Tag: tumore del fegato

  • IRCCS ‘DE BELLIS’ DI CASTELLANA GROTTE E FUJIFILM INSIEME

    PER LA DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI DEL FEGATO

    • Grazie a un’innovativa piattaforma tecnologica in dotazione all’Istituto è possibile prevedere il rischio di sviluppare un carcinoma del fegato fino a 10 anni prima.
    • I ricercatori del De Bellis hanno svolto un ampio studio applicando l’uso di tre biomarcatori estremamente efficaci nel predire la malattia.
    • In tutta Italia sono solo due le installazioni di questo tipo in dotazione nelle strutture sanitarie, che a Castellana è stata acquistata grazie ai proventi del 5×1000.

    Castellana Grotte (BA), 8 gennaio 2024 – È sorprendente quanto poco sangue sia necessario, poco più di una goccia, per valutare efficacemente il rischio di sviluppare il tumore al fegato ben dieci anni prima della sua comparsa. Lo studio è dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Gastroenterologia IRCCS “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte (BA) che hanno calcolato e applicato il punteggio GALAD attraverso un algoritmo basato sulla misurazione di alcuni biomarcatori presenti nel sangue. Lo studio*, che ha coinvolto 545 pazienti con cirrosi epatica sorvegliati nel corso di 12 anni, è stato condotto in collaborazione con l’Università di Modena, e grazie all’utilizzo di un’innovativa strumentazione, sviluppata da Fujifilm.

    Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta la terza causa più comune di decessi per tumore e la sua incidenza nella popolazione generale è in costante aumento. In Europa si registrano un maggior numero di casi in particolare in Italia e nei paesi del bacino del Mediterraneo. Il principale fattore di rischio è rappresentato dalla cirrosi epatica su base virale (HBV, HCV), etilica e metabolica; nei pazienti con questa condizione è vitale mantenere una vigilanza prolungata e attuare misure preventive rispetto a una neoplasia che può rimanere asintomatica per lungo tempo.

    Rilevare precocemente la presenza del tumore al fegato, una delle neoplasie più maligne ed aggressive, è cruciale per garantire un trattamento ottimale della malattia, come sottolineato dal Prof. Gianluigi Giannelli, direttore scientifico dell’Istituto de Bellis: “Il programma di sorveglianza dei pazienti con cirrosi epatica consente di ridurre del 37% la mortalità per epatocarcinoma, il 60% dei pazienti circa con tumore epatico che riceve trapianto, chirurgia o radiofrequenza ed è monitorato ha infatti una sopravvivenza di almeno 5 anni, mentre i pazienti con diagnosi tardiva, e quindi un tumore più avanzato, hanno una aspettativa di vita di 1-2 anni”.

    “L’impiego del punteggio GALAD – prosegue il Prof. Giannelli – ci consente oggi di quantificare il rischio di sviluppare un tumore al fegato dieci anni prima che esso si manifesti, un dato eccezionale, se si pensa che non esiste alcun altro biomarcatore per nessuna neoplasia così efficace”.  Il GALAD, che include tre biomarcatori (alfafetoproteina, alfafetoproteina-L3 e des gamma carbossi protrombina), può affiancare l’attuale impiego dell’ecografia e potrebbe avere anche altri impieghi: “Il nostro recente studio dimostra come l’incremento di GALAD abbia anche un valore prognostico, essendo correlato direttamente ad una progressione del tumore – continua Giannelli. Ma sono ancora molti i campi nei quali GALAD potrebbe essere impiegato come supporto decisionale nella gestione del paziente con tumore epatico, e numerosi sono gli studi attualmente in corso presso il De Bellis”.

    Lo strumento utilizzato per il calcolo del punteggio GALAD, che consente il dosaggio simultaneo di tre biomarcatori in un unico campione di sangue, in Italia è in dotazione, oltre che al De Bellis, solo presso la ASL di Novara in Piemonte. L’IRCCS pugliese l’ha acquistata grazie alla raccolta delle donazioni spontanee attraverso il 5 per 1000 destinato alla ricerca: “Si tratta di un chiaro esempio virtuoso, –  conclude il prof. Giannelli -, i cittadini grazie alla donazione 5 per 1000 hanno consentito l’acquisto della strumentazione e l’IRCCS la mette a loro disposizione per la prevenzione di una malattia tumorale altamente aggressiva, chiudendo così un cerchio di mutua collaborazione che come destinatario principale ha sempre il cittadino”.

    “Siamo davvero orgogliosi dello strumento che abbiamo sviluppato che consente passi avanti così importanti per la diagnosi precoce, e di conseguenza la cura, di una malattia insidiosa come il tumore del fegato. L’investimento in tecnologia risponde per noi sempre all’incessante ricerca di valore originato dall’innovazione a beneficio delle persone e della società, come in questo caso” dichiara Davide Campari, General Manager Healthcare di Fujifilm Italia. “Questo progetto virtuoso sviluppato dall’IRCCS De Bellis offre valide prospettive di ulteriore sviluppo che seguiremo con grande interesse”.

