Tag: Columbia Threadneedle Investments

Columbia Threadneedle Investments è un gruppo di asset management leader a livello globale, che gestisce EUR 558 miliardi[1] per conto di clienti individuali, istituzionali e corporate in tutto il mondo.

Ci avvaliamo delle competenze di oltre 2500 collaboratori, tra cui più di 650 professionisti dell’investimento operanti nel Nord America, in Europa e Asia[2]. Offriamo ai nostri clienti un’ampia gamma di strategie incentrate su azioni, obbligazioni e strumenti alternativi, nonché competenze specializzate nell’investimento responsabile e una suite completa di soluzioni.

Columbia Threadneedle Investments è il gruppo globale di asset management di Ameriprise Financial, Inc. (NYSE:AMP), uno dei principali fornitori statunitensi di servizi finanziari. In quanto parte di Ameriprise, beneficiamo del sostegno di una grande società di servizi finanziari diversificata e adeguatamente patrimonializzata.

[1] Al 30 settembre 2022.

[2] Fonte: Rapporto sugli utili relativo al terzo trimestre 2022 di Ameriprise Financial.

  • Cina e Giappone, la divergenza persisterà?

    Cina e Giappone, la divergenza persisterà?

    a cura di Robert Plant, Portfolio Manager Multi-Asset di Columbia Threadneedle Investments

    • L’annuncio del governo di Pechino di un pacchetto di salvataggio di 278 miliardi di dollari ha dato una spinta alle azioni cinesi.
    • Nel lungo termine i fondamentali economici rimarranno il principale motore di sviluppo; tuttavia, la deflazione rappresenta ancora un problema, così come la bolla immobiliare che dovrà essere disinnescata dalle autorità.
    • Nonostante le sfide imminenti, la Cina rimane un potenziale beneficiario di una pianificazione strategica a lungo termine incentrata su temi quali l’energia pulita.
    • Le azioni giapponesi continuano a beneficiare dei progressi in corso nella governance aziendale, nonché dell’uscita graduale del paese dalla deflazione.
    • Malgrado alcune preoccupazioni legate all’apprezzamento dello yen, le prospettive per il Giappone rimangono complessivamente positive.

    Nell’ultimo anno, nonostante l’incremento dei rendimenti obbligazionari, evidenziato da un aumento dello 0,2% nel tasso decennale statunitense, i mercati azionari globali hanno mostrano una notevole resilienza. Al momento, i dati macroeconomici rafforzano la prospettiva di un “soft landing” negli Stati Uniti grazie ad una crescita sostenuta; allo stesso modo la solidità dei profitti aggregati dell’S&P nel quarto trimestre del 2023 ha contribuito a consolidare questo quadro positivo.

    La scorsa settimana, dopo un inizio incerto, le azioni cinesi hanno ricevuto un impulso, quanto mai necessario, a seguito di una serie di annunci di politica economica. Le notizie parlano di un possibile pacchetto di salvataggio del mercato azionario pari a 278 miliardi di dollari, che permetterebbe ai decisori politici di attingere ai conti offshore delle imprese di proprietà statale; a questi annunci è seguito poi l’impegno del nuovo governatore della banca centrale ad accelerare un allentamento della politica monetaria. In particolare, la riduzione dello 0,5% del livello di riserve bancarie richiesto, ovvero della percentuale di depositi che le banche devono mantenere come riserva, ha catalizzato la performance giornaliera più forte nell’indice CSI 300 di questo mese. Tuttavia, lo stesso indice rimane notevolmente al di sotto del suo picco del 2021. La settimana passata è stata caratterizzata da un aumento dell’interesse degli investitori nell’utilizzo di opzioni per sfruttare il potenziale rialzista delle azioni cinesi.Il taglio del rapporto di riserva obbligatoria segue una tendenza di lunga data risalente al 2011. Sebbene la sua efficacia nel stimolare l’economia o il mercato azionario sia stata altalenante, funge da strumento per regolare la liquidità. Al momento, infatti, tagli significativi dei tassi di interesse sono improbabili a causa delle preoccupazioni riguardo l’impatto negativo che questi potrebbero generare sui margini bancari e su una svalutazione della valuta cinese.

    I fondamentali economici rimarranno probabilmente il principale motore che determinerà le performance azionarie a lungo termine della Cina. A tal proposito, la deflazione resta un problema urgente, richiedendo alle autorità di gestire con grande attenzione il delicato compito di disinnescare la bolla immobiliare senza ricorrere a stimoli eccessivi. I decisori politici stanno attivamente ristrutturando l’economia, con l’obbiettivo di renderla sempre meno dipendente dal settore immobiliare, orientandola verso la manifattura avanzata e adottando misure fiscali in grado di mantenere una crescita economica accettabile.

    L’apertura della Cina verso nuove tecnologie, quali l’energia pulita, rappresenta una chiara volontà di rottura con modelli economici più datati. Nonostante le imminenti sfide quali la riduzione del debito e le barriere commerciali, si evidenzia un chiaro impegno da parte della Cina nel voler superare le difficoltà nel breve termine al fine di ottenere potenziali guadagni nel lungo termine. Il successo della rivoluzione dei veicoli elettrici testimonia la validità di questa strategia. In questo contesto, potrebbe essere opportuno considerare più attentamente le azioni tecnologiche cinesi che sono attualmente sottovalutate. Tuttavia, è fondamentale tenere presente che solitamente i rally di mercato legati a meri proclami politici tendono a dissolversi rapidamente; pertanto, sarà fondamentale un’effettiva messa in atto delle politiche annunciate.

    A differenza della Cina, le azioni giapponesi hanno registrato una performance superiore rispetto alle loro controparti cinesi sia nell’ultimo mese che, in particolare, nell’ultimo anno. La nostra posizione positiva sul Giappone è giustificata dai benefici previsti dal suo graduale superamento della deflazione e dai continui miglioramenti sul fronte della governance aziendale. Infatti, il rafforzamento della governance, sostenuto da rigorose linee guida dettate dalla Borsa di Tokyo, sta favorendo la creazione di valore e incoraggiando le società a dare priorità all’efficienza del capitale, massimizzando il rendimento del capitale proprio. A tal proposito, l’ultimo rapporto sulla governance ha rivelato che quasi la metà delle aziende quotate ha intrapreso azioni in questa direzione. Da questo punto di vista, le sfide demografiche in Giappone potrebbero ironicamente trasformarsi in opportunità, in quanto le aziende sono costrette a potenziare la produttività in presenza di una carenza di manodopera, rafforzando potenzialmente i margini.

    Da un punto di vista macroeconomico, le prospettive di un possibile miglioramento del comparto delle macchine utensili sono di buon auspicio per il Giappone, in particolare per i settori industriale, tecnologico e automobilistico. Inoltre, mentre il comparto dei macchinari industriali sembra aver toccato il fondo, il settore tecnologico è pronto per un nuovo ciclo di crescita. Nonostante le buone performance registrate dalle aziende automobilistiche durante lo scorso anno, l’ottimismo è in parte ridotto dal fatto che il ciclo di ripresa post-COVID sia ormai giunto a maturazione. È interessante notare come il Giappone, tradizionalmente protagonista del ciclo economico globale, mostri attualmente un grado di resilienza meno dipendente dalle fluttuazioni economiche esterne. Le forze congiunte dell’uscita dalla deflazione, dell’aumento dei salari e dell’apprezzamento dei prezzi delle case contribuiscono ad uno scenario economico complessivamente positivo per il Giappone.

    Le preoccupazioni per l’apprezzamento dello yen permangono, ma il suo impatto dipenderà dal contesto economico globale. Se tale apprezzamento si verificasse in concomitanza con una robusta domanda globale di beni durevoli, i benefici potrebbero superare i potenziali ostacoli derivanti da una valuta più forte. Tuttavia, qualora l’apprezzamento avvenisse in concomitanza con una significativa contrazione dell’economia globale, potrebbe verificarsi una notevole pressione sui profitti. Come Columbia Threadneedle preferiamo mantenere un’esposizione all’azionario giapponese senza copertura valutaria.

  • Il 2024 potrebbe essere un anno di svolta per gli investimenti alternativi

    Il 2024 potrebbe essere un anno di svolta per gli investimenti alternativi

    A cura di Simone Zoccari, Director of Insitutional di Columbia Threadneedle Investments

    24.01.2024

    I periodi caratterizzati da mercati finanziari complessi possono rappresentare un ottimo momento per investire in strumenti alternativi. Alla luce del contesto attuale, riteniamo che il 2024 potrà rappresentare un punto di svolta, a fronte di una maggiore chiarezza sul piano economico, creando opportunità di investimento interessanti per gli investitori istituzionali negli asset alternativi. In particolare, gli investitori potrebbero trarre vantaggio dai prezzi delle attività più competitivi, dalla ristrutturazione del bilancio, dalle vendite di asset in difficoltà e da acquisti a prezzi scontati nei mercati secondari.

    Dopo un 2023 impegnativo, il nuovo anno potrebbe rivelarsi particolarmente interessante

    Le asset class alternative non sono state immuni da quanto accaduto sui mercati dei capitali durante il 2023, caratterizzati da un mix di tassi di interesse più elevati, crescita inferiore e maggiore volatilità, che hanno impattato e strategie di investimento che utilizzano la leva finanziaria. Di conseguenza, nell’ultimo anno si è registrato un rallentamento delle attività sui mercati degli alternativi, dovuto a disinvestimenti maggiormente problematici , fundraising più impegnativi e un generale inasprimento delle condizioni di credito. Questo scenario ha generato pressioni sui prezzi, soprattutto nel settore immobiliare, e la necessità di una maggior prudenza nell’adozione di strumenti alternativi tra gli investitori.

    Guardando al 2024, con il raggiungimento del picco dei tassi di interesse, ciò che resta incerto è il calendario dei futuri tagli , da cui deriverà probabilmente una certa differenziazione nelle politiche delle banche centrali e nel rendimento economico. La Federal Reserve americana, ad esempio, manterrà i tassi di interesse più alti e per più tempo rispetto alla Banca d’Inghilterra, in quanto l’economia del Regno Unito tenderà ad indebolirsi prima del tempo, date la sua struttura di prestiti ipotecari a breve termine e una maggiore vulnerabilità generale a tassi più elevati. Nel complesso, ci aspettiamo che i tassi di interesse scendano a livello globale, sebbene le tempistiche di realizzazione saranno diverse da un Paese all’altro.

    In questo scenario, gli investimenti alternativi avranno bisogno di un’ulteriore revisione dei prezzi, una maggiore stabilità dal punto di vista del credito e un quadro macroeconomico più chiaro per un’effettiva ripresa e per essere considerati come un’ opportunità di investimento nuovamente interessante.

    Gli alternativi continueranno a rappresentare un investimento strategico

    I motivi per cui gli investitori istituzionali dovrebbero ricorrere agli investimenti alternativi sono ben chiari: diversificazione del rischio, minore volatilità e rendimenti assoluti potenzialmente superiori nel tempo. A causa delle restrizioni monetarie messe in atto dalle banche centrali e del ritorno di interesse dell’investimento obbligazionario l’attività di fundraising è risultata più difficile nel 2023, determinando di conseguenza una maggior cautela da parte degli investitori verso questa tipologia di asset. Tuttavia, riteniamo che nel medio e lungo termine saranno presenti venti favorevoli strutturali per il mondo degli alternativi – siano essi real estate, private equity, infrastrutture e strumenti liquid alternative – in grado di generare molteplici opportunità di investimento interessanti.

    In particolare, prevediamo che gli investimenti nel private equity e nel mondo delle infrastrutture di tipo equity continueranno ad attrarre l’interesse degli investitori istituzionali, soprattutto delle Casse Previdenziali e delle maggiori Fondazioni Bancarie, sebbene con un approccio più critico in termini di diversificazione geografica, settore e profilo rischio-rendimento.

  • I tagli dei tassi di interesse sono in pericolo?

    I tagli dei tassi di interesse sono in pericolo?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    • Le attese su un taglio di tassi anticipato da parte della FED nel 2024, che ha stimolato un forte rally delle obbligazioni e delle azioni a livello globale, hanno subito ora una significativa inversione di tendenza.
    • Negli Stati Uniti, i dati a breve termine dell’inflazione dei prezzi al consumo sono vicini all’obiettivo e l’inflazione salariale sta rallentando. Tuttavia, la politica monetaria continua ad essere restrittiva e con l’incombere delle elezioni presidenziali la Fed teme che le decisioni sui tassi possano diventare una questione politica.
    • In Europa, l’inflazione dei prezzi è scesa bruscamente verso la fine dello scorso anno, attestandosi ben al di sotto delle previsioni della BCE. Tuttavia, le prospettive per l’inflazione salariale rimangono incerte.
    • Incerte anche le prospettive per il Regno Unito, dove l’aumento del 10% del salario minimo, previsto ad aprile, potrebbe incrementare la pressione sui prezzi. Allo stesso modo, la prospettiva di forti tagli fiscali nel bilancio di marzo invita alla prudenza.
    • In ogni caso continuiamo ad aspettarci forti tagli dei tassi nel corso del 2024, con la Banca d’Inghilterra che sarà probabilmente l’ultima ad effettuare il primo taglio.

    Le dichiarazioni delle banche centrali hanno influito non poco sui mercati monetari. Lo scorso 13 dicembre, il Presidente del Comitato che regola i tassi negli Stati Uniti aveva parlato di una riduzione anticipata, di fatto scatenando un forte rally di obbligazioni e azioni, non solo negli Stati Uniti ma nella maggior parte del mondo. Di conseguenza, le prospettive su tagli dei tassi consistenti e anticipati erano state prezzate dai mercati di New York, Londra, Europa e oltre.

    Con l’inizio del 2024, le principali banche centrali hanno frenato l’entusiasmo, respingendo in maniera decisa le aspettative ottimistiche dei mercati. Sebbene i temi del calo dell’inflazione e della bassa disoccupazione siano comuni a Stati Uniti, Regno Unito ed Europa, permangono importanti differenze per quanto riguarda le tempistiche sui tagli dei tassi.

