Gli Stati Uniti hanno presentato una nuova formula per il piano di cessate il fuoco a Gaza. Questa iniziativa mira a superare l’impasse nei negoziati in corso tra le parti coinvolte. Secondo quanto riportato dal sito Axios, Washington ha intensificato la sua pressione sui mediatori del Qatar e dell’Egitto affinché convincano Hamas ad accettare una versione estesa dell’articolo 8 del piano.
Dettagli della nuova proposta
La riformulazione proposta dagli Stati Uniti riguarda principalmente i negoziati successivi alla prima pausa del fuoco. Hamas, infatti, intende focalizzarsi sul rilascio dei prigionieri palestinesi, specificando chi e quanti verrebbero scambiati con gli ostaggi. Israele, dal canto suo, ha posto sul tavolo la questione della smilitarizzazione di Gaza come parte integrante delle discussioni.
Il ruolo di Qatar ed Egitto
Il Qatar e l’Egitto sono stati identificati come attori chiave per facilitare il dialogo tra Hamas e Israele. Gli Stati Uniti sperano che il loro coinvolgimento possa contribuire a persuadere Hamas ad accettare le modifiche proposte al piano di tregua, aprendo così la strada a una soluzione più duratura e stabile.
Prospettive future
Resta da vedere se la nuova formula proposta dagli Stati Uniti riuscirà a sbloccare i negoziati e a portare a un cessate il fuoco che soddisfi entrambe le parti. La comunità internazionale osserva attentamente gli sviluppi, sperando che questa nuova iniziativa possa portare a una pace sostenibile nella regione.
Nella giornata che ha visto la tragica perdita di sette operatori umanitari della ong World Central Kitchen, l’amministrazione Biden ha dato il suo assenso alla consegna di un sostanzioso arsenale bellico a Israele, secondo quanto riportato dal Washington Post.
La consegna, avvenuta proprio nel giorno del raid che ha scosso la comunità internazionale, comprendeva migliaia di bombe, inclusi oltre mille ordigni da 500 libbre, oltre a micce per le bombe MK80.
Questa decisione ha sollevato interrogativi e preoccupazioni sulla tempistica e sulle implicazioni di tale approvazione, avvenuta “poco prima” dell’azione che ha causato la morte dei volontari impegnati in attività umanitarie. La comunità internazionale osserva con crescente attenzione le mosse dell’amministrazione USA nel contesto di una situazione già fortemente tesa.
In una conversazione telefonica cruciale con il Primo Ministro Netanyahu, il Presidente Joe Biden ha sottolineato la posizione degli Stati Uniti sulla crisi a Gaza, legando la futura politica USA direttamente agli sforzi di Israele nel mitigare i danni ai civili, le sofferenze umanitarie e garantire la sicurezza degli operatori umanitari.
Il messaggio deciso di Biden ha sottolineato la necessità di un cessate il fuoco immediato, dichiarandolo essenziale per stabilizzare e migliorare la grave situazione umanitaria e proteggere le vite innocenti.
Evidenziando la gravità delle circostanze, Biden ha dichiarato inaccettabile l’uccisione di operatori umanitari.
La tragica perdita di sette membri della ong statunitense World Central Kitchen (Wck), colpiti mortalmente in un attacco, ha scatenato una forte reazione a livello internazionale. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha manifestato il suo “indignato” rincaro per l’accaduto, richiedendo al suo omologo israeliano, Yoav Gallant, l’adozione di misure immediate per la protezione di civili e operatori umanitari.
La tensione cresce anche dall’Australia, dove il primo ministro Anthony Albanese ha etichettato di “insufficienti” le spiegazioni fornite da Israele riguardo all’incidente, sottolineando come queste tragedie siano conseguenze dirette della guerra.
La Wck, da parte sua, ha puntato il dito contro la gestione dell’operazione militare israeliana, accusando specificamente il modo in cui il convoglio umanitario, “segnalato molto bene”, è stato preso di mira “auto per auto”. A seguito di questa drammatica esperienza, l’organizzazione ha annunciato la sospensione delle sue attività e ha invitato i paesi di origine delle vittime a sostenere la richiesta di un’inchiesta indipendente sull’accaduto.
Queste dichiarazioni pongono una luce critica sull’importanza della salvaguardia dei civili e degli operatori umanitari in zone di conflitto. L’appello di Austin e le reazioni internazionali sottolineano la necessità di una maggiore responsabilità e trasparenza nelle operazioni militari, così come l’urgenza di meccanismi efficaci per prevenire la perdita di vite innocenti in contesti bellici.
Durante un recente scambio telefonico con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il presidente cinese Xi Jinping ha definito la questione di Taiwan come la “prima linea rossa insormontabile” nelle relazioni tra Cina e USA, avvertendo che le “attività separatiste non resteranno incontrollate”. Questo messaggio chiaro da parte della leadership cinese sottolinea la delicatezza del tema Taiwan sul palcoscenico internazionale e la determinazione di Pechino nel salvaguardare la propria sovranità.
Dall’altro lato, la Casa Bianca ha descritto il dialogo tra i due capi di stato come “franco e costruttivo”, evidenziando “l’importanza di mantenere pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”. Questa comunicazione riflette la complessità delle relazioni sino-americane, caratterizzate da tensioni ma anche dalla ricerca di un terreno comune per il dialogo.
Un altro tema di rilievo toccato durante la conversazione è stata l’espressione di preoccupazione da parte di Biden riguardo alla cooperazione tra Pechino e Mosca per la ricostruzione dell’industria militare russa, dimostrando come le dinamiche geopolitiche influenzino le relazioni bilaterali tra le due maggiori potenze mondiali.
La questione di Taiwan continua quindi a essere un punto critico nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti, con implicazioni che vanno ben oltre il contesto bilaterale, interessando l’equilibrio di potere e la stabilità nella regione asiatica e nel sistema internazionale nel suo complesso.
