Dal forum Cina-CELAC 2025 nasce un’intesa strategica che rafforza infrastrutture, scambi culturali e cooperazione economica tra Pechino e il continente latinoamericano
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Pechino punta sull’America Latina: 9,2 miliardi di dollari per cambiare il futuro
Xi Jinping annuncia nuovi prestiti per infrastrutture e sviluppo sostenibile, lanciando un messaggio contro dazi e protezionismo
Xi Jinping e CELAC: un patto strategico da miliardi
Durante la recente riunione tra la Cina e la CELAC (Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi), il presidente Xi Jinping ha annunciato un massiccio piano di prestiti da 9,2 miliardi di dollari destinati ai Paesi della regione. Obiettivo: sostenere progetti che spaziano dalle infrastrutture alla crescita sostenibile, in una logica di cooperazione win-win tra Pechino e il continente latinoamericano.
Il messaggio politico è chiaro: la Cina si propone come alternativa concreta ai modelli di sviluppo occidentali, puntando su investimenti mirati e dialogo multilaterale.
Una nuova via per lo sviluppo sostenibile
Secondo quanto dichiarato, le linee di credito cinesi saranno indirizzate a settori chiave: costruzione di strade, reti elettriche, progetti ambientali, agricoltura intelligente e energie rinnovabili. Tutto questo rientra nella più ampia strategia cinese della “Nuova Via della Seta” applicata all’America Latina.
Xi Jinping ha sottolineato l’importanza di “lavorare insieme per un mondo aperto e multilaterale”, ribadendo il rifiuto del protezionismo commerciale che, a suo dire, porta solo all’isolamento.
Guerra commerciale e cooperazione: due visioni opposte
Senza mai nominare direttamente gli Stati Uniti, Xi ha lanciato una stoccata: “Non ci sono vincitori in una guerra commerciale e dei dazi”. In netto contrasto con le recenti politiche protezionistiche adottate da Washington, Pechino tende la mano a Paesi emergenti, proponendosi come partner affidabile e stabile.
La CELAC ha accolto con favore l’annuncio, riconoscendo nella Cina un alleato strategico in grado di contribuire al rilancio economico e infrastrutturale della regione.
Una sfida geopolitica globale
Questo annuncio non è solo economia: è geopolitica pura. La Cina rafforza la sua presenza in America Latina, tradizionalmente area di influenza statunitense, e lo fa parlando il linguaggio della collaborazione economica, non delle imposizioni.
Con 9,2 miliardi di dollari sul tavolo, Pechino si assicura influenza, relazioni stabili e accesso a risorse strategiche in cambio di sviluppo e infrastrutture.
Il prestito da 9,2 miliardi di dollari è solo l’ultima mossa di una strategia cinese sempre più assertiva nei confronti del Sud globale. Mentre l’Occidente erige barriere commerciali, la Cina costruisce ponti economici e politici. Chi guiderà il mondo multipolare di domani?
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Sfida a colpi di dollari: il bilancio (squilibrato) del commercio USA-Cina
Nel 2023 il deficit commerciale americano con la Cina ha superato i 279 miliardi: un segnale d’allarme, ma anche un’opportunità per l’export europeo
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Dazi Usa-Cina: tregua storica con taglio del 115%
Accordo shock tra Washington e Pechino: dazi punitivi drasticamente ridotti per 90 giorni dopo intensi negoziati a Ginevra
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Stati Uniti e Cina più vicini: svolta nei negoziati commerciali
Dopo i colloqui di Ginevra, annunciato un primo accordo e un meccanismo di consultazione per disinnescare la guerra dei dazi
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Taiwan al centro del dialogo tra Xi e Biden: una “Linea Rossa” per la Cina
Durante un recente scambio telefonico con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il presidente cinese Xi Jinping ha definito la questione di Taiwan come la “prima linea rossa insormontabile” nelle relazioni tra Cina e USA, avvertendo che le “attività separatiste non resteranno incontrollate”. Questo messaggio chiaro da parte della leadership cinese sottolinea la delicatezza del tema Taiwan sul palcoscenico internazionale e la determinazione di Pechino nel salvaguardare la propria sovranità.
Dall’altro lato, la Casa Bianca ha descritto il dialogo tra i due capi di stato come “franco e costruttivo”, evidenziando “l’importanza di mantenere pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”. Questa comunicazione riflette la complessità delle relazioni sino-americane, caratterizzate da tensioni ma anche dalla ricerca di un terreno comune per il dialogo.
Un altro tema di rilievo toccato durante la conversazione è stata l’espressione di preoccupazione da parte di Biden riguardo alla cooperazione tra Pechino e Mosca per la ricostruzione dell’industria militare russa, dimostrando come le dinamiche geopolitiche influenzino le relazioni bilaterali tra le due maggiori potenze mondiali.
La questione di Taiwan continua quindi a essere un punto critico nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti, con implicazioni che vanno ben oltre il contesto bilaterale, interessando l’equilibrio di potere e la stabilità nella regione asiatica e nel sistema internazionale nel suo complesso.
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Cina e Giappone, la divergenza persisterà?
a cura di Robert Plant, Portfolio Manager Multi-Asset di Columbia Threadneedle Investments
- L’annuncio del governo di Pechino di un pacchetto di salvataggio di 278 miliardi di dollari ha dato una spinta alle azioni cinesi.
- Nel lungo termine i fondamentali economici rimarranno il principale motore di sviluppo; tuttavia, la deflazione rappresenta ancora un problema, così come la bolla immobiliare che dovrà essere disinnescata dalle autorità.
- Nonostante le sfide imminenti, la Cina rimane un potenziale beneficiario di una pianificazione strategica a lungo termine incentrata su temi quali l’energia pulita.
- Le azioni giapponesi continuano a beneficiare dei progressi in corso nella governance aziendale, nonché dell’uscita graduale del paese dalla deflazione.
- Malgrado alcune preoccupazioni legate all’apprezzamento dello yen, le prospettive per il Giappone rimangono complessivamente positive.
Nell’ultimo anno, nonostante l’incremento dei rendimenti obbligazionari, evidenziato da un aumento dello 0,2% nel tasso decennale statunitense, i mercati azionari globali hanno mostrano una notevole resilienza. Al momento, i dati macroeconomici rafforzano la prospettiva di un “soft landing” negli Stati Uniti grazie ad una crescita sostenuta; allo stesso modo la solidità dei profitti aggregati dell’S&P nel quarto trimestre del 2023 ha contribuito a consolidare questo quadro positivo.
La scorsa settimana, dopo un inizio incerto, le azioni cinesi hanno ricevuto un impulso, quanto mai necessario, a seguito di una serie di annunci di politica economica. Le notizie parlano di un possibile pacchetto di salvataggio del mercato azionario pari a 278 miliardi di dollari, che permetterebbe ai decisori politici di attingere ai conti offshore delle imprese di proprietà statale; a questi annunci è seguito poi l’impegno del nuovo governatore della banca centrale ad accelerare un allentamento della politica monetaria. In particolare, la riduzione dello 0,5% del livello di riserve bancarie richiesto, ovvero della percentuale di depositi che le banche devono mantenere come riserva, ha catalizzato la performance giornaliera più forte nell’indice CSI 300 di questo mese. Tuttavia, lo stesso indice rimane notevolmente al di sotto del suo picco del 2021. La settimana passata è stata caratterizzata da un aumento dell’interesse degli investitori nell’utilizzo di opzioni per sfruttare il potenziale rialzista delle azioni cinesi.Il taglio del rapporto di riserva obbligatoria segue una tendenza di lunga data risalente al 2011. Sebbene la sua efficacia nel stimolare l’economia o il mercato azionario sia stata altalenante, funge da strumento per regolare la liquidità. Al momento, infatti, tagli significativi dei tassi di interesse sono improbabili a causa delle preoccupazioni riguardo l’impatto negativo che questi potrebbero generare sui margini bancari e su una svalutazione della valuta cinese.