    Negli Stati Uniti, i dati a breve termine dell’inflazione dei prezzi al consumo sono pari o prossimi all’obiettivo del 2%. Il rallentamento dell’inflazione salariale suggerisce che questa tendenza è costante. Tuttavia, in questo scenario anche la politica gioca un ruolo importante; a fronte della più divisiva elezione Presidenziale dei tempi moderni, la Fed vuole infatti evitare che la decisione sul taglio dei tassi diventi oggetto di dibattito politico.

    In tal senso, un primo taglio dei tassi a marzo, chiaramente giustificato, potrebbe essere d’aiuto. L’indice del costo dell’occupazione, previsto per la fine del mese, potrebbe giocare un ruolo importante a favore di questo scenario. Questo dato infatti è generalmente considerato la migliore misura della crescita dei salari, sebbene venga pubblicato solo trimestralmente, e una sua variazione inferiore all’1,0% trimestre su trimestre potrebbe essere decisiva per avallare un primo taglio dei tassi a marzo.

    Infatti, il perdurare di un tasso di disoccupazione basso e una crescita economica costante non giustificherebbero l’urgenza di un taglio dei tassi. Tuttavia, la politica monetaria resta ad oggi restrittiva e un modesto taglio in primavera contribuirebbe a depoliticizzare le decisioni successive. In definitiva, ci aspettiamo una progressiva riduzione dei tassi negli Stati Uniti, verso l’aspettativa del mercato del 4%, entro la fine dell’anno e oltre.

    In Europa, l’inflazione dei prezzi è calata in maniera consistente verso la fine del 2023, ben al di sotto delle previsioni della Bce. Mentre per quanto riguarda l’inflazione salariale, le prospettive restano maggiormente incerte. La tornata salariale è appena iniziata e, sebbene ci siano buone ragioni per aspettarsi un forte rallentamento della crescita dei salari, la BCE vorrà aspettare di vedere i risultati. Per quanto la possibilità di una riduzione dei tassi ad aprile rimanga un’ipotesi valida, non è da escludersi che si debba aspettare la riunione di giugno per vedere un primo taglio effettivo.

    Allo stesso modo le previsioni sull’inflazione salariale nel Regno Unito appaiono dubbie. Sebbene i dati a breve termine mostrino un forte rallentamento, il livello di partenza è molto elevata. Inoltre, l’aumento del 10% del salario minimo in aprile potrebbe esercitare un’ulteriore pressione al rialzo sui salari.

    La Low Pay Unit, che si occupa di elaborare le cifre, è riuscita a convincere molti che un aumento del salario minimo avrebbe avuto un effetto limitato, dato che i salari, in particolare nel settore della vendita al dettaglio, sono già saliti al di sopra del nuovo standard. Tuttavia, l’aumento salariale del 9,1% annunciato da Sainsbury pochi giorni fa suggerisce il contrario. Inoltre, la prospettiva di forti tagli fiscali nel bilancio di marzo – ci aspettiamo una riduzione di 2 pence dell’aliquota di base dell’imposta sul reddito e un aumento delle soglie – incoraggerà una maggior cautela.

    Nonostante tutto ciò, ci aspettiamo che la Banca d’Inghilterra segua la Fed e la BCE con importanti tagli dei tassi quest’anno, anche se verosimilmente sarà l’ultima ad effettuare il primo taglio.

    Fig.1 Incremento dei costi di spedizione

    Fonte: Source: Bloomberg and Columbia Threadneedle Investments as at 22 January. Drewry world container index, an average of 8 east-west route for 40 foot containers

    Per quanto riguarda l’aumento dei costi di spedizione a seguito delle tensioni nel Mar Rosso, ci si chiede se possano essere causa di una recrudescenza dell’inflazione e conseguente freno ai programmi di riduzione dei tassi. È innanzitutto importante notare che l’entità degli aumenti è inferiore a quella registrata nel periodo post Covid-19. Inoltre, in quel periodo le aziende si sono affannate per ricostruire le scorte, dato che la forte domanda consentiva di trasferire facilmente i costi aggiuntivi tramite prezzi più alti, mentre oggi non sussistono le medesime condizioni. È probabile, dunque, che l’impatto di questo incremento avrà effetti ridotti e ci si augura sia solo temporaneo.

  • Weekly market outlook da Columbia Threadneedle Investments

    Weekly market outlook da Columbia Threadneedle Investments

    a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    L’oro brillerà nel 2024?

    • L’aumento dei tassi di interesse avrebbe dovuto generare un periodo arduo per l’oro, ma questa dinamica è cambiata nel momento in cui la Russia ha invaso l’Ucraina. 
    • Le banche centrali stanno riversando un’enorme quantità di capitali nell’oro: nel 2022 ne hanno acquistato oltre 1000 tonnellate e ci si aspetta una cifra simile nel 2023. La Turchia è stata la maggior acquirente.
    • I prezzi dell’oro dovrebbero beneficiare del calo dei tassi di interesse, e il suo status di bene rifugio dovrebbe offrirgli ulteriore sostegno.

    Negli ultimi due anni, a causa dell’aumento dei tassi di interesse, ci aspettavamo che l’oro attraversasse un periodo difficile in quanto, come avviene per un bond senza cedola, quest’ultimo è un asset che non genera interessi. In tal senso, i rendimenti e i tassi di interesse riflettono solitamente il costo-opportunità legato alla detenzione di questo bene, laddove un aumento dei tassi di interesse dovrebbe tradursi in una riduzione dei costi dell’oro.

    Tuttavia, come riportato in Figura1, è possibile notare un interessante scollamento tra i prezzi dell’oro e i tassi di interesse, con una rottura evidente a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il grafico mostra il rendimento dei TIPS degli Stati Uniti (i titoli del Tesoro protetti dall’inflazione), indicando l’andamento dei rendimenti reali. Sorprendentemente, nonostante l’impennata dei rendimenti reali, il prezzo dell’oro è rimasto fisso. 

    Fig.1 Prezzi dell’oro in forte crescita nonostante l’aumento dei tassi reali

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments, Bloomberg and Macrobond, 05/01/2024

    Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno congelato ben 350 miliardi di dollari delle riserve della Banca Centrale russa. La forza sorprendente del prezzo dell’oro potrebbe riflettere la fuga di capitali verso questo bene rifugio da parte di banche centrali, personalità politiche e individui facoltosi, timorosi di poter subire un simile destino in futuro. Le sanzioni contro la Russia sono infatti senza precedenti per portata e impatto e hanno coinvolto non solo la banca centrale ma anche quasi 2.000 individui ed enti a cui sono stati congelati gli asset.

    Queste sanzioni finanziarie adottate dalle banche centrali occidentali e dai sistemi di pagamento, vedono Euroclear svolgere un ruolo chiave, non senza riluttanza. Stiamo parlando infatti di miliardi di dollari in diverse valute derivanti da asset russi giunti a scadenza e che stanno maturando interessi sui depositi. L’oro, dall’altra parte, non è proprietà di nessuno e, nonostante il rischio di confisca, il suo essere un bene fisico lo rende immune da simili sanzioni.

    Le banche centrali stanno facendo incetta di oro come mai prima: nel 2022 sono state acquistate oltre 1000 tonnellate e, se guardiamo ai primi 9 mesi dello scorso anno, sembra si sia mantenuto lo stesso ritmo. La Turchia è in testa alla classifica con un record di 542 tonnellate, seguita da Cina, India, Singapore, Egitto, Iraq e gli Stati del Golfo, tutti grandi acquirenti. Indubbiamente queste banche centrali potrebbero avere altri motivi a giustificare un simile interesse, ma la sicurezza sembra essere la ragione principale dato il contesto attuale. Inoltre, questi numeri non tengono conto degli acquisti fatti da soggetti diversi dalle banche centrali.

    Cosa aspettarsi nel 2024? I tassi di interesse stanno scendendo, un sostegno prezioso per il prezzo dell’oro. Così come i motivi che hanno finora incentivato la fuga di capitali e la priorità della sicurezza potrebbe rimanere ancora saldi e validi. Gli asset colpiti dalle sanzioni non sono stati sequestrati; piuttosto, i governi occidentali vogliono usarli per ricostruire l’Ucraina dopo la guerra. Quando inizieranno i negoziati per un accordo di pace, capire come e chi gestirà le spese sarà fondamentale. Un dibattito che metterà in luce la vulnerabilità degli asset finanziari convenzionali. Ci sono sicuramente altri modi per proteggere i propri asset dal congelamento. Alcuni potrebbero pensare ai bitcoin, ma l’oro ha dimostrato la sua sicurezza, stabilità e valore per oltre un millennio. I bitcoin hanno ancora molta strada da fare per raggiungere un simile livello.

  • Cosa aspettarsi dalle banche centrali nel 2024

    Cosa aspettarsi dalle banche centrali nel 2024

    A cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    18.12.2023 – Nel corso del 2024 dovremmo assistere a una forte riduzione dei tassi da parte delle banche centrali, con un notevole sollievo per consumatori, imprese, mercati finanziari e governi, ancora scossi da due anni di forti rialzi. L’adozione di una politica monetaria aggressiva da parte delle banche centrali è stata dettata dall’incapacità di comprendere l’entità e la persistenza delle pressioni inflazionistiche dopo le chiusure forzate del Covid-19. Infatti, se durante la pandemia i tassi di interesse erano a zero o quasi, i primi due punti percentuali di inasprimento sono serviti soltanto a togliere il piede dall’acceleratore. Tuttavia, l’inflazione è aumentata più rapidamente del previsto.

    La buona notizia è che le banche centrali stanno riuscendo a tenere sotto controllo l’inflazione senza incorrere in una recessione. Infatti, sebbene la crescita sia piuttosto debole in Europa, il tasso di disoccupazione rimane basso, mentre gli Stati Uniti non hanno subito alcun rallentamento economico. Alcuni la definiscono una “disinflazione immacolata” ed è una delle tante peculiarità della recente stagione economica. Per diversi mesi, le banche centrali di Europa, Regno Unito e Stati Uniti hanno stabilizzato le loro politiche monetarie. Sebbene abbiano dichiarato di voler mantenere i tassi elevati per un periodo prolungato, restando pronte a rialzarli se necessario, i mercati prevedono un taglio dei tassi complessivo di oltre 1 punto percentuale entro la fine del 2024. In considerazione di ciò, le speculazioni riguardano chi taglierà per primo e quando.

    Fig.1 L’inflazione core si abbassa, rimanendo al di sopra del target

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments e Bloomberg, 14 dicembre 2023

    Alla luce di quanto detto, riteniamo che i tagli dei tassi inizieranno in primavera e saranno ancora più consistenti di quelli attualmente previsti dal mercato. Tuttavia, le banche centrali vogliono essere certe che l’inflazione si stia effettivamente avvicinando in modo sostenuto ai rispettivi obiettivi del 2%, prima di prendere in considerazione possibili ribassi. Gli Stati Uniti sono al momento più vicini a questo scenario, considerando che l’inflazione CPI nominale è oggi al 3%, sebbene l’inflazione di fondo sia più alta, sta comunque scendendo rapidamente. Inoltre, il deflatore della spesa per consumi, una delle misure principali utilizzate dalla Fed, si attesa su livelli ancora più bassi. Allo stesso modo, l’inflazione salariale è scesa ed è solo leggermente superiore al tasso compatibile con un’inflazione dei prezzi del 2%. Assistiamo, dunque, ad un trend inverso della tradizionale spirale in cui salari e prezzi si inseguono sempre più in alto. In questo scenario, tutti si chiedono dove si assesteranno i tassi, tuttavia nessuno, compresa la stessa banca centrale, lo sa con certezza, ma il 2-3% è un’ipotesi ragionevole. Si tratta di una percentuale molto più bassa rispetto ai tassi attuali, che superano il 5%. È probabile, tuttavia, che gli Stati Uniti taglieranno i tassi in modo graduale e con cautela.

    Per quanto riguarda le proiezioni sui tassi di interesse nell’Eurozona sono necessarie maggiori previsioni, che tuttavia comportano una certo grado di incertezza. Sebbene l’inflazione salariale nell’Eurozona sia solo di poco superiore a quella registrata negli Stati Uniti, gli ultimi dati mostrano un’accelerazione. Puntualizziamo, però, che di recente l’inflazione reale è diminuita rapidamente e la tornata salariale chiave che si terrà all’inizio del 2024 dovrebbe vedere un forte calo dei premi. Di conseguenza, i pareri sono concordi sul dire che la BCE e la Fed si allineeranno su tempistiche ed entità dei tagli. Nel Regno Unito, infine, l’incertezza è più grande a causa di un’inflazione più alta e a un livello di inflazione salariale ancora maggiore. Tuttavia, di recente abbiamo assistito ad una riduzione significativa dei tassi mese su mese, che pur si attestano elevati su base annua. Pertanto, anche la Banca d’Inghilterra potrebbe allinearsi con Bce e Fed ma è probabile che sarà l’ultima ad effettuare il primo taglio.

  • Azionario 2024: selezione dei titoli impeccabile per navigare un contesto di rischi elevati 

    Azionario 2024: selezione dei titoli impeccabile per navigare un contesto di rischi elevati 

    A cura di Melda Mergen, Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments

    11.12.2023

    Per far fronte ai molteplici driver macro potenzialmente generativi di volatilità nel mercato azionario nel 2024 servirà costruire portafogli resilienti. A fronte dei numerosi potenziali fattori di incertezza che l’euiqty dovrà affrontare il prossimo anno, tra cui inflazione, recessione, elezioni e rischi geopolitici, gli investitori dovranno correre ai ripari creando un portafoglio in grado di fornire alfa, concentrandosi in primis sull’analisi dei fondamentali, piuttosto che limitarsi ad affrontare un simile scenario puntando su titoli growth invece che value o sulle large cap rispetto alle small cap.

