Tag: tassi di interesse

  • I tagli dei tassi di interesse sono in pericolo?

    I tagli dei tassi di interesse sono in pericolo?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    • Le attese su un taglio di tassi anticipato da parte della FED nel 2024, che ha stimolato un forte rally delle obbligazioni e delle azioni a livello globale, hanno subito ora una significativa inversione di tendenza.
    • Negli Stati Uniti, i dati a breve termine dell’inflazione dei prezzi al consumo sono vicini all’obiettivo e l’inflazione salariale sta rallentando. Tuttavia, la politica monetaria continua ad essere restrittiva e con l’incombere delle elezioni presidenziali la Fed teme che le decisioni sui tassi possano diventare una questione politica.
    • In Europa, l’inflazione dei prezzi è scesa bruscamente verso la fine dello scorso anno, attestandosi ben al di sotto delle previsioni della BCE. Tuttavia, le prospettive per l’inflazione salariale rimangono incerte.
    • Incerte anche le prospettive per il Regno Unito, dove l’aumento del 10% del salario minimo, previsto ad aprile, potrebbe incrementare la pressione sui prezzi. Allo stesso modo, la prospettiva di forti tagli fiscali nel bilancio di marzo invita alla prudenza.
    • In ogni caso continuiamo ad aspettarci forti tagli dei tassi nel corso del 2024, con la Banca d’Inghilterra che sarà probabilmente l’ultima ad effettuare il primo taglio.

    Le dichiarazioni delle banche centrali hanno influito non poco sui mercati monetari. Lo scorso 13 dicembre, il Presidente del Comitato che regola i tassi negli Stati Uniti aveva parlato di una riduzione anticipata, di fatto scatenando un forte rally di obbligazioni e azioni, non solo negli Stati Uniti ma nella maggior parte del mondo. Di conseguenza, le prospettive su tagli dei tassi consistenti e anticipati erano state prezzate dai mercati di New York, Londra, Europa e oltre.

    Con l’inizio del 2024, le principali banche centrali hanno frenato l’entusiasmo, respingendo in maniera decisa le aspettative ottimistiche dei mercati. Sebbene i temi del calo dell’inflazione e della bassa disoccupazione siano comuni a Stati Uniti, Regno Unito ed Europa, permangono importanti differenze per quanto riguarda le tempistiche sui tagli dei tassi.

    Negli Stati Uniti, i dati a breve termine dell’inflazione dei prezzi al consumo sono pari o prossimi all’obiettivo del 2%. Il rallentamento dell’inflazione salariale suggerisce che questa tendenza è costante. Tuttavia, in questo scenario anche la politica gioca un ruolo importante; a fronte della più divisiva elezione Presidenziale dei tempi moderni, la Fed vuole infatti evitare che la decisione sul taglio dei tassi diventi oggetto di dibattito politico.

    In tal senso, un primo taglio dei tassi a marzo, chiaramente giustificato, potrebbe essere d’aiuto. L’indice del costo dell’occupazione, previsto per la fine del mese, potrebbe giocare un ruolo importante a favore di questo scenario. Questo dato infatti è generalmente considerato la migliore misura della crescita dei salari, sebbene venga pubblicato solo trimestralmente, e una sua variazione inferiore all’1,0% trimestre su trimestre potrebbe essere decisiva per avallare un primo taglio dei tassi a marzo.

    Infatti, il perdurare di un tasso di disoccupazione basso e una crescita economica costante non giustificherebbero l’urgenza di un taglio dei tassi. Tuttavia, la politica monetaria resta ad oggi restrittiva e un modesto taglio in primavera contribuirebbe a depoliticizzare le decisioni successive. In definitiva, ci aspettiamo una progressiva riduzione dei tassi negli Stati Uniti, verso l’aspettativa del mercato del 4%, entro la fine dell’anno e oltre.

    In Europa, l’inflazione dei prezzi è calata in maniera consistente verso la fine del 2023, ben al di sotto delle previsioni della Bce. Mentre per quanto riguarda l’inflazione salariale, le prospettive restano maggiormente incerte. La tornata salariale è appena iniziata e, sebbene ci siano buone ragioni per aspettarsi un forte rallentamento della crescita dei salari, la BCE vorrà aspettare di vedere i risultati. Per quanto la possibilità di una riduzione dei tassi ad aprile rimanga un’ipotesi valida, non è da escludersi che si debba aspettare la riunione di giugno per vedere un primo taglio effettivo.

    Allo stesso modo le previsioni sull’inflazione salariale nel Regno Unito appaiono dubbie. Sebbene i dati a breve termine mostrino un forte rallentamento, il livello di partenza è molto elevata. Inoltre, l’aumento del 10% del salario minimo in aprile potrebbe esercitare un’ulteriore pressione al rialzo sui salari.

    La Low Pay Unit, che si occupa di elaborare le cifre, è riuscita a convincere molti che un aumento del salario minimo avrebbe avuto un effetto limitato, dato che i salari, in particolare nel settore della vendita al dettaglio, sono già saliti al di sopra del nuovo standard. Tuttavia, l’aumento salariale del 9,1% annunciato da Sainsbury pochi giorni fa suggerisce il contrario. Inoltre, la prospettiva di forti tagli fiscali nel bilancio di marzo – ci aspettiamo una riduzione di 2 pence dell’aliquota di base dell’imposta sul reddito e un aumento delle soglie – incoraggerà una maggior cautela.

    Nonostante tutto ciò, ci aspettiamo che la Banca d’Inghilterra segua la Fed e la BCE con importanti tagli dei tassi quest’anno, anche se verosimilmente sarà l’ultima ad effettuare il primo taglio.