I fondamentali economici rimarranno probabilmente il principale motore che determinerà le performance azionarie a lungo termine della Cina. A tal proposito, la deflazione resta un problema urgente, richiedendo alle autorità di gestire con grande attenzione il delicato compito di disinnescare la bolla immobiliare senza ricorrere a stimoli eccessivi. I decisori politici stanno attivamente ristrutturando l’economia, con l’obbiettivo di renderla sempre meno dipendente dal settore immobiliare, orientandola verso la manifattura avanzata e adottando misure fiscali in grado di mantenere una crescita economica accettabile.
L’apertura della Cina verso nuove tecnologie, quali l’energia pulita, rappresenta una chiara volontà di rottura con modelli economici più datati. Nonostante le imminenti sfide quali la riduzione del debito e le barriere commerciali, si evidenzia un chiaro impegno da parte della Cina nel voler superare le difficoltà nel breve termine al fine di ottenere potenziali guadagni nel lungo termine. Il successo della rivoluzione dei veicoli elettrici testimonia la validità di questa strategia. In questo contesto, potrebbe essere opportuno considerare più attentamente le azioni tecnologiche cinesi che sono attualmente sottovalutate. Tuttavia, è fondamentale tenere presente che solitamente i rally di mercato legati a meri proclami politici tendono a dissolversi rapidamente; pertanto, sarà fondamentale un’effettiva messa in atto delle politiche annunciate.
A differenza della Cina, le azioni giapponesi hanno registrato una performance superiore rispetto alle loro controparti cinesi sia nell’ultimo mese che, in particolare, nell’ultimo anno. La nostra posizione positiva sul Giappone è giustificata dai benefici previsti dal suo graduale superamento della deflazione e dai continui miglioramenti sul fronte della governance aziendale. Infatti, il rafforzamento della governance, sostenuto da rigorose linee guida dettate dalla Borsa di Tokyo, sta favorendo la creazione di valore e incoraggiando le società a dare priorità all’efficienza del capitale, massimizzando il rendimento del capitale proprio. A tal proposito, l’ultimo rapporto sulla governance ha rivelato che quasi la metà delle aziende quotate ha intrapreso azioni in questa direzione. Da questo punto di vista, le sfide demografiche in Giappone potrebbero ironicamente trasformarsi in opportunità, in quanto le aziende sono costrette a potenziare la produttività in presenza di una carenza di manodopera, rafforzando potenzialmente i margini.
Da un punto di vista macroeconomico, le prospettive di un possibile miglioramento del comparto delle macchine utensili sono di buon auspicio per il Giappone, in particolare per i settori industriale, tecnologico e automobilistico. Inoltre, mentre il comparto dei macchinari industriali sembra aver toccato il fondo, il settore tecnologico è pronto per un nuovo ciclo di crescita. Nonostante le buone performance registrate dalle aziende automobilistiche durante lo scorso anno, l’ottimismo è in parte ridotto dal fatto che il ciclo di ripresa post-COVID sia ormai giunto a maturazione. È interessante notare come il Giappone, tradizionalmente protagonista del ciclo economico globale, mostri attualmente un grado di resilienza meno dipendente dalle fluttuazioni economiche esterne. Le forze congiunte dell’uscita dalla deflazione, dell’aumento dei salari e dell’apprezzamento dei prezzi delle case contribuiscono ad uno scenario economico complessivamente positivo per il Giappone.
Le preoccupazioni per l’apprezzamento dello yen permangono, ma il suo impatto dipenderà dal contesto economico globale. Se tale apprezzamento si verificasse in concomitanza con una robusta domanda globale di beni durevoli, i benefici potrebbero superare i potenziali ostacoli derivanti da una valuta più forte. Tuttavia, qualora l’apprezzamento avvenisse in concomitanza con una significativa contrazione dell’economia globale, potrebbe verificarsi una notevole pressione sui profitti. Come Columbia Threadneedle preferiamo mantenere un’esposizione all’azionario giapponese senza copertura valutaria.
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Robeco: La Cina ha bisogno di una politica fiscale forte per innescare la ripresa azionaria
A cura di Jie Lu, Head of Investments China di Robeco
È necessaria un’espansione fiscale più aggressiva per compensare la continua debolezza del mercato immobiliare dopo che la CEWC (Central Economic Work Conference) ha espresso un orientamento pro-crescita per il 2024
Siamo costruttivi sulle azioni cinesi nel nuovo anno. Alcuni investitori potrebbero pensare che puntare sulle azioni cinesi ora sia una mossa coraggiosa, visto il sentiment profondamente negativo degli investitori nel 2023, ma è qui che dobbiamo rimanere lucidi. Le revisioni degli utili sono ancora limitate dalla debole e accidentata ripresa macroeconomica, ma è probabile che la situazione cambierà quando la politica fiscale esplicitamente favorevole alla crescita inizierà a entrare in vigore nel 2024.
Focus sulla crescita alla CEWC
La Central Economic Work Conference (CEWC) 2023, svoltasi l’11 e il 12 dicembre, ha gettato le basi per una politica incentrata sul sostegno alla crescita nel 2024. L’adozione del mantra “perseguire la stabilità attraverso la crescita” rappresenta una novità e anche una ferma indicazione che l’obiettivo di crescita della Cina per il 2024 sarà fissato a un ambizioso 5%, eguagliando l’obiettivo del 2023 nonostante gli effetti base meno favorevoli. Per i dettagli bisognerà attendere.
Finora, un allentamento frammentario della politica monetaria, l’allentamento della regolamentazione e le parole tranquille delle banche non sono stati in grado di rilanciare il mercato immobiliare, con i prezzi delle case e degli appartamenti ancora in calo nel quarto trimestre del 2023. Questo, a sua volta, sta avendo un effetto ricchezza negativo e sta minando la fiducia dei consumatori, lasciando l’economia in difficoltà. In questo contesto, e nonostante il rally dei titoli azionari globali nel mese di novembre, le azioni cinesi sono scivolate ai livelli più bassi dal novembre 2022, annullando completamente la ripresa post-pandemia. Le valutazioni sono ora a forte sconto rispetto agli altri mercati emergenti, per non parlare degli Stati Uniti. Data l’elevata qualità e le prospettive di crescita a lungo termine di molte società dell’universo cinese, soprattutto nei settori dell’autosufficienza tecnologica, dell’ammodernamento industriale, della transizione energetica e dell’assistenza sanitaria, a nostro avviso questo sconto non durerà a lungo.
Politica fiscale ancora da sbloccare
Con una politica monetaria già accomodante, è logico prevedere una politica fiscale più espansiva per sostenere la crescita e consentire il raggiungimento dell’obiettivo del PIL. Ciò includerà nuova spesa pubblica per l’edilizia sociale e le infrastrutture. La risposta positiva del mercato obbligazionario cinese al declassamento dell’outlook di Moody’s sui titoli sovrani cinesi dimostra che è pronto ad assorbire l’aumento previsto delle emissioni obbligazionarie. Di conseguenza, un’espansione significativa della spesa del governo centrale, incanalata attraverso le amministrazioni locali, è molto probabile e sarà positiva per le azioni cinesi.
Probabile inversione dei flussi globali a favore della Cina
Prevediamo che il contesto macroeconomico globale aiuterà i policymaker cinesi, con i tagli dei tassi della Fed che ridurranno la pressione sul CNY. Negli ultimi sette anni i rendimenti del Tesoro USA hanno avuto una correlazione negativa con la performance del mercato azionario cinese. Questo sarà importante, dato che l’asset allocation globale verso la Cina si è attestata su livelli molto bassi, con un ritiro di 100 miliardi di dollari dalla Cina nel 2023. Potrebbe esserci anche una reazione da parte degli investitori nazionali, con gli investitori istituzionali, comprese le compagnie di assicurazione, che iniziano a ricostruire le loro posizioni. Le valutazioni sono ormai ai minimi storici e gli investitori retail stanno capitolando.