Un drone militare, lanciato da forze rachene alleate dell’Iran, ha preso di mira la base militare statunitense di Tanf in Siria, situata in un punto strategico al confine con Iraq e Giordania. La notizia è stata diffusa dall’organizzazione non governativa Osservatorio per i diritti umani in Siria, e ha trovato eco in diversi media locali.
L’attacco, che rappresenta un nuovo episodio di tensione nella già complessa arena geopolitica siriana, non ha fortunatamente causato danni o vittime. Le difese contraeree degli Stati Uniti sono prontamente intervenute, riuscendo ad abbattere il drone in volo prima che potesse raggiungere il suo obiettivo.
Questo incidente mette in luce la continua instabilità nella regione e la presenza di forze opposte che agiscono in un contesto di conflitto protratto. L’efficace intervento delle forze USA ha evitato che l’attacco avesse conseguenze più gravi, ma solleva interrogativi sulle future dinamiche di sicurezza nella zona e sulle potenziali ripercussioni a livello internazionale.
La base di Tanf, considerata un punto nevralgico per la presenza militare statunitense in Siria, continua ad essere un bersaglio simbolico per gruppi filo-iraniani e altre entità che vedono con ostilità la presenza degli Stati Uniti nella regione. La comunità internazionale segue con attenzione gli sviluppi, consapevole del fatto che episodi di questo tipo potrebbero intensificare ulteriormente le tensioni.
Un incontro virtuale annunciato nelle scorse ore ha visto la partecipazione di rappresentanti del governo israeliano e alti funzionari dell’amministrazione statunitense, con l’obiettivo di discutere la situazione nella città di Rafah, come riferito da una fonte statunitense. Questa riunione è stata confermata anche dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, sottolineando l’importanza del dialogo tra le due nazioni alleate.
Durante l’incontro, l’attenzione si è concentrata sulla possibile pianificazione di un’operazione nella città di Rafah, situata al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, dove risiedono più di un milione di palestinesi. La portavoce della Casa Bianca, Karine Jean Pierre, ha evidenziato la necessità di questa conversazione per comprendere meglio le intenzioni di Israele e le possibili implicazioni di un’azione militare in un’area così densamente popolata.
Questo scambio tra USA e Israele riflette la complessità della situazione a Rafah e l’importanza di valutare attentamente le conseguenze di ogni azione militare, sia in termini di impatto umanitario che di stabilità regionale. La riunione sottolinea anche il ruolo chiave degli Stati Uniti nel mediare e influenzare le decisioni riguardanti la sicurezza e la pace nella regione.
La città di Nashville, Tennessee, è stata teatro di un drammatico episodio nel giorno di Pasqua, quando un uomo ha aperto il fuoco in un ristorante affollato, causando la morte di una persona e il ferimento di altre cinque. Tra i presenti nel locale, vi erano anche alcuni bambini, che hanno assistito all’orrendo gesto.
La polizia ha rapidamente avviato le indagini, identificando il presunto responsabile dell’attacco come Anton Rucker, un uomo di 46 anni con un passato criminale che include aggressioni e reati legati agli stupefacenti. Secondo le prime ricostruzioni, dopo una lite, Rucker avrebbe estratto una pistola e sparato verso un tavolo, colpendo mortalmente un 33enne che non aveva alcun legame con lui. Dopo l’attacco, il killer si è dato alla fuga a bordo di un’auto di lusso.
Le autorità hanno immediatamente diffuso l’allarme e lanciato un appello alla cittadinanza per qualsiasi informazione che possa portare alla cattura del fuggitivo, sottolineando l’importanza della collaborazione civica per fermare l’autore di questa tragedia. La comunità di Nashville è sotto shock per l’accaduto, un evento tanto più doloroso perché avvenuto in un giorno di festa e di riunione familiare come la Pasqua. La caccia al killer è ancora in corso, con le forze dell’ordine mobilitate per assicurarlo alla giustizia.
Oggi si terrà un importante incontro virtuale tra rappresentanti degli Stati Uniti e di Israele, finalizzato a esplorare le alternative proposte dall’amministrazione Biden all’azione militare pianificata da Israele contro la città di Rafah, situata nel sud della Striscia di Gaza. La conferma dell’evento proviene direttamente da funzionari americani e israeliani, segnalando l’importanza del dialogo in un contesto di crescente tensione.
La videoconferenza vedrà la partecipazione di figure chiave nella gestione della sicurezza e della politica estera dei due paesi. Per gli Stati Uniti, il consigliere per la sicurezza nazionale, Sullivan, guiderà la delegazione, mentre lato israeliano saranno presenti il ministro degli Affari strategici, Dermer, e il consigliere nazionale per la sicurezza, Hanegbi. Questo incontro evidenzia il desiderio di entrambi i governi di valutare attentamente tutte le opzioni disponibili, cercando soluzioni pacifiche e strategie alternative alla risposta militare.
La discussione tra le due nazioni alleate punta a trovare vie di mediazione e di riduzione del conflitto, nel tentativo di preservare la sicurezza regionale e di tutelare le vite dei civili coinvolti. Questo vertice sottolinea anche l’importanza della collaborazione internazionale e del sostegno diplomatico nelle crisi globali, riflettendo il ruolo cruciale che gli Stati Uniti intendono giocare nella stabilizzazione della regione e nella promozione della pace.
In un evento senza precedenti, le autorità carcerarie dell’Idaho hanno annunciato la sospensione dell’esecuzione di Thomas Eugene Creech, un uomo di 73 anni condannato a morte per aver commesso 5 omicidi. La decisione è stata presa dopo che il team medico ha tentato invano per quasi un’ora di inserire l’ago per l’iniezione letale al condannato, che era già legato al lettino nella stanza della morte.
Nonostante dieci tentativi effettuati su braccia e gambe del condannato, i medici non sono riusciti a stabilire una linea endovenosa adeguata per procedere con l’esecuzione. Il portavoce del dipartimento carcerario dell’Idaho ha dichiarato che l’ordine di esecuzione, emesso nel 1981, è ora scaduto, rendendo di fatto impossibile procedere con la pena capitale come previsto.
