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  • Economia Usa: è ancora possibile un “atterraggio morbido”?

    Economia Usa: è ancora possibile un “atterraggio morbido”?

    A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel

    Milano, 7 novembre 2023 – Crediamo che la Federal Reserve abbia tre possibili strade davanti a sè: optare per nuovi rialzi, tagliare i tassi oppure rimanere in attesa, come accaduto nella metà degli anni Novanta e per buona parte degli anni Dieci dei Duemila. I dati macroeconomici più recenti mostrano, accanto alla tradizionale “binarietà” del mercato obbligazionario, anche questo terzo scenario.

    Dopo il rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti pubblicato la scorsa settimana, che ha registrato 150.000 nuovi posti di lavoro, il mercato dei bond sembra incline a ritenere che il momento di un taglio dei tassi si stia avvicinando. Ampliando la prospettiva, però, si può notare come la media mobile a 3 mesi sia di 204.000 e quella a 6 mesi sia di 206.000 unità, per cui non ci sembra di cogliere alcun segnale di allarme sul mercato del lavoro.

    Qualcosa di simile è accaduto con le ultime previsioni preliminari di crescita del Pil statunitense rilasciate dalla Fed di Atlanta secondo il modello GDPNow. Nonostante si tratti di un’anticipazione delle stime ufficiali basata sui dati del trimestre in corso, il tasso di crescita dell’1,2% previsto per il 4° trimestre 2023 indica che l’economia crescerà comunque del 2,6% su base annuale, un dato molto al di sopra del trend. 

    Per il prossimo semestre il nostro caso base è ancora quello di un “atterraggio morbido” (caratterizzato da inflazione contenuta e crescita costante), che starebbe a indicare una Fed in attesa, non ancora pronta a effettuare tagli dei tassi. Ciò che ci preme sottolineare è, tuttavia, il rischio del secondo scenario più probabile: un “no-landing”, con una crescita al di sopra del trend, ma un’inflazione ancora troppo vischiosa, che porterebbe la Fed, dopo una pausa, a tornare ad alzare i tassi. Al momento riteniamo che gli investitori non stiano considerando quest’ipotesi e, tanto meno, la stiano incorporando nelle loro valutazioni.

  • Amchor IS: Usa destinati a rallentare in assenza di ulteriori stimoli

    Amchor IS: Usa destinati a rallentare in assenza di ulteriori stimoli

    A cura di Álvaro Sanmartín, Chief Economist, Amchor IS

    Negli USA stanno emergendo i primi segnali di un possibile rallentamento dell’economia. Mentre i dati dalla Cina sorprendono le attese, il Giappone continua a fare progressi sempre più evidenti verso l’obiettivo di raggiungere tassi di inflazione intorno al 2% in modo sostenibile nel tempo. Nei prossimi mesi saremo particolarmente attenti a due possibili rischi. Da un lato, un possibile rimbalzo dei prezzi del petrolio. Anche se non ci aspettiamo che ciò accada, un barile di greggio ben al di sopra dei 100 dollari su base duratura potrebbe mettere le banche centrali in una situazione complicata, proprio perché avverrebbe in un contesto in cui l’inflazione è già da tempo al di sopra dell’obiettivo. D’altra parte, presteremo attenzione anche al possibile emergere di tensioni sui mercati dei titoli di Stato, vista la complicata situazione in cui si trovano diversi Paesi.


    I primi effetti del rialzo dei tassi
    Nonostante il dato di crescita del Pil americano nel terzo trimestre sia stato eccezionalmente forte, stanno emergendo i primi effetti del forte aumento dei tassi reali a medio e lungo termine sull’immobiliare, settore molto sensibile alle condizioni di finanziamento. La recente crescita, seppur moderata, delle richieste di sussidi di disoccupazione potrebbe indicare una progressiva correzione dell’enorme eccesso di domanda che sta caratterizzando il mercato del lavoro statunitense. Sebbene le richieste rimangano compatibili con un livello molto basso di licenziamenti, il fatto che stiano aumentando sarebbe un segnale di maggiori difficoltà per le poche persone licenziate a trovare un nuovo lavoro. Allo stesso tempo, il calo del tasso di risparmio delle famiglie statunitensi fa pensare che i consumi privati in futuro non saranno robusti come si è visto quest’anno.


    Inoltre, i dati del bilancio pubblicati lo scorso ottobre hanno mostrato un enorme aumento del deficit pubblico, che confermerebbe il sostegno dato dalla politica fiscale alla domanda aggregata statunitense nel 2023. Tenendo conto delle divisioni nelle camere legislative e sapendo che il debito pubblico USA è su una traiettoria insostenibile, è molto difficile pensare che la politica continuerà a sostenere l’attività economica del Paese, almeno non ai livelli degli scorsi anni. Anche in Germania, in cui si è fatta sentire per tutto il 2023 l’assenza di stimoli all’economia, i più recenti indicatori iniziano a mostrare segni di stabilizzazione.


    Quanto all’inflazione, negli ultimi mesi i dati sull’inflazione core statunitense indicano una stabilizzazione, mentre le aspettative di inflazione a breve termine delle imprese statunitensi si stanno già avvicinando a tassi coerenti con quello che sarebbe l’obiettivo di inflazione della Fed. Anche i prezzi nell’area dell’euro sono in frenata, in un contesto in cui le aspettative di inflazione a medio termine rimangono contenute.

    Cina meglio delle attese, Giappone in progresso
    In Cina, invece, non mancano segnali di miglioramento dell’economia. Sebbene permanga un sentiment negativo nei confronti del gigante asiatico, la maggior parte dei recenti dati ha chiaramente sorpreso in positivo. Guardando al futuro, il fatto che le autorità siano sempre più disposte ad aumentare l’intensità degli stimoli fiscali e monetari ci rende costruttivi sull’andamento dell’economia cinese nell’ultima parte di quest’anno e anche nel 2024. Gli ultimi dati provenienti dal Giappone confermano un significativo progresso dell’inflazione: al netto degli alimenti freschi e dell’energia, rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 2% su base annua, in un’economia che per il resto continua a mostrare segni di crescita superiore al potenziale.


    View di mercato
    Titoli di Stato: negli Stati Uniti, preferiamo continuare a puntare sulla parte breve della curva (fino a 2 anni), almeno fino a quando non vedremo segnali di rallentamento dell’attività economica statunitense. Nell’Eurozona riteniamo che si debba mantenere un atteggiamento cauto sul debito periferico, in attesa che i Paesi più indebitati siano in grado di produrre strategie di consolidamento fiscale ragionevolmente credibili. Per quanto riguarda il Giappone, la nostra previsione rimane che il rendimento a 10 anni tenderà a salire sensibilmente tra 6-9 mesi.

    Azioni: nella misura in cui vediamo una ripresa macro negli Stati Uniti, ci aspettiamo che i rendimenti a 10 anni aumentino sensibilmente tra 6-9 mesi. Continuiamo a ritenere che il segmento value/ciclico del mercato, comprese le banche europee, dovrebbe fare meglio del segmento growth/difensivo, in un contesto in cui riteniamo che i tassi reali rimarranno ragionevolmente elevati su base strutturale. Dal punto di vista geografico, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli nordamericani.

    Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. Riteniamo, tuttavia, opportuno combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale.

    Valute: al momento puntiamo solo su un’esposizione molto moderata al dollaro, perché riteniamo che il rallentamento degli Stati Uniti arriverà presto. Visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen, in dosi prudenti, possa essere una buona copertura per il resto dell’anno. Per il resto, manteniamo una visione positiva su valute come la corona norvegese, il dollaro neozelandese e australiano. Continuiamo, infine, ad apprezzare le valute dei Paesi emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli.

  • Calo dell’inflazione Usa: qualche considerazione

    Calo dell’inflazione Usa: qualche considerazione

    A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel

    Milano, 12 ottobre 2023 – Il dato dell’inflazione core pubblicato oggi negli Usa, probabilmente il più importante per i mercati, è rimasto stabile allo 0,3% su base mensile in settembre, in linea con il consenso. Il dato riflette il calo dei beni di consumo, trainati al ribasso dai prezzi di auto usate e abbigliamento, mentre i servizi core, dopo il rallentamento di agosto, in settembre sono tornati a crescere (+0,6% su base mensile).

    Sul fronte della politica monetaria, per raggiungere l’obiettivo dello 0,2% su base mensile, che rappresenta il target della Fed, è fondamentale che i prezzi di beni e servizi rallentino in modo sostenuto (0,6% è un livello ancora troppo elevato). Al momento, quindi, è presto per dichiarare la vittoria sull’inflazione, anche perché ad oggi il denaro si spende soprattutto per i servizi: questo non significa che nel corso del meeting di novembre la Fed opterà sicuramente per un aumento dei tassi, anche se i dati sul PIL statunitense del terzo trimestre e sui Non Farm Payrolls (NFP) lasciano il dibattito aperto. 

    Ampliando la prospettiva, la notizia più significativa per il mercato obbligazionario è rappresentata dal recente aumento dei tassi d’interesse a lungo termine, coerentemente con un quadro che vede: 

    ·    Dati sulla crescita dell’economia Usa migliori del previsto;

    ·    Politica di tassi “più alti più a lungo” da parte della Fed;

    ·    Dichiarazioni di Powell sul Quantitative Tightening nel corso della conferenza stampa di settembre;

    ·    Offerta di Treasury;

    ·    Posizionamento degli investitori.

