Questo congresso è dedicato ai vari aspetti che la cefalea assume nei diversi contesti sociali: uno studio condotto per un anno dai neurologi dell’Università e degli Ospedali Riuniti di Ancona diretti dal Prof. Marco Bartolini ha voluto verificare se lavorare all’interno di un ospedale offre qualche vantaggio nei confronti di questa patologia. I frequenti turni di lavoro espongono il personale sanitario a uno sfasamento del ritmo sonno/veglia che fa aumentare il rischio di mal di testa e se a ciò si aggiunge il continuo stress psicofisico indotto da questo tipo di lavoro è facile rintracciare soggetti cefalalgici fra chi opera in questo settore.I ricercatori li hanno rintracciati fra medici (8,8%), infermieri (0,5), tecnici di laboratorio (2,3), amministratori (1,3) e fra i tanti che avevano altre mansioni (83,3) e ne hanno selezionati quasi un centinaio (99 casi) con emicrania con o senz’aura. A quel punto li hanno confrontati con 599 pazienti del centro cefalee del locale spedale e hanno scoperto ciò che dà ragione del titolo allusivo scelto per questo lancio stampa: nei confronti del mal di testa i lavoratori sanitari predicano bene e razzolano male perché non vi prestano la giusta attenzione e tendono a curarsi da soli spesso con i farmaci sintomatici tanto sconsigliati ai pazienti, né tantomeno si fanno visitare dai loro colleghi specialisti (nessuno lo aveva fatto…), rischiando così la cronicizzazione della malattia.
Il ritardo nella prima visita degli operatori sanitari è poi risultato statisticamente superiore a quella dei pazienti, già spaventosamente lunga: 14,89 anni in confronto a 12,13 anni dei pazienti.
Se occorre informare di più i pazienti su questa malattia, agli operatori sanitari sarebbe opportuno fare dei veri e poropri corsi…