Questo evento solleva ulteriori questioni sulle procedure di esecuzione e sulle problematiche etiche e logistiche legate all’uso della pena di morte, riaccendendo il dibattito sull’umanità e l’efficacia di tali metodi di punizione.
A New York, un significativo numero di manifestanti pro-Palestina si è radunato a Manhattan, specificamente di fronte al Centro di Cultura Ebraica sulla 92ma Strada. L’evento ha visto un forte dispiegamento di forze dell’ordine per garantire la sicurezza, con l’accesso al centro bloccato e transenne installate per mantenere una distanza di sicurezza tra i partecipanti e l’edificio.
I manifestanti, posizionati sul marciapiede di fronte tra la 92ma Street e Lexington Avenue, hanno levato canti a sostegno di Gaza, esprimendo posizioni critiche nei confronti delle politiche dell’amministrazione Biden e denunciando le azioni considerate genocidarie. Nel corso della protesta, le bandiere della Palestina hanno sventolato in segno di solidarietà, evidenziando il crescente appello internazionale per la pace e la giustizia nel conflitto israelo-palestinese.
Un militare della US Air Force si è dato fuoco in un gesto di protesta davanti all’ambasciata di Israele a Washington, provocando shock e preoccupazione. Secondo quanto riportato dal New York Post, l’uomo, ancora in uniforme, ha gridato parole di condanna riguardanti la guerra a Gaza e l’essere complice di quello che ha definito un genocidio, prima di compiere l’atto estremo, aggiungendo “Questo è un atto di protesta estremo. Free Palestine”.
L’uomo è stato prontamente soccorso e trasportato in ospedale, dove è attualmente ricoverato in condizioni critiche. Le autorità stanno ora cercando di comprendere i motivi che hanno spinto il militare a un gesto così disperato, mentre la comunità internazionale si interroga sulle profonde divisioni e sulle tensioni che continuano a caratterizzare il conflitto israelo-palestinese.
Questo episodio sottolinea la disperazione e la frustrazione che molti sentono riguardo alla situazione a Gaza e al più ampio conflitto israelo-palestinese, portando l’attenzione pubblica sulla necessità di trovare soluzioni pacifiche e sostenibili che possano garantire la sicurezza e i diritti di tutte le parti coinvolte.
· Poiché i risparmi personali equivalgono al reddito disponibile al netto delle spese personali, è fisiologico che, con la normalizzazione dei modelli di spesa nel post-pandemia, i consumatori statunitensi siano tornati a spendere e la quota di risparmio personale si sia ridotta
· A novembre la quota di risparmio personale negli Usa si aggirava attorno agli 840 miliardi di dollari, cioè il 4,1% del reddito disponibile, un dato in linea con la media registrata durante l’espansione economica del 2010
· L’ammontare del debito contratto dai consumatori Usa resta invece intorno al 21% del reddito disponibile, in linea con la media degli ultimi vent’anni, mentre in termini di percentuale del Pil è sceso al 73% nel secondo trimestre del 2023 (rispetto al picco storico del 100% toccato nel 2007)
· Attualmente, il reddito disponibile dei consumatori Usa sta crescendo a un ritmo annuo del 7% e in uno scenario di “soft landing” come quello che si prospetta per il 2024 il reddito disponibile reale dovrebbe progressivamente aumentare con il rallentamento dell’inflazione
· Tasso di risparmio e recessione sono correlati, anche se in modo controintuitivo: durante i periodi di recessione, quando i consumatori tagliano le spese, il tasso di risparmio tende ad aumentare e viceversa
· In conclusione, un calo del tasso di risparmio non è necessariamente da interpretare come un segnale di rallentamento economico, anzi spesso indica un’economia resiliente e un mercato del lavoro dinamico
A cura di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel
Milano, 2 febbraio 2024 – Nel corso del 2023, il tasso di risparmio personale dei consumatori statunitensi è sceso dal 5,3% di maggio al 4,2% di agosto, fino a toccare il 4,1% di novembre: un calo che sta attirando l’attenzione degli investitori a livello globale, preoccupati che l’esaurirsi dei risparmi dei consumatori Usa possa portare al rallentamento dell’economia a stelle e strisce. Dal canto nostro, a dispetto di alcuni recenti titoli di giornali, riteniamo che i timori sullo stato di salute dei risparmi Usa siano eccessivi e che il bilancio economico dei consumatori americani potrebbe essere migliore del previsto.
La vera storia dietro al “tasso di risparmio” Usa
Secondo la definizione del Bureau of Economic Analysis (BEA), i risparmi personali equivalgono al reddito disponibile al netto delle spese personali; in altre parole, ciò che resta del reddito dopo il pagamento di tasse, interessi netti e consumi personali. Dunque, per ottenere il “tasso di risparmio” su scala nazionale, invece di sommare i “fondi per le emergenze” stanziati dalle singole famiglie, occorrerà sottrarre dal loro reddito complessivo la spesa aggregata, su base mensile. Date queste premesse, è chiaro che il tasso di risparmio tenderà ad aumentare in presenza di un aumento del reddito e/o di un taglio delle spese personali, come accaduto durante la pandemia da Covid-19, con le misure di sostegno al reddito varate dal governo Usa e con il crollo dei consumi durante i lockdown. Archiviata l’emergenza Covid, i consumatori statunitensi sono tornati a spendere e, di conseguenza, la quota di risparmio personale si è ridotta: una naturale conseguenza della normalizzazione dei modelli di spesa nel post-pandemia.
Dati alla mano, in base alla definizione del BEA, nel novembre 2023 la quota di risparmio personale dei consumatori statunitensi siaggirava attorno agli 840 miliardi di dollari, cioè il 4,1% del reddito disponibile, un dato tutt’altro che allarmante, in linea con la media registrata durante l’espansione economica del 2010.