    Fig.1 Incremento dei costi di spedizione

    Fonte: Source: Bloomberg and Columbia Threadneedle Investments as at 22 January. Drewry world container index, an average of 8 east-west route for 40 foot containers

    Per quanto riguarda l’aumento dei costi di spedizione a seguito delle tensioni nel Mar Rosso, ci si chiede se possano essere causa di una recrudescenza dell’inflazione e conseguente freno ai programmi di riduzione dei tassi. È innanzitutto importante notare che l’entità degli aumenti è inferiore a quella registrata nel periodo post Covid-19. Inoltre, in quel periodo le aziende si sono affannate per ricostruire le scorte, dato che la forte domanda consentiva di trasferire facilmente i costi aggiuntivi tramite prezzi più alti, mentre oggi non sussistono le medesime condizioni. È probabile, dunque, che l’impatto di questo incremento avrà effetti ridotti e ci si augura sia solo temporaneo.

  • Schroders: L’interruzione nel Canale di Suez farà deragliare i tagli dei tassi?

    Schroders: L’interruzione nel Canale di Suez farà deragliare i tagli dei tassi?

    A cura di David Rees, Senior Emerging Markets Economist, Schroders

    Le crescenti tensioni geopolitiche in Medio Oriente hanno iniziato a creare disruption nelle catene di approvvigionamento globali. A seguito degli attacchi dei ribelli Houthi alle navi che attraversano il Mar Rosso e che fanno rotta verso il Canale di Suez e le principali economie globali, le maggiori compagnie di trasporto marittimo hanno segnalato notevoli ritardi nelle consegne. Le immagini satellitari mostrano che praticamente nessuna nave diretta verso i principali porti europei, statunitensi o britannici sta attraversando il Mar Rosso, e preferisce invece deviare verso l’Africa meridionale.

    Quest’ultima disruption fa seguito ai problemi nel Canale di Panama, dove una combinazione di siccità prodotta dai cambiamenti climatici e variazioni delle precipitazioni dovute a El Nino ha causato un abbassamento dei livelli delle acque. Nel contempo, in Europa, l’umidità ha come conseguenza che il livello del Reno, una rotta di navigazione fondamentale per i produttori tedeschi, sia troppo alto. Inoltre, considerato che le imminenti elezioni a Taiwan comportano il rischio di nuove esercitazioni militari a opera della Cina, come quelle che hanno interrotto le rotte marittime asiatiche nel 2022, sembra che le catene di approvvigionamento globali debbano affrontare una tempesta perfetta colma di rischi.

    Tutto ciò rievoca ricordi dolorosi: i problemi della catena di approvvigionamento scoppiati durante la pandemia di Covid-19. Essi hanno contribuito al recente aumento dell’inflazione, che, da ultimo, ha costretto le banche centrali mondiali a rialzare aggressivamente i tassi d’interesse. I mercati stanno attualmente scontando tagli aggressivi dei tassi d’interesse in Europa, Regno Unito e Stati Uniti, e alcuni tagli sono già previsti nel primo semestre del 2024.

    Tutto ciò porta a chiedersi se i nuovi problemi delle catene di approvvigionamento implicheranno un aumento dell’inflazione, costringendo i policymaker a rivedere le relative prospettive.

    Molto dipenderà dalla durata degli attuali sconvolgimenti, ma almeno tre importanti differenze nel contesto economico globale suggeriscono che è improbabile che i problemi nel Mar Rosso determinino un rialzo significativo dell’inflazione.

    In primo luogo, le condizioni della domanda sono attualmente molto più deboli. Mentre gli ampi stimoli monetari e fiscali hanno sostenuto l’economia globale dopo le prime perturbazioni causate dalla pandemia mondiale, la crescita sta attualmente rallentando. Prevediamo una crescita del Pil mondiale di appena il 2,5% sia quest’anno che il prossimo. L’Eurozona è probabilmente già in recessione, il Regno Unito registra una certa debolezza e l’attività negli Stati Uniti sta evidenziando un raffreddamento.

    In secondo luogo, mentre i lockdown per contenere la diffusione del Covid-19 hanno fatto sì che la domanda si concentrasse nel settore dei beni durante la pandemia, i modelli di consumo sono ora molto più equilibrati. In effetti, la riapertura delle economie ha determinato il fatto che, negli ultimi due anni, la domanda si orientasse nuovamente verso i servizi, lasciando il settore manifatturiero globale in recessione.

    In terzo luogo, anche sul fronte dell’offerta, l’economia globale è in condizioni decisamente migliori. Mentre, durante la pandemia, la produzione era completamente bloccata per via di lockdown che venivano imposti e poi rimossi, ora non si registrano sconvolgimenti di questo tipo. Le deviazioni intorno all’Africa meridionale allungheranno i tempi di consegna, ma le merci giungeranno comunque a destinazione, il che suggerisce che vere e proprie carenze sono improbabili. Peraltro, i recenti dati commerciali della Cina, che mostrano una crescita delle esportazioni molto più rapida in termini di volumi che non di valori, suggeriscono che le aziende, almeno in alcuni settori, sono costrette a scontare i prezzi per smaltire le capacità in eccesso.

    Rischi per l’offerta di materie prime

    Un rischio più immediato per l’inflazione globale subentrerebbe se le tensioni in Medio Oriente iniziassero a influenzare l’offerta di materie prime, in particolare facendo salire i prezzi dell’energia. Si tratta di un aspetto che abbiamo iniziato a monitorare nel nostro ultimo ciclo di previsioni. In uno dei nostri scenari, focalizzato sulle crisi geopolitiche, ipotizziamo che, oltre alle frizioni commerciali, un ampliamento delle tensioni nella regione potrebbe far salire i prezzi del petrolio verso i 120 USD al barile. La nostra simulazione prevede che l’economia globale si muoverebbe verso una stagflazione, dato che l’aumento dei costi energetici farebbe salire l’inflazione, col rischio di effetti secondari (data la rigidità dei mercati del lavoro) che peserebbero sulla crescita, costringendo le banche centrali a rinunciare ai tagli dei tassi e, forse, anche a ulteriori rialzi.

    Tuttavia, finora, i prezzi del petrolio hanno registrato un andamento soddisfacente e il petrolio greggio Brent è rimasto sostanzialmente invariato, a poco meno di 80 USD al barile.

