta. Storia, tradizioni, devozione” di Antonella Migliorati (Youcanprint, 2023, pp. 552). Dialogheranno con l’autrice il rettore del Carmine don Vincenzo Giurato e il rettore del Santuario don Vincenzo Alborea.

    Antonella Migliorati, laureata in Farmacia e Scienze Biologiche, specializzata in Scienze dell’Alimentazione, dottore di ricerca in Biologia e Fisiopatologia cellulare, è autrice di varie pubblicazioni tra favole, romanzi, saggi storici e scientifici. Vive e lavora a Cerignola.

    Il libro, dedicato “A tutti i devoti della Madonna di Ripalta”, raccoglie minuziosamente, come scrive il vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano monsignor Fabio Ciollaro nella prefazione, “tutto ciò che concerne la storia, le tradizioni e la devozione verso la sacra icona della Beata Vergine di Ripalta”. La storia, con le date e con i documenti. Le tradizioni, fiorite intorno al culto dell’Icona e tramandate nei secoli. La devozione, cioè il rapporto di preghiera, di affetto e pietà popolare che arricchisce di sentimento la vita spirituale e l’amore per la Vergine Maria.

    La Madonna di Ripalta è un’opera bizantina del XIII secolo, una tempera su legno nella quale è raffigurata la Madonna col Bambino. Il suo ritrovamento e le successive vicende sono al centro di un’antica leggenda. Si narra che il quadro fu trovato da una banda di malfattori nella vicina boscaglia sulla ripa alta del fiume Ofanto. In un primo momento, quello che sembrava un tavolaccio fu utilizzato per tagliare del lardo. Il capo della banda sbagliò il taglio e l’ascia si conficcò nella tavola, da cui sgorgò del sangue. Impauriti, girando la tavola, i malfattori videro dipinta l’immagine della Vergine con il volto sfregiato e con Gesù bambino in grembo.

    Le città più vicine, Cerignola e Canosa, si contesero a lungo la proprietà del dipinto. Alla fine si pensò di metterlo su un carro e di lasciare che fossero i buoi che lo trascinavano a decidere dove condurlo. I buoi si diressero verso Cerignola. La popolazione decise di non restaurare mai la cicatrice sul volto della Madonna, come monito della violenza e della sopraffazione. Nel luogo in cui fu rinvenuta l’icona, fu eretta una cappella e si ebbero primi pellegrinaggi. L’opera ha cambiato totalmente il luogo che l’ha accolta, le persone che sono entrate in contatto con lei e le abitudini del popolo cerignolano.

    La Madonna di Ripalta, infatti, è il motivo aggregante dei tanti cerignolani sparsi nel mondo. Le Associazioni di cerignolani a Roma, Torino (Associazione La Cicogna), Milano (Associazione Ofanto), Genova e all’estero (New York e Australia) sono dedicate alla Madonna di Ripalta. Per la festa patronale (8 settembre), molti emigranti tornano in paese e ripartono con l’animo sollevato e pieno di nostalgia, espressione del legame con le proprie radici. Una copia dell’icona della Madonna di Ripalta si trova a Manhattan, New York, nella Church of the Most Precious Blood, punto di riferimento spirituale per i figli e i nipoti di quei cerignolani emigrati nei primi del Novecento, i quali si sono tramandati il culto dell’icona di generazione in generazione. E che, come testimonianza della loro devozione, inviavano offerte in denaro alla Deputazione delle feste patronali di Cerignola per la migliore riuscita della festa annuale.

    L’autrice ripercorre in venti capitoli la storia e la leggenda del ritrovamento, la costruzione della Cappella rurale divenuta poi Santuario Diocesano, i primi pellegrinaggi, l’opera dei parroci e rettori che si sono avvicendati, i restauri, la festa patronale, le testimonianze di fede, la devozione dei cerignolani sparsi in Italia e all’estero; il patrimonio di novene, preghiere e canti tradizionali; gli eventi straordinari; il Pio Sodalizio dei Portantini di Maria SS. di Ripalta; l’icona nel periodo della Pandemia, fino alla visita al Santuario.

    Il volume è redatto con grande cura scientifica e dovizia di particolari e possiede la leggibilità di un’opera di narrativa. A corredo del testo, documenti d’archivio, testimonianze e immagini fotografiche. 