  • TCW: La recessione negli Usa è in arrivo, meglio essere difensivi

    TCW: La recessione negli Usa è in arrivo, meglio essere difensivi

    A cura di Katie Koch, CEO, TCW

    Una recessione è quasi inevitabile per gli Stati Uniti e in questo scenario gli investitori dovrebbero adottare un approccio conservativo. Siamo rimasti sorpresi dalla resilienza mostrata dai mercati sin da inizio anno. Mentre Wall Street si è preparata a una contrazione per gran parte degli ultimi due anni, l’economia statunitense ha tenuto soprattutto grazie alla liquidità e alla resilienza dei consumi e del mercato del lavoro.

    Di recente, sta cominciando a emergere invece una maggiore avversione al rischio. In questo momento, siamo più pessimisti rispetto alla maggior parte degli investitori su ciò che ci aspetta da qui in avanti e pensiamo che l’economia statunitense si stia deteriorando più di quanto stimasse il consensus negli scorsi mesi. Questo ci ha portato a essere rialzisti sull’obbligazionario e molto più cauti sull’azionario.

    Pensiamo che l’effetto dei rialzi dei tassi d’interesse della Federal Reserve, mirati a rallentare l’economia e a ridurre l’inflazione, cominceranno a far sentire i loro effetti sull’economia reale. Da tempo si ritiene che l’aumento dei tassi abbia effetti ritardati, la cui tempistica è incerta e dipende da una serie di fattori.

    Potrebbe sembrare audace dirlo, ma stiamo andando incontro a una recessione, perché è così che funzionano i cicli economici. Non ne abbiamo avuta una vera e propria da oltre un decennio e mezzotranne che per un breve lasso di tempo.

    In questo contesto, destano preoccupazione le aziende e i consumatori che hanno utilizzato la strategia “extend and pretend” per rimandare il pagamento dei prestiti. Questa strategia è stata il fondamento dell’economia statunitense, soprattutto per i consumatori e per le piccole e medie imprese, che però in un contesto in deterioramento faranno fatica a finanziarsi. Questo scenario ci porta a una prospettiva relativamente ribassista.

    Abbiamo avuto molti eccessi sui mercati negli scorsi anni e occorre andare verso una normalizzazione, anche se l’atterraggio questa volta rischia di essere più duro. Quando il capitale si riprezza in modo così aggressivo, qualcosa si rompe. Già si sono sentiti i primi scricchiolii sul mercato: si sono viste forti criticità sui fondi pensione britannici, sono fallite alcune banche regionali Usa e ci saranno altri problemi in futuro.

    Un altro motivo per essere cauti, è che oggi siamo pagati per essere pazienti. La liquidità ha un buon ritorno e conviene essere difensivi, investendo in titoli investment grade di alta qualità o restando nello spazio del debito cartolarizzato, MBS, cash e Treasuries. Tutti questi strumenti stanno remunerando gli investitori. E li remunerano per pazientare e vedere gli effetti del rialzo dei tassi, perché ancora non abbiamo visto il pieno effetto della politica restrittiva.

  • Payden & Rygel – Il punto sui corporate bond Usa

    Payden & Rygel – Il punto sui corporate bond Usa

    A cura di Natalie Trevithick, responsabile delle strategie US Investment Grade di Payden & Rygel

    Milano, 5 ottobre 2023 – I rendimenti dei corporate bond statunitensi hanno superato il 6%. Tuttavia, il brusco rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Fed in settembre ha praticamente compensato i rendimenti su base annua dei bond da 1 a 30 anni, i cui ritorni sono ora praticamente nulli. 

    Ciononostante, in prospettiva, dopo aver evitato lo shutdown del governo federale, siamo inclini a ritenere che il ciclo rialzista della Fed stia per concludersi e che i tassi di interesse abbiano ormai raggiunto il loro picco. Pertanto, dal punto di vista degli investimenti, un ampliamento dell’allocazione a favore delle obbligazioni societarie investment-grade potrebbe offrire rendimenti interessanti. Inoltre, se la Fed dovesse optare per un taglio dei tassi già nel corso del prossimo anno, riteniamo che questo compenserebbe l’eventuale allargamento degli spread e potrebbe contribuire a incrementare ulteriormente i rendimenti totali nel 2024.

    In effetti, nonostante la curva dei rendimenti al momento sia ancora invertita, stiamo assistendo a un rafforzamento della domanda per la parte più a lungo della curva: gli investitori, infatti, cercano di “bloccare” rendimenti così interessanti più a lungo e non sono necessariamente disposti ad affrontare il rischio di reinvestimento qualora scegliessero una scadenza più preve, come ad esempio T-bills a 1 anno al 5,5%.

  • T. Rowe Price – Verso un nuovo shutdown del governo Usa, cosa aspettarsi

    T. Rowe Price – Verso un nuovo shutdown del governo Usa, cosa aspettarsi

    A cura di Nikolaj Schmidt, Chief International Economist, T. Rowe Price

    Come è ormai consuetudine a causa della polarizzazione che vive la politica americana, gli Stati Uniti si trovano di fronte a un’altra scadenza fiscale ed è probabile che domenica sera si verifichi uno shutdown del governo. Ci si aspetta che lo shutdown duri relativamente poco, circa 2 settimane. Quali saranno le implicazioni?

    Le implicazioni economiche

    Dal punto di vista economico, le conseguenze saranno probabilmente marginali. Naturalmente, nel breve periodo si verificherà un indebolimento della domanda a causa della forte riduzione della spesa pubblica e della cassa integrazione dei dipendenti statali. Questa debolezza sarà compensata dalla riapertura del governo e dall’erogazione degli stipendi arretrati. Il Pil subirà una frenata di circa lo 0,2% per ogni settimana di shutdown. Il blocco delle attività amministrative sottolinea la polarizzazione e la disfunzionalità dell’attuale sistema politico e aumenta marginalmente l’incertezza economica, contribuendo a disincentivare investimenti e consumi. Anche le agenzie di rating, come Moody’s, hanno notato che questi continui episodi di disfunzionalità sono negativi per il merito di credito degli Stati Uniti. Non ci aspettiamo che lo shutdown porti a un altro declassamento del rating. Se così fosse, mi aspetterei un impatto marginale, ma rafforzerà l’incertezza. Una delle conseguenze di questa situazione sarà il ritardo della pubblicazione di dati chiave come il rapporto sull’inflazione e i dati sull’occupazione. Tuttavia, saranno disponibili le informazioni dei sondaggi prodotti dalla Fed, i dati sull’occupazione di ADP e le richieste iniziali di sussidi alla disoccupazione. Di conseguenza, i mercati finanziari e i policy maker opereranno sulla base di pochi dati ma non in totale assenza di essi.

    Implicazioni per la politica monetaria

    Per quanto riguarda la politica monetaria, nella situazione attuale, non pensiamo che la Fed intenda adottare alcuna misura a sostegno di un allentamento delle condizioni finanziarie. Pertanto, lo shutdown non sarà associato a una sorpresa dovish da parte della Fed. Tuttavia, l’esito della riunione del Fomc di settembre è servito a inasprire in modo sostanziale le condizioni finanziarie e, pertanto, riteniamo che la Fed manterrà un atteggiamento da falco, ma potrà attendere che siano disponibili dati chiave prima di intraprendere ulteriori azioni. Questo è grosso modo quello che sta prezzando il mercato.

    Le implicazioni per i mercati

    Quando l’incertezza aumenta, gli investitori tendono a ridurre le posizioni. Nella notte dello shutdown governativo, il mercato si trova lungo sul dollaro statunitense rispetto alle altre valute e corto sui tassi di interesse. Inoltre, il quadro dei dati è destinato a diventare più debole. Di conseguenza, dal punto di vista del reddito fisso, mi aspetto che lo shutdown porti a un deprezzamento del dollaro americano e a un moderato rally del mercato obbligazionario.
    I titoli azionari e il credito beneficeranno di una tregua nel sell off dei tassi d’interesse, ma i dati sulla crescita più deboli rappresenteranno probabilmente un freno. Al netto di tutto, ci aspettiamo che lo shutdown del governo finisca per essere marginalmente negativo per il mercato azionario.

    L’implicazione più preoccupante del probabile shutdown è che sottolinea la disfunzionalità di Washington. E questo in un momento in cui gli investitori hanno iniziato a chiedersi se l’ingente deficit fiscale possa essere finanziato. L’immobilismo e la polarizzazione politica non favoriscono il consolidamento del bilancio e non aumentano la fiducia degli investitori in titoli di Stato statunitensi. Inoltre, in assenza di uno sforzo di natura fiscale significativo, l’aumento dei tassi di interesse manterrà sicuramente il deficit di bilancio su una traiettoria ascendente. Lo shutdown del governo è un sintomo, ma il vero problema è la malattia della polarizzazione politica.

  • GAM: Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare USA?

    GAM: Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare USA?

    A cura di Tom Mansley, Investment Director per le strategie MBS di GAM

    Il mercato dei mutui ipotecari negli Stati Uniti è di dimensioni significative: oltre 10.000 miliardi di dollari, più grande del mercato delle obbligazioni societarie. Ci sono due modi per accedere a questo mercato: uno è quello dei mutui garantiti dal governo e l’altro è attraverso il credito. Noi preferiamo il seasoned credit dei mutui emessi prima della crisi del 2008/9 (oltre 15 anni fa) in quanto offrono flussi di cassa stabili. Questi mutui appartengono a persone che vivono nelle proprie case da molto tempo, che hanno dimostrato di essere in grado di pagare e che possiedono una grande quantità di capitale proprio. Di conseguenza, si tratta di un asset sottostante molto stabile e in gran parte non correlato con gli asset sensibili al credito. Il mutuo più diffuso è quello a tasso fisso di 30 anni. Di conseguenza, l’aumento dei tassi non ha un impatto significativo sul credito ipotecario negli Stati Uniti, in quanto molti proprietari di case hanno mutui a tasso fisso; non si tratta di un regime a tasso variabile come in altre parti del mondo, dove le rate aumentano al crescere dei tassi.