    Bibliografia

    Villa E, Donghia R, Baldaccini V, Tedesco CC, Shahini E, Cozzolongo R, Ascari S, Pesole PL, Coletta S, Critelli RM, Lasagni S, Schepis F, Semellini F, Giannelli G.  GALAD outperforms aMAP and ALBI for predicting HCC in patients with compensated advanced chronic liver disease: A 12-year prospective study.Hepatol Commun. 2023 Sep 15;7(10):e0262. doi: 10.1097/HC9.0000000000000262. eCollection 2023 Oct 1.PMID: 37708455

    * Cagnin S, Donghia R, Martini A, Pesole PL, Coletta S, Shahini E, Boninsegna G, Biasiolo A, Pontisso P, Giannelli G. Galad Score as a Prognostic Marker for Patients with Hepatocellular Carcinoma. Int J Mol Sci. 2023 Nov 18; 24(22):16485. doi: 10.3390/ijms242216485. PMID: 38003675; PMCID: PMC10671761.

    A proposito di FUJIFILM Italia

    FUJIFILM Italia S.p.A. è una filiale di FUJIFILM Europe GmbH con sede a Cernusco sul Naviglio (MI) e opera sul mercato italiano con soluzioni integrate e prodotti destinati ai settori Imaging Solution, Optical Devices, Graphic Systems, Healthcare, Recording Media e Life Sciences. Con oltre 250 dipendenti impegnati nelle funzioni marketing, commerciale, assistenza tecnica e amministrativa, Fujifilm Italia si pone sul mercato come partner solido e competente, in grado di rispondere alle esigenze dei clienti con soluzioni efficaci e personalizzate. fujifilm.com/it/it

    Il percorso nel mondo Healthcare è iniziato nel 1936, con il lancio delle pellicole radiografiche. Da quel momento, Fujifilm ha ampliato la propria attività a livello globale grazie ai propri punti di forza tecnologici, al fine di supportare pazienti e fornitori di servizi medici in tutto il mondo con diagnosi rapide e precise.

    Il Business Domain Healthcare di FUJIFILM Italia S.p.A. si propone come partner One-Stop-Solution in grado di supportare il processo diagnostico del paziente, dalla fase di prenotazione dell’esame fino alla refertazione, rispondendo a un’ampia gamma di esigenze cliniche, attraverso l’ausilio di un portfolio completo e integrato di servizi e  prodotti tra i cui TAC e RMN, X-ray e mammografi digitali, sistemi per endoscopia ed ecografia, sistemi diagnostici in vitro e soluzioni di informatica medica che comprendono l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

  • Incyte annuncia i risultati positivi aggiornati dello studio clinico di fase II condotto con pemigatinib in pazienti con colangiocarcinoma in stadio avanzato già trattato in precedenza

    Incyte annuncia i risultati positivi aggiornati dello studio clinico di fase II condotto con pemigatinib in pazienti con colangiocarcinoma in stadio avanzato già trattato in precedenza

    I dati presentati a ESMO 2019 supportano la prevista sottomissione alla US Food and Drug Administration (FDA) – entro la fine del 2019 – di una domanda di registrazione di nuovo farmaco (NDA, New Drug Application) per pemigatinib

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  • Tumore del fegato: solo il 10% delle diagnosi è in stadio iniziale

    Tumore del fegato: solo il 10% delle diagnosi è in stadio iniziale

    È la prima molecola immuno-oncologica a evidenziare un’efficacia significativa nell’epatocarcinoma avanzato pretrattato. Epatite virale e cirrosi sono i principali fattori di rischio. Nel nostro Paese il primato in Europa occidentale di persone HCV positive: sono oltre un milione i portatori cronici del virus
    Roma, 9 maggio 2017 – È un tumore “silenzioso” perché non mostra sintomi specifici. E solo il 10% dei casi è diagnosticato in fase iniziale quando l’intervento chirurgico può essere risolutivo. In Italia vivono circa 27.750 cittadini dopo la diagnosi di cancro del fegato, che rappresentano l’1% del totale dei pazienti oncologici. Si tratta di una neoplasia con percentuali di guarigione ancora basse, infatti solo il 16,1% è vivo a cinque anni dalla diagnosi. Oggi per questi pazienti si stanno aprendo nuove prospettive grazie a nivolumab, molecola immuno-oncologica che ha già dimostrato di essere efficace nel melanoma, nel tumore del polmone, del rene e del distretto testa collo. Uno studio di fase 1/2 (CheckMate 040) presentato al congresso della Società europea per lo studio del fegato (EASL, European Association for the Study of the Liver), che si è svolto recentemente a Amsterdam, ha evidenziato riduzioni sostanziali delle dimensioni del tumore e un tasso di risposta oggettiva del 15-20% con nivolumab rispetto al 5% raggiunto dall’attuale standard di cura, sorafenib, una terapia mirata.