Approccio contrarian
Anziché considerare questa situazione come una crisi, continuiamo ad adottare una visione costruttiva, per cui si tratta di un’opportunità di acquisto a lungo termine per gli investitori attivi con una conoscenza del mercato locale che desiderano esporsi ad alcune delle migliori società del mondo.
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COMGEST: CINA, INTERESSANTI SVILUPPI NELL’HEALTHCARE
Jasmine Kang, Gestore del fondo Comgest Growth China

Jasmine Kang, Analista e Gestore del fondo Comgest Growth China di Comgest Il PMI cinese di ottobre è scivolato in territorio di contrazione dopo quattro mesi di lieve miglioramento. A nostro avviso, l’inflazione dell’indice dei prezzi alla produzione (IPP) rimarrà un ostacolo quest’anno. Nonostante la debolezza dei dati macroeconomici, l’economia cinese sembra stabilizzarsi. Il PMI dei servizi ha continuato ad espandersi e, con il calo della crescita tra agosto e settembre, la crescita del PIL del terzo trimestre ha registrato un rimbalzo sequenziale dell’1,3% rispetto al trimestre precedente, portando a una crescita del 4,9% su base annua (a/a), migliore del previsto. Il governo centrale ha annunciato che emetterà altri 1.000 miliardi di RMB attraverso uno speciale titolo di Stato, in aggiunta al deficit fiscale totale originariamente previsto di 3.900 miliardi di RMB, portando il deficit fiscale al 3,8% del PIL. Riteniamo che l’utilizzo della spesa fiscale come strumento, in misura ragionevole, fornirà un buon sostegno all’economia.
Intravediamo alcuni sviluppi interessanti nel settore sanitario. WuXi AppTec ha mantenuto un forte slancio di crescita, soprattutto per quanto riguarda i progetti relativi al GLP-1, che dovrebbero guidare la crescita dell’azienda nel 2024. Anche Wuxi Biologics dovrebbe sfruttare l’effetto positivo del prossimo lancio di diversi farmaci ADC. La gestione di Lepu Medical ha visto da settembre un avvio della ripresa delle sue attività commerciali dall’impatto della campagna anticorruzione cinese. Nel terzo trimestre Mindray ha registrato una crescita degli utili del 20% più solida del previsto e ha ribadito le sue stime di crescita del 20% per l’intero anno. NetEase ha proseguito la sua vigorosa attività nel settore dei videogiochi, ottenendo la licenza per Condor Heroes.
In un contesto di debolezza economica, Centre Testing ha registrato una crescita degli utili del 3% nel terzo trimestre, in quanto i test medici e farmaceutici sono stati influenzati dalla già citata campagna anticorruzione, mentre i test generali sono stati messi sotto pressione dalla lentezza delle attività edilizie.
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Cina, fuga di capitali o ricerca di rendimenti?
Payden & Rygel – Chart of the week –
Questa settimana due colossi dell’economia mondiale si sono incontrati a San Francisco, allentando le tensioni tra loro: all’appuntamento annuale dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) si sono infatti riuniti i Xi Jinping e Joe Biden, presidenti di due Stati che sono l’uno l’argomento polarizzante dell’altro per l’opinione pubblica dei rispettivi Paesi.
Questa polarizzazione potrebbe, però, influenzare il giudizio sugli investimenti: per esempio, alcuni investitori individuano nel recente crollo degli investimenti diretti esteri in Cina (IDE) un segnale dell’abbandono del Dragone da parte delle imprese globali; tuttavia, la realtà è più complessa.
Al netto dell’impatto degli utili reinvestiti, gli IDE in attività produttive e in nuovi progetti rimangono relativamente stabili. Sicuramente, le aziende straniere potrebbero sottrarre alla Cina gli utili non distribuiti a causa dei timori geopolitici.
Tuttavia, un’altra spiegazione è possibile, e riguarda i differenziali dei tassi d’interesse: quelli USA sono infatti molto più alti rispetto agli equivalenti cinesi, con i Treasury a due anni che rendono circa il 5%, mentre gli equivalenti cinesi solo il 2,3%. Fuga di capitali o semplice ricerca di rendimenti?
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PGIM Fixed Income: Cina – I venti contrari all’economia fanno presagire un rallentamento della crescita
A cura di Magdalena Polan, head of EM macro research di PGIM Fixed Income
Il crescente divario geopolitico con l’Occidente comporta una strada accidentata per il commercio e ostacoli agli investimenti stranieri. Ma queste sono solo alcune delle sfide che la seconda economia mondiale deve affrontare. Il rallentamento della crescita, l’invecchiamento della popolazione e l’eccesso dei risparmi stanno determinando un cambiamento fondamentale nell’economia cinese, il cui tasso di espansione ha superato i mercati sviluppati per gran parte degli ultimi tre decenni. Queste tendenze sfavorevoli contribuiscono a illustrare le difficoltà della Cina a rilanciare la propria economia dopo la pandemia COVID-19.
La banca centrale del Paese ha tagliato i tassi di interesse di riferimento nel 2023 nella speranza di stimolare l’attività economica dopo che i dati hanno mostrato un calo delle esportazioni e dei prezzi al consumo in estate. Una delle sfide che la Cina si trova ad affrontare è che il suo recente malessere economico arriva nonostante il suo stesso impulso alla politica industriale. Nei prossimi anni, la capacità della Cina di stimolare la crescita appare limitata.
La forte spesa per nuove infrastrutture è stata un importante motore di espansione economica quando la Cina faceva gli straordinari per portare la sua economia nel XXI secolo. Le opportunità di migliorare le infrastrutture stanno diventando scarse, come dimostra l’abbondanza di appartamenti e di strade, aeroporti e linee ferroviarie sottoutilizzate. Inoltre, la nazione sarà costretta a spendere di più per il pagamento del debito, limitando la sua capacità di spesa in altri settori. Il Fondo Monetario Internazionale stima che la crescita del PIL cinese passerà dal 5,2% previsto per il 2023 al 3,4% nel 2028 – un’espansione ben lontana da quella a due cifre di due decenni fa.
Con la Cina che potrebbe entrare in un’era di crescita più lenta, sono aumentate le aspettative per un’altra serie di prescrizioni politiche. Finora il governo cinese ha sostenuto la produzione interna di semiconduttori, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza da altri operatori. I chip più sofisticati sono principalmente progettati e prodotti altrove.
Nel frattempo, di fronte al crollo degli investimenti stranieri, i funzionari hanno presentato una proposta di allentamento delle norme che regolano gli investimenti delle imprese estere. L’indebolimento delle prospettive suggerisce che la Cina non sarà più un sostegno affidabile per l’economia globale come in passato. In un outlook semestrale, la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso le sue previsioni per le economie in via di sviluppo dell’Asia orientale come riflesso delle difficoltà della Cina, prevedendo una crescita del 4,5% nel 2024 dopo aver stimato in precedenza il 4,8%. In particolare, i rischi di ribasso del settore immobiliare cinese potrebbero pesare sulle economie regionali, come quella della Mongolia, a causa del calo della domanda di materiali da costruzione.
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J. SAFRA SARASIN: Azionario cinese, una grande muraglia di preoccupazioni
A cura di Wolf von Rotberg, Equity Strategist di J. Safra Sarasin
Le azioni cinesi hanno subito un forte deprezzamento recentemente, toccando livelli di valutazione dai quali hanno tipicamente recuperato nei mesi e negli anni passati. Potremmo immaginare che, con la crescente attenzione del governo per la debolezza del mercato azionario, si assista nuovamente a una breve ripresa da livelli di ipervenduto. Tuttavia, a nostro avviso, ciò rappresenterebbe un’opportunità per ridurre l’esposizione, anziché un motivo per aggiungerne.
