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Intervista a Giuseppe Vorro

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Abbiamo avuto il piacere di intervistare il cantautore milanese Giuseppe Vorro in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Su queste parole” un brano pop rock che parla di depressione del presente per una situazione esistenziale insoddisfacente, che proietta la nostra ombra sul futuro che resta, portando con sé debilitazione e speranza falciata. Non basta tutta la musica del mondo per rialzarsi. Forse è la rabbia che ci tiene in piedi.  La canzone è stata scritta molti anni fa, quando il cantautore era ventenne. Ancora oggi, ricorda quella giornata segnata dallo sconforto e dalla stanchezza dello studio. Prese la chitarra, si sedette alla scrivania e attaccò la prima strofa che gli venne in mente, mentre le dita sulla tastiera l’accompagnavano. Due accordi aperti si ripetevano incessantemente, scavando nelle sue emozioni.

Che cosa ti ha spinto a scrivere questa canzone così profonda e toccante sulla depressione?

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In realtà non parla della depressione in termine tecnico sanitario ma di un momento di forte sconforto dovuto ad una situazione in cui si pensa di essere in un vicolo cieco senza soluzione alcuna. Come essere in un seminterrato chiuso ermeticamente dall’esterno e non si è a conoscenza della eventuale via di ascesa verso il fuori. Quindi una situazione concreta può portare ad una situazione mentale di profondo buio ed impotenza. Ma la musica può essere di aiuto soprattutto se si tratta di scrittura musicale che può indirizzare verso la via di uscita , a portare allo spiegamento dell’anima intima verso la libertà dalla materiale pesantezza dell’esistente.

Puoi raccontarci di più su quel giorno in cui hai scritto la canzone?

Era un pomeriggio invernale ed ebbi un moto emozionale insopprimibile  che mi portò ad imbracciare la mia chitarra acustica nera e far fuoriuscire tutta l’aria viziata di un momento scuro come quel pomeriggio e fu come aprire una finestra e far entrare aria fresca e nuova che porta nuova vita e nuova linfa e far uscire il sole in quel giorno invernale anche se si era quasi al crepuscolo della giornata.

Parlando del videoclip, ci puoi raccontare di più sulla sua concezione e sulla storia che vuoi raccontare attraverso le immagini?

Si tratta di un giovane uomo stretto in un angolo in una metropoli che non si accorge affatto di lui  e mostra il momento della liberazione di una giornata oppressiva quando la chitarra viene abbracciata e il suo suono fa da scudo alle tenebre di un inverno chi si materializza con il cemento  delle mura delle costruzioni della città in cui si vive. C’è la rabbia che fa il suo corso e lascia il posto poi ad un senso più placido e sognante con uno sguardo verso una luna piena che fa il suo ingresso nella sera incombente.

Come ti senti ora, guardando indietro a quel periodo della tua vita attraverso la lente della musica?

Il malessere fa parte della vita soprattutto nel periodo giovanile dove si iniziano a prendere le misure con la realtà che risponde in modo diverso a seconda della provenienza socio-culturale. La musica mi ha anche aiutato a prendere consapevolezza su alcuni temi anche esistenziali. Cercavo soluzioni nuove alla struttura di una canzone che richiamasse alla complessità della vita. Ora forse ho più capacità di sintesi e riesco a costruire canzone più compatte ma forse più concettuali.

C’è qualche artista con cui sogni di collaborare in futuro? E se sì, perché?

Non ho particolari artisti con cui vorrei collaborare se non facendo voli pindarici con la fantasia e dire cose irrealizzabili. Sono sempre stato aperto alle collaborazioni ma ovviamente bisogna avere gli stessi intenti e la stessa prospettiva sul modo di fare musica. Con gli anni sono diventato sempre più esigente perchè il tempo è prezioso e va impiegato senza sprecarlo.

Hai pianificato qualche tour o esibizione live per presentare la tua musica in modo più diretto al tuo pubblico?

Non ci sono ancora in programma date live certe. Ma mi sto organizzando per preparare essenzialmente da solo e con apparecchiature elettroniche nonché con la mi fidata chitarra un escursus nel mio repertorio colmo di cose.

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