Inoltre, dalla somma di depositi correnti e quote di fondi del mercato monetario detenuti dalle famiglie americane, si ottengono, come risultato, ben 16 trilioni di dollari di risparmi, una cifra che, seppur in calo rispetto ai 17,4 trilioni toccati nel 2022, è ancora superiore rispetto a quanto registrato in qualsiasi altro periodo tra il 1989 e il 2020. Occorre poi precisare che, anche qualora una famiglia esaurisse i propri risparmi, avrebbe comunque a disposizione altre risorse come, ad esempio, il patrimonio netto, che include conti correnti, conti deposito e investimenti finanziari. Non è poco, considerando che il patrimonio netto complessivo delle famiglie statunitensi nel terzo trimestre del 2023 ha raggiunto i 142 trilioni di dollari (il picco era stato toccato con i 143 trilioni del primo trimestre 2022).
Chi si trova a fronteggiare una crisi di liquidità, poi, può sempre optare per un prestito: i consumatori Usa hanno ancora un certo margine di indebitamento, considerando che nel periodo ottobre-dicembre 2023il totale del debito contratto attraverso carte di credito era pari al 5,1% del reddito disponibile, un valore inferiore rispetto ai livelli pre-pandemia.
Anche tenendo conto degli student loan e dei prestiti per auto, l’ammontare del debito dei consumatori Usa resta intorno al 21% del reddito disponibile, in linea con la media degli ultimi vent’anni, mentre in termini di percentuale del Pil è sceso al 73% nel secondo trimestre del 2023 (contro il picco storico del 100% raggiunto nel 4Q 2007). Il costo totale del debito, in termini di percentuale di reddito disponibile, era pari al 9,8% nel secondo trimestre 2023, in linea con la media del 2010. La resilienza delle famiglie di fronte ai rialzi dei tassi è merito anche dei prestiti a tasso fisso (come mutui e student loan) che hanno consentito loro di bloccare i tassi per periodi più lunghi. Solo il 21% dell’esposizione complessiva al debito delle famiglie americane riguarda prestiti sensibili ai rialzi dei tassi, come quelli delle carte di credito e i finanziamenti per l’acquisto di auto.
Per quanto riguarda il tasso di morosità per la mancata copertura delle carte di credito, se si sposta il focus sull’andamento complessivo degli ultimi trimestri, la situazione non è così allarmante come spesso viene dipinta dai media: nonostante il numero di prestiti tramite carte di credito sia aumentato in assoluto, la percentuale di ritardi nei pagamenti nel 3Q 2023 si è attestata al 2,98%, un livello non distante dalla media del periodo 2011-2023 (2,4%) e nettamente al di sotto della media del periodo 2000-2007 (4,3%).
A trainare i consumi Usa non sono i risparmi, ma l’aumento del reddito
Se i salari sono soddisfacenti, a trainare i consumi non sono i risparmi, ma il reddito dei lavoratori e, attualmente, il reddito disponibile dei consumatori Usa sta crescendo a un ritmo annuo del 7% (dati a novembre 2023). Inoltre, in uno scenario di “soft landing”, il reddito disponibile reale (cioè corretto per l’inflazione) dei consumatori dovrebbe progressivamente aumentare con il rallentamento dell’inflazione.
Resta aperta la questione della distribuzione del reddito: negli Stati Uniti il 50% del reddito personale totale fa capo a un 20% di lavoratori, responsabili di solo il 36% della spesa totale. Quindi, esclusi i più “ricchi”, il quadro complessivo di reddito e spesa personale potrebbe non essere così roseo. Tuttavia, se si allargano le maglie di ciò che definiamo “risparmio”, come spiegato sopra, il consumatore medio detiene ancora liquidità e quote di fondi del mercato monetario vicine ai massimi storici, quindi escludere il 10% delle famiglie più “ricche” modificherebbe solo leggermente il quadro. Inoltre, nel 2Q 2023 il 90% dei consumatori che stanno alla base della “piramide” della ricchezza totale hanno aumentato la loro esposizione ai fondi di mercato monetario, un altro segnale di capacità di spesa.
Con questo, non vogliamo certo affermare che gli investitori non dovrebbero preoccuparsi dei risparmi. Tasso di risparmio e recessione sono correlati, anche se in modo controintuitivo: durante i periodi di recessione, quando i consumatori tagliano le spese, il tasso di risparmio tende ad aumentare; viceversa, durante i periodi di espansione economica, quando aumentano le spese e la fiducia dei consumatori nei propri redditi futuri, il tasso di risparmio tende a scendere. In Cina, dove, secondo le stime del National Bureau of Statistics, a partire dalla Crisi Finanziaria Globale il tasso di risparmio si è attestato intorno al 34% del reddito disponibile, il fatto che i consumatori risparmino circa un terzo del loro reddito rappresenta, secondo gli analisti, un freno per la spesa e la crescita del Paese.
In conclusione, un calo del tasso di risparmio non è necessariamente da interpretare come un segnale di rallentamento economico, anzi spesso indica un’economia resiliente e un mercato del lavoro dinamico, laddove un rapido aumento del tasso di risparmio spesso indica un raffreddamento della crescita. Attenzione, quindi, a chi parla di consumatori “ai ferri corti”: sarà il reddito, non i risparmi, a decidere il destino dei consumatori Usa.
Christophe Nagy, Gestore del fondo Comgest Growth America di Comgest
Il 2023 ha dimostrato, come nessun altro, quanto possa essere frustrante formulare previsioni macroeconomiche. Gli esperti prevedevano all’unanimità una recessione negli Stati Uniti. Si riteneva che l’inflazione strutturalmente più elevata fosse destinata a erodere i consumi e a logorare il mercato del lavoro in America, e che i tassi d’interesse più alti avrebbero provocato un’ondata di default societari.