    Cosa sta succedendo nel mercato immobiliare?

    Attualmente una delle domande più frequenti che ci vengono poste è: se i tassi dei mutui sono alti, perché ci sono state poche insolvenze e perché i prezzi delle case non stanno scendendo? Molti temono che i tassi elevati e le case con prezzi inaccessibili possano provocare un altro crollo. Tuttavia, come diciamo da un po’ di tempo, ci aspettiamo un calo seguito da una stabilizzazione perché c’è un forte squilibrio tra domanda e offerta. Negli Stati Uniti, il tasso di sfitto, cioè il numero di case vuote, è ai minimi da 60 anni. L’offerta è molto limitata e le scorte non sono molte.

    In termini di domanda, consideriamo quante nuove famiglie si formano ogni anno e quante nuove case vengono costruite ogni anno. Dal 2009, la domanda di alloggi è stata di gran lunga superiore alla costruzione di case. Ciò è avvenuto per molto tempo perché i millennial non hanno acquistato case, scegliendo invece l’affitto. Di conseguenza, attualmente c’è una forte domanda repressa da parte di una grande fetta demografica della società.

    A partire dalla metà degli anni 2000, i millennial hanno spesso optato per l’affitto per vivere in città, evitando di acquistare case. Tuttavia, quando hanno iniziato ad avere figli, hanno avuto bisogno di comprare. La tendenza all’acquisto di case è iniziata intorno al 2016, per poi accelerare durante il Covid. Ora stanno acquistando nonostante l’aumento dei tassi perché hanno bisogno di comprare casa e hanno il reddito e i risparmi per farlo. Un’ampia fetta demografica di un Paese ha ritardato l’acquisto di una casa per circa 10 anni; si tratta di un’ampia domanda da recuperare e questo è ciò che mantiene i prezzi delle case al livello attuale, pari al picco del giugno 2022.

    Perché gli MBS ora?

    Gli spread sono ampi su base storica e generano oltre 300 punti base di extra-rendimento rispetto ai Treasury, con un rendimento di circa il 7,5%. Oltre al rendimento corrente, è ragionevole aspettarsi delle plusvalenze in futuro, quando gli spread si normalizzeranno.

    Perché gli spread sono ampi?

    C’è una paura associata ai mutui. In molte località vige un regime di tassi variabili, che rappresenta un vero problema; i mutui possono diventare più alti e diventa più difficile per i proprietari di casa far fronte al rimborso, causando un problema di credito al consumo. Mentre, negli Stati Uniti, l’aumento dei tassi da parte della Fed ha un impatto minimo sui proprietari di casa.

    I nostri titoli garantiti da mutui residenziali (RMBS) seasoned hanno un forte rapporto prestito/valore e, a nostro avviso, gli spread non dovrebbero essere così ampi. Gli spread scenderanno grazie a un concetto di non-default dimostrato; in altre parole, man mano che continueranno a registrare buone performance, rientreranno.

    Uno dei fattori di supporto che riteniamo impedirà i default di massa è il tasso di disoccupazione. È inferiore al 4%, un valore storicamente molto basso. La disoccupazione potrebbe aumentare in modo sostanziale fino a raggiungere un tasso di disoccupazione “normale”, motivo per cui la Fed non si preoccupa della disoccupazione: è troppo bassa e inflazionistica. Tutti hanno un lavoro, le rate sono ridotte e quindi le morosità sono basse. La gente ha anche molti risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. Le morosità probabilmente aumenteranno leggermente, ma solo perché in questo momento sono molto basse; siamo ben al di sotto della norma.

    Un’altra ragione per cui gli spread dovrebbero rientrare è che la gente poggia su mutui al 3% e non intende cambiare, quindi non c’è molto turnover. In media, il turnover è del 6% e sale all’8% nei periodi di congiuntura favorevole. Ora sta scendendo al di sotto del 6%. Se il turnover diminuisce, l’offerta di RMBS sarà inferiore. Non ci sono più mutui seasoned e il mercato secondario è sempre più piccolo. Questa mancanza di offerta di RMBS dovrebbe portare gli spread a ridursi in futuro.

  • PIMCO: Lo shutdown del governo degli Stati Uniti – una questione di quando, non di se?

    PIMCO: Lo shutdown del governo degli Stati Uniti – una questione di quando, non di se?

    A cura di Libby Cantrill, Head of US Public Policy di PIMCO

    1.         Cosa sta succedendo? Con soli 8 giorni di legislatura in programma prima del 30 settembre, il Congresso ha poco tempo per approvare una legge di finanziamento del governo per evitare lo shutdown prima dell’inizio dell’anno fiscale 2024 (1° ottobre). Un accordo negoziato con diverse fazioni di repubblicani alla Camera è crollato domenica non appena è stato reso noto.

    2.         Opinione diffusa a Capitol Hill: lo shutdown è una questione di quando, non di sé. Il presidente della Camera McCarthy si trova in una situazione difficile: l’House Freedom Caucus non vuole che approvi una legge di finanziamento a breve termine e non vuole nemmeno che approvi un omnibus bill basato su livelli di finanziamento già concordati e non c’è abbastanza tempo – o consenso tra i repubblicani alla Camera – per rinegoziare questi livelli. In altre parole, lo shutdown del governo sembra essere l’unica opzione possibile per tranquillizzare il gruppo conservatore di parlamentari repubblicani.

    3.         La nostra preoccupazione: la durata. Se il governo chiude, potrebbe non esserci un catalizzatore per la sua riapertura, date le complicate dinamiche interne dei Repubblicani alla Camera. Il più lungo shutdown del governo è stato di 16 giorni nel 2013, ed ha ridotto il PIL di circa il 6% – anche se una parte dell’impatto sulla crescita è stata temporanea, una parte è stata duratura. Oggi c’è un ulteriore fattore da considerare: una Fed dipendente dai dati. Durante lo shutdown non verrebbero raccolti o diffusi dati economici, tra cui quelli relativi al PIL, ai salari e all’inflazione, e anche alla riapertura del governo i dati subiranno ritardi. Tutto ciò implica che la Fed – che ha sottolineato quanto sia attualmente dipendente dai dati – si troverebbe ad andare alla cieca fino a novembre, quando si terrà la prossima riunione (dopo quella di questa settimana) e potrebbe essere riluttante ad aumentare i tassi.

    4.         In conclusione: Dal nostro punto di vista, è più probabile che lo shutdown si verifichi che non, e i tempi ristretti e la mancanza di una roadmap rafforzano questa opinione. Sebbene i mercati abbiano storicamente preso bene le chiusure, questa potrebbe differire in quanto si scontra con diversi altri venti contrari per l’economia (ripresa del pagamento dei rimborsi dei prestiti agli studenti, sciopero dei lavoratori del settore automobilistico, aumento dei prezzi del gas, ecc.) e per il consumatore che finora è stato resiliente. Tutto questo per dire che lo shutdown del governo potrebbe avere un impatto maggiore di quanto molti pensino.

  • J. SAFRA SARASIN: Obbligazionario USA – i mercati abbracciano la narrativa “higher for longer”

    J. SAFRA SARASIN: Obbligazionario USA – i mercati abbracciano la narrativa “higher for longer”

    A cura di Alex Rohner, Fixed Income Strategist di J. Safra Sarasin

    Negli ultimi mesi, i dati economici statunitensi hanno mostrato una sorprendente tenuta, contrariamente a quanto avrebbero previsto gli indicatori anticipatori o le indagini sul sentiment, suggerendo che la forte stretta monetaria attuata finora (525 pb di rialzo dei tassi integrati da una stretta quantitativa entro 18 mesi) sia meno efficace del previsto.

    Pertanto, l’attenzione del mercato si è orientata verso la previsione che i tassi di policy rimangano elevati per un periodo di tempo più esteso, al fine di raggiungere l’obiettivo di rallentare l’economia in misura sufficiente a far scendere l’inflazione al 2%, precludendo così una rapida riduzione dei tassi. Le aspettative di una traiettoria più elevata per i tassi di policy hanno portato anche a un aumento dei tassi dei Treasury a lungo termine.

    I rendimenti obbligazionari a lungo termine sono semplicemente un’estensione del tasso di policy della banca centrale. Rappresentano la media geometrica dei tassi di policy futuri attesi per la durata dell’obbligazione più un premio per compensare il rischio (di prezzo) associato alla detenzione di un’attività a lunga scadenza. In effetti, il tasso implicito dei Fed Funds a 3 anni si adatta bene al rendimento del Tesoro USA a 10 anni.

    Di conseguenza, la curva dei rendimenti statunitense ha ricominciato a diventare più ripida, con un aumento dei tassi a lungo termine, mentre la parte a breve è rimasta invariata. Questo cosiddetto “bear steepening” della curva dei rendimenti non si verifica frequentemente durante i cicli di inasprimento, ma data la versione sostanziale della curva dei rendimenti, non è del tutto inaspettato. Il movimento si è verificato per due motivi: (1) i tassi di policy sono probabilmente già vicini al loro picco, ma, come già accennato, (2) l’apparente resilienza dell’economia statunitense ha portato i mercati a prezzare un livello più elevato dei tassi di policy oltre il 2024, con conseguente pressione al rialzo sui tassi a più lungo termine.