  • Antonella Ferrari – Intervista alla scrittrice

    Antonella Ferrari – Intervista alla scrittrice

    San Teodoro, Sardegna, 1768. Oviddè è un luogo ancora schiavo di regole arcaiche, ma Giuseppe e Giulia sanno come evadere dalle imposizioni delle famiglie e godere della reciproca compagnia in un territorio ostile. Sono solo due bambini quando si giurano amore eterno, già consapevoli degli invalicabili ostacoli che troveranno sulla loro strada e dell’opposizione delle famiglie, ma certi che il sentimento che li unisce sarà più forte di un destino crudele e imponderabile. La vita, però, sa essere più dura dei sentimenti e quello che li aspetta è un futuro fatto di silenzi e dolore: solo lo spirito delle loro anime continuerà a sopravvivere nei secoli.

    San Teodoro, Sardegna, 2018. Laura, quarantenne romana, ogni estate trascorre tre mesi a San Teodoro come lavoratrice stagionale per godere del mare sardo e del clima vacanziero. Quando conosce Vanni, attraente e inafferrabile istruttore di vela, tra loro emerge una familiarità antica, una conoscenza atavica e una sintonia capace di travolgere il cuore e i sensi. Tra giochi piccanti e piccole trasgressioni, emerge un legame antico che affonda le sue radici in un passato lontano e forse dimenticato.

    Intervista ad Antonella Ferrari, autrice del romanzo “L’Isuledda” (Morellini editore).

    Ciao Antonella, grazie per aver accettato di rispondere ad alcune domande per i nostri lettori. Come è nato il tuo amore per i libri? Cosa ti ha spinto a diventare una scrittrice?

    Grazie a voi per l’interesse.  Ho sempre pensato che nella mia vita avrei scritto un libro. Col tempo è diventata una passione, quello che ho da dire lo scrivo in un romanzo e sono già quattro le storie pubblicate.  Spero che prima o poi diano qualche frutto e arrivino a un pubblico più ampio.

    Parliamo del tuo nuovo romanzo dal titolo “L’Isuledda”. Qual è stato il punto di partenza nel processo di scrittura?

    L’ Isuledda è una splendida spiaggia di San Teodoro in Sardegna.  È proprio lì che è nata l’ispirazione per questa storia a cavallo dei secoli.  C’è un grande lavoro di ricerca storica dietro all’amore tra Giulia e Pepu e lo scenario del meraviglioso mare sardo è la cornice migliore per un romanzo pieno di sentimenti.

    Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “L’Isuledda”, quali useresti?

    Leggero, coinvolgente, intrigante.

    Se dovessi consigliare una colonna sonora come sottofondo durante la lettura de “L’Isuledda”, cosa sceglieresti?

    No potho reposare, canzone sarda del 1920 reinterpreta negli anni da diversi autori. Un capolavoro!

    Stai già lavorando a un nuovo romanzo?

    Certo, scrivere è il mio passatempo, oltre a leggere libri di narrativa, butto giù le storie che sento in giro o sogno di notte.

  •  “Dissonanze per un delitto – Ennio Morricone nel cinema thriller italiano”: in uscita il 20 agosto il libro di Marco Ferretti, giornalista cine-musicale

     “Dissonanze per un delitto – Ennio Morricone nel cinema thriller italiano”: in uscita il 20 agosto il libro di Marco Ferretti, giornalista cine-musicale

    448 pagine dedicate al lato “oscuro” dell’opera del Maestro

    Vicenza, 31 luglio 2023 – La discografia “alternativa” di Ennio Morricone per lungometraggi gialli e thriller diretti da registi italiani annovera una cinquantina di partiture di grande spessore, distintesi quali ripetuti esempi di ricerca timbrica e di sperimentazione in note, composte e orchestrate in misura maggiore tra l’inizio e la fine degli anni Settanta e per lungometraggi a basso budget diretti, che hanno affascinato e spaventato il pubblico non solo entro i confini nazionali. È questo il punto di partenza di “Dissonanze per un delitto – Ennio Morricone nel cinema thriller italiano”, il primo libro di Marco Ferretti, giornalista cine-musicale. Il saggio, edito da SHATTER Edizioni, è introdotto dalla prefazione dallo scrittore e sceneggiatore Antonio Tentori e sarà disponibile a partire dal 20 agosto in pre-order sul sito della casa editrice e da settembre in libreria e store online. 