    I “tassi più alti più a lungo” creeranno una distinzione più netta tra vincitori e vinti

    Guardando agli Stati Uniti, sembra che la Fed abbia concluso il ciclo di rialzo dei tassi, con la prospettiva di una pausa prolungata dato il contesto caratterizzato da inflazione vischiosa, dati sul mercato del lavoro stabili e una crescita economica altrettanto solida. È bene ricordare che lo sforzo operato dalle Banche centrali per riportare sotto controllo l’inflazione ha un impatto diretto sulle aziende. In primo luogo, questo incide in maniera significativa sulla domanda, in quanto i consumatori, una volta esauriti  i loro risparmi, risentiranno maggiormente della stretta monetaria, riducendo i consumi non solo di beni voluttuari. In secondo luogo, l’incremento dei costi del fare impresa e di finanziamento graverà particolarmente sulle imprese di dimensioni ridotte, le cui attività operative dipendono da finanziamenti a breve termine. Infine, il potere di determinazione dei prezzi, che ha finora mantenuto alti i profitti di molte aziende, potrebbe indebolarsi in quanto sta diventando sempre più difficoltoso per le imprese trasferire l’aumento dei propri costi sui consumatori finali.

    Riteniamo che al momento il rischio principale per i mercati sia che gli investitori stanno sottovalutando l’effettiva portata di un potenziale rallentamento economico. Infatti, considerando i livelli attuali di crescita economica, appare improbabile poter raggiungere l’obiettivo inflazionistico fissato dalla Fed al 2% senza una recessione potenzialmente grave. Pertanto, risulta essenziale sapere distinguere tra “vincitori e vinti” e la chiave per farlo sarà individuare aziende con bilanci solidi e molteplici fattori di crescita oltre alla riduzione dei costi (Figura 1).

    Figura 1: i driver macro del 2024 

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments, Novembre 2023; per scopo illustrativo

    I colossi tech non saranno gli unici a trainare il mercato statunitense

    Nel 2023, trainati da rosee prospettive sulle infinite possibilità dell’IA, molti dei rendimenti accumulati dall’S&P500 sono riconducibili alle performance di una ristretta cerchia di aziende tecnologiche. In Columbia Threadneedle siamo convinti che l’Intelligenza Artificiale rappresenterà un elemento chiave di trasformazione e crescita economica trasversale, e non solo in relazione al settore tecnologico. Tuttavia, riteniamo che le tempistiche del mercato non siano realistiche e ipotizziamo l’avverarsi di tali previsioni tra tre-cinque anni, piuttosto che tra 12-24 mesi. Dall’altra parte, la concentrazione delle performance nel 2023 ha creato opportunità per gli investitori che si affidano alla ricerca, in quanto il bacino di aziende tecnologiche e di altri settori potenzialmente trascurati dal mercato è oggi più ampio. Riteniamo quindi che quando il trend di crescita farà ritorno il mercato sarà meno monolitico e le opportunità saranno più distribuite.

    Con la prospettiva di un rallentamento economico è bene considerare anche un potenziamento delle allocazioni strategiche al di fuori degli Stati Uniti, con un focus particolare su mercati emergenti e small cap, due aree in cui, a nostro avviso, gli investitori detengono ad oggi allocazioni insufficienti. Attualmente le small cap sono convenienti poiché in caso di recessione sarebbero le prime ad essere colpite. Tuttavia, riteniamo vi siano buone opportunità di selezione dei titoli sia nelle small cap growth che in quelle value. Inoltre, in termini di rapporto prezzo/utili le valutazioni in Europa sono più interessanti rispetto agli Stati Uniti, ma i titoli potrebbero essere più sensibili ai fattori macro e ai tassi. In un simile scenario resta fondamentale, ancora una volta, un’attenta selezione.

    Opportunità di investimento

    Attualmente, i rendimenti della liquidità e dei mercati monetari sono ai massimi quindicennali, affermandosi come strumento preferito dagli investitori. Tuttavia, in un contesto di inflazione strutturalmente più elevata, gli investitori avranno bisogno di una rivalutazione del capitale, oltre che di reddito, per raggiungere gli obiettivi di investimento di lungo termine. Infatti, sebbene la liquidità offra un rendimento interessante in questo momento, è destinata a scendere non appena le banche centrali taglieranno i tassi. Un’ottima fonte di reddito sostitutiva sono le azioni a dividendo, che potrebbero offrire anche una rivalutazione del capitale. I titoli che pagano dividendi non sono però tutti uguali. Per generare flussi di reddito sostenibili bisogna trovare aziende che accrescano i dividendi e che siano dotate di bilanci in grado di sostenere tali distribuzioni anche a fronte di un aumento della volatilità.

    Figura 2: trovare aziende di qualità può contribuire a generare performance superiori durante periodi di recessione

    (Rendimenti medi cumulativi dei fattori, S&P 500, media %, durante le recessioni[1])

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments. I periodi di recessione considerati sono: bolla delle dot-com (03/2001-11/2001), crisi finanziaria globale (12/2007-06/2009) e pandemia del 2020 (02/2020-04/2020). In verde sono indicati i primi cinque titoli migliori e in rosso gli ultimi cinque. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Non è possibile investire direttamente in un indice.

    In conclusione, il 2024 si profila come un anno potenzialmente difficile per gli investimenti azionari, ma restiamo convinti che le azioni rappresentino sempre investimenti strategici di lungo periodo. Se ai fattori di rischio non si oppongono scelta di investimento attive, e basate sulla ricerca di opportunità nel sovrappesare e sottopesare le società, gli investitori continueranno ad eguagliare le perdite subite da un indice come l’S&P 500. Pertanto, anche qualora gli investitori non ritengano necessario incrementare la propria allocazione azionaria, riteniamo cruciale  astenersi dal vendere sulla base della mera volatilità a breve termine. Anche nell’eventualità di un effettivo rallentamento economico, quanti punteranno su società con solidi fondamentali avranno comunque l’opportunità di incrementare le proprie posizioni strategiche a lungo termine a prezzi interessanti.

    [1] I calcoli dei fattori si basano sull’S&P 500 e sono calcolati mensilmente. Gli spread dei fattori riflettono il 20% superiore di titoli meno il 20% inferiore di titoli su base ponderata per la radice quadrata della capitalizzazione di mercato. Rapporto tra free cash flow ed enterprise value (FCF/EV) – FCF degli ultimi dodici mesi (TTM) diviso per l’enterprise value. Utili al lordo di interessi, imposte, deprezzamenti e ammortamenti. Margine (EBITDA) – dividendo EBITDA TTM diviso per i ricavi TTM. Redditività del capitale proprio (ROE) – Utile netto degli ultimi 12 mesi calcolato in rapporto al common equity medio dell’ultimo anno. Rapporto utili prospettici/prezzo (E/P) – Utili per azione stimati a 12 mesi divisi per il prezzo corrente. Qualità degli utili – Variazione a 12 mesi delle attività operative nette calcolata sulle attività totali medie dell’ultimo anno. Altrimenti noto come fattore di accantonamento operativo totale. Riacquisti di azioni proprie – Variazione a 12 mesi delle azioni ordinarie in circolazione riportate a bilancio. Sorpresa del cash flow operativo (OCF) – Variazione del cash flow operativo dichiarato rispetto al risultato di quattro trimestri prima, calcolata in base alla deviazione standard delle sorprese OCF negli ultimi 12 trimestri. Il fattore finale è la media ponderata delle variazioni degli ultimi quattro trimestri. Rendimento del mese precedente – Rendimento del titolo nell’ultimo mese. Price momentum – Dinamica del prezzo a 12 mesi escluso il mese più recente. Rapporto debito/attivi – Debito totale medio nell’ultimo anno rapportato alla media degli attivi totali nell’ultimo anno. Stabilità dei ricavi – Deviazione standard dei ricavi degli ultimi 12 trimestri rapportata alla media dei ricavi degli ultimi 12 trimestri moltiplicata per -1. Sentiment degli analisti – Variazione delle previsioni di utile per azione (EPS) degli analisti. Rapporto valore contabile/prezzo – Common equity corrente diviso per l’attuale capitalizzazione di mercato. Tasso di crescita a lungo termine – Previsione degli analisti relativa alla crescita degli utili a lungo termine. Dimensioni – Capitalizzazione di mercato della società. Rendimento da dividendo – Previsione del dividendo corrente per azione in rapporto alla quotazione attuale. Beta – Correlazione di un titolo con il mercato complessivo negli ultimi due anni.

  • Reddito fisso: il picco dei rialzi dei tassi segna un punto di svolta per le obbligazioni

    Reddito fisso: il picco dei rialzi dei tassi segna un punto di svolta per le obbligazioni

    A cura di Gene Tannuzzo, Responsabile reddito fisso globale di Columbia Threadneedle Investments

    04.12.2023 – Con l’avvicinarsi del 2024, sembra plausibile una pausa della Fed per valutare l’impatto delle restrizioni sulle condizioni finanziarie e creditizie messe in atto dalla banca centrale. A prescindere dal verificarsi di un atterraggio più o meno morbido, gli investitori obbligazionari hanno un unico obiettivo: generare rendimenti interessanti, consapevoli del fatto che non è necessario essere ribassisti sull’economia per essere ottimisti sul mercato dei bond.

    Le obbligazioni hanno registrato buone performance in prossimità delle pause della Fed

    Generalmente, non è necessario che ci sia un taglio dei tassi affinchè le obbligazioni risalgano. In passato, infatti, al raggiungimento del picco del ciclo restrittivo, è solitamente seguito un periodo in cui la performance delle obbligazioni tendeva ad essere eccezionale (Figura 1).

    Figura 1: rendimenti obbligazionari dopo il picco degli aumenti dei tassi della Fed

    (Rendimento a termine medio dopo una pausa, %)

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments. Cfr. le note per gli indici utilizzati.

    Non ci aspettiamo un atterraggio duro, ma non conoscendo quale sarà l’entità del rallentamento economico e tenendo in considerazione i dati attuali sull’inflazione, riteniamo utile privilegiare un posizionamento su emissioni di qualità superiore. Sebbene le obbligazioni con rating inferiori abbiano conseguito buoni risultati nel 2023, riteniamo che il mercato sarà più esigente nel 2024 e presenterà una maggiore dispersione dei rendimenti. Ci stiamo infatti addentrando in un periodo caratterizzato da tassi “più alti più a lungo” che creerà una distinzione più netta tra “vincitori e vinti”, soprattutto nei segmenti del mercato di qualità inferiore. Alla luce di ciò, è sempre più importante la selezione dei titoli, che è uno dei nostri maggiori punti di forza.

    Rendimenti più alti nel lungo termine

    I rendimenti dei titoli obbligazionari hanno raggiunto livelli che non si registravano da decenni. In questo contesto, è fondamentale cogliere l’opportunità di ottenere rendimenti più elevati nel lungo termine e riconoscere il potenziale di rendimento totale derivante dall’aumento dei prezzi di queste obbligazioni. Questo si traduce in un ottimo incentivo per abbandonare la liquidità. Attualmente, grazie alla rinascita del mercato monetario, gli investitori possono possedere liquidità e generare un rendimento competitivo. Tuttavia, l’attrattività della liquidità andrà riducendosi in corrispondenza di un calo dei tassi di interesse a breve termine e di un incremento dei rendimenti delle obbligazioni di alta qualità a lungo temine. Nel mercato europeo, le opportunità potrebbero essere persino più interessanti che negli Stati Uniti, nonostante vi siano rendimenti assoluti più bassi. A differenza degli Stati Uniti, l’Europa sta uscendo da un contesto di tassi d’interesse negativi. In questo momento, stiamo assistendo non solo a tassi d’interesse reali positivi, ma anche a spread creditizi più ampi, con la conseguenza che a parità di rating, un’obbligazione europea genera un premio al rischio maggiore rispetto a quello che si otterrebbe negli Stati Uniti.

    Prospettive per il 2024

    Di seguito delineiamo due scenari di investimento basati sul diverso andamento economico nel 2024. Qualora la crescita dovesse rimanere stabile (figura 2) e vi fosse un’elevata propensione al rischio, il reddito delle obbligazioni ad alto rendimento e dei prestiti bancari risulterebbe essere una buona integrazione per un portafoglio diversificato. Se, invece, si dovesse verificare una recessione (figura 2), sarebbe più appropriato preferire strumenti di qualità superiore sensibili alla duration, come ad esempio i Treasury o municipal bond, che offrono un’elevata protezione. 

    Figura 2: esiti economici e inflazionistici

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments, novembre 2023

    Il nostro ottimismo nei confronti delle obbligazioni è bilanciato dall’incertezza economica, pur ritenendo improbabile un atterraggio duro. Soprattutto, riteniamo che il picco dei tassi sia vicino e che una pausa della Fed sarà un evento significativo per i mercati, poichè storicamente ha prodotto rendimenti superiori per le obbligazioni. Se a ciò si aggiunge l’opportunità di conseguire rendimenti interessanti, riteniamo che questo sia il momento giusto per entrare nel mercato obbligazionario.

    Per ulteriori informazioni si veda il sito internet di Columbia Threadneedle Investments: www.columbiathreadneedle.it

  • COP28: atteso un bilancio sull’adattamento e la mitigazione climatica

    COP28: atteso un bilancio sull’adattamento e la mitigazione climatica

    A cura di Albertine Pegrum-Haram, Senior Associate, Investimento Responsabile di Columbia Threadneedle Investments

    27.11.2023

    Lo scorso ottobre l’Imperial College di Londra ha rilevato in una sua ricerca che, se mantenessimo le emissioni attuali per ulteriori 6 anni, raggiungeremmo solo il 50% di possibilità di successo nel limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Oggi, con un aumento di temperatura pari a circa 1,1 grado, possiamo già notare l’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi economici e naturali da cui dipendiamo. Gli scienziati del World Weather Attribution hanno verificato come molti degli eventi meteorologici di quest’anno – dalle piogge estreme di settembre nel Mediterraneo, agli incendi di maggio/giugno in Canada e al caldo estivo estremo in Nord America, Europa e Cina – derivino direttamente dal cambiamento climatico. Nel 2023 gli Stati Uniti hanno stabilito il record del maggior numero di disastri naturali con un costo pari a circa 1 miliardo di dollari in meno di un anno. Risulta quindi evidente come ormai gli impatti climatici siano diventati la nostra nuova normalità.