    Di conseguenza, notiamo che il mercato dei tassi USA ha adottato una narrativa più “alta per più tempo”. La traiettoria dei tassi sui Fed Funds attualmente prezzata implica un minimo ciclico di circa il 4% alla fine del 2025 e un successivo leggero rialzo. In questo contesto sono importanti due osservazioni: (1) i mercati attualmente prezzano il punto di minimo della traiettoria dei tassi sui Fed Funds circa 150 pb al di sopra del tasso di policy di equilibrio di lungo periodo della Fed stessa e (2) i mercati non prezzano un ciclo di tagli dei tassi che sia in qualche modo associato a una recessione anche lieve. I mercati, quindi, prezzano una resistenza costante e sostanziale dell’economia statunitense a tassi (reali) significativamente più elevati e un aggiustamento morbido verso il basso dell’inflazione e della crescita economica che consenta alla Fed di allentare gradualmente i tassi di policy nel corso del tempo.

    Sebbene gli attuali prezzi di mercato suggeriscano che l’orientamento monetario complessivo non sia eccessivamente restrittivo, le misure più tradizionali non sono d’accordo: (1) la sostanziale inversione della curva dei rendimenti indicherebbe il contrario, (2) i tassi reali impliciti nei rendimenti dei TIPS a 10 anni rispetto alla stima della Fed del tasso di interesse neutrale di equilibrio suggeriscono già un grado significativo di restrizione monetaria. Data la rapidità dell’aggiustamento (300 pb dei 525 pb totali di inasprimento cumulativo si sono verificati solo negli ultimi 12 mesi), il tempo necessario affinché la politica monetaria si trasmetta all’economia reale potrebbe essere un anello mancante.

    La politica monetaria funziona con ritardi lunghi e variabili, almeno 12 mesi; quindi, ci vuole tempo perché una politica monetaria più restrittiva si ripercuota sull’economia reale. Dato che il settore privato ha prefinanziato un’ampia fetta delle sue passività a tassi bassi (mutui, passività societarie) e che i risparmi lasciati dalla pandemia COVID sono ancora lì per essere spesi, ci sono ragioni per credere che questa volta i ritardi potrebbero essere ancora più lunghi. Ciò implicherebbe che i pieni effetti della stretta monetaria cumulativa devono ancora essere avvertiti nei prossimi trimestri, il che spiegherebbe in parte la resistenza dell’economia statunitense a un contesto di tassi nettamente più elevati.

    Qualsiasi stima del tasso neutrale è incerta e va considerata con cautela. Tuttavia, l’attuale quotazione del mercato dei tassi USA rappresenta un compromesso rischio/rendimento poco conveniente nel medio termine. Ci sono buone ragioni per aspettarsi ulteriori venti contrari per l’economia statunitense a causa degli effetti ritardati di un forte aumento dei tassi reali nei prossimi trimestri. L’attuale valutazione del mercato dei Treasury statunitensi implica un tasso finale a breve termine sostanzialmente superiore al tasso di policy di lungo periodo della Fed. Sebbene ciò non precluda potenziali movimenti avversi dei rendimenti nel breve periodo, il rendimento attuale offre un sostanziale cuscinetto.

  • COMGEST: L’ECONOMIA USA RIMANE SOLIDA

    Christophe Nagy, Gestore del fondo Comgest Growth America di Comgest

    L’indice S&P 500 è sceso del 3,7% ad agosto 2023, dopo un rally del +20,3% da gennaio a fine luglio in USD. L’economia statunitense rimane solida, con un aumento del PIL del 2,4% nel secondo trimestre del 2023, rispetto al +0,5% dell’Unione europea. Il tasso di disoccupazione statunitense rimane basso, pari al 3,5% a luglio, e l’economia trainata dai consumi sta registrando una spesa al dettaglio resiliente, pari al +3,2% a luglio. L’inflazione sta scendendo e si attesta ad appena il 3,2% su base annua rispetto al +8,5% di luglio 2022. L’impennata dei prezzi avvertita da consumatori e imprese dovrebbe iniziare a diminuire, portando a una crescita trainata potenzialmente più dai volumi, che contribuirebbe ad alleviare i problemi delle scorte, della catena di approvvigionamento e dei trasporti.

    La Federal Reserve statunitense sta monitorando gli effetti del rapido aumento del tasso guida da essa operato, passato sostanzialmente dallo 0% all’inizio del 2022 a oltre il 5% di oggi. Se da un lato ciò ha offerto più opzioni ai risparmiatori statunitensi, dall’altro l’aumento dei costi di finanziamento sta portando molte aziende ad ottimizzare i propri processi interni nell’”anno dell’efficienza”. Sul fronte macro, una delle principali preoccupazioni è il “disallineamento ” tra Stati Uniti e Cina.

    Eli Lilly continua a primeggiare con un aumento dei ricavi del 28%, guidato dal nuovo farmaco per il diabete e l’obesità Mounjaro. I recenti dati clinici del concorrente Novo Nordisk hanno rappresentato un grande passo avanti verso un più ampio rimborso dei pazienti, dimostrando i potenziali benefici cardiovascolari (minore mortalità) dei farmaci per la perdita di peso.

    Intuit ha pubblicato risultati positivi nel suo segmento Small Business, con una crescita del fatturato di gruppo a due cifre e un miglioramento del margine.

    Rimaniamo prudenti nell’allocazione del capitale, alla ricerca di società con solidità patrimoniale, ricavi ricorrenti, quote di mercato importanti e rendimenti elevati.

  • Takeaway cinese. E le conseguenze di una scelta azzardata sui tassi

    Takeaway cinese. E le conseguenze di una scelta azzardata sui tassi

    La settimana dei mercati – Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay AM

    In sintesi

    •                    La pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense ha mostrato che l’inflazione core non sta scendendo così rapidamente come si sperava, il che apre la porta a ulteriori rialzi dei tassi

    •                    La BCE ha aumentato i tassi di 25 punti base e il Consiglio direttivo potrebbe aver terminato la stretta sui tassi, ora al 4%

    •                    Il PIL del Regno Unito si è contratto, a causa della debolezza della spesa dei consumatori

    •                    Il governatore della BoJ Ueda sembra rivalutare la politica monetaria, sulla scia dell’aumento dell’inflazione e della pressione sullo yen

    •                    Sebbene le relazioni tra Cina, Stati Uniti ed Europa rimangano intrecciate, persistono segnali di tensione

    (11-15 settembre 2023) – I rendimenti statunitensi non sono cambiati di molto nell’ultima settimana, sulla scia del rapporto CPI statunitense di questa settimana. Ciononostante, l’inflazione core, pari al 4,3%, non sta scendendo così rapidamente come alcuni speravano. La prospettiva di un ulteriore inasprimento della politica monetaria da parte della Fed resta in gioco nel quarto trimestre. Tuttavia, ci aspettiamo una pausa nella prossima riunione di settembre, poiché la traiettoria dei rialzi diventa più ridotta e la politica monetaria si sposta ulteriormente in territorio restrittivo.

    La nostra sensazione è che l’inflazione stia diventando più rigida, in quanto le aspettative si stanno riassestando. Se il CPI dovesse attestarsi tra il 3-4%, sarà probabilmente difficile per la Fed approvare un allentamento della politica monetaria per diversi trimestri a venire. In questo contesto, continua a sembrare prematuro detenere molto rischio di duration con la curva dei rendimenti strutturalmente invertita.

    Tuttavia, se e quando diventerà più interessante acquistare, si potrebbe perdere valore nella parte anteriore della curva dei rendimenti, se i futuri tagli dei tassi saranno prezzati. In questo scenario, nei prossimi mesi appare più probabile un rialzo della curva dei rendimenti piuttosto che un suo appiattimento.

    I rendimenti dell’Eurozona sono variati di poco nel corso della settimana. La decisione della Bce di rialzare i tassi di 25 punti base questa settimana sembra essere stata una scelta azzardata e riteniamo che il Consiglio Direttivo possa aver terminato di inasprire i tassi sui depositi, ora al 4%.

    Le proiezioni di inflazione leggermente più elevate, in un momento in cui le previsioni di crescita vengono ridimensionate, dipingono un quadro piuttosto cupo per le prospettive europee nei prossimi mesi. I rischi di stagflazione sono presenti in tutta la regione, anche se in un contesto europeo più ampio sono probabilmente più elevati nel Regno Unito.

    Il Pil del Regno Unito si è contratto a luglio, in parte a causa del cattivo tempo estivo. Tuttavia, la debolezza dei consumi non è stata solo una storia di minori vendite di gelati e, con il calo dei prezzi delle case, vediamo che i consumatori stanno sentendo il peso della crisi. Nel frattempo, i dati che mostrano un’accelerazione della crescita dei salari all’8,3% devono preoccupare la BoE, anche se l’aumento delle buste paga è moderato.

    In definitiva, pensiamo che questa è la forma che potrebbero assumere le cose nei prossimi mesi e che, se la crescita deluderà e l’inflazione si manterrà intorno al 5%, la Bank of England potrà procedere a un ulteriore rialzo per il momento, ma con il rischio di dover attuare una nuova stretta se l’inflazione dovesse riaccelerare ancora una volta a causa dei “second round effects”, ovvero un’incorporazione dell’aumento dei prezzi all’interno delle negoziazioni salariali.

    Riteniamo che la sterlina finirà per sopportare parte della pressione e quindi rimaniamo strutturalmente negativi sulla valuta, anche se si tratta di una scommessa che non ha dato grandi soddisfazioni da inizio anno.