È improbabile che le numerose sfide che continuano a ostacolare la crescita, i mercati del credito e i mercati azionari si risolvano rapidamente, lasciando le azioni cinesi esposte a significativi rischi di ribasso nel medio termine. Sebbene le autorità possano adottare misure a breve termine per migliorare il sentiment del mercato, le dinamiche sottostanti sono molto più difficili da invertire. Il flusso di credito mensile è sceso a luglio ai minimi di 14 anni, trascinando l’impulso creditizio (variazione del flusso di credito) al livello più basso dal luglio 2021. La novità per le autorità cinesi è che la crescita del credito è limitata dall’assenza di domanda, poiché l’insaziabile richiesta di investimenti immobiliari da parte delle famiglie è praticamente svanita. Ciò rende lo stimolo al credito più difficile da ottenere rispetto al passato. Pertanto, le misure volte a migliorare la domanda di credito richiederebbero al governo di ricostruire la fiducia nel mercato immobiliare. Ma questo va contro il suo stesso obiettivo di ridurre la leva finanziaria del settore privato e dimostra che non c’è una via d’uscita facile dalla situazione attuale. Di conseguenza, le prospettive di rialzo per i mercati sono limitate dal fatto che il sostegno a breve termine creerebbe probabilmente sfide più grandi in futuro. Nella migliore delle ipotesi si può sperare in una stabilizzazione del ciclo, mentre i rischi al ribasso sono sostanzialmente più pronunciati con un ciclo del credito di 20 anni che sta per concludersi.
Le prospettive a lungo termine del mercato azionario cinese sono limitate anche dalla sua bassa leva operativa rispetto alla crescita del PIL. Negli ultimi 20 anni, la crescita degli utili dell’MSCI China ha superato quella degli Stati Uniti solo quando il PIL cinese è cresciuto più del 5% in più rispetto a quello statunitense. Poiché è improbabile che ciò si verifichi in modo duraturo nei prossimi anni, così come è improbabile che si verifichi un miglioramento sostanziale della leva operativa, l’esposizione alle azioni cinesi dovrebbe essere limitata anche in un’asset allocation strategica.
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Schroders – Messico vs Cina: chi vincerà la sfida della deglobalizzazione?
A cura di David Rees, Senior Emerging Markets Economist, Schroders
Sebbene i risparmi in eccesso si siano esauriti e i tassi d’interesse siano molto più alti, i consumi statunitensi hanno continuato a crescere a tassi accettabili. La prospettiva di una ripresa dei consumi ci consente di sostenere che le scorte sosterranno una ripresa del ciclo globale dei beni nei prossimi mesi.
Nel breve periodo le catene di approvvigionamento non cambieranno
Questa dovrebbe essere una buona notizia per i mercati emergenti orientati alle esportazioni. La spinta alle esportazioni di prodotti manifatturieri è un potenziale punto di forza della tormentata economia cinese. Tuttavia, non è una certezza. I consumi statunitensi, infatti, pur rimanendo solidi, non si sono riversati sulla Cina come in passato. Infatti, nonostante un recente miglioramento, le importazioni statunitensi dalla Cina si sono contratte di quasi il 25% su base annua a luglio.
Invece, la domanda di beni dal vicino Messico ha continuato a crescere su base annua. Da tempo sosteniamo che il crescente divario tra Stati Uniti e Cina, esacerbato dalle interruzioni durante la pandemia, implicherà un probabile spostamento delle catene di approvvigionamento globali. In effetti, la deglobalizzazione è uno dei pilastri di quello che chiamiamo il “Reset 3D” (Deglobalizzazione, Decarbonizzazione, Demografia) e la tendenza al nearshoring, cioè al riavvicinamento delle catene di approvvigionamento da parte di Paesi come gli Stati Uniti, ne costituisce una parte fondamentale.
Il Messico ha superato la Cina per la prima volta dall’inizio degli anni Duemila, diventando il primo esportatore di beni negli Stati Uniti. A luglio, il Messico deteneva una quota pari a circa il 15% delle esportazioni verso gli Stati Uniti, mentre la quota della Cina era scesa al 14,6% da un picco di quasi il 22% nel marzo 2018.
Sebbene non siano così dinamici come in Asia, il settore manifatturiero e i mercati messicani dovrebbero trarre beneficio da un eventuale riorientamento della produzione verso gli Stati Uniti.
Nonostante si sia tentati di concludere che stiamo già assistendo a un tale cambiamento di regime nelle catene di approvvigionamento globali, almeno tre fattori suggeriscono che la Cina beneficerà ancora di un’eventuale ripresa del ciclo dei beni nei prossimi mesi.
La guerra in Ucraina, il Covid e le tariffe doganali
In primo luogo, mentre la Cina ha registrato una performance inferiore, vale la pena notare che, nell’ultimo anno, le importazioni nominali statunitensi dall’Asia sono state deboli in tutti i settori. Ciò riflette in gran parte gli effetti sui prezzi, in quanto le forti oscillazioni dei prezzi dell’energia dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sono state eliminate dai dati economici in entrata.
Così come il calo delle componenti energetiche ha contribuito alla diminuzione dell’inflazione globale negli ultimi mesi, anche le esportazioni nominali sono state trascinate al ribasso, poiché le fluttuazioni dei prezzi alla produzione e dei costi di trasporto sono state trasferite ai consumatori. In effetti, è da notare che, nonostante l’importazione netta di petrolio, la crescita delle esportazioni nominali della Cina si è storicamente mossa di pari passo con le variazioni dei prezzi dell’energia.
Al di là di questi effetti sui prezzi, vale la pena notare che le esportazioni asiatiche sono cresciute in termini di volume. Al contrario, il controllo dei prezzi imposto dal governo attraverso le compagnie energetiche statali ha fatto sì che le oscillazioni dei costi energetici fossero meno forti in Messico e che ora abbiano un effetto meno frenante sul commercio nominale.
In secondo luogo, i cambiamenti dei consumi statunitensi hanno diminuito la richiesta di importazioni. Mentre la fase iniziale della pandemia e le successive chiusure hanno concentrato la domanda sul settore dei beni, la riapertura dell’economia statunitense ha liberato la domanda repressa di servizi che dipendono molto meno dai beni importati.
Sebbene anche gli esportatori messicani abbiano dovuto affrontare gli stessi problemi, hanno beneficiato delle forti esportazioni di autoveicoli. Anche le esportazioni di auto dall’Asia sono andate bene, in particolare grazie all’emergere della Cina come produttore chiave di veicoli elettrici. Ma ben pochi di questi prodotti sono destinati al mercato statunitense.
Terzo, e forse più importante, sembra che le aziende cinesi stiano dirottando le esportazioni attraverso paesi terzi per aggirare le tariffe doganali e le sanzioni imposte dal governo statunitense negli ultimi anni.
Questo fenomeno si può dedurre dal fatto che, mentre la quota di commercio bilaterale della Cina con gli Stati Uniti è diminuita, la quota del mercato globale delle esportazioni non è diminuita. Anzi, la quota di esportazioni globali della Cina è aumentata durante la pandemia e da allora è rimasta elevata.
C’è stata una certa diversificazione nel commercio cinese, ad esempio la quota di commercio con la Russia è molto più elevata dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma la pura e semplice differenza nelle dimensioni della spesa per i consumi significa che un aumento delle esportazioni verso la Russia non può spiegare il fatto che la Cina abbia mantenuto la quota di mercato globale anche quando le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite.
Un’altra indicazione è che le esportazioni cinesi verso altri paesi asiatici e verso lo stesso Messico sono aumentate notevolmente negli ultimi anni, proprio mentre anche le importazioni statunitensi da questi paesi sono cresciute fortemente.
Bisogna notare che la bilancia commerciale della Cina con il Messico è aumentata di circa l’1% del Pil nell’ultimo periodo.