La realtà non avrebbe potuto dimostrarsi più diversa. Nel 2023 non solo è stata evitata una recessione e l’inflazione è scesa in maniera ordinata, ma il PIL USA ha registrato appena un lieve calo prima di salire al 4,9% nel terzo trimestre. Prima di tutto, i consumatori americani hanno smentito le aspettative. Le famiglie hanno sostenuto un livello di spesa ritenuto elevatissimo grazie agli extra-risparmi accumulati durante la pandemia. Le vendite al dettaglio hanno beneficiato dei salari più elevati nel contesto di resilienza del mercato del lavoro. Gli Americani usciti dalla forza lavoro nel corso della pandemia vi sono lentamente rientrati, mantenendo i tassi di posti vacanti a livelli elevati a fronte di una bassa disoccupazione.
Inoltre, le imprese americane hanno a malapena risentito degli aumenti dei tassi d’interesse. Gran parte delle società – in particolare quelle di grandi dimensioni – si è assicurata debito a tasso fisso quando i tassi erano bassi, attenuando così l’incremento del costo del capitale. Infine, la crisi delle banche regionali nel primo trimestre dell’anno da poco concluso non ha contagiato il resto dell’economia.
L’azienda farmaceutica Eli Lilly ha ottenuto l’approvazione per il suo nuovo doppio agonista del recettore GIP/GLP-1, un farmaco di prim’ordine per il trattamento del diabete e dell’obesità. Nel corso del 2023 sono stati costantemente pubblicati risultati clinici positivi e i feedback dei pazienti hanno segnalato benefici correlati quali ad esempio minori dipendenze. In secondo luogo, il successo del lancio di ChatGPT di OpenAI alla fine del 2022 ha scatenato una corsa tra le società tecnologiche a lanciare i loro prodotti di IA (intelligenza artificiale) generativa basati su complessi modelli di apprendimento. A fronte di tale concorrenza, i colossi tecnologici Microsoft – partner di OpenAI – e Alphabet si sono avvalsi della loro posizione di leadership per attirare talenti e clienti per le loro soluzioni IA. Sul fronte del silicio, Monolithic PowerSystems, che fornisce esclusivamente soluzioni di regolazione del carico per i chip di calcolo alla base di tutte le applicazioni, ha tratto un beneficio significativo in termini di fatturato.
In questo 2024, non intendiamo cercare di prevedere il futuro, soprattutto in un anno elettorale. La “resilienza” è stata la caratteristica distintiva dell’economia statunitense nel 2023 e ora gli investitori si aspettano un anno di moderazione in termini di consumi e occupazione.
In quanto investitori a lungo termine, orientati ai fondamentali, ribadiamo la convinzione che l’apprezzamento dei corsi azionari coinciderà con una crescita degli utili su un orizzonte pluriennale. Puntiamo su società di alta qualità in grado di incrementare costantemente gli utili nell’arco dei cicli economici. Ricerchiamo imprese con ottima visibilità (p.es. ricavi ricorrenti), barriere elevate all’ingresso in mercati ampi e in espansione, nonché bilanci forti che offrono resilienza nelle fasi di contrazione.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR
Un anno fa, di questi tempi, la recessione sembrava inevitabile.
Era ritenuta molto probabile da oltre la metà degli economisti intervistati nel sondaggio periodico della National Association for Business. Dodici mesi dopo, il 91% degli economisti intervistati ritiene che le probabilità di un rallentamento dell’economia americana nei prossimi dodici mesi siano del 50% o meno.
Un ottimismo condiviso anche dai non specialisti, in gennaio l’indice del sentiment dei consumatori ha raggiunto il livello più alto dal luglio 2021, negli ultimi due mesi il sentiment ha realizzato il maggiore aumento dal 1991. La percezione positiva dei consumatori è stata motivata dal rafforzamento delle aspettative di reddito e dalle migliori prospettive dell’inflazione.
Nell’ultimo trimestre del 2023 l’economia americana è cresciuta al tasso annualizzato del 3,3%, inferiore al 4,9% dei tre mesi precedenti ma superiore alle attese. Anche la crescita del PIL nell’intero anno, 3,1%, è stata superiore alle aspettative e i mercati festeggiano, lo S&P 500 e il Nasdaq 100 hanno messo a segno nuovi massimi, gli investitori continuano a scommettere sulle potenzialità della tecnologia e sui titoli growth.
La delusione per lo spostamento in avanti dei primi tagli dei tassi è più che compensata dalle prospettive degli utili in un ambiente economico che sta dimostrando una notevole capacità di resistenza all’inasprimento delle condizioni finanziarie. L’inflazione rallenta, i prezzi al consumo sono aumentati del +1,7% nel quarto trimestre, in calo rispetto al 2,6% di tre mesi prima. L’inflazione di base, che esclude i prezzi di beni alimentari e dei carburanti, è sotto il fatidico 2%.
Molto diversa la situazione in Europa: nel 2008 e del 2011 furono i debiti dei paesi periferici a costare all’Eurozona una doppia recessione, oggi i problemi non vengono dalla periferia ma dal centro, si aprono come voragini gli output gap nelle economie di Francia e Germania.
L’ultimo dato PMI manifatturiero della Francia, 43,2, continua a evidenziare una contrazione in atto da tempo, l’ultima lettura superiore a 50 risale a dodici mesi fa. L’industria manifatturiera tedesca se la passa anche peggio, la manifattura è in difficoltà dall’estate del 2022, l’automotive anche da prima. La tendenza degli indicatori è moderatamente positiva ma non lo è lo scenario complessivo e, nel frattempo, i due paesi sono attraversati da minacciose tensioni sociali.
La Banca Centrale Europea continua a tenere gli occhi bassi sul suo manuale, la decisione di lasciare i tassi invariati non è stata una sorpresa e l’appuntamento è spostato a marzo; se il calo della domanda dovesse proseguire, dovrà pur muovere i banchieri di Francoforte a una reazione. I prezzi dei futures scontano tagli nel 2024 per un totale di 150 punti base.