    In Giappone, i commenti del Governatore Ueda sembra abbiano aperto a un aggiustamento anticipato della politica monetaria, sulla scia dell’aumento dell’inflazione e della crescente pressione sullo yen. Da quando si è insediato in aprile, Ueda ha mantenuto un atteggiamento dovish ed è apparso riluttante a sostenere un cambiamento di politica monetaria.

    Tuttavia, l’inflazione core si attesta al 4% e l’aumento dei prezzi sembra estendersi a tutta l’economia. Le prime stime per il ciclo salariale del prossimo anno si aggirano intorno al 5%, poiché i lavoratori cercheranno di recuperare il potere d’acquisto perduto, in un contesto di mercato del lavoro molto rigido.

    Nel frattempo, mentre i tassi di interesse reali diventano più negativi in un momento in cui le altre banche centrali hanno aumentato i tassi, la BoJ è ora responsabile dell’indebolimento dello yen, lasciando così relativamente vani gli sforzi da parte del Ministero delle Finanze per rafforzare la valuta. 

    Poiché questa dinamica persiste, ci aspettiamo che la pressione su Ueda e i suoi colleghi continui a crescere. Non crediamo ci sarà alcun cambiamento di politica monetaria alla riunione di settembre.

    Tuttavia, a ottobre, riteniamo che le proiezioni sull’inflazione saranno riviste al rialzo e che una dichiarazione sul raggiungimento di un’inflazione sostenibile al 2% potrebbe essere il pretesto per un’ulteriore mossa di politica monetaria. Riteniamo che il controllo della curva dei rendimenti potrà essere eliminato o reso superfluo in quel momento.

    Nel frattempo, prevediamo che il primo rialzo dei tassi della Bank of Japan al di sopra dello 0% avverrà prima della fine di quest’anno. In questo contesto, continuiamo a credere che i rendimenti dei JGB a più lunga scadenza dovranno continuare a salire, con un obiettivo compreso tra l’1,0 e l’1,2% entro la fine del 2023.

    Durante il vertice del G20 dello scorso fine settimana, l’India ha esercitato la sua crescente influenza sul comunicato congiunto concordato al termine dell’incontro, che non ha menzionato la Russia in relazione alla guerra e alle sofferenze in Ucraina.

    La geopolitica si sta ridisegnando in modo più multipolare, con il precedente vertice dei BRICS in Sudafrica che ha cercato di espandere il numero dei propri membri e la propria influenza sul mondo in via di sviluppo. Visto che il BRICS+ è un potenziale rivale del G20, Xi, così come Putin, non ha partecipato all’ultima riunione del G20. La decisione di includere l’Unione Africana tra i membri del G20, sostenuta dall’India, può essere vista nel contesto della battaglia per la fedeltà all’interno del Sud globale.

    In un momento in cui la Cina deve affrontare problemi economici interni, si sarebbe potuto pensare che le considerazioni internazionali sarebbero passate in secondo piano. Tuttavia, questo non fa parte del pensiero a lungo termine di Pechino e le capitali occidentali si stanno rendendo conto del rischio di non impegnarsi in modo più costruttivo con il mondo in via di sviluppo, in un periodo in cui la Cina ha raddoppiato i suoi sforzi nel contesto del programma Belt and Road e di altre iniziative volte per allontanare le nazioni dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

    Per quanto riguarda più specificamente la Cina, la scorsa settimana si sono registrati in tutta Europa sviluppi che indicano un deterioramento delle relazioni tra le rispettive potenze. Nel Regno Unito, c’è stata una protesta pubblica per lo spionaggio cinese all’interno dei corridoi di Westminster. Le case automobilistiche tedesche sono messe in difficoltà da imprese cinesi sponsorizzate dallo stato che gli fanno concorrenza.

    Nel frattempo, l’Italia ha annunciato l’uscita formale dal Belt and Road, dopo essere stata precedentemente criticata da Stati Uniti e Unione Europea per aver aderito all’iniziativa. Negli Stati Uniti, la scorsa settimana sono emerse nuove preoccupazioni per l’installazione di chip in grado di gestire l’intelligenza artificiale negli smartphone di produzione cinese, in un campo in cui gli Stati Uniti hanno mantenuto un vantaggio.

    Inoltre, ci sembra interessante che molte società di investimento e altri operatori stiano deliberatamente abbandonando la Cina, dopo aver fatto un gran parlare della necessità di adottare una strategia cinese come futuro motore di crescita e guadagni.

    Eppure, fino a questo momento, l’allontanamento da Pechino non è stato particolarmente evidente nei dati del commercio. Tuttavia, la notizia di questa settimana sul fatto che il Messico ha superato la Cina come primo partner commerciale degli Stati Uniti dimostra che il cambiamento è in atto e che la direzione di marcia è chiaramente indicata. In effetti, da un punto di vista macro, questo sarebbe un fattore che, a nostro avviso, potrebbe contribuire all’andamento dell’inflazione nei prossimi anni, a mano a mano che il panorama globale si rimodella verso un nuovo ordine globale.

    Nei mercati del credito delle imprese, l’attività di nuove emissioni è stata relativamente vivace nell’ultima settimana e ora è probabile che rallenti un po’. A livello di indice, l’Euro IG ha sovraperformato il mercato statunitense negli ultimi quindici giorni, invertendo una precedente sottoperformance. La domanda di nuovi titoli da parte degli investitori è stata relativamente robusta e, in generale, le condizioni di bassa volatilità continuano a sostenere i mercati del credito.

    Anche nello spazio sovrano la domanda è stata robusta. Tuttavia, le crescenti preoccupazioni per una politica fiscale accomodante e l’aumento dei deficit potrebbero pesare sugli spread, come si è visto per i BTP italiani nell’ultima settimana circa.

    Per contro, il rating della Grecia è stato migliorato dall’agenzia DBRS, anche se i mercati sembrano attendere l’esito della prossima revisione di S&P in ottobre come potenziale catalizzatore per l’inclusione nell’indice IG della Grecia, che potrebbe fornire una potente offerta tecnica per le obbligazioni, in quanto gli investitori passivi sono obbligati a comprare.

    Guardando al futuro

    In prospettiva, il decoupling dalla Cina potrebbe rivelarsi un fattore inflazionistico di cui i mercati non tengono ancora conto. Sembra che il lavoro facile per spingere l’inflazione verso il basso sia stato fatto, ma i progressi saranno molto più lenti man mano che entreremo nell’“ultimo miglio”. Ciò potrebbe rendere difficile per i policymaker cambiare rotta in modo prevedibile, il che significa che la duration offre un margine di rialzo limitato per il momento.

    Le valutazioni del credito appaiono piuttosto piene e, sebbene non vediamo un forte catalizzatore verso l’allargamento degli spread, il credito sembra offrire maggiori opportunità in termini di valore relativo piuttosto che da una prospettiva di beta.

    Nel frattempo, il rischio geopolitico potrebbe essere una potenziale fonte di volatilità del mercato. Un takeaway cinese potrebbe lasciare alcuni investitori con un po’ di mal di stomaco.

  • Inflazione Usa: è troppo presto per decretare la fine del ciclo di rialzi dei tassi

    Inflazione Usa: è troppo presto per decretare la fine del ciclo di rialzi dei tassi

    A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel

    Milano, 14 settembre 2023 – Ad agosto negli Stati Uniti l’Indice dei Prezzi al Consumo complessivo è salito al 3,7% su base annua, in linea con le attese, mentre l’indice core ha registrato un aumento dello 0,3% su base mensile, un dato leggermente al di sopra del consensus Bloomberg.

    A un tasso annualizzato, l’IPC core di agosto sarebbe pari al 4% circa, ben al di sopra del target del 2% della Fed: l’inflazione resta quindi resiliente, nonostante i beni rifugio siano aumentati solo dello 0,3%, una delle letture più deboli da molto tempo a questa parte. Molte volte, nel corso degli ultimi 18 mesi, gli investitori hanno sperato che un rallentamento del prezzo di beni o affitti avrebbe posto fine alle preoccupazioni sul fronte inflazione, ma +0,3% su base mensile è ancora un livello troppo elevato.

    Il dato dell’inflazione di agosto non esclude quindi la possibilità di ulteriori rialzi dei tassi: è troppo presto per decretare la fine del ciclo rialzista, anche qualora la Fed dovesse optare per una pausa nel corso della riunione della prossima settimana. Sicuramente, se l’inflazione su base mensile dovesse rimanere su questi livelli, i tagli dei tassi non sarebbero un’opzione praticabile, con buona pace degli investitori che sperano in un’inversione della politica monetaria Usa e in un taglio dei tassi già nei prossimi 12 mesi. 

    Questo materiale è stato approvato da Payden & Rygel Global Limited, società autorizzata e regolamentata dalla Financial Conduct Authority del Regno Unito, e da Payden Global SIM S.p.A., società di investimento autorizzata e regolamentata dalla CONSOB italiana.

    Questo articolo ha uno scopo puramente illustrativo e non è da intendersi come consulenza fiscale, legale o finanziaria professionale. Vi invitiamo a rivolgervi al vostro consulente fiscale, legale e finanziario per esaminare la vostra situazione specifica. Le dichiarazioni e le opinioni qui riportate sono aggiornate alla data del presente documento e sono soggette a modifiche senza preavviso. Inoltre, le opinioni espresse in questo articolo non sono necessariamente indicative dell’opinione di Payden & Rygel. Questo materiale non può essere riprodotto o distribuito senza l’autorizzazione scritta di Payden & Rygel.