    Tema centrale del saggio è il filone del giallo-thriller all’italiana, da sempre il lato oscuro, seppur affascinante, del cinema nostrano, penalizzato dalla critica malgrado innovazioni stilistiche e narrative. E la musica è stata una di queste. Dopo aver letteralmente rivoluzionato il sound dei lungometraggi western a metà anni Sessanta, Ennio Morricone ha composto numerose colonne sonore divenute presto esempi di ricerca timbrica e di avanguardia in note, per gialli “classici”, thriller di “nuova generazione”, drammi violenti così come lungometraggi di stupro e di vendetta. Ai temi principali, più melodici, orecchiabili e identificativi della pellicola di turno, il Maestro ha, infatti, affiancato atmosfere in grado di mantenere alta la tensione durante le azioni dei differenti protagonisti, ricorrendo talvolta a strumenti utilizzati fuori contesto, con la complicità della cristallina voce da soprano di Edda Dell’Orso, catturando così l’attenzione degli spettatori. Il rilevante contributo di Morricone per il filone è ricostruito e analizzato film dopo film mediante apposite schede e digressioni che mettono ripetutamente in evidenza la simbiosi tra crude immagini e musiche dissonanti. Un omaggio al più grande compositore italiano del Novecento. 

    «Nella convinzione che un autore, un compositore o un interprete lo si possa comprendere interessandosi a ciascuna delle sue opere, uno studio sulla discografia “morriconiana”, condotto senza pregiudizi o distinzioni generiche, implica un tratto sperimentale», ha dichiarato Marco Ferretti. «Per analizzare tale porzione di opere è stato necessario lavorare “a tappe” e in maniera omogenea, non essendo confortato da quasi alcun precedente a carattere storiografico». 

  • “Poesie, ma anche prosa”. Il maestro di Yoga Costantino Casilli torna nelle librerie con il suo passaggio dal Buio alla Luce

    “Poesie, ma anche prosa”. Il maestro di Yoga Costantino Casilli torna nelle librerie con il suo passaggio dal Buio alla Luce

    Ripercorrere la propria memoria in molteplici modi, anche con reperti fotografici che testimoniano stagioni andate, ma sempre vivide, piene di calore, da eternare attraverso la scrittura.

    E’ la penna di Costantino Casilli, insegnante di Yoga nato in Eritrea, cittadino del mondo ma che attualmente vive a Napoli, ormai noto alla community di Aletti, a voler dare testimonianza di sé e della sua esistenza, ma soprattutto del passaggio dal Buio alla Luce, attraverso l’opera “Poesie, ma anche prosa”, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. Il libro, ed è questa la novità di un autore che scrive sempre in maniera autobiografica, si compone di sessantuno poesie ma anche parti in prosa che fungono da collegamento tre le liriche.

    Nelle prime pagine le foto di sei poesie scritte a penna, dalla mano di un bambino. Costantino aveva, infatti, solo 7 anni. «Poi – racconta lo stesso autore – fino ai vent’anni, di poesie non ne ho scritte più, perché tarpato da mio padre. Dai venti ai trent’anni, invece, – gli anni del Buio – ho sofferto in modo corrosivo, venefico e, quel che è peggio, pressoché costante.

    Era una sofferenza “misteriosa”, puramente esistenziale, cioè non dovuta a circostanze esterne, dato che appartenevo ad una famiglia serena e agiata. Ad un certo punto, mia madre, Bianca, prese per me un appuntamento con Cesare Ludovico Musatti, all’epoca il luminare primo in Italia, gran Maestro di psicanalisi freudiana. Lui mi affidò ad un suo discepolo. E poi, dopo un certo tempo, un altro freudiano, e poi uno junghiano. Risultati? Macché. Restai lì a macerarmi nel mio marasma. Mia madre, allora, prese per me un appuntamento con Andrea Dotti, famoso psichiatra e marito, all’epoca, di Audrey Hepburn. Risultati? Macché. Restai lì a involtolarmi nella mia pozzanghera. Durante questi anni del Buio scrissi molte poesie, ma in questo libro ne riporto soltanto quattordici, quelle più incisive, più rappresentative della mia sofferenza». Parola dopo parola si percorrono emozioni, stati d’animo e stralci di vita, fino a quando questa sofferenza non si dileguava, non voleva proprio sparire, ma era come sospinta lontano, sullo sfondo. Ed è in questa fase che Casilli scrisse una sola poesia.