    Alle prospettive offerte dall’immuno-oncologia in questa neoplasia è dedicato un incontro di approfondimento con i giornalisti oggi a Roma. “Il 90% dei casi di tumore del fegato è rappresentato dall’epatocarcinoma – spiega il prof. Bruno Daniele, Direttore Oncologia Medica dell’Ospedale ‘Rummo’ di Benevento -. Lo studio ha coinvolto 262 persone colpite dalla malattia in fase avanzata già trattate con la terapia standard. I risultati importanti evidenziati nell’epatocarcinoma sono la dimostrazione che il meccanismo d’azione dell’immuno-oncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia”. Nel 2016 nel nostro Paese sono stati registrati 12.800 nuovi casi di tumore del fegato (8.800 uomini e 4.000 donne). “È il più grande organo del corpo umano ed è responsabile di innumerevoli funzioni vitali – afferma il prof. Giovanni Raimondo, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Epatologia Clinica e Biomolecolare al Policlinico Universitario di Messina -. Una serie di cause (infezioni da virus epatitici B e C, abuso alcolico, malattie genetiche, malattie autoimmunitarie, diabete, obesità, etc) possono indurre un danno persistente del fegato. Tali ‘epatopatie croniche’ spesso si aggravano nel corso degli anni sfociando nella cirrosi epatica che è una malattia severa che nel tempo può indurre un deficit di funzionalità dell’organo (scompenso epatico) e predisporre all’insorgenza del carcinoma epatico. Infatti, oltre il 90% dei casi di epatocarcinoma insorge in pazienti con cirrosi epatica. Sia la cirrosi che il cancro per lungo tempo possono non causare sintomi specifici e solo un’attenta sorveglianza dei pazienti con epatopatia può consentire la diagnosi precoce di tumore epatico, condizione questa indispensabile per riuscire ad intervenire con i trattamenti terapeutici più appropriati. Considerando che l’insorgenza del cancro del fegato induce molto spesso uno scompenso epatico, si deduce facilmente quanto importante sia la collaborazione fra epatologo ed oncologo. D’altra parte, l’epatocarcinoma è una neoplasia che impone la collaborazione costante anche con altri specialisti, in particolare il chirurgo ed il radiologo”.

    I virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV) sono le principali cause di questa neoplasia a livello globale. In Italia oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato è riconducibile a fattori di rischio noti, collegati soprattutto all’infezione da virus dell’epatite C. Il nostro Paese infatti detiene il “primato” in Europa occidentale per numero di persone HCV positive: sono oltre un milione i pazienti portatori cronici di questo virus. Un’elevata percentuale di persone che contraggono questa infezione, stimata fino all’85%, va infatti incontro a cronicizzazione. E il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma. “Per i pazienti con malattia avanzata, l’unico trattamento sistemico approvato, sorafenib, permette di ottenere una sopravvivenza media non superiore a 11 mesi – spiega il prof. Daniele -. Per le persone che sono intolleranti o falliscono il trattamento con sorafenib, non esiste allo stato attuale uno standard di cura. Nivolumab è il primo trattamento immuno-oncologico a evidenziare un’efficacia significativa proprio nei pazienti con epatocarcinoma avanzato pretrattati. Nello studio la sopravvivenza media raggiunta con nivolumab è stata di 16,1 mesi”. “Il danno epatico determinato dall’epatite cronica – continua il prof. Daniele – determina già di per sé una risposta del sistema immunitario che genera anticorpi per uccidere il virus che si nasconde dentro la cellula epatica. Era quindi legittimo il dubbio che la somministrazione di un farmaco che stimola ulteriormente il sistema immunitario potesse creare problemi in una persona colpita da epatite cronica. In realtà nivolumab ha mostrato benefici importanti con risposte durature e una buona tollerabilità”.

    Anche l’epatite B rappresenta un importante fattore di rischio in Italia. “Lo scenario epidemiologico nel nostro Paese – conclude il prof. Raimondo – è destinato a cambiare. In futuro infatti i principali fattori di rischio del tumore del fegato saranno costituiti dalla steatoepatite, caratterizzata dall’accumulo di grasso nel fegato, e dalle malattie incluse nella cosiddetta sindrome metabolica, in particolare diabete e obesità, che stanno assumendo un’importanza crescente. Da un lato infatti la vaccinazione contro l’HBV, iniziata in Italia nel 1991 nei neonati e dodicenni e limitata ai soli neonati a partire dal 2003, ha profondamente ridotto l’impatto di questo virus in Italia. Per quanto riguarda l’HCV non esiste un vaccino, ma le terapie oggi disponibili permettono di eliminare questo virus, per cui il rischio di tumore del fegato riguarderà soprattutto i pazienti che hanno già sviluppato cirrosi”.

    In Italia a oggi nivolumab è approvato per il trattamento del melanoma avanzato (sia in prima linea che pretrattato), del tumore del polmone non a piccole cellule squamoso e non squamoso (avanzato pretrattato) e del carcinoma renale (avanzato pretrattato).