  • L’inflazione Usa supera le attese: 3,7% in agosto

    L’inflazione Usa supera le attese: 3,7% in agosto

    A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm

    Milano, 13 settembre 2023 – Ad agosto l’Indice dei Prezzi al Consumo statunitense è salito al 3,7% su base annua, contro il 3,6% previsto, mentre l’inflazione core è scesa al 4,3%, in linea con le attese degli operatori. A pesare all’interno del paniere sono soprattutto i prezzi di energia (+5,6%), commodity energetiche (+10,5%) e tariffe delle compagnie aeree (+4,9%).

    Di conseguenza, stiamo assistendo a un calo dei futures azionari e, parallelamente, a un aumento dei rendimenti dei Treasury a due e dieci anni.

    Gli occhi di tutto il mondo erano puntati sui dati di oggi, che avrebbero dovuto essere decisivi per valutare un’eventuale svolta nella politica monetaria della Federal Reserve, lasciando intravvedere la possibile fine del ciclo di rialzi dei tassi. Così non è stato: i dati si limitano ad indicare il perdurare delle pressioni sui prezzi, lasciando intatte le probabilità di un nuovo rialzo nel corso della prossima riunione della Fed. Dopo essere scesa dal picco del 9,1% del giugno 2022 al 3,1% del giugno 2023, oggi l’inflazione è sicuramente più vicina al target del 2%, ma l’ultimo miglio si sta rivelando il più difficile da conquistare.

  • Comgest: Dinamiche del mercato americano

    Comgest: Dinamiche del mercato americano

    Christophe Nagy, Gestore del fondo Comgest Growth America di Comgest

    L’indice S&P 500 ha guadagnato il 16,6% in USD (+14,1% in EUR) nel primo semestre del 2023, sostenuto dal lieve rallentamento dei rialzi dei tassi d’interesse, dalla risoluzione della crisi del tetto del debito e dalla resilienza degli utili. Il rialzo è stato alimentato per lo più dalle società high-tech a elevata capitalizzazione e dal tema dell’intelligenza artificiale. A maggio l’inflazione è scesa al 4%, il livello minimo degli ultimi due anni. Il settore manifatturiero ha continuato a manifestare debolezza, con un impatto sulla catena di approvvigionamento, mentre il comparto dei servizi ha iniziato a evidenziare segnali di stagnazione. A metà giugno, si è verificato un aumento delle prime richieste di sussidi di disoccupazione, ma a partire da un livello basso, con il tasso di disoccupazione ancora al 3,7%. Sul fronte dei consumi, molti rivenditori al dettaglio e società di beni di consumo hanno osservato una diminuzione della spesa, anche se il fatturato dei servizi al dettaglio e alimentari statunitensi (escluso il gas) è cresciuto ancora.

    Al di fuori degli Stati Uniti, la ripresa economica cinese post-lockdown si è rivelata deludente. L’indice dei responsabili degli acquisti (PMI) cinese è sceso inaspettatamente dal 51,9 di marzo al 49,2 di aprile e ancora al 48,8 a maggio, indicando una contrazione dell’attività economica. La Cina ha implementato misure a sostegno di alcuni settori, come quello dei veicoli elettrici. L’aspetto positivo è che la debolezza dell’economia cinese, associata all’aumento delle scorte di carburante negli Stati Uniti, ha provocato un calo significativo del prezzo del greggio dall’inizio dell’anno.

    Oracle ha registrato una crescita di oltre il 70% e di oltre il 20% rispettivamente dell’infrastruttura e delle applicazioni cloud, nonostante il ridimensionamento dei budget per l’informatica. La società sta integrando l’acquisizione di Cerner (software per la gestione delle cartelle cliniche elettroniche), ponendo l’accento sulla gestione dei costi e investendo al contempo nella ricerca e sviluppo e nelle spese in conto capitale. La partnership con Nvidia e l’investimento in una delle principali piattaforme di IA, Cohere, collocano Oracle tra i maggiori provider per le start-up di IA generativa. Nel 1° trimestre dell’anno, i ricavi di Meta hanno registrato una nuova accelerazione, mentre i costi si sono ridotti. I ricavi pubblicitari sono saliti del 7% (escluso l’impatto dei cambi), sostenuti dall’incremento del 26% delle impressioni pubblicitarie. In particolare, Instagram ha guadagnato terreno rispetto a TikTok in termini di tempo di utilizzo da parte dell’utente, grazie alla crescente popolarità di Reels. Meta ha dimostrato resilienza anche sul fronte dei prezzi, a due anni dalla modifica della politica sul tracciamento dei dati da parte di Apple. La società continua a innovare, continuando a testare la pubblicità su Reels, espandendo i servizi WhatsApp e le applicazioni di IA generativa.

    Apple ha superato le stime dei ricavi, sostenuti dall’aumento del 2% delle vendite di iPhone nonostante il cambio sfavorevole e i ricavi da record sui servizi. I mercati emergenti hanno registrato un’ottima performance ed Apple sta esplorando investimenti strategici in India e in Vietnam. Sul fronte delle novità, Apple ha recentemente presentato il suo visore per la realtà aumentata mista e i prodotti che contengono gli ultimi chip. Nel complesso, grazie a fattori quali una base utenti fidelizzata e in espansione, un ecosistema potente, la crescente monetizzazione dei servizi e una gamma di prodotti innovativa, Apple è ben posizionata per continuare a crescere.

  • COMGEST: AZIONI USA – L’ANNO DELL’EFFICIENZA

    COMGEST: AZIONI USA – L’ANNO DELL’EFFICIENZA

    Christophe Nagy, Gestore del fondo Comgest Growth America di Comgest

    Un periodo senza precedenti per l’economia statunitense ha costretto le aziende a ottimizzare i processi, offrendo ampie opportunità ai fornitori di servizi “problem solving”. Gli eventi degli ultimi tre anni sono stati a dir poco straordinari. Abbiamo assistito a una pandemia globale, a un’ingente ondata di stimoli fiscali, a una guerra sul suolo europeo e a un’improvvisa stretta della politica monetaria. Di conseguenza, lo scenario economico è stato costretto a evolversi, con un aumento del costo del capitale, un mercato del lavoro rigido che fa lievitare i costi e una crescente preoccupazione per la gestione delle risorse limitate.

    È attraverso questa lente che le aziende devono analizzare il mondo e adattare i loro rispettivi processi per fare di più con meno. Abbiamo sentito molti gruppi dirigenziali definire il 2023 “l’anno dell’efficienza” e questo rispecchia molto i cambiamenti a cui stiamo assistendo nel mercato, come una rinnovata spinta verso la digitalizzazione, l’esternalizzazione dei servizi specialistici e un aumento del taglio dei costi. Riteniamo che ciò faccia parte di un cambiamento strutturale dell’economia.

    Si pensi, ad esempio, al fornitore di software Oracle. Fondata solo due anni dopo Microsoft, Oracle è diventata il fornitore dominante di software e tecnologie per database. Si tratta di una parte stabile e critica dell’infrastruttura dei clienti con contratti a lungo termine. Inoltre, l’azienda ha pazientemente aggiunto nuove opzioni alla sua offerta, diventando uno dei maggiori fornitori al mondo di pianificazione delle risorse aziendali in cloud. In sintesi, riteniamo che si tratti di una società con solide basi, attraverso un’attività tradizionale che genera elevata liquidità e che sta accelerando la sua crescita per soddisfare le esigenze dei clienti in questo nuovo contesto.

    Un altro esempio è GXO Logistics, una società statunitense a bassa capitalizzazione che gestisce magazzini per una vasta gamma di clienti blue-chip come Amazon, Nike e Boeing. I problemi della catena di fornitura sono stati uno dei principali fattori di differenziazione per le aziende durante la pandemia di Covid-19, con strozzature derivanti dalla Cina e da altri hotspot produttivi considerati come significativi fattori sfavorevoli. Di conseguenza, le opzioni di stoccaggio sono diventate sempre più pertinenti per i team di gestione di tutto il mondo. Tuttavia, l’ampliamento dei magazzini aziendali e delle catene di fornitura può essere complesso e richiede investimenti e competenze in aree quali l’automazione. Queste complessità spingono sempre più verso l’esternalizzazione, che è l’ambito in cui GXO è riuscita a prosperare, in quanto azienda leader nella logistica a contratto. Oltre all’offerta di servizi, apprezziamo particolarmente questa attività in quanto è caratterizzata da contratti a lungo termine, protezione dall’inflazione e garanzie di volumi minimi, il che offre come investitori un forte livello di visibilità.

    Trovare la posizione ideale

    Se da un lato la crescita è ovviamente un bene per un investimento, dall’altro non tutta la crescita è creata allo stesso modo. In qualità di investitori orientati alla crescita a lungo termine, abbiamo imparato a delineare le varie fasi del ciclo di crescita di una società e i livelli di maturità. Grazie a questo processo, abbiamo identificato quello che riteniamo il punto più favorevole della maturazione di un’azienda per l’investimento, che si verifica tra la fase di crescita iniziale e il declino nella la fase di ex-crescita. A nostro avviso si tratta di un periodo di “crescita costante e sostenibile”.

    Classifichiamo i primi segmenti della curva a S quality growth come Concept, Shooting Stars e Hyper Growth – corrispondenti essenzialmente alle prime fasi dello sviluppo di un’azienda, in cui l’opportunità di crescita esponenziale è al suo apice. Pur riconoscendone l’attrattiva in questa fase del ciclo, si tratta di un investimento da cui di solito ci asteniamo a causa della relativa mancanza di visibilità sui dati chiave e delle valutazioni tipicamente elevate. Un buon esempio è rappresentato da Peloton, che ha sovraperformato il mercato in modo significativo durante la pandemia, ma da allora è sceso ben al di sotto della media del mercato. Questo esempio sintetizza perfettamente il rischio di investire nella fase iniziale del ciclo di crescita, quando è più difficile valutare i fondamentali di un’azienda e perché di norma ci orientiamo verso l’estremità più matura dello spettro.