    È pertanto sempre più urgente e fondamentale finanziare sia l’adattamento che la mitigazione climatica. Gli investitori si sono tradizionalmente concentrati su quest’ultima offrendo soluzioni più chiare, come supportare i sistemi energetici e di trasporto a basse emissioni. Tuttavia, riteniamo anche che le ampiamente trascurate strategie di investimento per l’adattamento possano avere molteplici vantaggi, come ridurre le perdite e generare nuovi ulteriori canali di finanziamento per la transizione, fornendo allo stesso tempo rendimenti positivi e impatti reali.

    Alla ricerca di definizioni condivise e strumenti per la valutazione dei rischi

    Sebbene il risultato più importante della COP27 sia stata l’istituzione di un fondo per le perdite e i danni per le nazioni vulnerabili, era stata posta grande attenzione anche sui finanziamenti per l’adattamento. Ci aspettavamo che questo tema sarebbe stato al centro del dibattito in Egitto, ma i risultati tangibili sono stati scarsi. L’anno scorso, i Paesi hanno concordato un quadro di riferimento per l’adattamento, basato sull’impegno assunto a Glasgow di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento a 40 miliardi di dollari entro il 2025. Tuttavia, l’enfasi sul tema dei finanziamenti si è affievolito nei successivi negoziati e si è concordato di produrre un rapporto in occasione della COP28 sui progressi compiuti in materia di adattamento. Di fatto sussistono ancora disaccordi di fondo tra le parti in merito alla forma che dovrebbe assumere l’agenda sull’adattamento, data la natura particolarmente complessa degli obiettivi da definire. Nel periodo che precede la COP28, i progressi su questo fronte sono stati scarsi e le negoziazioni tese. A differenza della riduzione delle emissioni, che ha il lusso di concentrarsi su una metrica chiara (la riduzione dei gas serra), la misurazione specifica dell’adattamento è complicata a causa delle molteplici e diverse attività che rientrano all’interno di questo tema. 

    Finora la maggior parte dell’attenzione degli investitori si è concentrata sulla gestione dei rischi di transizione, ma sono necessari nuovi approcci per valutare e gestire correttamente anche i rischi climatici fisici. Un tema, quest’ultimo, su cui noi di Columbia Threadneedle Investments abbiamo riflettuto e scritto molto nell’ultimo anno e riteniamo ci siano alcune considerazioni necessarie da fare quando si ha a che fare con questa tipologia di rischi all’interno dei propri investimenti. In primo luogo, è fondamentale comprendere al meglio gli strumenti usati nella gestione del rischio fisico, riconoscendo i limiti insiti nell’utilizzo di risultati prodotti da modelli climatici come dati rilevanti per gli investimenti. La maggior parte di questi modelli, a cui si ricorre per guidare le decisioni di investimento, sono nati per la ricerca accademica e i dati risultanti non rappresentano necessariamente lo strumento migliore o maggiormente adatto per designare i finanziamenti per la resilienza e l’adattamento. Auspichiamo quindi lo sviluppo di una nuova generazione di modelli a scala ridotta che possano aiutare a conseguire decisioni più granulari. In secondo luogo, ci preoccupa il fatto che gli attuali modelli macroeconomici per gli investimenti soffrano di carenze che potrebbero determinare una sottostima del rischio, come la mancanza di eventi climatici non lineari (tipping point), l’assenza di considerazione dei rischi associati e la sottostima degli impatti sulle catene di approvvigionamento. Tutto ciò può portare a un fraintendimento dell’entità del rischio. Vi sono poi ulteriori complicazioni nell’analisi di rischi e opportunità relative ai mercati emergenti e alle economie in fase di sviluppo, tra le quali la mancanza di dati sul campo, che rendono le stime dei rischi ancora più aleatorie per questi Paesi, comportando una maggiore incertezza dell’esposizione al rischio e una conseguente minor certezza nell’orientare gli investimenti.

    Guardando al futuro, riteniamo che questo settore necessiti maggiori competenze climatiche per aiutare a tradurre in chiave finanziaria i risultati dei modelli accademici utilizzati e sfruttare al meglio i dati climatici a nostra disposizione. In tal senso, si potrebbero trarre insegnamenti dalle istituzioni accademiche e dal settore assicurativo, che hanno trascorso decenni a integrare la ricerca metereologica e climatica nella classificazione e valutazione dei rischi connessi a questi fenomeni. Attualmente i dati sul rischio fisico si concentrano soprattutto sull’esposizione dell’emittente, piuttosto che sulla gestione. Per questo motivo, abbiamo voluto concentrare i nostri sforzi sul coinvolgimento delle aziende nella gestione del rischio fisico, per consentirci di ottenere una visione maggiormente approfondita e integrata del profilo di rischio complessivo, combinando i dati bottom-up ottenuti dalle aziende con quelli top-down forniti dai modelli di valutazione.

    Presente e futuro dell’adattamento climatico

    Sappiamo che il fabbisogno di investimenti per l’adattamento è oggi enorme: l’UNEP ha stimato che servirebbero 387 miliardi di dollari all’anno per realizzare le priorità nazionali in materia. Inoltre, siamo consapevoli che dovranno aumentare anche gli investimenti privati in questo specifico settore, in quanto i finanziamenti pubblici da soli non sono in grado colmare il gap finanziario. A nostro avviso, uno dei motivi dell’attuale scarsità e ampio divario nelle risorse per l’adattamento climatico risiede nella mancanza di chiarezza su cosa si intenda per attività di adattamento e ci auguriamo che la COP28 riesca a trovare una definizione chiara e condivisa da tutti. In secondo luogo, servono finanziamenti più chiari da parte dei governi per le soluzioni di adattamento, aiutando così gli investitori a garantire maggiore visibilità ai progetti, concretezza rispetto alla fattibilità degli stessi e un più tangibile potenziale ritorno sugli investimenti.

    Oggi i governi sono chiamati a presentare all’UNFCC dei “Piani nazionali di adattamento” che delineino le esigenze nazionali e le azioni da intraprendere; tuttavia, la maggior parte di questi progetti mancano di dettagli su costi e attuazione e non riescono a canalizzare in modo efficiente i capitali privati verso i progetti giusti. A tal proposito, ritorna centrale la capacità da parte degli investitori di poter valutare correttamente il rischio fisico; una migliore divulgazione a livello aziendale dell’esposizione a tale rischio e della sua gestione potrebbe spostare l’ago della bilancia nel grado di comprensione e valutazione dello stesso anche sul piano finanziario. Un simile processo consentirebbe infatti di incorporare questi dati nelle valutazioni bottom-up, anziché affidarci solo ai modelli top-down. L’incremento della domanda di divulgazione del rischio fisico da parte delle normative, quali la tassonomia dell’UE e l’obbligo di rendicontazione del TCFD (Task Force on Climate Related Financial Disclosures) nel Regno Unito, potrebbe supportare e implementare una comunicazione più granulare da parte delle aziende.

    Dall’altra parte, gli investitori dovrebbero impegnarsi direttamente con le proprie holding per ottenere informazioni più chiare sui rischi fisici e sui piani di adattamento e mitigazione dei rischi delle società in cui investono. Riteniamo, infatti, fondamentale analizzare e valutare i finanziamenti per il clima attraverso le lenti dell’adattamento e della mitigazione. Considerando che al momento non siamo sulla buona strada per limitare gli impatti climatici, i rischi fisici rappresentano un effetto da prevedere e considerare. Sappiamo che il modo più efficace per contrastare gli impatti più dannosi del cambiamento climatico è oggi quello di limitare le emissioni, ma è altrettanto evidente che i finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione vanno di pari passo con la riduzione delle emissioni e che, per questo motivo, sarà cruciale colmare le lacune presenti oggi su questo fronte e identificare le migliori strategie per rendere effettiva l’Agenda della COP28 su questi due temi.

  • Tassi “più alti più a lungo” argineranno l’inflazione, la qualità è la strada maestra  

    Tassi “più alti più a lungo” argineranno l’inflazione, la qualità è la strada maestra  

    A cura di Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments

    22.11.2023

    Stati Uniti, Europa, Cina e resto del mondo si muovono in direzioni diverse. Dagli Stati Uniti sono giunte sorprese economiche positive: la domanda di lavoro rimane superiore all’offerta, anche se si sta riallineando, l’indice ISM manifatturiero si è contratto per 10 mesi, mentre il PMI dei servizi si è espanso grazie alla solidità della spesa al consumo.

    Figura 1 USA: la crescita dei salari sta rallentando

    Settori privati  

    Tempo libero e strutture ricettive

    Fonte: BCA Research, 2023. Variazione percentuale delle retribuzioni orarie medie

    I recenti dati sull’occupazione alimenteranno l’inflazione, pertanto i tassi d’interesse dovranno rimanere ad un livello di neutralità difficile da determinare. Tuttavia, l’inflazione USA dovrebbe diminuire. La Federal Reserve divide l’inflazione in tre categorie: beni, alloggi e servizi. Il primo di questi tre indicatori è al di sopra del livello tendenziale ma in calo; gli affitti, al momento stazionari o in discesa, sono un dato anticipatore dell’inflazione dei costi abitativi. I servizi, infine, sono una funzione dei salari, la cui crescita ha raggiunto il picco del 7% nel 2022 ed è ora pari al 4,5% (Figura 1). Il tasso di posizioni disponibili e di dimissioni è inoltre diminuito.

    Affinché si verifichi un atterraggio morbido, le politiche monetarie delle banche centrali devono essere impeccabili. La Fed prevede che la disoccupazione raggiunga il picco al 4,1%, aumentando di aumento di mezzo punto. Incremento che, sulla base dei criteri adottati dalla stessa Banca Centrale,  scatenerebbe una recessione. Nei cicli precedenti il tasso di disoccupazione è salito in media di 280 punti base, non di 50.Se un rialzo di 500 punti base non provocasse una recessione sarebbe un evento senza precedenti storici (Figura 2).

    Figura 2: tasso di disoccupazione USA (media a 3 mesi)

    Fonte: BCA Research, 2023. Le aree ombreggiate indicano le recessioni registrate dal NBER; i cerchi indicano i periodi in cui la media a tre mesi del tasso di disoccupazione è aumentata di più di un terzo di punto percentuale rispetto ai minimi precedenti. Nel dopoguerra non è mai successo che la media del tasso di disoccupazione sia aumentata di oltre un terzo di punto percentuale senza che si avesse una recessione

    I timori di tassi d’interesse “più alti più a lungo” stanno deprimendo le obbligazioni: a metà ottobre il rendimento del Treasury USA decennale ha toccato il 4,9%. Le azioni globali, di contro, sono scese del 10% dai massimi di luglio. Se si escludono i sette maggiori titoli tecnologici degli Stati Uniti e si applicano ponderazioni paritarie all’S&P500, che ha raggiunto il picco a febbraio ed è rimasto poi stazionario da inizio anno ad oggi.

    I rendimenti decennali statunitensi sono saliti nel terzo trimestre sulla scia della decisione delle banche centrali di mantenere alti i tassi d’interesse. Inasprimento monetario sta dando i suoi frutti: i rendimenti dei prestiti a imprese e famiglie sono i più alti degli ultimi 15 anni.  Inoltre, le previsioni della Fed indicano un aumento dei tassi ufficiali reali a breve termine dall’1,3% al 2,5% entro la fine del 2024. Aumento che sta agendo sulle valutazioni azionarie, il cui premio al rischio dati i rendimenti attuali è il più basso dall’inizio degli anni ’70.

    In generale, le azioni hanno registrato una buona performance quest’anno, confortate dal fatto che la recessione non è ancora arrivata. Ma lo scollamento tra i listini azionari e lo slancio economico sottostante suggerisce che i corsi azionari rischiano di scendere se l’attività economica non si riprenderà.

    Europa
    La crescita europea rimane debole a causa del rallentamento dell’Asia e della politica monetaria restrittiva: gli indici PMI manifatturieri e dei servizi restano sotto quota 50. L’inflazione complessiva e quella di fondo sono ancora elevate, rispettivamente al 4,3% e al 4,5%, ma l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) e gli indicatori dei prezzi alla vendita segnalano una flessione. È probabile che i tassi della Banca centrale europea abbiano raggiunto il picco al 4%. La BCE ha affermato che se anche i rialzi sono finiti i tassi rimarranno elevati. Aumenti così imponenti sono un inedito, ed i livelli reali dei tassi si porteranno in territorio positivo con il calo dell’inflazione. In Europa gli standard di accesso al credito sono diventati restrittivi e la domanda privata di finanziamenti è diminuita. L’offerta di moneta si sta contraendo al ritmo più serrato dalla nascita dell’euro. Anche l’attività edilizia è in contrazione e le nuove licenze sono crollate, essendo questo settore il più sensibile ai tassi d’interesse.


    La politica monetaria restrittiva sta agendo sull’economia proprio quando la crescita è debole. Il settore manifatturiero si sta contraendo a causa del calo delle esportazioni, e anche i servizi segnano il passo. Le tensioni sul mercato del lavoro persistono ma si stanno allentando; un rallentamento della crescita dei posti di lavoro raffredda la crescita dei salari. La componente occupazionale delle indagini UE relative al settore manifatturiero e a quello dei servizi mostra una diminuzione dei costi salariali e un aumento della disoccupazione. L’inflazione dovrebbe riportarsi entro l’obiettivo nel 2024, ma ciò non condurrà a tagli dei tassi. Le famiglie dell’UE hanno 1.500 miliardi di euro di risparmi in eccesso risalenti al periodo della pandemia.