    Tuttavia, quantomeno, l’ultimo intoppo nelle rotte di trasporto costituisce l’ennesimo promemoria dei rischi associati a lunghe catene di approvvigionamento in un mondo sempre più frammentato. Di conseguenza, il riassetto delle filiere globali, che costituisce un pilastro fondamentale del nostro scenario del “3D reset”, sembra destinato a proseguire.

  • Payden & Rygel – Chart of the week – Cosa giustificherebbe un taglio dei tassi da parte della Fed nel 2024?

    Payden & Rygel – Chart of the week – Cosa giustificherebbe un taglio dei tassi da parte della Fed nel 2024?

    Cosa giustificherebbe un taglio dei tassi da parte della Fed nel 2024? Dai verbali della riunione del FOMC di dicembre, appena pubblicati, emergono due considerazioni significative: in primis, “nel 2023 sono stati compiuti chiari passi in avanti verso l’obiettivo di un’inflazione al 2%”, in particolare se si guarda al “recente calo del dato a sei mesi”. In secondo luogo, i policymaker vedono “crescenti segnali di un maggiore equilibrio tra domanda e offerta sul mercato del lavoro”, una condizione destinata ad “attenuare le pressioni al rialzo sui salari nominali e sui prezzi”. I risultati del rapporto mensile Job Openings and Labor Turnover Survey (Jolts) di novembre, pubblicato questa settimana, hanno rafforzato l’opinione che gli squilibri sul mercato del lavoro si stiano attenuando: il “tasso di abbandono” è sceso al 2,2%, segno che i lavoratori sono meno inclini a cambiare lavoro alla ricerca di stipendi più elevati. Supponendo che l’inflazione continui a rallentare e che il mercato del lavoro torni in equilibrio, la Fed potrebbe permettersi una politica meno restrittiva: un’ottima notizia per gli investitori che sperano in un taglio dei tassi. Ma il mercato, che prevede 130 punti base di tagli già a partire da marzo, potrebbe stare correndo troppo.

  • L’entusiasmo del mercato per tassi più bassi rischia di essere eccessivo

    Mark Dowding BlueBay CIO RBC BlueBay AM
    Mark Dowding BlueBay CIO RBC BlueBay AM

    La settimana dei mercati – Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay AM

    C’è ancora molto da affrontare prima che arrivi Babbo Natale

    In sintesi

    •                    I dati sull’inflazione, a livello globale, sono migliorati negli ultimi mesi, rendendo meno probabili ulteriori rialzi dei tassi.

    •                    I rendimenti globali hanno proseguito il loro recente rally, grazie alle crescenti aspettative di allentamento delle banche centrali.

    •                    Tuttavia, riteniamo che l’entusiasmo del mercato per i tagli dei tassi sia eccessivo e che ci sia spazio per una delusione.

    •                    Rimaniamo dell’idea che i tagli dei tassi siano probabili solo nella seconda metà del prossimo anno.

    •                    I rendimenti giapponesi sono saliti, dopo una recente traiettoria discendente, in sintonia con quelli statunitensi ed europei.

    •                    Continuiamo a ritenere che l’inflazione del Regno Unito sia bloccata a un livello molto più alto rispetto a quello degli Stati Uniti e dell’Eurozona.

    (4 – 11 dicembre 2023) – I rendimenti globali hanno continuato il loro recente rally nel corso dell’ultima settimana grazie alle crescenti aspettative di allentamento delle banche centrali nella prima metà del 2024. Tuttavia, riteniamo che gli operatori di mercato si siano entusiasmati troppo per la prospettiva di un taglio dei tassi a breve termine e che ci sia spazio per una delusione.

    Di conseguenza, abbiamo aggiunto posizioni con duration corta mentre i rendimenti sono scesi. I dati economici statunitensi rimangono coerenti con una crescita relativamente sana, a nostro avviso.

    Anche la fiducia delle imprese, secondo i dati ISM di questa settimana, rimane coerente con una crescita vicina al trend e, sebbene noi stessi ci aspettiamo un rallentamento dell’attività nell’anno a venire, vediamo pochi segnali di un’economia statunitense in crisi.

    I dati sull’inflazione, a livello globale, sono migliorati negli ultimi mesi. In Europa, Isabel Schnabel della BCE ha addirittura definito “notevole” il calo del CPI tedesco, concludendo che non saranno necessari ulteriori rialzi dei tassi e che l’obiettivo di un’inflazione al 2% sembra ormai raggiungibile nei prossimi 12 mesi. Ciò ha comportato una forte revisione delle aspettative sui tassi d’interesse in euro a breve termine, con i contratti a breve scadenza che hanno registrato un rialzo di 60 pb nelle ultime due settimane.

    Tuttavia, vorremmo sottolineare che il recente calo dell’inflazione è molto meno rilevante di quanto possa sembrare. Gli effetti base hanno abbassato il CPI, ma è probabile che nei prossimi mesi l’inflazione torni a salire, man mano che questi fattori vengono meno.

    Di conseguenza, rimaniamo dell’idea che i tagli dei tassi siano probabili solo nella seconda metà del prossimo anno, con il costo del denaro che scenderà di 50 pb sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona. Questa previsione è più pessimista di quello che prezza attualmente il mercato: i mercati dei futures scontano infatti un taglio nell’Eurozona a marzo e uno negli Stati Uniti già a maggio.

    Riteniamo che l’entusiasmo del mercato per i tagli dei tassi sia diventato eccessivo. Le condizioni finanziarie si sono notevolmente allentate e, a meno che non si registrino dati decisamente più deboli per il mercato del lavoro e per il CPI statunitense della prossima settimana, riteniamo che la prossima riunione della Fed non vedrà una revisione sostanziale del tono del FOMC.

    Nell’ultima riunione trimestrale di settembre, il dot plot delle aspettative sui tassi mostrava che gli esponenti della Fed si aspettavano un ulteriore rialzo alla fine del 2023 e tagli per 50 pb nel 2024, in linea con le nostre previsioni.

    Anche se il rialzo dei tassi del 2023 sarà rimosso, riteniamo che la traiettoria rimarrà invariata. Da questo punto di vista, il mercato è destinato a rimanere deluso se Powell non farà la parte di Babbo Natale.