    La nostra preferenza è quella di investire in società che sono nel pieno delle loro forze, che riteniamo in grado di produrre un rendimento sostenibile e di detenerle a lungo termine. Ciò ci porta a una crescita costante e sostenibile. All’interno di quest’area, tendiamo a selezionare società che hanno modelli di business solidi e in grado di offrire una buona visibilità su utili, ricavi e altre metriche chiave. Riconosciamo inoltre che in questa fase di maturazione di una società, qualsiasi discrepanza con le valutazioni iniziali si è probabilmente regolata e le società sono scambiate in misura più prossima al loro valore intrinseco.

    Ovviamente facciamo alcune eccezioni a questa filosofia d’investimento. Tra gli esempi ci sono solitamente società che sembrano trovarsi nella fase Ex-Growth del loro ciclo, il che può aver fatto evolvere la loro offerta o diramato in altre aree. Ma, in generale, siamo alla ricerca di aziende di qualità con una base consolidata sul mercato.

    Un’opportunità di crescita unica

    Gli Stati Uniti sono noti per la loro cultura imprenditoriale e la loro capacità innovativa e continuano a offrire opportunità di crescita di qualità. Negli ultimi 15 il previsto aumento degli utili per azione a 12 mesi negli Stati Uniti (S&P500) è stato in media dell’1,6% superiore a quello dell’Europa (STOXX 600).

    Gli eventi degli ultimi tre anni hanno ridisegnato il modo in cui operano le aziende e hanno evidenziato la necessità di un’ottimizzazione. Con l’aumento dei costi in tutti i settori, le aziende non possono permettersi di appesantire i propri processi e quindi la necessità di servizi basati su soluzioni non è mai stata così grande. A nostro avviso si tratta di una fase importante del percorso del mercato statunitense, continuiamo a investire nelle società che riteniamo più adatte a far fronte a queste sfide.

  • T. Rowe Price – Jackson Hole: le implicazioni del discorso di Powell

    T. Rowe Price – Jackson Hole: le implicazioni del discorso di Powell

    EUROPA

    A cura di Tomasz Wieladek, Chief European Economist, T. Rowe Price

    Il presidente Powell ha appena segnalato che la Federal Reserve procederà con cautela nel considerare il prossimo rialzo dei tassi. È importante notare che il suo discorso ha riconosciuto una crescita più forte e un mercato del lavoro più resistente del previsto. Ha sottolineato che è necessario un periodo di crescita inferiore al trend per riportare l’inflazione al target. Ha sottolineato che la politica rimarrà restrittiva finché l’inflazione non diminuirà in modo sostenibile.

    Il fatto che la Fed continuerà a dipendere dai dati e potrebbe alzare ancora i tassi in risposta alla forte crescita e alla tenuta del mercato del lavoro, mantenendo una politica restrittiva per un periodo prolungato, ha implicazioni importanti per l’Europa e la Bce.

    In primo luogo, a differenza degli Stati Uniti, ci sono chiari segnali che l’economia europea sta scivolando verso la recessione. Ma la Fed potrebbe alzare ancora i tassi quest’anno e mantenere la politica restrittiva per un periodo di tempo prolungato. In ultima istanza, i mercati potrebbero prezzare eventuali tagli della Federal Reserve più in là nella curva rispetto ad oggi. Ciò indebolirebbe l’euro nei confronti del dollaro, con la prospettiva di un cambio EUR/USD a 1,05. Un euro più debole darebbe sollievo all’industria manifatturiera europea in difficoltà. Tuttavia, i prezzi delle materie prime, dei prodotti alimentari e del petrolio diventerebbero più costosi in euro. L’inflazione rimarrebbe più a lungo al di sopra dell’obiettivo rispetto a quanto previsto in precedenza. La Bce potrebbe quindi essere costretta a rialzare nuovamente i tassi o a mantenere la politica più restrittiva più a lungo, nonostante i segnali di debolezza della produzione inviati dai PMI di questa settimana, per tenere a bada qualsiasi ulteriore inflazione derivante da un euro più debole.

    Se la politica monetaria statunitense rimarrà restrittiva più a lungo del previsto, ciò si rifletterà anche in un aumento dei rendimenti obbligazionari globali, il che rappresenta una sfida significativa per la sostenibilità del debito della periferia europea. Un tasso di interesse di equilibrio permanentemente più alto e quindi tassi di policy più elevati implicano che i rendimenti decennali statunitensi rimarranno a livelli molto più alti rispetto al decennio precedente la pandemia. Il rapporto debito/PIL in Italia supera ormai il 150% e le prospettive di crescita a lungo termine sono deboli. Ciò comporta il rischio che i mercati tornino a percepire la dinamica del debito italiano come insostenibile. Ciò significa anche che sarà difficile per la Bce svincolare completamente dal proprio bilancio i BTP in suo possesso. A causa di questi rischi, il QT della Bce potrebbe quindi avere una portata più limitata rispetto a quello di altre banche centrali.

    STATI UNITI

    A cura di Blerina Uruci, Chief U.S. Economist, T. Rowe Price

    Il discorso di Powell ha ripercorso i progressi dell’inflazione da quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi di interesse all’inizio del 2022: l’inflazione è scesa in modo significativo, mentre il mercato del lavoro ha retto in modo sorprendente. Ma ecco cosa conta di più quando si parla del futuro percorso dei tassi di interesse: ha osservato che due mesi di dati positivi non sono sufficienti per dare fiducia che l’inflazione sarà su un percorso di discesa duraturo. È emerso chiaramente che non pensa che la lotta della Fed all’inflazione sia finita e che, visti i dati recenti, è molto più probabile che la prossima mossa della Fed sia un rialzo che un taglio.

    Oggi abbiamo anche appreso due potenziali fattori scatenanti per il prossimo rialzo dei tassi di interesse: (1) segnali di accelerazione della crescita e di un’economia che continua a crescere al di sopra del suo tasso potenziale e (2) segnali che indicano che il mercato del lavoro non si sta allentandoulteriormente e che il processo di creazione di ulteriore allentamento del mercato del lavoro si è arrestato. I commenti di Powell ribadiscono che l’asticella per un rialzo a settembre è molto alta, ma che anche quella di novembre sarà una riunione molto importante.

    Powell ha inoltre ribadito che il target della Fed in materia di inflazione rimane del 2% e che è compito della Fed far sì che scenda, richiamando il tono del suo intervento a Jackson Hole dello scorso anno. Di recente ci sono state diverse pressioni affinché la Fed alzasse il suo target di inflazione. Mi aspetto che il dibattito su questo tema si intensificherà con l’avvicinarsi del prossimo Monetary Policy Framework Review, che avrà luogo tra un paio d’anni, ma non credo che la Fed darà molto sostegno a questa idea.

    La reazione iniziale del mercato ha visto un aumento della probabilità di un altro rialzo di 25 pb entro novembre e un aumento dei rendimenti lungo tutta la curva, in linea con il messaggio di Powell secondo cui i tassi potrebbero aumentare ulteriormente e rimanere più elevati più a lungo. Mi aspetto che,man mano che ci avviciniamo alla riunione di novembre, i tassi possano aumentare ulteriormente, in linea con la conferma che l’economia rimane sulla buona strada per espandersi nel resto dell’anno.

  • PIMCO: Per quanto tempo e in che misura i consumi statunitensi sosterranno l’economia?

    PIMCO: Per quanto tempo e in che misura i consumi statunitensi sosterranno l’economia?

    A cura di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO

    Se non esplicitamente indicato, le opinioni espresse non costituiscono opinioni ufficiali di PIMCO.

    A fronte di una politica monetaria più restrittiva, nell’ultimo anno l’economia statunitense si è dimostrata straordinariamente resiliente. Riteniamo che ciò sia dovuto in gran parte alla relativa stabilità della crescita dei consumi reali a fronte di una contrazione dei redditi reali avvenuta di recente. Il basso tasso di risparmio ha contribuito ad attenuare i modelli di consumo mentre i livelli dei prezzi aumentavano e gli adeguamenti salariali tardavano ad arrivare.

    Con circa il 4,5%, il tasso di risparmio degli Stati Uniti è ben al di sotto della media pre-pandemia del 7,5%-8% (secondo il Bureau of Economic Analysis degli Stati Uniti). Dagli anni ’70 a oggi, l’unico periodo caratterizzato da un tasso di risparmio più basso è stato il 2005-2007, quando molti consumatori hanno avuto un eccesso di leva finanziaria con l’acquisto di case e il relativo indebitamento.

    Una domanda chiave è se e per quanto tempo l’attuale tasso di risparmio dei consumatori sia sostenibile e tale domanda è direttamente correlata alla quantità di risparmi in eccesso che i consumatori stanno attualmente detenendo come risultato diretto o indiretto della pandemia.

    Il sostegno pubblico legato alla pandemia ha determinato un aumento sostanziale del reddito disponibile a livello economico, in un momento in cui la chiusura delle aziende e il distanziamento sociale per mitigare la diffusione del virus hanno portato a un calo significativo della spesa delle famiglie. Di conseguenza, il risparmio personale aggregato degli Stati Uniti è aumentato rapidamente, ben oltre il trend pre-pandemia e, nonostante l’aumento dei prezzi, questo eccesso di risparmio sta probabilmente sostenendo la spesa corrente.