    Il calo dell’inflazione determinerà una crescita dei redditi reali. Ciò significa che, nonostante l’aumento della disoccupazione, le famiglie si sentiranno più agiate, con un effetto positivo sui consumi. È probabile che ciò avvenga di pari passo con la stabilizzazione della Cina, imprimendo slancio alle esportazioni. Le scorte globali sono basse, la deflazione cinese si sta attenuando e il renminbi si è deprezzato, il che stimola l’attività industriale globale e avvantaggia l’Europa. I rendimenti europei rimarranno su livelli più alti rispetto agli ultimi 10 anni. Le ore lavorate sono sui massimi storici e l’ONU prevede che nel 2030 la popolazione europea in età lavorativa conterà 12,4 milioni di persone in meno rispetto al picco del 2011. La disponibilità di lavoro diventerà scarsa nonostante l’immigrazione.

    Questo significa che la spesa in conto capitale aumenterà e la politica fiscale sarà più accomodante. La spesa per la difesa, la transizione verde e l’onshoring per rinnovare il vecchio stock di capitale dovrebbero portare a un boom degli investimenti europei.  Il calo dell’offerta di lavoro e la solidità degli investimenti freneranno la crescita della disoccupazione e spingeranno al rialzo i salari reali. Ciò avrà effetti inflazionistici e dunque manterrà tassi e rendimenti su livelli più alti, impedendo alla BCE di allentare la politica monetaria. Gli investimenti, i deficit di bilancio e l’erosione dei risparmi dovuta all’invecchiamento della popolazione faranno salire il tasso d’interesse neutrale, come successo negli Stati Uniti. Il lavoro rappresenta il 60% dei costi aziendali, quindi la crescita dei salari comprimerà i margini, così come la spesa in conto capitale e l’onshoring comprimeranno i cash flow. La stabilizzazione delle scorte e dell’economia cinese potrebbe fornire una tregua all’Europa, ma un tasso d’interesse neutrale più alto si traduce in valutazioni azionarie più basse.

    Cina
    La crescita cinese non è proseguita dopo il rimbalzo post-Covid. L’economia sta rallentando: la crescita dell’aggregato M1 (offerta di moneta) è scesa al 3% e quella del PIL al 3,2%, e ciò significa che l’obiettivo del 5% per il 2023 potrebbe non essere raggiunto. Quest’anno il renminbi è sceso del 6% toccando il minimo dal 2009, e le esportazioni non hanno dato segnali di ripresa. La crescita del credito è anemica e il ritmo  dei finanziamenti sociali totali è il più lento dal 2002. Entrambi questi indicatori e quello riferito alla spesa pubblica sono sui minimi decennali. I PMI cinesi ufficiali dipingono un quadro ottimistico; l’indice di attività economica Yicai, tuttavia, suggerisce un contesto più fragile a causa dell’indebitamento del mercato immobiliare e del tiepido sostegno monetario e fiscale.

    Il settore degli immobili residenziali è problematico e i prezzi alla produzione sono in calo. Salvo un intervento del governo, questa deflazione trascinerà al ribasso anche altri mercati emergenti. Le misure di stimolo, anche se limitate, e la ripresa delle scorte dovrebbero imprimere slancio, ma la Cina va incontro a diversi problemi strutturali: gli sviluppi geopolitici, l’onshoring verso gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa per i prodotti manifatturieri di fascia alta e il near-shoring degli Stati Uniti in Messico porteranno a un forte calo delle esportazioni di beni di fascia bassa.

    Gli investimenti diretti esteri sono diminuiti. Gli immobili residenziali sono sopravvalutati e in una situazione di offerta eccedente, inoltre i costruttori sono più indebitati di quanto non accadesse in Giappone a fine anni ’80/inizi anni ’90. Le dinamiche demografiche sono preoccupanti: secondo le Nazioni Unite la popolazione attiva si ridurrà del 60% entro la fine del secolo. Si prospetta quindi uno scenario poco sostenibile, in cui servirebbe un’azione forte di sostegno da parte del governo centrale, che però non ha dato finora alcun segnale di voler intervenire.

    Conclusioni
    I rendimenti obbligazionari stanno schizzando verso l’alto per i motivi sbagliati: non per la forza della crescita ma per l’aumento del premio a termine, l’eccesso di offerta obbligazionaria e la diminuzione degli acquirenti dovuta al calo dei risparmi globali. I rendimenti sono in forte rialzo, ma la leadership non è ciclica. I rendimenti obbligazionari dovrebbero calare in parallelo alla moderazione dei mercati del lavoro e all’allentamento delle pressioni sui prezzi, ma ciò non sta accadendo.

    Gli annunci di utile del terzo trimestre sono importanti e dobbiamo concentrarci sulle dichiarazioni previsionali. Le previsioni per il 2024 parlano di una crescita degli utili del 12% negli Stati Uniti e dell’8% in Europa. La crescita degli utili nel 2023 è stata scarsa, ma vi sono speranze di una ripresa. I prezzi di mercato non scontano delusioni.

    Con i rendimenti reali su questi livelli, i rapporti prezzo/utili delle azioni statunitensi dovrebbero essere cinque punti sotto l’attuale livello di 18-19. Il cuscinetto valutativo è minimo. Il conflitto in Medio Oriente spingerà al rialzo il prezzo del petrolio e frenerà il calo dell’inflazione. In generale, l’espressione “tassi più alti più a lungo” riassume bene la politica monetaria statunitense. Il mercato prevede tagli di 80 punti base prima delle elezioni, ma l’unica ragione per la Fed di tagliare i tassi sarebbe un’economia debole.

    Il tasso di disoccupazione statunitense è ai minimi storici ed è difficile immaginare l’avvio di un ciclo senza un azzeramento. A gennaio il consenso era ribassista perché allora l’economia era vigorosa, e ciò spiega l’apprezzamento da inizio anno ad oggi. I titoli ciclici e value hanno già registrato buone performance.

    Nel mercato creditizio non vediamo ancora segnali di cambiamento radicale: gli spread sono sotto controllo. I pagamenti degli interessi nel settore societario sono in calo perché solo una ristretta cerchia di grandi aziende genera cassa, ma questo non vale per l’intero mercato. Le perdite delle banche statunitensi sulle obbligazioni detenute fino a scadenza sono passate dai 500 miliardi di dollari di marzo agli 800 miliardi di dollari di ottobre. Gli standard di erogazione dei prestiti si stanno inasprendo e ci troviamo in un periodo di transizione. Negli ultimi otto cicli di inasprimento della Fed i rendimenti obbligazionari sono scesi. Questo è un buon momento per approfittare di rendimenti più elevati.

    Il quarto trimestre è un periodo stagionalmente propizio per le azioni. Nei mercati, l’energia ha già archiviato buone performance e anche le altre materie prime dovrebbero cominciare a fare meglio, così come i difensivi. I settori dei consumi – auto, compagnie aeree, vendita al dettaglio e tempo libero – registreranno performance disomogenee. L’Europa ha generato solide performance fino a maggio, ma ha poi perso metà di tali guadagni. L’aggregato M1, che è l’indicatore anticipatore per l’Europa, appare ancora debole.

    Generalmente, passano 12-18 mesi dal punto di inversione della curva dei rendimenti prima che gli Stati Uniti entrino in recessione. La curva 10 anni/2 anni si è invertita a luglio 2022 e quella 10 anni/3 mesi a ottobre 2022. Il PPI globale e gli utili globali sono fortemente correlati. Di norma il PMI e le revisioni degli utili sono correlati, ma è venuto a crearsi uno scarto. O il PMI dell’eurozona rialza la testa, o gli utili dovranno essere rivisti al ribasso. 

    Considerate le diverse prospettive in termini di inflazione, tassi d’interesse e crescita negli Stati Uniti e in Europa, i mercati azionari europei potrebbero nuovamente sovraperformare quelli statunitensi.

  • Inflazione in calo: quali sono i prossimi passi?

    Inflazione in calo: quali sono i prossimi passi?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Inflazione in calo: quali sono i prossimi passi?

    ·        Grazie al calo dell’inflazione registrato in tutte le principali economie, le banche centrali hanno potuto mantenere invariati i tassi di interesse.

    ·        Tuttavia, l’inflazione di fondo rimane ben al di sopra degli obiettivi del 2%, generando forte incertezza sul prosieguo delle tendenze ribassiste.

    ·        Il divario dei livelli di inflazione tra i vari paesi potrebbe ridursi significativamente grazie all’arrivo di nuovi dati.

    ·        Le prospettive di aumento della disoccupazione potrebbero creare le condizioni per il verificarsi della regola di Sahm all’inizio del 2024 negli Stati Uniti.

    ·        Il calo dell’inflazione salariale è di buon auspicio per l’inflazione di fondo nel Regno Unito e la disoccupazione nell’Eurozona probabilmente aumenterà d’ora in avanti.

    ·        Le prospettive di riduzione dei tassi da parte delle banche centrali costituiscono una buona notizia per entrambe obbligazioni e azioni.

    Rispetto ai livelli registrati nella prima parte dell’anno, l’inflazione, compresa la componente core, dei principali Paesi ha registrato un calo significativo che non ha innescato una recessione. Di conseguenza, le principali banche centrali hanno mantenuto stabile la loro politica monetaria, portando a termine, o comunque ad una battuta di arresto, l’aggressiva strategia rialzista. Nonostante l’ottima notizia, adesso i banchieri si trovano ad affrontare livelli di inflazione core ben al di sopra del 2%, senza alcuna garanzia che le tendenze al ribasso proseguiranno. Tuttavia, la situazione risulta alleggerita dalla presenza di mercati del lavoro stabili: la disoccupazione, infatti, è ai minimi storici o quasi.

    Il Regno Unito presenta, tuttavia, un netto ritardo nel processo di disinflazione rispetto alle altre economie. Il divario dovrebbe ridursi in modo significativo questa settimana: le stime indicano un calo del 2% per l’inflazione complessiva in UK, passando dal 6,7% al 4,7%; mentre, per quanto riguarda l’inflazione core, è probabile che questa scenda al 5,8%, attestandosi comunque ben al di sopra dell’obiettivo della Banca d’Inghilterra. In questo scenario, la BoE ha davanti due opzioni: aumentare i tassi o tenerli fermi. Durante l’ultima riunione, sei membri hanno votato per mantenere stabili i tassi, mentre solo tre membri hanno espresso la loro preferenza per un ulteriore rialzo. A ben vedere, la maggior parte delle banche centrali sta vivendo una situazione più o meno simile.

    Daro il contesto economico attuale, prevediamo un aumento della disoccupazione nel prossimo semestre. A tal proposito, i recenti dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti mostrano un rialzo di mezzo punto percentuale: dal 3,4% di aprile al 3,9% di novembre. Sebbene si tratti di un piccolo aumento, se questo si verificasse su una media mobile a 3 mesi, farebbe scattare la regola di Sahm. Quest’ultima, in precedenza, aveva definito con precisione la tempistica delle passate recessioni statunitensi, superando la più nota regola della curva dei rendimenti. Negli Stati Uniti l’occupazione continua a crescere, ma l’offerta di lavoro, guidata dall’immigrazione, aumenta più rapidamente. Al momento prevediamo che la regola di Sahm possa verificarsi all’inizio del 2024.

    Nel resto dell’Europa, invece, non esiste un equivalente della regola di Sahm. In effetti nell’Eurozona la disoccupazione è ai minimi storici ma, considerando una crescita stagnante, è possibile ipotizzarne un aumento durante i mesi invernali. Un trend che dovrebbe essere accompagnato da un’inflazione di fondo molto più bassa; JP Morgan stima che il tasso annualizzato a 3 mesi scenderà al 2,4% entro la fine dell’anno.

    Nel Regno Unito, la misurazione dei salari e della disoccupazione risulta maggiormente complessa, dato che le principali fonti di dati in questo settore sono state abbandonate dall’Office for National Statistics (ONS) a causa del basso tasso di risposta al sondaggio. Fortunatamente, l’ONS dispone di fonti alternative che dimostrano un forte calo dell’inflazione salariale. Se, come sembra probabile, questo si tradurrà in un ulteriore miglioramento dell’inflazione di fondo, la banca centrale potrà prendere in considerazione la possibilità di tagliare i tassi di interesse.

    Nel complesso, ci aspettiamo che si verifichino tagli significativi dei tassi di interesse da parte delle principali banche centrali nel 2024. I dati sull’inflazione statunitense di questa settimana potrebbero suggerire che il calo dell’inflazione di base si sia arrestato. Crediamo che la lotta contro l’inflazione non sia ancora stata vinta, ma i venti giocano ora a nostro favore, portando un sospiro di sollievo sia per le obbligazioni che per le azioni.

  • Le cinque S del capitale umano 

    Le cinque S del capitale umano 

    A cura di Sally Springer, Senior Thematic Research Analyst di Columbia Threadneedle Investments

    09.11.2023

    Fattori intangibili come il capitale umano e la proprietà intellettuale rappresentano oggi una quota significativa della capitalizzazione di tante aziende. Il valore dei beni immateriali nel 2021 rappresenta il 90% dell’indice S&P 500 rispetto al 32% del 1985. Settori come biotecnologie, software, comunicazione e sanità dimostrano che l’intensità della conoscenza è l’attuale driver principale delle economie globali. Tuttavia, le politiche gestionali in vigore classificano ancora la forza lavoro tra le spese del conto economico pari in media al 20%-35% del fatturato e non come un attivo di bilancio. Gli investitori non sono quindi sempre in grado di valutare appieno la gestione aziendale del capitale umano. In questo senso, le aziende che considerano il capitale umano un asset importante anche per gli investimenti strategici ottengono, a nostro avviso, un vantaggio competitivo fondamentale.