    I rendimenti giapponesi sono balzati a metà della scorsa settimana, dopo aver seguito di recente una traiettoria discendente, in sintonia con i rendimenti statunitensi ed europei. I commenti della Banca del Giappone (BoJ) sembrano suggerire un’accelerazione dei piani di uscita dalla politica dei tassi d’interesse negativi. Avevamo auspicato che a questa politica fosse messo fine a gennaio, ben prima rispetto alle aspettative di consenso del mercato.

    Negli incontri con i responsabili politici giapponesi abbiamo sottolineato che la BoJ ha poco da guadagnare e molto da perdere se resta troppo indietro rispetto alle altre banche centrali e abbiamo sostenuto la necessità di un’azione di politica monetaria più assertiva. Il livello di popolarità del Primo Ministro Kishida è attualmente molto basso e vediamo questo in parte legato alla debolezza dello yen, che a sua volta è legata ad una politica monetaria ultra-accomodante.

    Pertanto, riteniamo che stia crescendo la pressione politica sulla BoJ affinché cambi rotta e, poiché i mercati scontano un cambiamento di politica monetaria, è interessante notare come questo stia già contribuendo a spingere al rialzo la valutazione dello yen. 

    Continuiamo a ritenere che l’attività economica giapponese sia relativamente sana, e questo dovrebbe essere confermato da un’indagine Tankan relativamente positiva della prossima settimana. L’inflazione rimane ben al di sopra dell’obiettivo della BoJ del 2% e, sebbene ci aspettiamo un calo nel quarto trimestre di quest’anno, siamo fiduciosi di assistere a un’estensione degli aumenti dei prezzi nel nuovo anno, che dovrebbe dare ulteriore impulso ai prezzi.

    Riteniamo inoltre che la BoJ sia incoraggiata ad agire prima perché, se rimanda l’uscita dalla politica dei tassi di interesse negativi alla fine del 2024, questa uscita potrebbe diventare più problematica se coincide con un movimento della politica monetaria nella direzione opposta altrove. Da questo punto di vista, tutto fa pensare che il meeting della BoJ di dicembre, il 19 del mese, sarà una riunione di politica monetaria in diretta.

    Nel Regno Unito, i rendimenti dei gilt decennali sono saliti fino a sotto il 4%, sulla scia dei guadagni degli altri mercati. Tuttavia, continuiamo a ritenere che l’inflazione britannica sia bloccata a un livello molto più alto rispetto a quello degli Stati Uniti e dell’Eurozona. Il CPI britannico potrebbe scendere ulteriormente questo mese prima di risalire nel primo trimestre. Continuiamo a vedere il CPI core nel Regno Unito intorno al 5% e non ci è chiaro come gli attuali livelli dei tassi di interesse riusciranno a riportarlo all’obiettivo del 2%.

    Nel frattempo, mentre in Europa si comincia a parlare di una maggiore responsabilità di bilancio, nel Regno Unito pensiamo che Sunak e i suoi colleghi stiano già pianificando un’altra manovra espansiva in primavera, prima di indire le elezioni per il prossimo anno. Sembra che siano riusciti a farla franca con gli ultimi tagli alle aliquote dell’assicurazione nazionale, con l’OBR (Office for Budget Responsability) rassicurato dai tagli alla spesa – anche se molti di questi entreranno in vigore solo molto dopo la data in cui i conservatori avranno probabilmente lasciato il loro incarico.

    Di conseguenza, la tentazione di allentare nuovamente la politica di bilancio, al fine di rafforzare la quota di voti dei conservatori, è sotto gli occhi di tutti. Riteniamo che l’inflazione elevata renderà molto difficile per la BoE tagliare i tassi di interesse l’anno prossimo. Infatti, se l’inflazione dovesse rimanere problematica come ci aspettiamo, c’è il rischio che Bailey e i suoi colleghi possano riavviare un ciclo di inasprimento della politica monetaria più avanti il prossimo anno, dopo aver tenuto i tassi fermi per un periodo.

    All’interno dell’Eurozona, abbiamo visto con piacere l’upgrade del rating della Grecia da parte di Fitch alla fine della scorsa settimana. Questa mossa vedrà i titoli di stato greci tornare negli indici investment grade, dopo una pausa di 13 anni. Questo può essere considerato come la chiusura definitiva di un capitolo che ha visto Irlanda, Portogallo, Cipro e Slovenia consegnati all’universo high yield.

    Per quanto riguarda la Grecia, abbiamo anticipato che l’inclusione nell’indice potrebbe portare a una sorta di corsa alle obbligazioni greche da parte degli investitori passivi che seguono l’indice, come abbiamo visto per il Portogallo e altri paesi sovrani. In effetti, è stato interessante vedere che, grazie alle pressioni della comunità degli investitori passivi, l’inclusione nell’indice della Grecia è stata rinviata alla fine di gennaio, in gran parte sulla base dell’assunzione che la Grecia lancerà una nuova operazione obbligazionaria nel nuovo anno.

    Tuttavia, ci chiediamo se non sia il caso di consigliare ad Atene di ritardare l’emissione prevista fino a febbraio, se i fondi passivi vogliono cercare di giocare con l’emissione in questo modo. Gli spread potrebbero finire per essere considerevolmente più stretti, se l’ufficio di gestione del debito dovesse aspettare che gli spread salgano prima di lanciare un’operazione.

    Altrove, alcune disfunzionalità all’interno dell’OPEC e i segnali di indebolimento della domanda hanno depresso ulteriormente i prezzi del petrolio. Anche se questo non andrà a vantaggio dei prezzi del gas in Europa quest’inverno, un prezzo del petrolio più basso può avere effetti positivi sull’inflazione e agire anche come una riduzione delle tasse per i consumatori, sostenendo la crescita. Da questo punto di vista, il calo dei prezzi del petrolio può essere visto come un fattore che aumenta le chance di un atterraggio morbido, mentre prezzi molto più alti potrebbero indicare un rischio elevato di “hard landing”.