    «E poi il Miracolo – continua a raccontare il maestro di Yoga -. Nella notte del 24 settembre 1974, vissi un’Esperienza che nel libro racconto. Un’Esperienza di svolta, per cui – da quel convinto agnostico che ero – divenni, in quell’unica notte, un fervente cristiano. Ma non cattolico, né aderente ad alcun’altra Chiesa. Cristiano e basta. In quei giorni cominciai anche ad immergermi nello Yoga, che ormai pratico da oltre 47 anni. E da allora fino ad oggi, che di anni ne ho 84, ho vissuto nella Luce e, quel che è più rilevante, ci ho vissuto in modo incrinabile, stabile, pressoché costante. Durante tutti questi anni, ho scritto molte poesie, ma qui ne riporto soltanto quaranta, quelle che più ho vissuto, che meglio rappresentano il mio stare nella Luce. In questo libro, dunque, non ho voluto fare altro che dare una testimonianza, ma sempre dal centro della mia umiltà. Testimonianza di un percorso dal Buio alla Luce».

    Una scrittura attenta al ritmo, sia nella poesia che in prosa, che può essere letta ad alta voce senza alcuna disarmonia. E in funzione al ritmo, anche l’utilizzo di grassetti, sottolineature, corsivi, parole in maiuscolo, puntini sospensivi e qualche altro accorgimento. «Un libro diverso – scrive, nella Prefazione, il maestro Giuseppe Aletti, poeta, critico letterario, formatore, titolare della omonima casa editrice – se paragonato alla media delle proposte poetiche odierne, che fa da contenitore a una esistenza nella sua totalità, per questo il modo più efficace di elencare gli eventi che il poeta raffigura con la parola, è quello di creare un omnibus, che pesca all’occorrenza una composizione poetica, una pagina di diario, altre volte ancora un ritrovamento fotografico, senza confini predefiniti da un unico genere letterario». E la poesia è molto efficace per rappresentare questa totalità dell’esistenza. Una scrittura al servizio degli altri. «Quel che voglio trasmettere al lettore – conclude Casilli – è la testimonianza di un percorso dal Buio alla Luce, poiché spero che una simile testimonianza possa essere utile almeno a qualcuno dei miei lettori, dato che l’ideale della mia vita è appunto quello di essere utile, di rendere servizio».

    Federica Grisolia

  • AIDAF PRESENTA A NAPOLI IL LIBRO:

    AIDAF PRESENTA A NAPOLI IL LIBRO:

    “Family business: costruire un futuro sostenibile.

    Dialoghi fra imprenditori e accademici”

    • In occasione dei 25 anni dalla sua fondazione, AIDAF ha appena pubblicato una raccolta di spunti, in forma di dialogo, sul presente e sul futuro delle imprese familiari italiane
    • Il 12 luglio la sede di IPE Business School di Napoli ha ospitato la presentazione del volume, alla quale sono intervenuti alcuni dei protagonisti e autori del volume

    Napoli, 12 luglio 2023 – AIDAFl’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, ha presentato a Napoli il suo nuovo libro Family business: costruire un futuro sostenibile. Dialoghi fra imprenditori e accademici, curato da Paolo Morosetti, Senior Lecturer alla SDA Bocconi School of ManagementL’evento è stato aperto da Giovanna Gregori, Consigliera Delegata di AIDAF, e ha visto la partecipazione di Fortunato Amarelli, Amministratore Delegato della Amarelli Fabbrica di Liquirizia, intervenuto in dialogo con Salvatore Tomaselli, Professore Associato di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Palermo e specialista di strategia delle imprese familiari, Enrico Falck, Presidente dei Consigli di Amministrazione di Falck S.p.A. e Falck Renewables S.p.A., e la stessa Giovanna Gregori, in veste di moderatrice.

    Il volume, pubblicato da Rubbettino Editore, raccoglie le domande e gli spunti di 25 imprenditrici e imprenditori – parte della governance di AIDAF in questi 25 anni di vita o vincitori delle varie edizioni del Premio Alberto Falck – insieme alle risposte e riflessioni degli accademici delle cattedre italiane di Family Business, dando vita a un dibattito attualissimo che si articola in cinque sezioni: famiglia, proprietà, giovani, impresa e sostenibilità, che tocca i temi e le sfide più urgenti per il futuro delle aziende familiari.

    Il libro, ideato per celebrare i primi 25 anni dell’Associazione, ha uno sguardo proiettato verso il futuro e tocca tematiche chiave per la continuità e la longevità delle famiglie imprenditoriali e del loro business, con un approccio innovativo e nello spirito di aprire una conversazione non solo con i soci AIDAF, ma anche con tutti coloro che possano fornire nuova linfa al dibattito.