    Data l’importanza strategica che noi di Columbia Threadneedle attribuiamo al capitale umano, abbiamo creato il modello delle Cinque S (Site, Substitution, Supply, Skills, Strategy) per identificare e attribuire un valore alle imprese in gradi di sfruttare in modo proattivo ed efficace i rischi e le opportunità associati alla gestione dei dipendenti al fine di migliorare le proprie performance.

    Figura 1: il quadro delle cinque “S” del capitale umano

    Site – Le aziende che nei secoli precedenti hanno sfruttato la delocalizzazione della produzione per approfittare di minori costi della manodopera oggi tendono a ricollocare il capitale umano in mercati maturi per usufruire di incentivi governativi, quali quelli stanziati dagli USA con l’Inflation Reduction Act o dall’Unione Europea tramite il Green Deal, ed accedere ad un più ampio bacino di risorse umane capaci di migliorare la resilienza della supply chain. Un terreno fertile per future opportunità di globalizzazione scaturisce tuttavia daI settore dei servizi, il cui scambio cresce a una velocità di circa il 60% maggiore rispetto a quella che registrano i beni. Il fenomeno dello smartworking e l’accelerazione dei progressi tecnologici hanno inoltre permesso alle aziende di valutare il ricollocamento del proprio capitale umano in questo settore.

    Substitution – L’aumento dei costi energetici, l’inflazione salariale, la sempre maggiore automazione e digitalizzazione di tanti processi produttivi, la limitata disponibilità di capitale umano qualificato e la necessità di migliorare l’efficienza operativa spingono le aziende a valutare oggi una crescente sostituzione del lavoro con fattori alternativi. Questi ultimi consentono decisioni più rapide e sono in grado di aumentare la produttività in vari settori. La sostituzione del capitale umano rappresenta un’opportunità di cambiare radicalmente la base dei costi e la produttività delle aziende. Non è ancora del tutto chiaro quale sarà l’impatto a lungo termine di sviluppi tecnologici recenti come l’Intelligenza Artificiale sull’occupazione. La storia insegna che innovazioni di questo tipo sostituiscono mansioni umane, ma portano al contempo alla creazione di nuove professionalità e occupazioni complementari. Gli investitori devono poi valutare i rischi che queste dinamiche comportano per le strategie aziendali e le economie. Ad esempio, importanti azioni sindacali in risposta ai processi di sostituzione dei lavoratori potrebbero ripercuotersi sulle previsioni di vendita e sugli utili. Inoltre, potrebbero risultare necessari maggiori investimenti nella formazione della forza lavoro mantenuta affinché questa possa padroneggiare le nuove tecnologie.

    Figura 2: previsione di adozione dell’IA per settore entro il 2025

    Supply – Mercati maturi ed emergenti come Cina e Brasile hanno registrato una riduzione significativa della popolazione in età lavorativa; un trend che avrà ripercussioni economiche a livello globale. Il calo dell’offerta di lavoro scaturisce dalla mancata sostituzione dei baby boomer in età pensionistica e dall’atteggiamento radicalmente mutato delle risorse umane di nuova generazione che ambiscono a un migliore equilibrio tra impegni professionali e vita privata. Un fattore, quest’ultimo, che ha contribuito al recente fenomeno delle “grandi dimissioni”.  Dopo la pandemia, infatti, negli Stati Uniti circa due milioni di lavoratori non sono rientrati nella forza lavoro, mentre nel Regno Unito il numero si attesta sui 300-500 mila. È poi in atto una tendenza secolare di diminuzione del numero medio annuo di ore lavorate dai dipendenti: in Europa, tra il 1995 e il 2019, quest’ultime sono diminuite del 6,8%.Su questo fronte, le aziende ad alta intensità di manodopera o con dipendenti poco qualificati risentono maggiormente di questo trend e vanno incontro a un significativo turnover del personale. In Columbia Threadneedle ci impegniamo ad analizzare il modo in cui i dirigenti affrontano questo problema al fine di comprendere come e quanto bene stiano gestendo il capitale umano nel lungo periodo rispettando contemporaneamente gli obiettivi di crescita e degli utili.

    Skills – Mercati del lavoro solidi, bassi tassi di disoccupazione e invecchiamento della popolazione sono alcuni dei fattori che contribuiscono alla carenza di competenze a livello globale. Carenza che ha avuto un impatto negativo sugli utili in particolare per le aziende del settore sanitario[1] e della difesa[2]. La gestione dei rischi presenti oggi rispetto competenze può comportare per la performance complessiva delle aziende è quindi una parte fondamentale del rapporto di queste ultime con gli investitori.

    Strategy – La nostra analisi ha infine rilevato che le imprese con una cultura fortemente condivisa hanno ottenuto risultati migliori soprattutto negli anni di crisi come quelli successivi alla crisi finanziaria globale e alla pandemia. La cultura è chiaramente utile per valutare la performance di un’azienda, sebbene sia difficile commisurare questo fattore per un analista finanziario. A questo proposito, in Columbia Threadneedle abbiamo iniziato a sviluppare una check list basata in gran parte su elementi quantitativi per effettuare una prima valutazione di questo aspetto. Le metriche definite comprendono i livelli di turnover volontario del personale, gli investimenti in formazione e la percentuale di seniority che beneficia di un piano di incentivi a lungo termine.

    Il modello delle Cinque S supporta quindi l’analisi dei fondamentali e valutazione della performance delle aziende in portafoglio, integrandosi al nostro approccio di investitore attivo e sempre attento all’impatto sociale dei propri investimenti. In particolare, riuscire a identificare le modalità tramite cui le aziende approcciano e gestiscono il capitale umano restituisce, anche a noi investitori, un indice importante sullo sviluppo nel lungo termine delle società in cui investiamo.

    ***

    [1] IQVIA, Q4 report 2022.

    [2] BAE Systems, H2 report, 2022

  • Prospettive di default nell’High Yield europeo

    Prospettive di default nell’High Yield europeo

    A cura di Tom Southon, Responsabile Ricerca High Yield, EMEA, diColumbia Threadneedle Investments

    06.11.2023

    • Abbiamo rivisto leggermente al rialzo le nostre stime sul tasso di insolvenza dell’High Yield europeo, pari all’1,5% per i prossimi 12 mesi e al 3,9% per i prossimi 24 mesi
    • Manteniamo la nostra previsione di tassi d’insolvenza relativamente contenuti a breve termine ma rileviamo prospettive sempre più divergenti in tutto l’universo del credito
    • Gli emittenti ad alto rating sono stati in grado di estendere le scadenze e di mantenere sani livelli di liquidità
    • Mentre gli emittenti con rating più basso, il deterioramento delle prospettive sugli utili e l’accesso difficoltoso al mercato hanno contribuito al netto rialzo delle aspettative di default

    La nostra previsione per il tasso d’insolvenza dell’High Yield europeo (EHY) è dell’1,5% per i prossimi 12 mesi e del 3,9% per i prossimi 24 mesi (Figure 1 e 2). Tutto ciò a fronte di un tasso d’insolvenza del 3,4% in Europa negli ultimi 12 mesi (fino ad agosto 2023), secondo S&P, a seguito del picco del 6,9% toccato durante la pandemia da Covid-19. Moody’s calcola un tasso d’insolvenza cumulativo globale medio a lungo termine di 4,1% nell’arco di 12 mesi e dell’8,2% nel corso di 24 mesi. In particolare, Il tasso di default su 12 mesi per l’high yield europeo era pari al 2,08% a settembre 2023.

    La nostra previsione generale è oggi lievemente più alta rispetto a quando abbiamo pubblicato le nostre ultime stime ad aprile, in parte grazie al default del distributore al dettaglio Casino (non più incluso nelle nostre previsioni) e all’attività di rifinanziamento, in particolare degli emittenti con rating più elevati. In particolare, abbiamo potuto vedere il sostegno degli azionisti in diverse situazioni pubbliche e private, che ha facilitato l’attività di rifinanziamento o aiutato a ridurre in gran parte il rischio di rifinanziamento.

    Di contro, le prospettive per gli emittenti con rating più bassi hanno subito un deterioramento significativo; su queste società, oltre ai timori rispetto la sostenibilità della struttura patrimoniale, si va ad aggiungere oggi il peggioramento delle prospettive sugli utili nella maggior parte dei settori ciclici.

    Figura 1: Previsione di insolvenza EHY di Columbia Threadneedle (12 mesi, per categoria di settore e di rating)

    Fonte: Analisi di Columbia Threadneedle Investments, 11 ottobre 2023.

    Figura 2: Previsione di insolvenza EHY di Columbia Threadneedle (24 mesi, per categoria di settore e di rating)

    Fonte: Analisi di Columbia Threadneedle Investments, 11 ottobre 2023.

    Commenti per settore

    Automobilistico: prevediamo un lieve calo delle aspettative d’insolvenza, a riflesso della vasta quota di società automobilistiche resilienti con rating BB, dotate di ampia liquidità e di accesso ai mercati dei capitali, che compensa il lieve deterioramento dei fornitori di auto con rating B. È interessante notare, inoltre, che il tasso di default di Adler Pelzer è nettamente migliorato in seguito al successo del rifinanziamento che prevedeva una consistente iniezione di capitale proprio al fine di ridurre l’indebitamento.

    Real estate: le previsioni di default del settore immobiliare hanno subito un aumento piuttosto netto. Questo è dovuto principalmente a quegli emittenti che stanno raggiungendo il termine delle scadenze, e che attualmente si collocano all’interno dell’orizzonte previsionale. Ad esempio, Adler Group è andato in default all’inizio di quest’anno ed ha effettuato una ristrutturazione del debito in modo tale da pagare tutti gli interesse in PIK (payment in kind), ovvero tramite obbligazioni aggiuntive anziché in contanti, fino alla ripresa delle scadenze a giugno 2025. Il pagamento degli interessi in PIK riduce la pressione sulla liquidità a breve termine, ma dà anche luogo a un elevato rischio di default nel 2025. Un altro cambiamento significativo ha riguardato il locatore di uffici tedesco Demire, una delle cui obbligazioni giungerà a scadenza a ottobre 2024 e che sta faticando a fare progressi sul suo piano di cessione di attivi.

    Tecnologia, media e telecomunicazioni: il netto cambiamento nei media è dovuto ai continui timori su Tele Columbus (un operatore tedesco della tecnologia via cavo ma ricompresa nel settore media) che ci hanno spinti ad innalzare la probabilità di default del titolo nel periodo considerato.

    Tempo libero: il successo di alcune operazioni di rifinanziamento ha determinato un’estensione del profilo delle scadenze e una riduzione dei timori di default per alcuni titoli, a fronte degli scarsi cambiamenti complessivi nel settore nonostante i segnali di rallentamento della spesa al consumo. Codere e Loewen Play, entrambe società di gioco d’azzardo che hanno effettuato ristrutturazioni negli ultimi anni, fanno salire i tassi di insolvenza a causa delle continue preoccupazioni legate specificatamente a questi crediti.

    Industria di base: le nostre previsioni di insolvenza sono lievemente aumentate a livello settoriale, riflettendo il leggero calo generale delle stime sugli utili. Ciononostante, l’attività di rifinanziamento ha contribuito a mitigare quest’impatto per quanto riguarda alcuni emittenti di fascia B più elevata e BB.

    Retail: a nostro avviso il settore delle vendite al dettaglio continua ad essere caratterizzato da un rischio di default piuttosto elevato e rimaniamo prudenti nei confronti dei rivenditori di prodotti non alimentari. Tuttavia, abbiamo assistito a un certo numero di cessioni di attivi e di operazioni di rifinanziamento che hanno contribuito al miglioramento delle prospettive di alcuni emittenti, ad esempio Global, Morrisons e Iceland. Siamo sempre più cauti sul fronte degli emittenti pubblici, dati i rischi di rifinanziamento e i timori rispetto le cessioni di attivi e l’esposizione ai consumi. La rimozione di Casino dal gruppo considerato nelle nostre previsioni in seguito al default della società ad agosto 2023 ha giovato alle stime di insolvenza del settore.

  • Intelligenza artificiale ed economia: siamo di fronte a un cambio di paradigma?

    Intelligenza artificiale ed economia: siamo di fronte a un cambio di paradigma?

    A cura di Paul Wick, gestore del fondo Threadneedle (Lux) Global Technology di Columbia Threadneedle Investments

    16.10.2023

    Intelligenza Artificiale: una storia di lungo corso

    Da oltre 30 anni cerchiamo di replicare l’intelligenza umana nei sistemi informatici. L’aspetto oggi interessante di questo processo è la confluenza di tre elementi fondamentali: potenza di calcolo, connettività e archiviazione. Guardando ai processori, siamo passati da milioni di transistor a decine di milioni, poi centinaia e infine miliardi: così la potenza di calcolo è aumentata in modo esponenziale. A livello di connettività, oggi è possibile acquistare switch in grado di supportare 25,6 terabit al secondo e già il prossimo anno saranno disponibili switch da 51,2 terabit. Nello stesso tempo, infine, abbiamo assistito a un aumento della capacità di memoria.

    L’IA è un argomento di attualità già da diversi anni ormai, ma lo scorso anno è avvenuta una svolta epocale, quando le aziende hanno finalmente avuto a disposizione la potenza di calcolo e i dati necessari per sfruttare al meglio le prestazioni delle reti neurali profonde. A fine novembre 2022, OpenAI ha rilasciato ChatGPT per uso pubblico, ricevendo una vasta copertura mediatica e attirando l’interesse degli investitori. Proprio ChatGPT ha aperto il sipario riportando l’attenzione di tutti sull’Intelligenza Artificiale: solo una settimana o due a seguito del rilascio dell’applicativo, si è scoperto che Microsoft aveva investito dieci miliardi di dollari per acquisire una partecipazione di controllo in OpenAI, destando non poche perplessità. L’IA può sembrare una novità, ma per noi non è così; è un settore che studiamo e in cui investiamo da molti anni, con l’aiuto del nutrito team di analisti e ricercatori dedicati al comparto tecnologico di Columbia Threadneedle Investments.