Nel primo meeting del 2024, Christine Lagarde ha riconosciuto il rallentamento nella crescita dei salari e che l’inflazione è stata “più debole del previsto”, aprendo alla possibilità di una riduzione dei tassi d’interesse. I rischi ai quali Lagarde ha fatto riferimento sono quelli dell’incertezza geopolitica, le interruzioni delle catene della fornitura come, ad esempio, quelle causate dalla crisi nel Mar Rosso, potranno avere ricadute sui prezzi.
L’entusiasmo dei mercati andrebbe temperato con la cautela, c’è il rischio della rappresentazione di uno scenario ideale che porta però a trascurare la possibilità di sorprese, di esiti diversi. Le tensioni nel Mar Rosso e le proteste sindacali in Francia e Germania possono generare pressioni sui costi e ricadute sui prezzi finali o sui margini.
il sistema economico risponde sempre con fisiologico ritardo all’inasprimento delle politiche monetarie, nelle ultime tre contrazioni sono stati necessari dai nove ai diciotto mesi dall’ultimo aumento dei tassi della Fed per registrare il rallentamento dell’attività economica. Sono passati circa tre mesi da quello che riteniamo sia stato l’ultimo rialzo dei tassi negli Stati Uniti.
Poi c’è l’inversione della curva. Dagli anni Settanta, l’innaturale condizione dei tassi a breve più alti di quelli a più lungo termine ha sempre anticipato le recessioni ma, anche in questo caso, con ampio intervallo temporale: rispetto alle inversioni della struttura delle scadenze nel 1988 e nel 1989, la recessione si è presentata negli anni 1990 e 1991. La curva dei rendimenti si è nuovamente invertita nel 1999 e all’inizio del 2000, la recessione si è verificata nel 2001 e, infine, dopo l’inversione della curva nel 2006 la recessione è cominciata a fine 2007, durata fino al novembre 2009.
È invece possibile che la recessione sia lieve, i grandi gruppi hanno approfittato dei minimi storici dei tassi a lungo termine per finanziarsi con l’emissione di carta a basso costo. Non vale lo stesso per le aziende di piccole e medie dimensioni, generalmente i loro finanziamenti sono a più breve termine, al rinnovo o alla rinegoziazione dei crediti i verrà avvertito pienamente il peso delle più severe condizioni finanziarie.
La cautela è suggerita anche dallo S&P 500 tornato a livelli record dopo due anni. Il breakdown delle performance dei settori rivela che solo il settore tecnologico ha messo a segno lo stesso risultato, gli altri settori sono scambiati mediamente al 15% al di sotto del loro valore storico.
Questa settimana cinque società Big Tech, dal valore complessivo di mercato di oltre dieci trilioni di dollari, pubblicheranno i risultati trimestrali e sempre in settimana ci sarà il meeting della Federal Reserve. L’attesa non è tanto su qualche decisione sui tassi, non attesa, quanto sulle dichiarazioni che rilascerà Jerome Powell nella conferenza stampa. Le sue parole saranno esaminate con acribia perché dalle prospettive dei tassi, dal tempo e dall’intensità degli attesi allentamenti monetari dipendono i destini dello S&P 500, pericolosamente sbilanciato, dell’economia e del mercato obbligazionario che in queste settimane ha perso smalto.
Non sappiamo cosa accadrà nel 2024 ma possiamo ragionevolmente ritenere che non sarà l’anno della liquidità come è stato per buona parte del 2023. Se prevarranno le condizioni dell’atterraggio morbido ne beneficeranno sia le azioni che le obbligazioni. L’ipotesi del no-landing, valida per la sola economia americana, è meno probabile ma in questo caso ne avranno vantaggio le azioni ma non le obbligazioni. Poco probabile anche lo scenario peggiore, quello dell’atterraggio duro, che penalizzerebbe le azioni a favore delle obbligazioni.
A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm*
Milano, 30 gennaio 2023 – Quando si riflette sulle prospettive di mercato per il 2024 e oltre, uno degli interrogativi principali resta l’azionario statunitense, non solo per via del suo peso elevato sui mercati globali (circa il 60% di un ETF ponderato per la capitalizzazione di mercato), ma anche per la sua performance storica. Il grafico seguente confronta i rendimenti relativi per gli ETF di Stati Uniti, Europa, Regno Unito e Mercati Emergenti: la sovraperformance dei primi è evidente e per i portafogli a rischio più elevato la scelta dell’esposizione azionaria Usa ha rappresentato uno dei principali driver di performance.
Sarebbero molte le prospettive da cui analizzare l’andamento dell’azionario Usa, tra cui ad esempio la performance dei titoli tech, ma in questa occasione ci soffermeremo su due aspetti fondamentali: gli utili societari e le valutazioni.
Il grafico seguente confronta l’equity Usa con una misura degli utili societari ed evidenzia come, nel tempo, il valore aggregato delle aziende cresca al crescere degli utili.
Se si traccia lo stesso grafico per le azioni dei mercati emergenti, si nota subito che qui il quadro degli utili è stato più eterogeneo nel tempo: in particolare, nell’ultimo decennio la crescita degli utili registrata sui mercati emergenti è stata più lenta rispetto a quella delle società Usa.
Le società britanniche hanno ottenuto risultati migliori delle attese in termini di utili, nonostante un maggiore livello di volatilità durante il periodo pandemico.
La brillante performance dell’azionario Usa, però, non è riconducibile soltanto al rafforzamento degli utili, anche la valutazione relativa ha svolto un ruolo importante. Il grafico seguente mostra l’andamento del rapporto prezzo/utili forward per Stati Uniti, Regno Unito ed Europa ex-UK nell’ultimo decennio (a partire dal febbraio 2014). In primo luogo, si nota come dopo il Covid si sia verificata una divergenza significativa tra azioni statunitensi, britanniche ed europee, con una rivalutazione delle prime rispetto alle seconde, sull’onda dell’ottimismo nei confronti del settore tecnologico Usa (che rappresenta un peso massimo nell’indice) e delle prospettive di crescita generalmente più solide. In secondo luogo, appare notevole il de-rating del Regno Unito, più economico di circa il 20% rispetto al 2014.
