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Crisi: Unimpresa, aumentano di 68 miliardi le riserve in banca

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La crisi spaventa gli italiani, il denaro non circola. Le aziende non investono e le famiglie non spendono, preferendo accumulare: in banca aumentano le riserve, cresciute in un anno di oltre 68 miliardi di euro. In aumento di 40 miliardi i salvadanai delle famiglie, su di quasi 14 miliardi i fondi delle imprese. Questi i dati principale che emerge dalle ricerca del Centro studi di Unimpresa sull’andamento delle riserve delle famiglie e delle imprese italiane, secondo la quale, in totale, nel 2016 nei conti correnti sono stati accumulati 95 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Da dicembre 2015 a dicembre 2016 il totale dei depositi di cittadini, aziende, assicurazioni e banche è aumentato di oltre il 4% passando da 1.581 miliardi a 1.650 miliardi. Le famiglie non spendono e hanno lasciato in banca 40 miliardi in un anno (+4%), le imprese non investono e i loro fondi sono cresciuti di quasi 14 miliardi (+6%), le banche – che prestano sempre meno – hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 10 miliardi (+2%), che dunque resta alta (355 miliardi totali) e risulta allocata in forme di impiego diverse dal credito. Le riserve delle assicurazioni sono calate di 2,5 miliardi (-11,89%). In aumento i fondi delle imprese familiari di 5 miliardi (+10%) e quelli delle onlus di quasi 1 miliardo (+3%). Si registra anche il boom dei conti correnti, cresciuti di oltre 82 miliardi di euro negli ultimi dodici mesi, passando da 831 miliardi a 913 miliardi. “A frenare consumi, investimenti e credito sono rispettivamente la paura di nuove tasse, l’assenza di certezze sul futuro, i parametri sui bilanci rigidi” commenta il vicepresidente di Unimpresa, Maria Concetta Cammarata secondo la quale “i nostri dati sono in linea con quelli diffusi oggi dall’Istat relativi al commercio al dettaglio, in calo lo scorso anno”.

Secondo lo studio di Unimpresa, che incrocia i dati della Banca d’Italia relativi alla raccolta delle banche, il totale dei depositi è passato dai 1.557,1 miliardi di dicembre 2015 ai 1.624,3 miliardi di dicembre 2016 con un incremento di 67,1 miliardi (+4,32%). I salvadanai delle famiglie sono cresciuti da 906,8 miliardi a 947,4 miliardi con una impennata di 40,6 miliardi (+4,48%); i conti delle imprese familiari sono passati da 48,6 miliardi a 53,9 miliardi in salita di 5,2 miliardi (+10,81%); i depositi delle organizzazioni non lucrative (onlus) sono aumentati da 24,7 miliardi a 25,6 miliardi in crescita di 893 milioni (+3,61%); i fondi delle aziende sono cresciuti da 234,8 miliardi a 248,8 miliardi in aumento di 13,9 miliardi (+5,94%); i conti di assicurazioni e fondi pensione sono passati da 21,1 miliardi a 18,5 miliardi in calo di 2,5 miliardi (-11,89%); le riserve delle banche sono passate da 345,6 miliardi a 355,5 miliardi in crescita di 9,8 miliardi (+2,85%).

Quanto all’analisi per strumento, i conti correnti registrano una variazione positiva di 95,5 miliardi (+10,89%), cresciuti da 877,8 miliardi a 973,4 miliardi; su anche i pronti contro termine di 7,7 miliardi (+5,14%) da 151,3 miliardi a 159,1 miliardi e i depositi in conto corrente di 227 milioni (+3,28%) da 6,9 miliardi a 7,1 miliardi; in calo i depositi rimborsabili con preavviso di 3,1 miliardi (-1,04%) da 301,01 miliardi a 297,8 miliardi. Per quanto riguarda i depositi con durata prestabilita si osservano due situazioni di variazione negativa: quelli con scadenza fino a 2 anni sono calati sensibilmente di 29,9 miliardi (-26,73%) da 111,9 miliardi a 82,01 miliardi; quelli con scadenza oltre i due anni sono lievemente scesi di 886 milioni (-0,63%) da 140,8 miliardi a 139,9 miliardi.

“I dati mostrano che le disponibilità finanziarie delle aziende e delle famiglie italiane sono congelate. Se i cittadini accumulano per timore di nuove tasse, le imprese non investono perché non hanno fiducia nel futuro. Discorso a parte va fatto per le banche che registrano una variazione negativa della liquidità, con ogni probabilità dirottata su impieghi diversi dal credito che resta bloccato: ciò da un lato è legato a criteri sui parametri di bilancio troppo rigidi e dall’altro all’assenza di progetti importanti da finanziare” osserva ancora il vicepresidente di Unimpresa, Maria Concetta Cammarata.

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