    Internet, cloud computing e dispositivi mobili

    Riteniamo che l’avvento dell’IA generativa (e dell’IA in generale), sia destinato a competere con l’avvento di Internet e del mobile computing quali trend significativi nel mercato tecnologico. Rispetto a queste due aree, però, l’IA non è necessariamente un motore di distribuzione. Pensate a Internet e ai dispositivi mobili: permettono di giocare, acquistare e vendere online, visualizzare annunci pubblicitari, etc. Tutte innovazioni che hanno rappresentato grandi sviluppi sia in termini di distribuzione che di nuove tecnologie. Ma l’IA generativa, a nostro avviso, sarà uno strumento rivoluzionario, che renderà Internet più facile da usare e molto più potente. Quest’ultima costituirà la prossima piattaforma di transizione. Dopo i PC, Internet, l’era della telefonia mobile e il cloud computing, ora assistiamo all’exploit dell’IA. Analogamente ad alcune di queste tecnologie, che hanno esercitato un’influenza duratura sull’economia, prevediamo che l’IA avrà un impatto economico globale di circa 7.000 miliardi di dollari in un arco temporale di 10 anni.

    Accanto agli sviluppi puramente tecnologici, anche la velocità di innovazione delle aziende legate all’IA è impressionante: la frequenza di rilascio di nuovi prodotti non fa che aumentare, favorendo la creazione di prodotti sempre migliori per gli utenti finali. Microsoft, ad esempio, ha rilasciato diversi “co-pilot” che potrebbero implementare la produttività nella generazione di codici. Altre aree in cui le aziende potrebbero ricorrere all’IA sono il servizio clienti, i servizi di supporto informatico, la creazione di contenuti, il rilevamento di frodi, l’ottimizzazione delle catene di fornitura e la manutenzione predittiva.

    L’avvento dell’IA sta poi ridisegnando le modalità di diagnosi, cura e monitoraggio dei pazienti nel settore sanitario; un fronte in cui Nvidia è in prima linea. Inoltre, i modelli linguistici di grandi dimensioni dovrebbero contribuire ad accelerare la scoperta di farmaci salvavita, e nel tempo prevediamo casi d’uso più avanzati nella guida autonoma e nella robotica.

    Una tecnologia in rapida evoluzione

    Già oggi le aree di concreta applicazione dell’IA sono ovviamente numerose (Figura 1). Ma, a nostro avviso, lo sviluppo più innovativo non è ancora avvenuto. Siamo convinti che un giorno qualcuno, magari un giovane studente universitario, si chiederà “Come sfruttare tutto questo?”.

    Figura 1: la gamma di opportunità per l’IA è destinata ad espandersi

    È certamente difficile prevedere la velocità del cambiamento e dell’innovazione tecnologica, ma finora si può dire che questa sia stata più rapida di quanto la maggior parte degli investitori si aspettasse: ChatGPT ha raggiunto in tempi davvero molto ristretti i 100 milioni di utenti e Nvidia ha recentemente presentato risultati trimestrali con una guidance anticipata di qualche anno. Inoltre, prevediamo che si susseguiranno ulteriori e nuove scoperte con l’evolversi della tecnologia.

  • Columbia Threadneedle Inv. – Quando terminerà il mercato orso delle obbligazioni?

    Columbia Threadneedle Inv. – Quando terminerà il mercato orso delle obbligazioni?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Quando terminerà il mercato orso delle obbligazioni?

    • Il livello dei rendimenti dei titoli di Stato decennali si attesta intorno al 4,5% negli Stati Uniti e nel Regno Unito, riflettendo l’attuale politica delle banche centrali
    • Le banche centrali mantengono la linea politica di tassi “più alti più a lungo”. Tuttavia, diversi segnali indicano un sostenuto calo dell’inflazione in atto
    • Osservando con attenzione i dati sull’occupazione negli Stati Uniti, prevediamo che, qualora dovesse verificarsi una recessione, questa sarà breve e poco significativa
    • La prospettiva di una recessione indurrebbe un’inversione della politica della Fed, il che rappresenterebbe una buona notizia per il mercato dei bond

    Nell’ultimo periodo, dopo essere stati negativi e aver determinato una riduzione dei prezzi delle attività finanziarie in generale, i rendimenti dei titoli di Stato sono aumentati notevolmente. Quali sono le ragioni alla base di questi sviluppi e quali le prospettive per le obbligazioni e gli asset finanziari in generale?

    Il grafico in Fig.1 mostra come l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato di USA e UK ha registrato una netta inversione rispetto al calo registrato nei 20 anni precedenti. Dai valori prossimi allo zero al culmine della pandemia, infatti, i rendimenti a 10 anni sono ora superiori al 4,5% sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti.

    Fig.1 Rendimento dei titoli di Stato a 10 anni

    L’inversione di trend riflette in gran parte le politiche delle banche centrali: la Federal Reserve (Fed) e la Bank of England (BoE) hanno alzato i tassi ufficiali da un livello prossimo allo zero, passando dal Quantitative Easing (QE) – con cui acquistavano grandi quantità di obbligazioni – al Quantitative Tightening (QT), invertendo il processo. Altre banche centrali hanno adottato la stessa linea e persino la Banca del Giappone, che aveva mantenuto i rendimenti obbligazionari vicini allo zero anche prima della pandemia, sta ora ammettendo un aumento dei rendimenti.

    Gli sviluppi delle ultime settimane hanno indotto gli economisti e i banchieri centrali a riconsiderare le loro opinioni sui tassi di interesse e sui rendimenti a lungo termine. Secondo la teoria economica standard, le banche centrali sarebbero in grado di influenzare i tassi d’interesse reali, ma solo nel periodo di tempo necessario affinché l’inflazione si adegui ai loro obiettivi. In tal senso, il QE e il QT influenzerebbero i rendimenti reali a lungo termine attraverso il premio a termine, ma con un effetto comunque limitato. Tuttavia, secondo le ultime teorie, i tassi ufficiali, tipicamente con scadenza a giorni, sarebbero in grado di influenzare i rendimenti a lungo termine per periodi prolungati.

    Quasi tutti concordano sul fatto che le banche centrali hanno reagito lentamente all’impennata dell’inflazione post pandemia. Tuttavia, i mercati hanno aggravato questo errore ipotizzando che un lieve rialzo dei tassi ufficiali sarebbe stato sufficiente a spegnere le pressioni inflazionistiche. Non appena è diventato chiaro che i tassi avrebbero dovuto aumentare ulteriormente e per un periodo di tempo prolungato, i tassi a lungo termine potrebbero averne risentito in modo eccessivo. Se, come riteniamo, è in corso un calo sostenuto dell’inflazione nei Paesi industrializzati, soprattutto negli Stati Uniti, potremmo assistere a un significativo rally dei titoli di Stato, man mano che le banche centrali inizieranno ad allentare gradualmente la loro politica restrittiva.

    Sebbene le prospettive siano ottimali, il mercato si sta muovendo nella direzione opposta. Infatti, nonostante l’inflazione sia nettamente migliorata negli USA, ed è probabile che si verifichi un andamento analogo anche in Europa, le banche centrali continuano a dimostrarsi titubanti nel modificare la loro politica monetaria, per paura che il recente miglioramento possa essere soltanto temporaneo. Il lavoro dettagliato del Fondo Monetario Internazionale e della Banca dei Regolamenti Internazionali, insieme ai discorsi degli stessi banchieri centrali, dimostrano che queste tregue temporanee sono state spesso una caratteristica dei precedenti episodi inflazionistici. Le cose potrebbero cambiare se, come prevediamo, la disoccupazione iniziasse a salire. Sebbene i dati della scorsa settimana indicano un aumento inaspettato dell’occupazione statunitense che potrebbe far ben sperare, non riteniamo sarà questo il caso.

    Il mercato del lavoro statunitense si sta già indebolendo e il recente aumento dei rendimenti causerà un’ulteriore frenata. L’offerta di lavoro è in aumento, trainata dall’immigrazione, e la disoccupazione statunitense è già salita nonostante l’aumento dell’occupazione. Se la disoccupazione statunitense dovesse sostenere un ulteriore modesto aumento per tre mesi, supererebbe la regola di Sahm, suggerendo l’inizio di una fase recessiva che, ipotizziamo, potrebbe essere breve e poco significativa. Tuttavia, la sola prospettiva porterebbe a un importante cambiamento nella politica della Fed.

    L’inflazione statunitense ad oggi è già scesa in modo significativo e, nel nostro scenario, la Fed corre quindi ora il rischio di mantenere i tassi troppo alti per un periodo di tempo eccessivamente prolungato. Questo passaggio dovrebbe avvenire all’inizio del 2024. Qualora questa situazione si verificasse, sarebbe una buona notizia per le obbligazioni e, nonostante il duro colpo per gli utili, un sollievo anche per i mercati azionari.

  • Columbia Threadneedle Inv. – Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    Columbia Threadneedle Inv. – Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    • Le banche centrali avvisano che i tassi di interesse rimarranno probabilmente alti per un periodo prolungato.
    • Tuttavia, date le potenti forze disinflazionistiche attualmente in atto, potremmo vedere l’aumento dei prezzi ridursi più rapidamente di quanto molti si aspettino.
    • I prezzi delle materie prime si stanno attenuando e la spirale dei prezzi salariali si sta invertendo, soprattutto negli Stati Uniti.
    • I mercati del lavoro si stanno allentando a causa dell’aumento dell’offerta.  Le persone stanno rientrando nella forza lavoro e l’immigrazione sta riprendendo quota.
    • In questo contesto, potremmo assistere a un taglio dei tassi negli Stati Uniti all’inizio del 2024 e nel Regno Unito poco dopo.

    Le banche centrali dicono di aspettarci che i tassi di interesse rimangano alti per un periodo prolungato, mentre personalmente prevedo forti tagli dei tassi nel 2024. I toni da falco delle banche centrali sono rimasti anche quando queste hanno ammesso che i tassi ufficiali sono ormai vicini al loro picco. Infatti, sia la Federal Reserve che la Banca d’Inghilterra hanno mantenuto i tassi fermi nelle loro ultime riunioni. Perché possiamo essere più ottimisti sulle prospettive dei tassi d’interesse rispetto alle banche centrali o ai prezzi di mercato?

    Sullo sfondo abbiamo le banche centrali che, collettivamente, non sono state in grado di prevenire l’impennata dell’inflazione seguita alla fine della pandemia da Covid e all’invasione dell’Ucraina. Alcuni potrebbero dire che queste hanno tardato ad apprezzare la portata delle pressioni inflazionistiche, reputandole transitorie. Ora però è importante che le banche centrali si rendano conto della potenza delle forze disinflazionistiche in atto e che agiscano di conseguenza.

    Tra queste forze, i prezzi delle materie prime sono senza dubbio la più evidente. L’indice Bloomberg dei prezzi delle materie prime è sceso del 24% dal picco dello scorso giugno, dopo essere raddoppiato dai minimi della primavera 2020. Si tratta di un’inversione di tendenza enorme. Nonostante i recenti aumenti del prezzo del petrolio, l’indice è ancora in calo nel suo complesso. Inoltre, sebbene le banche centrali si concentrino sull’inflazione di base, che esclude i prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia, le materie prime hanno effetti indiretti su fattori quali i prezzi dei trasporti e dei ristoranti. Data la portata dell’inversione di tendenza, questo aspetto è importante. Inoltre, le contrattazioni salariali tendono a dipendere più dall’inflazione globale che da quella di fondo e la spirale dei prezzi salariali sta ora agendo al contrario, in particolare negli Stati Uniti.

    Il secondo fattore è il mercato del lavoro. Con la fine delle restrizioni della pandemia, si è sviluppata una grave carenza di manodopera in tutti i paesi sviluppati. Questo ha portato a un’impennata dell’inflazione dei salari nominali. Tuttavia, si è verificato un eccezionale adattamento a questa mancanza. Il tasso di occupazione è ancora in aumento nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa, ma il ritmo sta rallentando, mentre l’offerta di lavoro sta aumentando grazie all’attenuarsi dei postumi della pandemia: le persone stanno rientrando nella forza lavoro e l’immigrazione sta riprendendo quota. Nel Regno Unito, l’offerta di lavoro sta aumentando dell’1-1,5% all’anno, trainata dai lavoratori non nati nel Regno Unito. L’aumento è ancora più rapido negli Stati Uniti. Questi numeri possono sembrare piccoli, ma sono abbastanza grandi da portare a un aumento significativo della disoccupazione che dovrebbe essere evidente entro la fine dell’anno.

    Tutto ciò avviene in un contesto favorevole, in cui le persone hanno ancora fiducia che le banche centrali riusciranno a riportare l’inflazione verso l’obiettivo, nonostante i livelli attuali. Le aspettative di inflazione sono ancora ben ancorate, il che renderà il processo disinflazionistico più rapido e meno doloroso.

    Personalmente, ritengo che la Federal Reserve inizierà a tagliare i tassi di interesse all’inizio del 2024, che la Banca d’Inghilterra la seguirà a breve distanza e che la BCE si unirà a queste un poco più tardi, anche se la tempistica precisa dipenderà dai dati. Dovremmo assistere a tagli che si avvicinano al 2% nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mentre i tassi della BCE diminuiranno un po’ meno nel 2024.

  • La resilienza dei profitti e le prospettive per il mercato azionario

    La resilienza dei profitti e le prospettive per il mercato azionario

    A cura di Simon Holmes, gestore multi-asset di Columbia Threadneedle Investments.

    26.09.2023

    • Il prossimo mese inizierà la stagione degli utili del terzo trimestre e ci aspettiamo che le aspettative vengano ampiamente superate
    • Nel periodo che precede la pubblicazione degli utili, di solito le stime vengono riviste al ribasso, ma questa tendenza è stata invertita, soprattutto nei settori della tecnologia e dei beni di consumo non essenziali
    • Quest’anno gli utili hanno superato le aspettative e i margini di profitto sono rimasti solidi. La robusta spesa per i consumi ha contribuito
    • Prestiamo particolare attenzione anche ad altri fattori destinati a influenzare gli utili da qui in avanti, tra cui l’aumento del costo dei prestiti finanziari.