La Cina dovrebbe ancora beneficiare della ripresa del commercio di beni a livello globale
La Cina non è al sicuro dal reshoring. L’esplosione degli investimenti fissi lordi in Messico negli ultimi mesi, che rispecchia gli investimenti altrettanto significativi nelle strutture produttive statunitensi, suggerisce che le aziende stanno iniziando a rilocalizzare le attività produttive.
Tuttavia, mentre il Messico beneficerà del nuovo regime del commercio globale, il reshoring sarà un processo lento che richiederà anni. Nel frattempo, se abbiamo ragione nel prevedere una ripresa del ciclo globale dei beni, questo dovrebbe essere un catalizzatore positivo per l’economia cinese e per alcuni dei suoi mercati, in particolare per il renminbi che, quest’anno, si è fortemente indebolito ed è guidato in gran parte dal ciclo delle esportazioni.
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COMGEST: CAMBIO DI ROTTA IN CINA
Jasmine Kang, Analista e Gestore del fondo Comgest Growth China di Comgest
Il mese di agosto ha segnato un cambio di rotta nella politica cinese. I dati macro economici ad alta frequenza di luglio non sono stati all’altezza delle aspettative, con le vendite al dettaglio in crescita del 2,5% e la produzione industriale del 3,7%. Si sono inoltre verificati nuovi eventi con un impatto sulla liquidità tra gli sviluppatori immobiliari e sono riemersi alcuni casi di debiti occultati dalle amministrazioni locali. Si è infine imposta una spinta verso il cambiamento della politica, con l’annuncio di una serie di misure e l’adozione da parte della banca centrale cinese (PBoC) di importanti provvedimenti per allentare la stretta sul mercato immobiliare, attraverso la riduzione delle caparre di acquisto e dei tassi sui mutui e requisiti per l’acquisto più accessibili.
L’imposta di bollo sulle transazioni di Borsa è stata dimezzata ed è stato ridotto il limite alla leva finanziaria delle operazioni di finanziamento con margine sul mercato onshore delle azioni cinesi di classe A. Intanto, il Consiglio di Stato ha aumentato la deducibilità dal reddito delle persone fisiche delle spese sostenute per i figli. A partire dal 15 settembre, la Cina ridurrà anche la quota di riserva valutaria dal 6% al 4% per sostenere lo yuan.
Il Segretario al Commercio statunitense, Gina Raimondo, ha lasciato la Cina con una nota positiva e ha sottolineato il suo ottimismo riguardo ai legami economici con il Paese. Al termine della stagione di pubblicazione delle semestrali, WuXi AppTec ha registrato ricavi in linea con le attese (6%), mentre l’utile operativo della società, in rialzo del 30%, ha superato le previsioni grazie all’espansione del margine lordo, nonostante il calo dei ricavi legato al Covid. Wuxi Biologics ha registrato ricavi superiori alle attese e utili in linea con le stime. La compressione dei margini dovuta all’incremento di nuova capacità e agli adeguamenti di capacità legati al Covid era prevista e ha rallentato la crescita degli utili nonostante un aumento dei ricavi del 18%. Samsonite ha beneficiato di una domanda accumulata superiore alle attese grazie alla ripresa del segmento dei viaggi, con la conseguente revisione al rialzo delle previsioni per il 2023 da parte del management.
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PGIM Fixed Income: La Cina nel 2023, le incognite dell’opinione convenzionale
Gerwin Bell, Lead Economist per l’Asia del team Global Macroeconomic Research di PGIM Fixed Income
Gli opinionisti cinesi stanno nuovamente invertendo la rotta: il forte pessimismo sull’economia cinese che ha caratterizzato tutto il periodo estivo sta ora lasciando il posto a una valutazione più favorevole e a un rialzo delle previsioni di crescita. Ciò lascia perplessi da un punto di vista fondamentale, basato sui dati. Questo perché nulla è cambiato, se non una presa di coscienza piuttosto tardiva da parte di alcuni del fatto che i dati cinesi hanno effettivamente retto piuttosto bene.
Ad esempio, sapevate che:
– Le vendite al dettaglio reali della Cina (il miglior indicatore dei consumi) sono cresciute di oltre il 6% fino ad agosto, mentre quelle degli Stati Uniti – il presunto campione mondiale dei consumi – sono scese di quasi l’1,5%?
– O che dire degli investimenti, che in termini reali sono aumentati di circa il 7% ad agosto, nonostante la caduta libera degli investimenti immobiliari, il che implica un’incredibile crescita reale dell’11% degli investimenti fissi non immobiliari.
– Anche se questi ultimi numeri si basano sui dati degli investimenti fissi cinesi, notoriamente difficili da verificare, sono coerenti con il boom dei volumi delle importazioni di materie prime: il carbone è aumentato di quasi l’80%, il petrolio di oltre il 30%, il gas di petrolio liquefatto del 28% e persino i minerali del 7%. Sono numeri significativi.
– Per l’Australia, il valore delle esportazioni verso la Cina in “termini di valore recuperato” è aumentato del 14%, mentre le esportazioni complessive, esclusa la Cina, sono diminuite del 18% rispetto all’anno precedente.
Questi dati suggeriscono che il raggiungimento dell’obiettivo di crescita “intorno al 5%” per l’anno in corso è imminente. Inoltre, la domanda cinese di materie prime è stata un fattore importante dietro la resilienza alquanto sorprendente di molti paesi emergenti di fronte ai forti rialzi dei tassi della Federal Reserve.
È un po’ un mistero il motivo per cui questi dati stiano cominciando a essere resi noti solo ora. La spiegazione più probabile è che il pensiero di gruppo sulla Cina e il desiderio di vedere prove immediate del tanto previsto rallentamento cinese abbiano portato a dei significativi punti ciechi – “unknown knowns” – di cui chi legge è invitato a tenere conto.
Naturalmente, questo quadro ciclico relativamente più positivo per il 2023 non implica affatto il superamento delle sfide a medio termine della Cina. Un rischio chiave viene ignorato al momento: il fiscal cliff per le amministrazioni locali cinesi.
I governi locali e gli enti ad essi collegati sono stati fondamentali per stimolare gli investimenti, dato che gli investitori stranieri e privati in generale hanno adottato un atteggiamento più scettico nei confronti della Cina. Allo stesso tempo, la fonte principale di entrate delle amministrazioni locali (la vendita di terreni) si sta esaurendo a causa della crisi immobiliare.
Di conseguenza, la loro già precaria situazione finanziaria è ulteriormente peggiorata, come dimostrano le segnalazioni di numerosi fornitori e arretrati salariali. E se le amministrazioni locali sono costrette a tagliare drasticamente le spese, i problemi economici di cui i mercati si sono tanto preoccupati durante l’estate potrebbero materializzarsi in breve tempo.
I governi locali hanno bisogno di sostegno, che sarebbe meglio fornire sotto forma di finanziamenti aggiuntivi. Questa richiesta è stata una componente fondamentale della visione costruttiva che PGIM ha da tempo della Cina per il 2023. Tuttavia, questo “stimolo” non servirà a finanziare ulteriori investimenti e ad imprimere un’accelerazione significativa alla crescita. Piuttosto, consentirà la spesa corrente e la liquidazione degli arretrati.
La situazione è simile a quella della crisi della periferia dell’area dell’euro del 2012, dove il cosiddetto “whatever it takes” della Banca Centrale Europea ha evitato un precipizio fiscale peggiore per i paesi periferici ma non ha finanziato una vera e propria accelerazione della crescita.
Il segnale più immediato delle prospettive incerte della Cina a medio e lungo termine è arrivato dalla Bank for International Settlement, che ha riferito che il debito complessivo della Cina ha superato il 300% del PIL alla fine del primo trimestre, raddoppiando rispetto al 2009. primo trimestre, un raddoppio rispetto al 2009. Questo a dimostrazione di quanto la Cina sia diventata dipendente da una leva finanziaria sempre maggiore. Se da un lato ci aspettiamo che il settore immobiliare avrà raggiunto il suo minimo entro il 2024 togliendo il freno persistente, dall’altro non riteniamo che questo sarà un nuovo motore di crescita.