Dunque, la combinazione tra crescita sostenuta degli utili e valutazioni elevate ha contribuito a proiettare i titoli azionari statunitensi davanti ai loro peer globali nell’ultimo decennio. Come dobbiamo porci rispetto al futuro? Da molto tempo le valutazioni delle azioni statunitensi sono relativamente più alte rispetto a quelle del resto dei mercati sviluppati, ma è difficile stabilire quando questo comincerà ad essere un elemento determinante. Al tempo stesso, anche le prospettive degli utili sono probabilmente migliori, nonostante siano guidate da un numero relativamente ristretto di Big Tech. Al momento sembra probabile che lo slancio degli utili sia destinato a continuare, ma scommettere in modo troppo aggressivo contro le azioni statunitensi è stato storicamente un gioco difficile da giocare.
A cura di Russel Matthews, BlueBay Senior Portfolio Manager, Global Macro, RBC BlueBay
I mercati sono sempre incerti e gli investitori dovranno sempre assumere decisioni difficili in materia di asset allocation. Tuttavia, le strategie macroeconomiche orientate ai processi dovrebbero essere in grado di sfruttare questa incertezza per generare una performance positiva in qualsiasi contesto di mercato. Le policy e la politica dovrebbero essere al centro di ogni strategia macroeconomica: esse guidano la macroeconomia, che determina l’azione dei prezzi.
Nel 2024, ci aspettiamo numerose decisioni a livello di policy e sconvolgimenti politici. Negli USA, le elezioni presidenziali vedranno la contesa tra il democratico in carica Joe Biden e Donald Trump, che probabilmente farà il suo ritorno per i Repubblicani. Allo stesso tempo, sono presenti crescenti preoccupazioni per la politica fiscale, visto che, negli ultimi anni, i deficit di bilancio pubblici negli Stati Uniti sono cresciuti a dismisura. Si delineano anche potenziali esplosioni nel settore del debito societario. Tali eventi tendono a verificarsi con maggiore frequenza in questa fase del ciclo economico. Quando la policy diventa più restrittiva, individuiamo le aziende esposte.
A livello internazionale, sono presenti questioni in corso, che continueranno ad avere un impatto sui mercati globali. Il ritiro della Cina dal sistema finanziario internazionale, uno stallo della guerra della Russia contro l’Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas sono solo alcuni dei temi geopolitici che potrebbero avere un ruolo di primo piano nel 2024. Da ultimo, avranno un impatto considerevole la transizione in corso verso fonti di energia rinnovabili e i progressi verso gli obiettivi di emissioni di carbonio nette pari a zero, e tale impatto sarà forse dirompente sulle economie e sulle infrastrutture energetiche. Con le preoccupazioni esistenti in materia d’inflazione, crescita economica e mercati del lavoro, il livello d’incertezza sui mercati può apparire predominante. Riteniamo che tutta questa incertezza generi opportunità di “volatilità sfruttabile” per l’alfa, grazie alla maggiore volatilità sui mercati creditizi.
Ciclo di riduzione dei tassi ritarderà Negli ultimi anni, la notevole volatilità sul mercato dei Treasury statunitensi ha generato una serie di opportunità e punti d’ingresso interessanti per gli investitori macro. Negli ultimi due anni i rendimenti dei Treasury statunitensi a 10 anni sono aumentati in modo significativo, poiché gli investitori hanno dovuto far fronte a rialzi dei tassi d’interesse senza precedenti da parte della Federal Reserve. Quest’ultimi hanno avuto un impatto sull’intera curva dei Treasury, in particolare nel tratto anteriore. L’aumento del deficit di bilancio e le esigenze di spesa del governo statunitense fanno sì, che nei prossimi mesi, probabilmente si registreranno più emissioni, anche se in un contesto di flessione della domanda. Se, da un lato, ciò continua a sospingere al rialzo i rendimenti, dall’altro permane una notevole incertezza economica, che causa una maggiore volatilità sul mercato dei Treasury.
Prima della pandemia di Covid-19, la volatilità sui mercati obbligazionari statunitensi era di norma bassa e compresa nell’intervallo 40-60 punti base, come si evince dal cosiddetto “indicatore della paura” per il mercato obbligazionario statunitense e parametro della volatilità attesa a breve termine per i Treasury statunitensi, l’indice ICE BofA Merrill Lynch Option Volatility Estimate (MOVE). Tuttavia, dopo la pandemia, il rialzo dell’inflazione ha comportato un consistente cambiamento della volatilità per gli indici obbligazionari, e riteniamo che sussistano diverse ragioni, per cui questa volatilità è destinata a permanere.
Sebbene l’inflazione headline stia scendendo, grazie al calo dei prezzi delle materie prime, gran parte dell’inflazione attualmente radicata nell’economia statunitense è strutturale, e probabilmente ci vorrà del tempo prima che inizi a calare, ritardando l’avvio di un eventuale ciclo di riduzione dei tassi da parte della Federal Reserve.
Le opportunità nel Regno Unito e Giappone La negoziazione del rischio correlato ai tassi d’interesse, o della duration, è uno dei modi principali per avvalersi dell’opportunità di sfruttare la volatilità sui mercati dei Treasury statunitensi. Per esempio, all’inizio del 2023, il sentiment di mercato suggeriva che la Fed avrebbe intrapreso un programma di riduzione dei tassi, nella convinzione che l’economia statunitense avrebbe registrato un rallentamento e che l’inflazione sarebbe diminuita. Abbiamo assunto un atteggiamento opposto, incrementando la nostra posizione, caratterizzata da una duration corta, proprio quando i rendimenti dei Treasury iniziavano a salire e l’economia si rafforzava, così da indurre la Fed a ripensare la sua strategia.