    Dal prossimo mese, le società comunicheranno gli utili del terzo trimestre, e ci aspettiamo un’altra ottima performance superiore alle aspettative. Durante il corso dell’anno, il mercato azionario ha guadagnato molto grazie all’espansione dei multipli spinta dal crescente entusiasmo per l’Intelligenza Artificiale. Tuttavia, gli utili rimangono fondamentali per la performance a lungo termine e probabilmente saranno il driver più importante delle quotazioni azionarie durante il prossimo anno. Negli Stati Uniti, le stime di consenso sugli utili vedono spesso una diminuzione prima della stagione dei bilanci, per poi sorprendere al rialzo all’annuncio dei risultati. Il mercato azionario statunitense dell’S&P 500 tende infatti a fornire revisioni al ribasso nei due mesi precedenti i risultati. Questo abbassamento delle aspettative, spesso basato sulle indicazioni date delle società prima della stagione degli utili, spiega perché, in media, tre quarti delle aziende superano le aspettative. Il primo trimestre ha visto un calo del 6% del consenso sugli utili per azione (EPS), seguito da un calo del 4% nel secondo trimestre. Sorprendentemente, le stime per il terzo trimestre contraddicono questa tendenza al ribasso, mantenendo una buona tenuta con la fine del trimestre. I settori della tecnologia e dei beni di consumo sono alla base di questa tendenza, avendo registrato un aumento di circa il 5% da fine luglio.

    La sovraperformance degli utili di quest’anno ha permesso ai margini di profitto di rimanere stabili, dopo aver raggiunto il picco a metà del 2021, in concomitanza con l’impennata dell’inflazione, per poi diminuire costantemente fino alle fine del 2022. Nonostante la previsione secondo cui la disinflazione in corso avrebbe eroso i margini, questa ipotesi non si è finora verificata. Anzi, la crescita reale è risalita, sostenendo i ricavi anche in presenza di un calo dell’inflazione. I margini sono migliorati negli ultimi due trimestri, con una crescita trimestrale destagionalizzata degli EPS del 3% in ciascun trimestre. Se si escludono poi la volatilità del settore energetico e gli accantonamenti forfettari per le perdite sui crediti da parte delle banche, la crescita registrata in ogni trimestre dagli EPS è addirittura più elevata, pari circa al 5%. Inaspettatamente, la spesa per interessi delle imprese in percentuale degli utili è diminuita nonostante l’aumento dei tassi di interesse. Ciò è in parte dovuto al fatto che la maggior parte delle imprese ha allungato le scadenze prima dell’impennata dei tassi. Le aziende con consistenti saldi di cassa stanno inoltre guadagnando interessi attivi, che compensano parte degli interessi passivi lordi. Questo va a vantaggio delle società a grande capitalizzazione, dove quasi il 90% del debito all’interno dell’S&P 500 è fisso. Al contrario, le società a più piccola capitalizzazione registrano un aumento delle spese per interessi a causa di un’equa ripartizione tra debito fisso e variabile. Prevediamo che i bilanci aziendali si deterioreranno gradualmente, man mano che un numero maggiore di società si rifinanzierà in un contesto di tassi più elevati.

    L’impatto tardivo di un significativo inasprimento della politica monetaria è visibile anche nel mercato immobiliare statunitense. Oltre il 60% dei titolari di mutui statunitensi ha tassi inferiori al 4%. I mutui statunitensi hanno in genere durate più lunghe rispetto a quelli del Regno Unito e, con i tassi ipotecari attuali che superano il 7%, molti proprietari di casa restano in attesa. Le presentazioni dei risultati evidenziano come la domanda dei consumatori resista, rendendo il soft landing molto più probabile di quanto si pensasse in precedenza. Tuttavia, diversi eventi imminenti destano preoccupazione. Ad agosto, dopo la pausa in atto da Febbraio 2020, è ripartito infatti il rimborso dei debiti degli studenti, per un totale di circa 10 miliardi di dollari al mese. Inoltre, la Federal Reserve di San Francisco stima che i risparmi accumulati durante la pandemia saranno esauriti dai consumatori in questo trimestre. Ulteriore incertezza è poi alimentata anche dallo sciopero degli autoveicoli in corso e dalla prospettiva di una chiusura del governo dovuta all’impasse legislativa.

    Su scala globale, le previsioni di consenso prevedono una crescita degli utili piatta per quest’anno, seguita da un aumento dell’11% nel 2024. Anche il nostro modello interno per la valutazione degli utili prevede una prospettiva simile. Le materie prime hanno appesantito gli utili, con tassi di crescita stimati per il 2023 pari a -30% per l’energia e -23% per i materiali. Questo influisce in modo sproporzionato sul FTSE 100, che quest’anno dovrebbe registrare la più bassa crescita regionale degli EPS (-12%). Il recente rialzo dei prezzi delle materie prime da giugno ha migliorato le revisioni degli utili nel Regno Unito. A livello globale, ci aspettiamo che lo slancio più forte degli utili provenga dagli Stati Uniti e dal Giappone. Infatti, gli Stati Uniti beneficiano di margini di profitto più elevati e di un mercato del lavoro più flessibile, mentre il Giappone trae vantaggio dalle trasformazioni aziendali in corso. Nel complesso, nonostante le preoccupazioni per l’inflazione e i tassi d’interesse, la redditività delle aziende ha retto bene e molte società stanno superando le aspettative

  • Columbia Threadneedle Inv. – Quando avverrà il taglio dei tassi di interesse?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Quando avverrà il taglio dei tassi di interesse?

    • Nel Regno Unito, Stati Uniti ed Eurozona i tassi sono ormai vicini al loro picco e le banche centrali hanno dichiarato che taglieranno i tassi nella prima parte del 2024.
    • A causa della forte inflazione imprevista, le banche centrali hanno perso fiducia nei loro modelli di previsione.
    • La disoccupazione, che al momento si attesta ai minimi storici o quasi, sulla base di diversi dati è destinata ad aumentare.
    • Un mercato del lavoro più debole limiterà l’impatto degli aumenti salariali e contribuirà a ridurre ulteriormente l’inflazione. È probabile che la riduzione dell’inflazione complessiva si traduca rapidamente in una riduzione delle retribuzioni, invertendo così la spirale salari/prezzi.
    • Sembriamo giunti a un punto di svolta, sperando ora nell’arrivo di tagli dei tassi significativi

    Quando potrebbero scendere i tassi di interesse?

    Può sembrare una domanda strana da porsi subito dopo l’ultimo aumento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea e in vista delle riunioni della Fed e della Banca d’Inghilterra di questa settimana. Quest’ultima aumenterà probabilmente i tassi, mentre la Federal Reserve statunitense si appresta a mantenerli fermi, confermando però la volontà di ulteriori possibili aumenti. Anche la Banca del Giappone, dopo aver mantenuto i tassi ufficiali in territorio negativo per molti anni, prevede ora un aumento, sebbene non prima della fine dell’anno. È naturale, dunque, chiedersi quando i tassi potrebbero scendere. Nel Regno Unito, Stati Uniti ed Eurozona questi hanno raggiunto, o quasi, il loro picco e le rispettive banche centrali hanno dichiarato che i tagli dei tassi avverranno quando si sentiranno sicure che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il target del 2%. 

    Quando avverranno i primi tagli?

    Prevediamo che gli Stati Uniti ridurranno i tassi di interesse all’inizio del 2024 e che Regno Unito ed Eurozona seguiranno subito dopo. Se così fosse, sarebbe una piacevole sorpresa per il mercato, che stima oggi un mantenimento dei tassi ai livelli attuali, o al di sopra, fino al 2024 inoltrato. Abbiamo, infatti, chiaro che la politica monetaria opera con ritardi lunghi e variabili. Le banche centrali cercano di guardare avanti, inasprendo la politica prima che l’inflazione decolli e allentandola prima che la recessione colpisca. Il problema è che collettivamente non sono riuscite a prevedere l’attuale impennata dell’inflazione. Hanno perso fiducia nei loro modelli di previsione e dichiarano ora di essere “dipendenti dai dati”, senza fornire dettagli su cosa questo possa esattamente significare, al di là delle ripetute affermazioni che i tassi di interesse potrebbero aumentare ulteriormente e che probabilmente rimarranno alti per un periodo prolungato. Tuttavia, la disoccupazione potrebbe cambiare l’attuale atteggiamento da falco, al momento vicina o inferiore ai minimi livelli storici in tutte e tre le economie. Con l’inflazione al di sopra dell’obiettivo, è facile per le banche centrali servirsi di toni più duri.

    Personalmente, ritengo che la disoccupazione sia destinata ad aumentare in tutte e tre le economie. Gli Stati Uniti sono l’economia con i migliori fondamentali, ma anche qui la crescita dell’occupazione sta rallentando costantemente. La media trimestrale degli aumenti dell’occupazione nel settore privato negli Stati Uniti è di 140.000 unità. Può sembrare molto, ma è in calo rispetto ai 200.000 di tre mesi fa e a quelli precedenti.  E questo è importante perché l’offerta di lavoro, soprattutto grazie alla ripresa dell’immigrazione, sta aumentando di 200.000 unità al mese. La disoccupazione sembra destinata a salire e probabilmente potrebbe raggiungere entro Natale la soglia della regola di Sahm, che ha identificato con precisione le recessioni passate. Inoltre, sebbene l’inflazione rimanga al di sopra dell’obiettivo, il tasso di inflazione core CPI negli ultimi tre mesi è sceso al 2,4%, un calo notevole.

    Nel Regno Unito, l’occupazione è in calo e la tendenza al rialzo della disoccupazione sembra ormai consolidata. Il problema che la BoE si trova ad affrontare è che l’inflazione salariale è ben al di sopra del livello coerente con il suo obiettivo del 2%. Anche il tasso di inflazione di fondo è troppo elevato, sebbene se la situazione potrebbe cambiare a fronte dei dati che verranno pubblicati in settimana. La BoE necessita di prove concrete del fatto che l’indebolimento del mercato del lavoro sta rallentando il ritmo dell’inflazione salariale, prima di poter anche solo iniziare a prendere in considerazione una riduzione dei tassi. Ma questo potrebbe avvenire prima di quanto molti pensino: i sondaggi indicano già un marcato rallentamento della pressione salariale.

    Infine, nell’Eurozona la disoccupazione è ai minimi storici e continua a scendere. La disoccupazione è solitamente un indicatore ritardato e i dati suggeriscono che l’eurozona sia già entrata in recessione. È dunque probabile che la disoccupazione aumenti presto e, sebbene la BCE debba convincersi che questa dinamica si traduca poi in una riduzione dell’inflazione di salari e prezzi prima di prendere in considerazione un taglio, ciò dovrebbe essere evidente entro la prossima primavera. Un aspetto incoraggiante è che la recente ondata di inflazione non ha aumentato di molto le aspettative di inflazione a lungo termine. C’è una buona probabilità che la riduzione dell’inflazione globale si traduca rapidamente in una riduzione delle retribuzioni, con la spirale salari/prezzi che si inverte. Una simile dinamica è già evidente negli Stati Uniti.

    Pertanto, ci stiamo avviando verso l’ora del taglio dei tassi che, una volta giunto, dovrebbe essere particolarmente significativo e molto più consistente di quanto attualmente previsto. Questo dovrebbe portare sollievo a tutti i mercati finanziari. La battaglia contro l’inflazione è stata dura – molto più dura di quanto molti si aspettassero – ma la marea è cambiata e dovremmo vedere i frutti della vittoria tra non molto.

  • Columbia Threadneedle Investments – Commento post meeting BCE

    Columbia Threadneedle Investments – Commento post meeting BCE

    A cura di Dave Chappell, Senior Fixed Income Portfolio Manager di Columbia Threadneedle Investments

    In occasione della riunione della BCE di luglio, la Presidente Christine Lagarde aveva lasciato intravedere la possibilità di una pausa nella riunione di settembre. Dopo una decisione al limite, il comitato ha deciso di aumentare i tassi, ma la mossa è stata accompagnata da un chiaro messaggio: si ritiene che la politica sia ora adeguatamente restrittiva, se mantenuta per un periodo sufficientemente lungo, per guidare l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Pur aggiungendo delle riserve che consentirebbero ulteriori aggiustamenti se giustificati, la BCE si è mossa su una posizione simile a quella della Federal Reserve statunitense e che sicuramente sarà raggiunta anche dalla Banca d’Inghilterra nelle prossime settimane. Il messaggio di tutte le banche centrali sarà ora “più in alto più a lungo”, nell’ottica di mantenere una politica restrittiva per un periodo prolungato. Le condizioni economiche determineranno la durata di questo periodo in ciascuna area geografica.

    Alcune “fonti” avevano alimentato le aspettative di una probabile mossa questa settimana, facendo trapelare l’informazione di una revisione al rialzo delle previsioni di inflazione per il 2024. Il rialzo è stato però accompagnato da un abbassamento delle prospettive di inflazione core e di crescita per l’intero periodo di previsione. Si sospetta che i “falchi” del comitato abbiano spinto molto per un rialzo, rendendosi conto che la finestra d’azione si sta chiudendo con l’indebolimento del contesto macroeconomico. I membri più prudenti hanno probabilmente proposto la definizione di “livelli raggiunti” come compromesso. Le condizioni del credito continuano a restringersi e le economie si stanno nuovamente indebolendo, soprattutto in Germania, da sempre motore di crescita dell’Eurozona. La banca centrale spera che il calo dell’inflazione sostenga i consumi attraverso una ripresa dei redditi reali, ma deve fare attenzione agli effetti ritardati della politica monetaria e dello stallo della crescita sulla disoccupazione, che per ora rimane a livelli storicamente bassi.