    Le stime sull’attuale livello di risparmio in eccesso delle famiglie e sulla velocità con cui potrebbe essere “prosciugato” variano in modo sostanziale; esse dipendono dal ritmo tendenziale di risparmio ipotizzato, che è altamente incerto. Studi basati su varie stime di trend suggeriscono che il picco di risparmio in eccesso a livello economico dopo la pandemia negli Stati Uniti era probabilmente compreso tra i 2.000 e i 2.500 miliardi di dollari. L’attuale livello di risparmio in eccesso sembra sostanzialmente inferiore – o è stato ampiamente utilizzato, o probabilmente lo sarà entro l’inizio del prossimo anno. L’entità e la tempistica della riduzione del risparmio in eccesso sono importanti per le prospettive dei consumi statunitensi: secondo la teoria macroeconomica, è probabile che i consumatori aumentino il tasso di risparmio man mano che le scorte in eccesso diminuiscono.

    Le prospettive economiche degli Stati Uniti, e in particolare quelle riguardanti i consumi, sono di conseguenza sensibili alle prospettive del tasso di risparmio. Da un punto di vista puramente contabile, un aumento di 1-2 punti percentuali del tasso di risparmio nel prossimo anno è sufficiente a produrre previsioni di contrazione dei consumi reali e a contribuire a una prospettiva di lieve recessione economica. Tuttavia, ci sono diverse ragioni per rivalutare questa prospettiva:

    – In primo luogo, dopo essere salito all’inizio dell’anno, il tasso di risparmio degli Stati Uniti si è recentemente mosso in modo laterale. Naturalmente i dati possono essere rivisti (e i dati sul risparmio sono famosi per le revisioni), ma il fatto che il tasso di risparmio non abbia continuato a salire mentre i risparmi in eccesso diminuiscono, e prima del noto riavvio dei pagamenti dei prestiti agli studenti (che secondo le nostre stime ridurranno il reddito discrezionale annuo di 100 miliardi di dollari), lascia perplessi. Forse i consumatori hanno semplicemente un eccesso di risparmio superiore a quello implicito nelle stime più diffuse. Se questo è vero, allora indica che i bassi tassi di risparmio possono essere mantenuti ancora per un po’.

    – In secondo luogo, anche la ricchezza delle famiglie è cresciuta enormemente dopo la pandemia, in parte grazie al forte aumento del valore delle case. Certo, la capacità dei consumatori di attingere a questa ricchezza è stata limitata dalla possibilità di accedere alle linee di credito bancarie e le banche stanno restringendo gli standard di credito per molti consumatori. Tuttavia, è possibile che i consumatori stiano trovando altri modi per fare leva, ad esempio aumentando i saldi delle carte di credito – cosa che le banche e le società di carte di credito hanno sottolineato di recente – come modo per monetizzare la ricchezza.

    – In terzo luogo, l’indice del servizio del debito (DSR, Debit Service Ratio) non sta aumentando con la stessa velocità dei precedenti cicli di rialzo dei tassi, limitando l’effetto di assorbimento dei tassi più elevati da parte dei consumatori. La pandemia ha prodotto un notevole ricambio del mercato immobiliare con la migrazione delle persone dalle città, contribuendo (insieme al rifinanziamento dei mutui) all’attuale elevato numero di mutui a basso tasso fisso, che ha ridotto il DSR delle famiglie nonostante l’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. È possibile che questi pagamenti di interessi bassi e stabili diano ai consumatori maggiore fiducia nel fare leva in altri modi.

    A conti fatti, vediamo anche alcuni sviluppi da considerare con attenzione. Secondo Equifax, le morosità iniziano ad aumentare in vari segmenti, tra cui i prestiti auto, le carte di credito e i prestiti rateali al consumo, e le banche stanno inasprendo gli standard di prestito per i consumatori, in particolare per quelli con un reddito più basso e un basso rating creditizio. Nel corso dell’ultima conferenza stampa sugli utili trimestrali, i dirigenti di un importante rivenditore statunitense hanno dichiarato agli investitori che “si è registrato un aumento del tasso di morosità all’interno del portafoglio di carte di credito in tutte le fasi dei saldi”. L’aumento delle morosità si concentra probabilmente nelle famiglie a basso reddito e con risparmi esauriti. Nonostante un mercato del lavoro storicamente rigido e un aumento dei salari per i lavori meno retribuiti, molte di queste famiglie sono state probabilmente costrette dall’inflazione a ricorrere a un indebitamento eccessivo per mantenere il proprio tenore di vita. Tuttavia, le tendenze al di fuori delle fasce di reddito più basse sembrano riflettere una normalizzazione dopo i bassissimi tassi di morosità post-pandemia. La crescente biforcazione tra le famiglie a basso reddito e i loro pari con redditi più elevati ha fatto sì che la debolezza non fosse ancora visibile nelle statistiche sui consumi medi dell’intera economia.

    Cosa significa tutto questo per la politica della Fed? Come abbiamo detto nelle note recenti, un consumatore americano con più spazio di manovra riduce le probabilità di recessione a breve termine. Se da un lato questo è positivo per le famiglie in media, dall’altro probabilmente significa che l’economia generale, il mercato del lavoro e l’inflazione sottostante potrebbero non raffreddarsi così rapidamente come vorrebbero i funzionari della Fed. Sebbene sia probabile che l’economia debba ancora affrontare diversi venti contrari nella seconda metà dell’anno, che, insieme al deterioramento del credito per le famiglie a basso reddito, contribuiranno a raffreddare la situazione, i dati recenti suggeriscono che i consumatori (e l’economia) potrebbero rimanere sorprendentemente resistenti di fronte all’aumento dei tassi di interesse. Ciò significa che non è impensabile immaginare che la Fed non solo rimanga in attesa, ma che annunci ulteriori rialzi dei tassi l’anno prossimo.

  • T. Rowe Price – Jackson Hole: non è il momento di agitare le acque

    T. Rowe Price – Jackson Hole: non è il momento di agitare le acque

    A cura di Blerina Uruci, Chief U.S. Economist, T. Rowe Price

    Ci aspettiamo che Powell sia equilibrato e indichi che il Dot Plot di giugno riflette ancora il percorso più probabile dei tassi di interesse per quest’anno. Per quest’anno, le previsioni di giugno indicavano che un ulteriore aumento dei tassi di interesse sarebbe stato appropriato, crediamo che tale aumento sarà probabilmente effettuato nella riunione di ottobre/novembre.

    Un risultato dovish

    Se Powell riterrà di aver visto progressi sufficienti sull’inflazione e sull’allentamento del mercato del lavoro, tali da non voler procedere a un altro rialzo, il riepilogo delle proiezioni economiche alla riunione della Fed di settembre mostrerà probabilmente un punto mediano più basso. Tuttavia, riteniamo che ciò sia problematico per due motivi. L’evoluzione dei dati da giugno suggerisce che le previsioni del Fomc sulla crescita e sul tasso di disoccupazione erano troppo pessimistiche. Sarebbe difficile giustificare un minor numero di aumenti dei tassi se le prospettive economiche saranno più forti di quanto previsto.

    Alcuni indicheranno la recente decelerazione dei dati dell’indice dei prezzi al consumo come prova che il ciclo di inasprimento è terminato e che la Fed può persino parlare di tagliare i tassi di interesse, dato che l’inflazione sta rallentando e i tassi reali stanno aumentando di pari passo. Tuttavia, siamo preoccupati perché la recente debolezza dell’inflazione deriva dai prezzi delle auto e dei biglietti aerei/servizi di ospitalità in generale. Le prospettive dell’inflazione sembrano più incerte se ci si aspetta una ripresa dei prezzi di queste categorie così volatili. Inoltre, la misura dell’inflazione Core Personal Consumption Expenditures, che utilizza le componenti dell’inflazione dell’indice dei prezzi alla produzione e dell’IPC, sarà più forte a luglio rispetto ai dati dell’IPC. E più in generale, il progresso della disinflazione nei dati PCE è stato più lento, il che significa che non stiamo ricevendo un segnale inequivocabile da tutte le misure dell’inflazione.

    Più in generale, lo slancio della crescita nel terzo trimestre sembra essere forte, il che dovrebbe indurre la Fed a essere cauta nel dichiarare troppo presto la vittoria sull’inflazione. I dati sull’edilizia sono stati più resilienti di quanto ci si aspettasse e i prezzi delle case stanno aumentando, anche se i tassi ipotecari sono elevati e le case non sono così accessibili per la maggior parte delle famiglie. Lo slancio della crescita nel terzo trimestre sembra forte, anche se non si tiene pienamente conto del tracker della Fed di Atlanta che prevede una crescita vicina al 6%. Sul fronte del mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è ancora molto basso, anche se la crescita dell’occupazione è rallentata.

    Il punto fondamentale, a nostro parere, è che, anche con la recente decelerazione dell’inflazione, non possiamo essere certi che l’ultimo aumento dei tassi sia ormai alle spalle. E per quanto riguarda le recenti comunicazioni della Fed, trovo interessante che i membri del comitato stiano discutendo su quando sarà opportuno tagliare i tassi prima di avere una maggiore certezza di aver raggiunto il traguardo dell’ultimo rialzo. Penso che sia troppo presto per dichiarare vittoria, almeno credo che questa sia la lezione appresa dagli anni Ottanta.

    I recenti commenti della Presidente Daly sono stati azzeccati, in quanto la Fed ha visto il tipo di progresso sull’inflazione che si aspettava. Di conseguenza, ha senso non agitare le acque e continuare un percorso di politica monetaria in linea con le previsioni di giugno. Se il discorso di Powell a Jackson Hole sarà coerente, saranno i dati a fare la parte del leone per la Fed.