    Altrove, tutti gli asset rischiosi sembrano essere espressioni delle crescenti speranze per un finale positivo. Gli indici azionari scambiano vicino ai massimi, i forti flussi hanno favorito gli spread del credito e persino i prezzi del bitcoin sono saliti di oltre il 100% dall’inizio dell’anno. Riteniamo che il sentiment stia diventando eccessivamente ottimista, con gli investitori che rinunciano alla protezione dal ribasso.

    Pertanto, continuiamo a esprimere una valutazione più cauta sulla base dell’idea che i prezzi di recente siano saliti molto in poco tempo e che potrebbero essere vulnerabili a un cambiamento di rotta, qualora i dati o la Fed dovessero far invertire il recente rally dei rendimenti e le aspettative rialziste di taglio dei tassi.

    Guardando avanti

    Nelle prossime due settimane ci saranno molti importanti dati macroeconomici, per non parlare delle riunioni delle banche centrali, prima di chiudere tutto per le vacanze di Natale.

    Da questo punto di vista, potremmo assistere a un dicembre insolitamente intenso, prima che le cose si calmino e si possa iniziare a pensare al tacchino. Negli ultimi due mesi abbiamo assistito a movimenti di mercato significativi e, da questo punto di vista, non prevediamo un calo della volatilità fino alla fine dell’anno.

    Negli ultimi mesi abbiamo avuto successo nel prendere posizioni quando i mercati andavano in ipercomprato o ipervenduto, per poi assumere la posizione opposta. In questo momento, riteniamo che gli investitori siano un po’ troppo ottimisti nell’aspettarsi tagli dei tassi anticipati che, a nostro avviso, difficilmente si concretizzeranno.

    Da questo punto di vista, una duration corta su base tattica ci offre un rischio/rendimento interessante in questo momento, ma ovviamente valuteremo questo pensiero e questo posizionamento alla luce dei dati in arrivo.

  • Reddito fisso: il picco dei rialzi dei tassi segna un punto di svolta per le obbligazioni

    Reddito fisso: il picco dei rialzi dei tassi segna un punto di svolta per le obbligazioni

    A cura di Gene Tannuzzo, Responsabile reddito fisso globale di Columbia Threadneedle Investments

    04.12.2023 – Con l’avvicinarsi del 2024, sembra plausibile una pausa della Fed per valutare l’impatto delle restrizioni sulle condizioni finanziarie e creditizie messe in atto dalla banca centrale. A prescindere dal verificarsi di un atterraggio più o meno morbido, gli investitori obbligazionari hanno un unico obiettivo: generare rendimenti interessanti, consapevoli del fatto che non è necessario essere ribassisti sull’economia per essere ottimisti sul mercato dei bond.

    Le obbligazioni hanno registrato buone performance in prossimità delle pause della Fed

    Generalmente, non è necessario che ci sia un taglio dei tassi affinchè le obbligazioni risalgano. In passato, infatti, al raggiungimento del picco del ciclo restrittivo, è solitamente seguito un periodo in cui la performance delle obbligazioni tendeva ad essere eccezionale (Figura 1).

    Figura 1: rendimenti obbligazionari dopo il picco degli aumenti dei tassi della Fed

    (Rendimento a termine medio dopo una pausa, %)

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments. Cfr. le note per gli indici utilizzati.

    Non ci aspettiamo un atterraggio duro, ma non conoscendo quale sarà l’entità del rallentamento economico e tenendo in considerazione i dati attuali sull’inflazione, riteniamo utile privilegiare un posizionamento su emissioni di qualità superiore. Sebbene le obbligazioni con rating inferiori abbiano conseguito buoni risultati nel 2023, riteniamo che il mercato sarà più esigente nel 2024 e presenterà una maggiore dispersione dei rendimenti. Ci stiamo infatti addentrando in un periodo caratterizzato da tassi “più alti più a lungo” che creerà una distinzione più netta tra “vincitori e vinti”, soprattutto nei segmenti del mercato di qualità inferiore. Alla luce di ciò, è sempre più importante la selezione dei titoli, che è uno dei nostri maggiori punti di forza.

    Rendimenti più alti nel lungo termine

    I rendimenti dei titoli obbligazionari hanno raggiunto livelli che non si registravano da decenni. In questo contesto, è fondamentale cogliere l’opportunità di ottenere rendimenti più elevati nel lungo termine e riconoscere il potenziale di rendimento totale derivante dall’aumento dei prezzi di queste obbligazioni. Questo si traduce in un ottimo incentivo per abbandonare la liquidità. Attualmente, grazie alla rinascita del mercato monetario, gli investitori possono possedere liquidità e generare un rendimento competitivo. Tuttavia, l’attrattività della liquidità andrà riducendosi in corrispondenza di un calo dei tassi di interesse a breve termine e di un incremento dei rendimenti delle obbligazioni di alta qualità a lungo temine. Nel mercato europeo, le opportunità potrebbero essere persino più interessanti che negli Stati Uniti, nonostante vi siano rendimenti assoluti più bassi. A differenza degli Stati Uniti, l’Europa sta uscendo da un contesto di tassi d’interesse negativi. In questo momento, stiamo assistendo non solo a tassi d’interesse reali positivi, ma anche a spread creditizi più ampi, con la conseguenza che a parità di rating, un’obbligazione europea genera un premio al rischio maggiore rispetto a quello che si otterrebbe negli Stati Uniti.

    Prospettive per il 2024

    Di seguito delineiamo due scenari di investimento basati sul diverso andamento economico nel 2024. Qualora la crescita dovesse rimanere stabile (figura 2) e vi fosse un’elevata propensione al rischio, il reddito delle obbligazioni ad alto rendimento e dei prestiti bancari risulterebbe essere una buona integrazione per un portafoglio diversificato. Se, invece, si dovesse verificare una recessione (figura 2), sarebbe più appropriato preferire strumenti di qualità superiore sensibili alla duration, come ad esempio i Treasury o municipal bond, che offrono un’elevata protezione. 