Pertanto, il divario tra le aspirazioni di crescita e il potenziale di crescita si è ulteriormente ampliato ed è improbabile che si riduca in assenza di riforme strutturali in stile 1999, che riducano il ruolo del settore statale – una prospettiva improbabile sotto la guida di Xi Jinping. Il percorso più probabile è quello di un costante rallentamento strutturale che impedirebbe alla Cina di uscire dalla trappola del reddito medio e di non riuscire a passare a un’economia ad alto reddito a causa dell’aumento dei costi e del calo della competitività.
Per quanto riguarda il resto del mondo, Australia compresa, è meglio prevedere un ulteriore rallentamento del contributo della Cina alla crescita globale. Si tratta, tuttavia, di un movimento strutturale in corso più che di un colpo improvviso e repentino.
La sfida futura di una Cina strutturalmente in rallentamento è già abbastanza impegnativa senza che gli umori dei mercati subiscano forti oscillazioni. Come sempre, il consiglio migliore è quello di seguire i dati anziché i commenti.
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Takeaway cinese. E le conseguenze di una scelta azzardata sui tassi
La settimana dei mercati – Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay AM
In sintesi
• La pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense ha mostrato che l’inflazione core non sta scendendo così rapidamente come si sperava, il che apre la porta a ulteriori rialzi dei tassi
• La BCE ha aumentato i tassi di 25 punti base e il Consiglio direttivo potrebbe aver terminato la stretta sui tassi, ora al 4%
• Il PIL del Regno Unito si è contratto, a causa della debolezza della spesa dei consumatori
• Il governatore della BoJ Ueda sembra rivalutare la politica monetaria, sulla scia dell’aumento dell’inflazione e della pressione sullo yen
• Sebbene le relazioni tra Cina, Stati Uniti ed Europa rimangano intrecciate, persistono segnali di tensione
(11-15 settembre 2023) – I rendimenti statunitensi non sono cambiati di molto nell’ultima settimana, sulla scia del rapporto CPI statunitense di questa settimana. Ciononostante, l’inflazione core, pari al 4,3%, non sta scendendo così rapidamente come alcuni speravano. La prospettiva di un ulteriore inasprimento della politica monetaria da parte della Fed resta in gioco nel quarto trimestre. Tuttavia, ci aspettiamo una pausa nella prossima riunione di settembre, poiché la traiettoria dei rialzi diventa più ridotta e la politica monetaria si sposta ulteriormente in territorio restrittivo.
La nostra sensazione è che l’inflazione stia diventando più rigida, in quanto le aspettative si stanno riassestando. Se il CPI dovesse attestarsi tra il 3-4%, sarà probabilmente difficile per la Fed approvare un allentamento della politica monetaria per diversi trimestri a venire. In questo contesto, continua a sembrare prematuro detenere molto rischio di duration con la curva dei rendimenti strutturalmente invertita.
Tuttavia, se e quando diventerà più interessante acquistare, si potrebbe perdere valore nella parte anteriore della curva dei rendimenti, se i futuri tagli dei tassi saranno prezzati. In questo scenario, nei prossimi mesi appare più probabile un rialzo della curva dei rendimenti piuttosto che un suo appiattimento.
I rendimenti dell’Eurozona sono variati di poco nel corso della settimana. La decisione della Bce di rialzare i tassi di 25 punti base questa settimana sembra essere stata una scelta azzardata e riteniamo che il Consiglio Direttivo possa aver terminato di inasprire i tassi sui depositi, ora al 4%.
Le proiezioni di inflazione leggermente più elevate, in un momento in cui le previsioni di crescita vengono ridimensionate, dipingono un quadro piuttosto cupo per le prospettive europee nei prossimi mesi. I rischi di stagflazione sono presenti in tutta la regione, anche se in un contesto europeo più ampio sono probabilmente più elevati nel Regno Unito.
Il Pil del Regno Unito si è contratto a luglio, in parte a causa del cattivo tempo estivo. Tuttavia, la debolezza dei consumi non è stata solo una storia di minori vendite di gelati e, con il calo dei prezzi delle case, vediamo che i consumatori stanno sentendo il peso della crisi. Nel frattempo, i dati che mostrano un’accelerazione della crescita dei salari all’8,3% devono preoccupare la BoE, anche se l’aumento delle buste paga è moderato.
In definitiva, pensiamo che questa è la forma che potrebbero assumere le cose nei prossimi mesi e che, se la crescita deluderà e l’inflazione si manterrà intorno al 5%, la Bank of England potrà procedere a un ulteriore rialzo per il momento, ma con il rischio di dover attuare una nuova stretta se l’inflazione dovesse riaccelerare ancora una volta a causa dei “second round effects”, ovvero un’incorporazione dell’aumento dei prezzi all’interno delle negoziazioni salariali.
Riteniamo che la sterlina finirà per sopportare parte della pressione e quindi rimaniamo strutturalmente negativi sulla valuta, anche se si tratta di una scommessa che non ha dato grandi soddisfazioni da inizio anno.
In Giappone, i commenti del Governatore Ueda sembra abbiano aperto a un aggiustamento anticipato della politica monetaria, sulla scia dell’aumento dell’inflazione e della crescente pressione sullo yen. Da quando si è insediato in aprile, Ueda ha mantenuto un atteggiamento dovish ed è apparso riluttante a sostenere un cambiamento di politica monetaria.
Tuttavia, l’inflazione core si attesta al 4% e l’aumento dei prezzi sembra estendersi a tutta l’economia. Le prime stime per il ciclo salariale del prossimo anno si aggirano intorno al 5%, poiché i lavoratori cercheranno di recuperare il potere d’acquisto perduto, in un contesto di mercato del lavoro molto rigido.
Nel frattempo, mentre i tassi di interesse reali diventano più negativi in un momento in cui le altre banche centrali hanno aumentato i tassi, la BoJ è ora responsabile dell’indebolimento dello yen, lasciando così relativamente vani gli sforzi da parte del Ministero delle Finanze per rafforzare la valuta.
Poiché questa dinamica persiste, ci aspettiamo che la pressione su Ueda e i suoi colleghi continui a crescere. Non crediamo ci sarà alcun cambiamento di politica monetaria alla riunione di settembre.
Tuttavia, a ottobre, riteniamo che le proiezioni sull’inflazione saranno riviste al rialzo e che una dichiarazione sul raggiungimento di un’inflazione sostenibile al 2% potrebbe essere il pretesto per un’ulteriore mossa di politica monetaria. Riteniamo che il controllo della curva dei rendimenti potrà essere eliminato o reso superfluo in quel momento.
Nel frattempo, prevediamo che il primo rialzo dei tassi della Bank of Japan al di sopra dello 0% avverrà prima della fine di quest’anno. In questo contesto, continuiamo a credere che i rendimenti dei JGB a più lunga scadenza dovranno continuare a salire, con un obiettivo compreso tra l’1,0 e l’1,2% entro la fine del 2023.
Durante il vertice del G20 dello scorso fine settimana, l’India ha esercitato la sua crescente influenza sul comunicato congiunto concordato al termine dell’incontro, che non ha menzionato la Russia in relazione alla guerra e alle sofferenze in Ucraina.
La geopolitica si sta ridisegnando in modo più multipolare, con il precedente vertice dei BRICS in Sudafrica che ha cercato di espandere il numero dei propri membri e la propria influenza sul mondo in via di sviluppo. Visto che il BRICS+ è un potenziale rivale del G20, Xi, così come Putin, non ha partecipato all’ultima riunione del G20. La decisione di includere l’Unione Africana tra i membri del G20, sostenuta dall’India, può essere vista nel contesto della battaglia per la fedeltà all’interno del Sud globale.
