A cura di Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management
15.01.2024
- Nel 2023 i mercati hanno iniziato ad avviarsi verso la normalizzazione, sorprendentemente senza sacrifici per la crescita.
- Lo scenario più probabile resta oggi quello di un soft landing, anche se i rischi geopolitici e la difficile lettura di alcune economie potrebbero portare i mercati a riconsiderare anche l’ipotesi di una recessione.
- Il ritorno a una correlazione più normale rispetto al 2022-2023 sarà in grado di coprire eventuali perdite sui mercati azionari tramite una corretta diversificazione in portafoglio.
La domanda che possiamo porci sull’anno appena iniziato è se potrà essere tanto felice quanto il 2023, durante il quale è stato possibile riparare a buona parte dei danni del 2022, nonostante un momento di maggiore volatilità a cavallo dell’autunno. Archiviamo, quindi, un anno più che soddisfacente, con azioni mondiali in salita di oltre 20 punti percentuali e obbligazioni in recupero di circa 5 punti percentuali. All’interno dei vari mercati, come spesso accade, si sono viste poi differenze importanti. Quali sono stati i motivi di queste ottime performance? Si potranno riproporre gli stessi temi per il 2024?
Il grande regalo dell’anno appena terminato è senza dubbio la discesa convincente dell’inflazione, in quanto più rapida e meno dolorosa rispetto alle attese. Negli Stati Uniti l’inflazione misurata secondo la metrica preferita dalla Federal Reserve, il deflatore della spesa per i consumi, è tornata sotto il 2% negli ultimi sei mesi, pienamente in linea con l’obiettivo della Banca Centrale. Abbiamo assistito ad una dinamica simile anche nell’area Euro, mentre in Asia l’inflazione non è mai stata un grosso problema. La vera sorpresa sta proprio nel fatto che questo sentiero di normalizzazione è avvenuto senza sacrifici sul fonte della crescita, che, soprattutto negli Stati Uniti, si è addirittura attestata poco sopra il potenziale. In termini economici, questo si spiega con la normalizzazione dell’offerta aggregata su tre macro-direttrici: il mercato dei beni, dei servizi e delle materie prime. Dopo la paralisi delle fabbriche del 2021 e gli ingorghi del 2022, nel 2023 le filiere di produzione e logistica dei beni sono tornate a funzionare correttamente, come in epoca pre-Covid. Sul mercato dei servizi, tipicamente ad alta intensità di lavoro, abbiamo assistito a un deciso aumento della partecipazione alla forza lavoro, soprattutto negli Stati Uniti. Sul mercato delle materie prime, infine, nonostante uno scenario geopolitico tutt’altro che favorevole, tra guerra Russia-Ucraina e tensioni in Medio Oriente, abbiamo visto un generale calo delle quotazioni. Per il petrolio questo calo è stato favorito da produttori sempre più rilevanti, come Stati Uniti, Brasile e molti altri. Nel complesso, i meccanismi di funzionamento dell’economia globale si sono aggiustati dopo gli shock pandemici e geopolitici.
In tutto questo, qual è il ruolo delle banche centrali? Indubbiamente quest’ultime svolgono un ruolo decisivo nel mantenere le aspettative di inflazione sotto controllo, fattore chiave per poter accompagnare la normalizzazione sul lato dell’offerta, sebbene forse non determinante ai fini di una riduzione della domanda aggregata. L’aggiustamento delle economie ha portato con sé anche una correzione dei mercati finanziari rispetto alla loro direzionalità, ma non ancora per quanto riguarda la combinazione tra attivi rischiosi e attivi sicuri. La narrativa degli ultimi mesi è stata ancora dominata dall’inflazione, stavolta in senso costruttivo. I corsi di azioni e obbligazioni sono saliti all’unisono, confortati dall’inversione dei toni delle banche centrali nei mesi autunnali. Guardando in prospettiva, è giusto chiedersi se questo paradigma possa mantenersi anche nel 2024. Diverse sono le combinazioni possibili, ma è lecito ipotizzare che non ci saranno grandi movimenti dell’inflazione come quelli appena visti (dallo 0 al 10% e ritorno).
Il quesito rilevante riguarda, piuttosto, come si comporterà la crescita economica. Non sarà infatti possibile poter contare sui contributi positivi alla crescita del “contro-shock” di offerta, come avvenuto nel 2023. Le dinamiche a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno potranno continuare, ma per i mercati non sarà più una sorpresa positiva. Il sentiment prevalente, desumibile dalle previsioni di banchieri centrali, Fondo Monetario Internazionale e osservatori privati è solidamente quello del soft landing, scenario altresì pienamente prezzato dai mercati finanziari. Rimangono dei dubbi attorno a questo scenario economico, alimentati, innanzitutto, dal rischio geopolitico che dominerà il 2024, date le molteplici importanti elezioni governative in calendario, che culmineranno con quelle americane di novembre. Sul fronte della crescita non sono poi ancora del tutto evidenti gli effetti della gigantesca restrizione monetaria dei trimestri passati. Non è del tutto chiaro, inoltre, lo stato dell’attività industriale, soprattutto nei Paesi sviluppati: dopo il boom dei servizi, con le riaperture, era lecito attendersi una ripresa della manifattura, che però stenta a vedersi. Al momento, infatti, ci sono zone di debolezza già vicine a dinamiche recessive, come l’Europa, o di difficile lettura, come la Cina.
Di fronte a dati poco convincenti, i mercati potrebbero riconsiderare la probabilità di recessione, con perdite consistenti sulle Borse. Un problema d’altronde gestibile poiché, in questo caso, le eventuali perdite sul fronte azionario sarebbero accompagnate da guadagni importanti sui bond governativi, con un ritorno a una correlazione più normale rispetto al 2022-2023. Quest’ultimo appare quindi come lo scenario che potrebbe sorprendere in negativo nel 2024, rispetto all’ottimismo con cui abbiamo chiuso l’anno precedente; tuttavia, se l’analisi proposta è corretta, per il tipico portafoglio del risparmiatore esiste una soluzione anche di fronte al verificarsi di un quadro meno favorevole come quello ipotizzato.