    Figura 2: esiti economici e inflazionistici

    Fonte: Columbia Threadneedle Investments, novembre 2023

    Il nostro ottimismo nei confronti delle obbligazioni è bilanciato dall’incertezza economica, pur ritenendo improbabile un atterraggio duro. Soprattutto, riteniamo che il picco dei tassi sia vicino e che una pausa della Fed sarà un evento significativo per i mercati, poichè storicamente ha prodotto rendimenti superiori per le obbligazioni. Se a ciò si aggiunge l’opportunità di conseguire rendimenti interessanti, riteniamo che questo sia il momento giusto per entrare nel mercato obbligazionario.

    Per ulteriori informazioni si veda il sito internet di Columbia Threadneedle Investments: www.columbiathreadneedle.it

  • Aktia – Con il picco dei tassi puntare sui mercati emergenti in valuta locale

    Aktia – Con il picco dei tassi puntare sui mercati emergenti in valuta locale

    A cura di Ulla Huotari, portfolio manager Emerging & Frontier Markets, Aktia, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS

    Con la fine del ciclo di rialzo dei tassi di interesse nei mercati sviluppati questo potrebbe essere il momento di riposizionarsi su una asset class, quella dell’obbligazionario emergente e di frontiera, che ha sofferto negli ultimi due anni una generale avversione al rischio e la risalita dei rendimenti sul reddito fisso dei paesi sviluppati. Tuttavia, nell’ambito dei mercati obbligazionari emergenti e di frontiera, si sono dimostrati resilienti soprattutto i bond in valuta locale.

    Il risk sentiment ha infatti iniziato a migliorare sulla scia di prospettive più favorevoli per l’inflazione statunitense, creando spazi per i mercati emergenti sia in valuta forte sia locale dopo i forti deflussi degli ultimi anni. Rispetto a certi mercati di frontiera dove c’è carenza di dollari – come in Nigeria, Ghana, Kenya ed Egitto – quelli emergenti sono meglio posizionati perché sono paesi dove le banche centrali hanno iniziato il ciclo restrittivo in anticipo e, di conseguenza, stanno adesso allentando la politica monetaria, in anticipo rispetto all’Occidente. Per esempio, quest’anno diverse banche centrali dell’America Latina hanno iniziato a ridurre il costo del denaro e l’inflazione in questi paesi sta scendendo, quindi i tassi reali sono elevati.

    In particolare, le condizioni per i mercati di frontiera, che sono considerati investimenti di lungo periodo, miglioreranno se i tassi di interesse Usa inizieranno a scendere e il dollaro si indebolirà: negli ultimi anni questi paesi, infatti, hanno fatto fatica a finanziarsi sui mercati dei capitali internazionali.

    Ma già oggi è possibile prendere esposizione su questi mercati di frontiera in valuta locale con un portafoglio per il 65% investment grade diversificando il rischio paese con emissioni di istituzioni finanziarie per la cooperazione allo sviluppo (development finance institutions bonds) tripla A e allocando una quota preponderante a derivati su valute non-deliverable regolati in dollari che sono più liquidi.

    Ad essere cruciale è la selezione dei paesi che si mettono in portafoglio – è un universo di 146 stati quello a cui guardiamo – con un’attenzione particolare alla capacità di un paese di ripagare il proprio debito nel lungo periodo concentrandosi su fattori economici, sociali e di governance: premiante, in questo senso, si rivela puntare su quelli che hanno migliori chance di essere oggetto di una revisione al rialzo del merito di credito: è stato il caso quest’anno di Serbia, Repubblica Domenicana, Costa Rica e Uruguay

    Nel processo di selezione è possibile integrare i fattori ESG, purché si tenga conto delle specificità di questi mercati, cioè concentrandosi più sugli indicatori relativi alla governance(in queste aree i dati sociali e di governance sono più abbondanti di quelli ambientali) efocalizzandosi più sui trend che sui dati (questi paesi, quando si tratta di sostenibilità, si muovono da punti di partenza molto diversi)

    Kazakhistan spicca fra i mercati di frontiera, l’America Latina negli emergenti

    Sui mercati di frontiera oggi vediamo valore in Kazakhistan, dove il debito è basso intorno al 25% del Pil, e ci sono abbondanti riserve in valuta. Lo stesso vale per l’Uzbekistan, che è stata anche una storia di riforme dopo la morte dell’ultimo presidente. Per bilanciare i rischi, investiamo anche in Uruguay anche se è un Paese emergente più tradizionale. Fra i mercati obbligazionari emergenti tradizionali in valuta locale ci piacciono Brasile e Messico perché i tassi reali sono più elevati, le banche centrali stanno tagliando i tassi e l’inflazione sta scendendo. Non investiamo, invece, sull’Argentina.

    Alla larga dalla Cina

    Non vediamo valore in Cina già dall’anno scorso a causa di livelli di rendimento molto bassi e della crisi del settore immobiliare, che rappresenta un significativo freno tra altri fattori strutturali. Riteniamo che il programma economico di Xi Jinping sia diventato più politico e questo non ci piace: l’economia sembra che adesso sia guidata dalla politica. Anche se di recente la crescita del Pil si è stabilizzata, pensiamo che ci siano delle sfide di lungo periodo per ragioni politiche e demografiche. Naturalmente c’è anche il rischio geopolitico. Si possono trovare rendimenti più interessanti in altri mercati emergenti.

    Nel 2024 più che ai rischi geopolitici si guarda alle elezioni

    Chi investe in mercati emergenti e di frontiera è abituato a fare i conti con i rischi geopolitici che oggi riempiono le prime pagine dei giornali: storicamente, alcuni paesi di frontiera sono spesso stati teatro di conflitti e guerre. Tendiamo a non investire in questi mercati dove la stabilità generale è a rischio.

    I rischi geopolitici sono legati alla capacità di attirare investimenti dall’estero. Nel caso del Medio Oriente pare che i mercati finanziari abbiano già scontato il conflitto. Non abbiamo investimenti diretti in Medio Oriente nell’ambito delle nostre strategie in valuta locale.