  • Libri. “35…e li dimostro!”. La sonora avventura di una scrittrice e della sua Radio

    Libri. “35…e li dimostro!”. La sonora avventura di una scrittrice e della sua Radio

    E’ una creatura cresciuta, quella di cui si parla nel libro di Nancy Calì dal titolo “35…e li dimostro!”. Una passione diventata mestiere, che si interseca con la scrittura fino a fondersi in un legame imprescindibile. L’autrice, nata in Sicilia, alle pendici dell’Etna ma che vive a Udine, appartenente alla community targata Aletti editore, è fondatrice di una radio, ed ecco che quella creatura, la radio, diventa protagonista del libro pubblicato nella collana “Gli Emersi della Narrativa”. «Due anni fa – racconta Nancy Calì, editore radiofonico – ricorreva il 35esimo anniversario della mia radio e già da un bel po’ pensavo a un album fotografico che la raccontasse, da regalare ai collaboratori vecchi e nuovi in una festa che avrei organizzato per l’occasione. Ero partita dalla prima foto che mi ritrae dietro gli impianti di trasmissione e cercando le altre, mettendole in successione, mi sono resa conto dei cambiamenti, anche radicali, che ho dovuto apportare alla mia attività in questi lunghi e veloci 35 anni, quindi impossibile limitarmi alla didascalia sotto a ogni foto, dovevo per forza almeno accennare al motivo del cambiamento tra un gruppo di foto e l’altro che “dimostrano” questa avventura». Un’avventura fatta di soddisfazioni, ma anche di difficoltà e scontri dovuti al fatto di essere tanto giovane e, per di più, donna, «quindi – precisa l’autrice del libro – soggetto facile da mettere al tappeto, a parere di coloro che io chiamo squali. Ma mentre questi squali via via sono spariti, io sono ancora qui».

    «Mi si chiede ancora oggi perché ho “fatto” la Radio, non essendo né speaker né deejay e che mai ho avuto intenzione di esserlo per timidezza». Ecco, questo libro è una risposta. Da Radio Time a Radio Gioconda, una storia raccontata con immagini fotografiche a supporto delle parole. Certo, a grandi linee. Servirebbero molte più pagine per descrivere i tantissimi momenti duri e quelli, ancora più numerosi, entusiasmanti, e per includere tutte le persone che via via vi hanno fatto parte, per brevi o lunghi periodi e che hanno contributo a poter percorrere questo viaggio. Il tutto contornato da esperienze personali che hanno arricchito questo bagaglio di vita. La scrittura e la radio. Due metodi per comunicare ma, soprattutto, due modi di esprimere emozioni e stati d’animo che si sono evoluti e trasformati nel tempo. Un cuore, quello di Nancy, che batte in egual misura per entrambe. «Come racconto nel libro, la scrittura e la radio sono da sempre le mie passioni che di volta in volta si sono fuse assieme fino a diventare indistricabili. Naturalmente, da piccola il sogno era quello dello scrittore, mentre quello di fare radio era inconcepibile allora, almeno per me, nata in un paesino di montagna in cui l’apparecchio radiofonico, tra la gente comune, l’aveva solo mio padre. Poi, con l’avvento delle radio libere, non ho avuto neanche il tempo di sognare, ci sono entrata subito e scrivendo: programmi, slogan, pubblicità, titoli di programmi ed eventi. Persino novelle radiofoniche, che sono ancora nel cassetto assieme a prime stesure di vari romanzi».

    Ogni episodio di vita vissuta è raccontato come un quadro, con la sua luce e le sue ombre, le difficoltà e le gioie. «La vita di ciascuno di noi è un’opera d’arte – afferma l’autrice – a volte ben riuscita, altre meno, dipende dalle complicazioni che andiamo incontrando e se, e come, le superiamo». E in questo, la scrittura, i libri, le poesie, ma anche le canzoni, possono rappresentare motivo di sprone o di conforto. E possono essere risposte. «Sono tante le domande di vita che ci assillano – rivela l’autrice -, soprattutto quando soffriamo e ho trovato modo di “guarire” grazie ad alcune opere. Quello che spero di comunicare in questo sintetico racconto della mia sonora avventura è di credere nei propri sogni e perseguirli, accettando ogni sfida e senza mai serbare rancore, anzi, continuando ad amare anche chi ti ha deluso e ferito, perché proprio loro ti hanno reso più forte». Questo è il messaggio che la scrittrice vuole lasciare ai suoi lettori, così come ha avuto dal padre ormai gravemente malato, in regalo e come unica eredità, una radio. Proprio quella radio sistemata in un angolo della casa paterna e poi caricata in macchina e portata via, che già aveva cambiato la sua vita e realizzato un sogno.

    Federica Grisolia