In un momento in cui la Cina deve affrontare problemi economici interni, si sarebbe potuto pensare che le considerazioni internazionali sarebbero passate in secondo piano. Tuttavia, questo non fa parte del pensiero a lungo termine di Pechino e le capitali occidentali si stanno rendendo conto del rischio di non impegnarsi in modo più costruttivo con il mondo in via di sviluppo, in un periodo in cui la Cina ha raddoppiato i suoi sforzi nel contesto del programma Belt and Road e di altre iniziative volte per allontanare le nazioni dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.
Per quanto riguarda più specificamente la Cina, la scorsa settimana si sono registrati in tutta Europa sviluppi che indicano un deterioramento delle relazioni tra le rispettive potenze. Nel Regno Unito, c’è stata una protesta pubblica per lo spionaggio cinese all’interno dei corridoi di Westminster. Le case automobilistiche tedesche sono messe in difficoltà da imprese cinesi sponsorizzate dallo stato che gli fanno concorrenza.
Nel frattempo, l’Italia ha annunciato l’uscita formale dal Belt and Road, dopo essere stata precedentemente criticata da Stati Uniti e Unione Europea per aver aderito all’iniziativa. Negli Stati Uniti, la scorsa settimana sono emerse nuove preoccupazioni per l’installazione di chip in grado di gestire l’intelligenza artificiale negli smartphone di produzione cinese, in un campo in cui gli Stati Uniti hanno mantenuto un vantaggio.
Inoltre, ci sembra interessante che molte società di investimento e altri operatori stiano deliberatamente abbandonando la Cina, dopo aver fatto un gran parlare della necessità di adottare una strategia cinese come futuro motore di crescita e guadagni.
Eppure, fino a questo momento, l’allontanamento da Pechino non è stato particolarmente evidente nei dati del commercio. Tuttavia, la notizia di questa settimana sul fatto che il Messico ha superato la Cina come primo partner commerciale degli Stati Uniti dimostra che il cambiamento è in atto e che la direzione di marcia è chiaramente indicata. In effetti, da un punto di vista macro, questo sarebbe un fattore che, a nostro avviso, potrebbe contribuire all’andamento dell’inflazione nei prossimi anni, a mano a mano che il panorama globale si rimodella verso un nuovo ordine globale.
Nei mercati del credito delle imprese, l’attività di nuove emissioni è stata relativamente vivace nell’ultima settimana e ora è probabile che rallenti un po’. A livello di indice, l’Euro IG ha sovraperformato il mercato statunitense negli ultimi quindici giorni, invertendo una precedente sottoperformance. La domanda di nuovi titoli da parte degli investitori è stata relativamente robusta e, in generale, le condizioni di bassa volatilità continuano a sostenere i mercati del credito.
Anche nello spazio sovrano la domanda è stata robusta. Tuttavia, le crescenti preoccupazioni per una politica fiscale accomodante e l’aumento dei deficit potrebbero pesare sugli spread, come si è visto per i BTP italiani nell’ultima settimana circa.
Per contro, il rating della Grecia è stato migliorato dall’agenzia DBRS, anche se i mercati sembrano attendere l’esito della prossima revisione di S&P in ottobre come potenziale catalizzatore per l’inclusione nell’indice IG della Grecia, che potrebbe fornire una potente offerta tecnica per le obbligazioni, in quanto gli investitori passivi sono obbligati a comprare.
Guardando al futuro
In prospettiva, il decoupling dalla Cina potrebbe rivelarsi un fattore inflazionistico di cui i mercati non tengono ancora conto. Sembra che il lavoro facile per spingere l’inflazione verso il basso sia stato fatto, ma i progressi saranno molto più lenti man mano che entreremo nell’“ultimo miglio”. Ciò potrebbe rendere difficile per i policymaker cambiare rotta in modo prevedibile, il che significa che la duration offre un margine di rialzo limitato per il momento.
Le valutazioni del credito appaiono piuttosto piene e, sebbene non vediamo un forte catalizzatore verso l’allargamento degli spread, il credito sembra offrire maggiori opportunità in termini di valore relativo piuttosto che da una prospettiva di beta.
Nel frattempo, il rischio geopolitico potrebbe essere una potenziale fonte di volatilità del mercato. Un takeaway cinese potrebbe lasciare alcuni investitori con un po’ di mal di stomaco.
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GAM: Cina, il nuovo inizio
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR
Nelle cronache finanziarie è tornata la geopolitica.
Le crescenti tensioni tra paesi, il protezionismo e la competizione tra modelli di governo hanno intensificato le preoccupazioni sulla frammentazione economica e finanziaria globale.
Il premier cinese Xi Jinping non è andato al G20 in India. Le spiegazioni della sua assenza sono state molteplici, la più convincente è quella che rimanda alla rivalità con gli Stati Uniti, ormai apertamente dichiarata.
Xi preferisce guardare ai paesi del Sud del mondo, è stato protagonista nel vertice dei paesi “BRICS” di poche settimane fa e si riprenderà la scena nel Forum che in ottobre celebrerà a Pechino il decennale dell’avvio del progetto “Belt and Road Initiative”. Non saranno presenti leader occidentali ma ci saranno i leader della lega BRICS, propugnatori di un modello di sviluppo alternativo a quello occidentale.
I media cinesi amplificano i messaggi relativi all’Iniziativa per lo Sviluppo Globale, all’Iniziativa per la Sicurezza Globale e all’Iniziativa per la Civilizzazione Globale, più idee che veri e propri progetti ma che veicolano il potente messaggio di un modello di sviluppo presentato come superiore e migliore, per i Paesi più poveri, rispetto ai modelli occidentali.
Il “nuovo inizio” della Cina di Xi è tribolato da una economia impantanata nella peggiore crisi dal tempo dell’”altro inizio”, quello promosso da Deng Xiaoping negli anni Ottanta. La fase della crescita impetuosa è finita, al cuore della debolezza economica e finanziaria del paese c’è la grave crisi del settore immobiliare e il ricorso a politiche monetarie lasche è frenato dall’aumento dei tassi negli Stati Uniti, pena l’ulteriore indebolimento del renmimbi e la fuga dei capitali.
E se in Europa e negli Stati Uniti l’inflazione fa ancora male, la Cina è alle prese con il problema opposto, gli alti livelli di debito e i prezzi in calo fanno balenare la prospettiva della deflazione. La riduzione della domanda porta alla riduzione degli investimenti, della produzione, del reddito e quindi della domanda, un circolo vizioso da quale si può uscire con stimoli massicci alla domanda aggregata.
Nell’immediato futuro la sfida che attende il governo di Pechino è duplice: la sfida interna è guidare l’economia attraverso un passaggio epocale che temperi l’invecchiamento della popolazione e che stimoli i consumi, ancora al di sotto dei livelli prepandemici. La sfida esterna è governare le relazioni con gli Stati Uniti, il contributo delle esportazioni alla crescita potrebbe ulteriormente diminuire e raffreddare la già tiepida fiducia degli investitori istituzionali.
Per il saggista Philip Coggan, le dinamiche della geopolitica si intersecano pericolosamente con altre questioni sensibili, ad esempio la trasformazione energetica, l’invecchiamento della popolazione, i livelli del debito, l’inflazione.
Le intersezioni della geopolitica con la transizione energetica portano in primo piano ancora le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Sono cinesi le due aziende che riforniscono il mondo di più della metà delle batterie necessarie alle auto elettriche, la quota cinese della produzione di pannelli solari è alla ragguardevole quota di 80%.
Si pensi, inoltre, alla questione Taiwan. Oggi nell’isola contesa si concentra la produzione di oltre il 60% dei semiconduttori mondiali e oltre il 90% di quelli più avanzati.