    Più che alla geopolitica l’anno prossimo guarderemo ai risultati delle elezioni: nel 2024, infatti, circa il 40% della popolazione mondiale andrà alle urne. Le elezioni si terranno non solo nei mercati sviluppati, dove c’è attesa per le presidenziali USA, ma anche in numerosi paesi emergenti e di frontiera. Dopo l’Argentina ci sarà Egitto, Bangladesh, Pakistan e India.

    Ci aspettiamo che la geopolitica resti un tema nel medio periodo e che il mondo rimanga polarizzato in blocchi distinti, considerando la rivalità fra Cina e Stati Uniti.

  • Immobiliare europeo, le occasioni per gli istituzionali tra tassi alle stelle e greenification

    Immobiliare europeo, le occasioni per gli istituzionali tra tassi alle stelle e greenification

    A cura di Giambattista Chiarelli, Head of Institutional di Pictet Asset Management

    22.11.2023

    • La lunga corsa dei tassi di interesse, portati da zero al 4,5% in 18 mesi dalla BCE, con 10 rialzi consecutivi, potrebbe avere un duro contraccolpo sul mercato immobiliare europeo. Il Real estate è il settore che subisce solitamente per ultimo le ripercussioni delle crisi economiche, ma il suo turno potrebbe essere vicino, come dimostrano i dati di mercato.
    • La sostenibilità finanziaria dell’acquisto di una casa è crollata in molti Paesi, a causa dell’aumento dei tassi di interesse sui mutui, in molti casi triplicati rispetto al 2021.
    • Dall’altra parte il settore è sottoposto a trend secolari destinati a trasformarlo per sempre: la tecnologia, la transizione green, le nuove abitudini sociali acquisite dalla pandemia.
    • La strategia vincente per gli investitori istituzionali che vogliano investire nel Real estate è quella Value-Add: acquistare a sconto, ristrutturare, rivendere (o affittare al valore massimo). Approfittando, laddove possibile, del premio green.

    Le politiche monetarie restrittive hanno causato un rapido aumento dei tassi di interesse in Europa, passati da essere negativi al 4,50% in meno di 18 mesi. Un rialzo che ha avuto un grande impatto sui nuovi mutui immobiliari, ma che ancora non si è trasferito alla maggior parte del mercato del Real estate. Quello immobiliare è tipicamente tra i settori che per ultimi reagiscono agli scossoni dell’economia ed è stato finora sostenuto da prezzi e rendimenti in costante aumento. Tuttavia, il precedente contesto favorevole a tutti i segmenti di questo mercato sembra essere terminato e ci aspettiamo sia seguito da un periodo di maggiore incertezza. In particolare, i rendimenti immobiliari nel prossimo decennio vedranno probabilmente una maggiore dispersione, il che dovrebbe offrire anche maggiori opportunità di generare valore a livello globale.

    Al di là dell’aspetto congiunturale legato ai tassi, il settore è immerso in una serie di cambiamenti secolari che dipendono da tecnologia, demografia e transizione green. Senza considerare che le nuove abitudini di lavoro innescate dalla pandemia si sono rivelate durature, sebbene le preferenze siano differenti da paese a paese. In questo contesto riteniamo che l’adozione di una strategia Value-Add presenti le migliori prospettive per gli investitori istituzionali. “Comprare, aggiustare, vendere” è la premessa generale di un approccio a valore aggiunto per sua natura a rischio più elevato, con rendimenti che dipendono principalmente dalla crescita del valore del bene ottenuta attraverso una gestione fortemente attiva. L’obiettivo di una simile strategia è trasformare l’asset immobiliare in un prodotto Core/Core Plus una volta stabilizzati i flussi di cassa da locazione e assicurato un valore aggiuntivo alla proprietà.

    Il contesto generale: il mercato immobiliare italiano ed europeo

    Nel secondo trimestre 2023, l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entratemostra per il terzo trimestre consecutivo un andamento negativo: le compravendite sono scese del 16%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre quelle del nuovo anno si sono ridotte complessivamente addirittura del 40,9%, registrando un allungamento dei tempi di vendita da 5,5 a 5,8 mesi. Questa contrazione deriva direttamente dal rialzo dei tassi di interesse sui mutui, quasi raddoppiati in un anno e oggi a quota 4,31%; non è un caso che la domanda di mutui sia crollata del 33%. La sostenibilità finanziaria dell’acquisto di una casa è di fatto crollata in molti paesi, a causa dell’incremento dei tassi sui mutui, triplicati rispetto al 2021; discesa che non ha ancora toccato il fondo. Dall’altra parte una crisi immobiliare crea, così come ogni crisi, anche interessanti occasioni di acquisto per gli investitori.

    La strategia Value-Add

    L’attuale contesto del mercato residenziale è ideale per realizzare un approccio di investimento Value-Add. In particolare, gli immobili che meglio si adattano a una strategia a valore aggiunto sono generalmente mal gestiti, hanno problemi di locali sfitti o ritardi e gap per quanto riguarda la manutenzione. Inoltre, dato lo scenario economico, il proprietario potrebbe avere problemi a rifinanziare il debito e/o essere obbligato a vendere asset a sconto sul secondario, finendo così per essere un distressed seller. Una volta identificato l’immobile ‘problematico’, l’investitore intraprende un programma completo di ristrutturazione dell’asset, un vero e proprio cambio strategico, volto a ottenere il massimo valore. L’obiettivo finale è quello di uscire dall’investimento una volta che la proprietà sia stata completamente stabilizzata e il suo valore aumentato in modo significativo.