Non sono solo i mercati statunitensi a offrire delle opportunità. Esse sono scaturite anche sul mercato britannico. A giugno, i dati sull’inflazione hanno sorpreso al rialzo e la Bank of England è stata costretta a rialzare i tassi. Nei prossimi mesi, opportunità correlate alla volatilità sfruttabile potrebbero emergere in Giappone, dove, a nostro avviso, la Bank of Japan è in ritardo rispetto alla curva e in controtendenza in rapporto alle altre banche centrali globali. La banca centrale nipponica potrebbe così rialzare i tassi due o tre volte nel 2024. Se ciò dovesse accadere, riteniamo che potrebbero presentarsi delle opportunità sul tratto corto dei titoli di Stato giapponesi, che attualmente vengono scambiati a fronte di bassi rendimenti. Concentrandosi sui fondamentali e aspettando che i mercati evidenzino una dislocazione verso l’alto o il basso, un investitore macro orientato ai processi può beneficiare di un rapporto rischio-rendimento asimmetrico più positivo.
A cura di Tammy Karp, senior portfolio manager fixed income, TCW
Il sentiment degli investitori si è fatto decisamente più rialzista a novembre, dando luogo a un ampio rally. Performance positive sono state registrate per le azioni (S&P +9%), i Treasury (+3,47%), nel comparto high yield (+4,53%) e nel credito investment grade (+5,68%). L’euforia è stata sospinta da una confluenza di fattori, tra cui i dati sull’inflazione, inferiori alle attese, e le aspettative di un pivot accomodante della Fed, con il 60% di probabilità di un taglio dei tassi entro la metà del 2024. Il miglioramento della domanda di Treasury, inoltre, ha determinato un forte calo dei tassi privi di rischio. Di conseguenza, il mercato del credito Investment Grade ha registrato il più grande rally dal novembre 2022.
I rischi da monitorare
La combinazione di dati economici forti, ma non troppo, e dell’inflazione in calo ha fornito un sostegno al quadro di atterraggio quasi perfetto, con uno scenario “Goldilocks”. Pur non trovandoci in una situazione fuori dall’ordinario, riconosciamo che il meccanismo di trasmissione delle policy non ha una tempistica definita. La resilienza dei consumatori è stata finora una delle caratteristiche più sorprendenti di questo ciclo. Tuttavia, all’orizzonte, si profilano delle difficoltà, tra cui il ribasso dei risparmi in eccesso, la ripresa dei pagamenti dei prestiti agli studenti, l’aumento dei saldi delle carte di credito e il conseguente incremento di morosità e storni.
Inoltre, i fondamentali del credito corporate si sono indeboliti, in contrasto con la traiettoria ascendente dei rating, poiché le pressioni sui margini e i maggiori costi di finanziamento hanno avuto un impatto negativo sui parametri. Ciò non significa che si veda all’orizzonte un forte peggioramento dei bilanci aziendali ma, come abbiamo appreso dall’inizio del ciclo di rialzi dei tassi, le conseguenze di una stretta monetaria aggressiva sono imprevedibili.
Valutazioni poco convincenti
Il mercato del credito Investment Grade ha messo a segno un impressionante rally a novembre, stabilendo un nuovo minimo degli spread da inizio anno, determinando un’inversione di quello che sarebbe stato il terzo anno consecutivo di rendimenti totali negativi. Da inizio anno, il rendimento totale dell’IG Credit Index è passato definitivamente in positivo (+3,83%). I titoli BBB hanno sovraperformato, grazie al ridimensionamento del beta, che è rimasto un tema per tutto il mese. Dopo l’ultimo rally, gli spread del credito Investment Grade, pari a +97 punti base rispetto ai Treasury, sono a soli 20 punti base dai ristretti livelli raggiunti nel 2021.
A nostro avviso, le valutazioni non sono convincenti, considerati i risultati asimmetrici a fronte dell’avvicinamento degli spread al loro minimo. Sebbene permangano opportunità idiosincratiche, è opportuno continuare a ridurre il rischio, poiché il profilo rischio/rendimento favorisce un approccio difensivo rispetto al posizionamento nel comparto creditizio.
La sottoperformance del settore bancario
Il settore bancario ha partecipato al rally, pur rimanendo lontano dalla sua media di lungo periodo sia su base assoluta che relativa. Il divario in termini di spread tra le sei grandi banche statunitensi e il più ampio mercato dei titoli Investment Grade (IG Credit Index), pari a 48 punti base, è decisamente più ampio rispetto alle medie storiche. Una parte della sottoperformance può essere attribuita ai residui timori derivanti dai recenti fallimenti di alcune banche regionali, nonché alle aspettative di maggiori requisiti patrimoniali in seguito alla nuova Basilea III, l’ultima serie di standard internazionali in materia di adeguatezza del capitale e liquidità. Tuttavia, riteniamo che la divergenza nel rapporto tra spread nel comparto bancario e non bancario sia insostenibile.
L’impatto sui consumatori dell’inasprimento delle condizioni finanziarie, l’esaurimento dei risparmi in eccesso e la ripresa dei pagamenti dei prestiti per gli studenti determineranno delle ricadute sull’economia in generale di ampia portata. La disparità tra gli spread bancari e il resto del mercato lascia presagire un’inversione del ciclo, ma a ciò dovrebbe far seguito una più ampia correzione delle valutazioni creditizie nel comparto Investment Grade, anche per le categorie più sensibili alla domanda ciclica, come materie prime e automobili.
La quota relativa di emissioni può, almeno in parte, contribuire a spiegare la sottoperformance del settore bancario rispetto al resto del mercato dei titoli Investment Grade. Su base annua, le emissioni bancarie, pari a 393 miliardi di dollari, sono in calo del 17% rispetto allo stesso periodo del 2022. Le emissioni annuali delle sei grandi banche d’affari statunitensi, a 108 miliardi di dollari, sono significativamente inferiori (-37%) rispetto ai 172 miliardi emessi nei primi 11 mesi del 2022. Tuttavia, nonostante il calo nominale, la quota di offerta bancaria rispetto al totale delle emissioni corporate nel comparto Investment Grade, pari al 33%, rimane superiore alla media quinquennale del 28%.
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