Queste competenze produttive fanno della tecnologia uno “scudo di silicio”, un formidabile motivo per difendere l’isola dall’espansionismo cinese. Ma, d’altro canto, la dipendenza dalla produzione di Taiwan è anche ragione di debolezza: parte della produzione sta prendendo la via dell’estero. L’industria dei chip era nata sul modello della produzione “just in time”, catene della produzione efficienti, mano d’opera altamente qualificata, standard logistici all’avanguardia. Un modello non facilmente replicabile nei nuovi assetti di “on-shoring” o “friendly-shoring”, il costo della produzione dei microchip negli stabilimenti inaugurati in Arizona è stimato più alto del 55%.
La geopolitica e le condizioni dell’economia cinese hanno ricadute anche sulle prospettive dell’inflazione. Storicamente, le fasi di globalizzazione sono deflazionistiche, i beni a basso costo prodotti in Cina e nei paesi asiatici negli ultimi decenni hanno avuto un ruolo importante nel tenere bassa l’inflazione, la diffidenza tra paesi e aree di influenza aumenta la possibilità che l’inflazione sorprenda al rialzo.
Non manca qualche nota positiva.
In agosto l’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,1% su base annua, al di sotto delle stime ma tornato in territorio positivo dopo il -0,3% di luglio; l’indice dei prezzi alla produzione è ancora negativo, a conferma delle difficoltà della manifattura, ma il calo è meno pronunciato rispetto a un mese fa (-3% contro -4,4%).
La ripartenza dell’economia cinese passa dalla restituzione della fiducia alle famiglie e agli investitori, il nuovo inizio della Cina riguarda tutto il mondo.
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Robeco: La lunga marcia delle macchine in Cina
a cura di Jie Lu, Head of Investments China di Robeco
Le installazioni robotiche sono destinate ad accelerare a livello globale, ma si teme un rallentamento in Cina. Al contrario, la nostra analisi suggerisce che timori simili sono esagerati.
È ampiamente riconosciuto che l’automazione industriale è l’unica soluzione possibile per affrontare i molteplici cambiamenti strutturali della produzione a livello globale. La carenza di manodopera è diffusa e sta colpendo non solo i settori, ma intere economie. Inoltre, le tensioni geopolitiche e la pandemia globale hanno rafforzato la spinta verso catene di approvvigionamento più resilienti. In risposta, i governi stanno lanciando piani su larga scala per sostenere le industrie strategiche (e ad alta intensità di automazione), tra cui i semiconduttori, i pannelli solari e le batterie. Non sorprende che il reshoring, il nearshoring e la produzione just-in-case continuino a conquistare le prime pagine dei giornali come mezzo per le aziende per ridurre i costi della manodopera, i ritardi e l’incertezza nelle catene di fornitura manifatturiere. La carenza di manodopera, le tensioni geopolitiche e la pandemia globale hanno rafforzato la spinta verso catene di approvvigionamento più resilienti.
Ma al di là dei titoli dei media, cosa suggeriscono i dati empirici sulla domanda di automazione industriale? Secondo l’International Federation of Robotics (IFR), la densità robotica globale, che misura il numero di robot industriali operativi rispetto al numero di lavoratori, è aumentata nell’ultimo decennio (2010-2021) a un tasso del 10% CAGR (Compound annual growth rate, tasso di crescita annuale composto). Nello stesso periodo, Giappone e Germania – leader affermati nella produzione avanzata e nell’adozione della robotica – hanno registrato solo una crescita modesta della densità di robot. Il settore manifatturiero cinese, invece, ha subito un notevole incremento di produttività, con una densità di robot nel 2021 che è aumentata di 20 volte rispetto al 2010, superando gli Stati Uniti e recuperando rapidamente il ritardo rispetto a Giappone e Germania.
Con quasi il 30% della produzione manifatturiera mondiale che avviene all’interno dei propri confini, la Cina si è guadagnata la reputazione di essere la fabbrica del mondo, grazie alla sua vasta forza lavoro manifatturiera, alla manodopera qualificata e all’eccezionale infrastruttura logistica. Lo spostamento della Cina da settori ad alta intensità di manodopera a sottosettori altamente specializzati e produttivi, ha portato il Paese a rappresentare ben il 52% delle installazioni di robot a livello mondiale nel 2021, dopo un notevole CAGR del 30% nelle installazioni annuali nel decennio precedente. Dal picco del precedente ciclo di investimenti nel 2018, le installazioni nel “mondo ex-Cina” sono diminuite del 2%, ma sono aumentate del 20% in Cina.
Si prevede che la Cina raggiunga lo stesso livello di densità di robot del Giappone e della Germania entro la fine di quest’anno. Tuttavia, non ci sono prove che la Cina possa superare strutturalmente questi Paesi in termini di densità di robot. Pertanto, sarebbe ragionevole ipotizzare che la domanda di automazione della Cina finirà per raggiungere un plateau, con una conseguente decelerazione della domanda di automazione a livello globale.
Le installazioni robotiche in Cina sono aumentate del 20%.
Inoltre, è probabile che il reshoring e gli interventi governativi, come l’IRA, il Repower EU e il CHIPS Act, portino a un aumento della densità di robot nei mercati sviluppati come gli Stati Uniti e l’Europa, compensando il calo della Cina. Inoltre, la strategia “Cina + 1”, che prevede l’espansione delle catene di fornitura a Paesi al di fuori della Cina per garantire una maggiore resilienza, spingerà Paesi vicini come India, Vietnam e Thailandia ad automatizzare la produzione. La domanda è se queste tendenze, se realizzate, saranno sufficienti a compensare la decelerazione di un Paese che guida più della metà della domanda globale.
Il potenziale della Cina – grossolanamente sottovalutato
Ma non scartate ancora la Cina. Da un’analisi più attenta dei numeri emergono forti discrepanze tra i dati sulla produzione condivisi da organizzazioni statistiche globali come Eurostat e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e quelli utilizzati dall’IFR per calcolare la densità dei robot.
Sulla base dei dati relativi alle scorte operative e alla densità di robot, la forza lavoro manifatturiera implicita dell’IFR in Cina è di circa 40 milioni, contro i 140 milioni calcolati dall’ILO. Ciò significa che i dati attuali potrebbero sottostimare la forza lavoro manifatturiera reale della Cina di circa il 70%.
I progressi tecnologici alla base della produzione intelligente
Con o senza la Cina, i robot e l’automazione stanno contribuendo a proteggere i produttori a livello globale dalla carenza di manodopera, dall’inflazione salariale e dalle interruzioni della catena di fornitura che hanno ostacolato i mercati negli ultimi anni. Con i costi di integrazione in calo, i clienti possono contare su periodi di ammortamento più brevi e su una gamma più ampia di casi d’uso in tutti i settori, dall’assemblaggio di automobili e macchinari pesanti a lavori più specializzati e di precisione.
Inoltre, la tecnologia robotica sta facendo passi da gigante grazie ai robot collaborativi (co-bot) che affiancano l’uomo in compiti sempre più sofisticati. Inoltre, gli algoritmi di visione artificiale e di movimento basati sull’intelligenza artificiale aiutano i robot a espandersi e a ottimizzare i loro movimenti, consentendone l’uso in ambienti complessi e mutevoli. Gli algoritmi di visione artificiale e di movimento basati sull’intelligenza artificiale stanno aiutando i robot a espandersi e a ottimizzare i loro movimenti.
I robot rappresentano una soluzione fondamentale per aiutare i produttori a migliorare la produttività, la resilienza, la sicurezza e i profitti nel XXI secolo. La Cina è ancora agli inizi della sua transizione verso sottosettori manifatturieri ad alta produttività. Questo, unito all’aumento della domanda negli Stati Uniti, in Europa e nei Paesi asiatici emergenti, ci dà maggiore fiducia nelle prospettive dell’automazione industriale nel decennio a venire.