    È bene sottolineare che un simile approccio presenta anche dei rischi. Il successo della strategia dipende infatti dalla capacità dell’investitore di affrontare efficacemente e rapidamente le problematiche individuate e di riuscire a generare un incremento del valore dell’immobile in tempi stretti. Se l’esecuzione vacilla, esiste il pericolo concreto di dover vendere l’asset con un esito complessivamente negativo. Ciò evidenzia bene il delicato equilibrio tra rischio e rendimento inerente alla strategia Value-Add. Oggi le opportunità di investimento nel settore immobiliare si stanno ampliando, in quanto sta cambiando anche la domanda dell’utente finale. Da un lato, infatti, stiamo vedendo aumentare la richiesta di edifici commerciali e residenziali più efficienti e rispettosi dell’ambiente, mentre dall’altro le nuove tecnologie stanno portando le persone a desiderare ambienti di vita e di lavoro sempre più ibridi. In questo panorama in mutamento i portafogli immobiliari Value-Add offrono senza dubbio un modo per capitalizzare tali opportunità. Questi investimenti, infatti, non solo beneficiano di affitti sicuri e a lungo termine, ma offrono anche il potenziale per aumentare i rendimenti attraverso la ristrutturazione, il riposizionamento o la riqualificazione degli edifici.

    Le nuove opportunità nel Real estate: dalla greenification alla nuova socialità

    La crescente enfasi sulle certificazioni di sostenibilità come BREEAM (Building Research Stabiliment Environmental Assessment Method) e LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) ha creato un notevole green premium nel mercato del Real estate europeo, in particolar modo nei segmenti degli immobili ad uso uffici e residenziale, ma anche nella logistica e nel settore dell’ospitalità.

    Il settore immobiliare svolge oggi un ruolo cruciale per il raggiungimento degli obiettivi net zero, se si pensa che in Europa gli edifici costituiscono il 40% del consumo energetico totale, il 36% delle emissioni di CO2 e più della metà dell’utilizzo di elettricità nella regione; consumi derivanti dal fatto che una buona parte delle strutture presenti sono obsolete (il 40% è stato costruito prima del 1960 e il 90% prima del 1990). Ristrutturare questi immobili è certamente più efficiente che costruirne di nuovi: nel secondo caso, infatti, il processo richiederebbe emissioni di CO2 di tre volte superiori rispetto al primo. Tuttavia, non è la sola spinta del regolatore ad indirizzare il mercato immobiliare Europeo verso un approccio più green, in quanto coloro che investono in edifici con un’elevata certificazione di sostenibilità non solo contribuiscono agli obiettivi ambientali, ma beneficiano anche di costi operativi ridotti grazie al minor consumo energetico e a prezzi di vendita e di affitto più elevati. Il miglioramento dei dati economici riflette in parte il fatto che un numero crescente di investitori istituzionali investe ora solo in edilizia “verde”, creando così un mercato potenziale per qualsiasi ristrutturazione intrapresa dai fondi “Value-Add”. La nostra esperienza nell’ambito della greenification degli immobili può generare inoltre rendimenti da Private Equity.

    Tra i trend di cambiamento in atto nel mercato immobiliare, abbiamo visto anche come la pandemia abbia innescato un crescente disallineamento tra chi affitta gli spazi e chi li utilizza, e tra tipologia di edificio ed esigenze degli occupanti. Gli uffici devono essere più flessibili, orientati ad avere aree comuni più vaste per permettere l’incontro tra persone diverse che frequentano il luogo di lavoro secondo le proprie esigenze. Città medie non lontane dalle capitali (Birmingham, Manchester, Goteborg o Lione) potrebbero in tal senso beneficiare della diffusione dello smart working grazie alla maggiore convenienza che offrono relativamente alle spese di soggiorno, lavoro e viaggio.

    Infine, un altro segmento chiave dove poter sfruttare una strategia a valore aggiunto è quello della logistica di supporto all’e-commerce. Una ricerca condotta da CBRE (CBRE Research, CBRE Econometric Advisors) suggerisce che per ogni incremento di 1 miliardo di dollari delle vendite online sono necessari 116.000 metri quadrati di spazi logistici in più, ma anche meno punti vendita al dettaglio (che cambierebbero così destinazione d’uso). Attraverso un processo di ristrutturazione e di gestione attiva delle proprietà immobiliari, investendo in asset core solidi, la strategia Value-Add Real estate può quindi offrire rendimenti interessanti, un flusso di reddito sostenibile, un contributo a lungo termine al miglioramento delle emissioni e un certo grado di protezione dall’inflazione.

  • Tassi “più alti più a lungo” argineranno l’inflazione, la qualità è la strada maestra  

    Tassi “più alti più a lungo” argineranno l’inflazione, la qualità è la strada maestra  

    A cura di Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments

    22.11.2023

    Stati Uniti, Europa, Cina e resto del mondo si muovono in direzioni diverse. Dagli Stati Uniti sono giunte sorprese economiche positive: la domanda di lavoro rimane superiore all’offerta, anche se si sta riallineando, l’indice ISM manifatturiero si è contratto per 10 mesi, mentre il PMI dei servizi si è espanso grazie alla solidità della spesa al consumo.

    Figura 1 USA: la crescita dei salari sta rallentando

    Settori privati  

    Tempo libero e strutture ricettive

    Fonte: BCA Research, 2023. Variazione percentuale delle retribuzioni orarie medie

    I recenti dati sull’occupazione alimenteranno l’inflazione, pertanto i tassi d’interesse dovranno rimanere ad un livello di neutralità difficile da determinare. Tuttavia, l’inflazione USA dovrebbe diminuire. La Federal Reserve divide l’inflazione in tre categorie: beni, alloggi e servizi. Il primo di questi tre indicatori è al di sopra del livello tendenziale ma in calo; gli affitti, al momento stazionari o in discesa, sono un dato anticipatore dell’inflazione dei costi abitativi. I servizi, infine, sono una funzione dei salari, la cui crescita ha raggiunto il picco del 7% nel 2022 ed è ora pari al 4,5% (Figura 1). Il tasso di posizioni disponibili e di dimissioni è inoltre diminuito.

    Affinché si verifichi un atterraggio morbido, le politiche monetarie delle banche centrali devono essere impeccabili. La Fed prevede che la disoccupazione raggiunga il picco al 4,1%, aumentando di aumento di mezzo punto. Incremento che, sulla base dei criteri adottati dalla stessa Banca Centrale,  scatenerebbe una recessione. Nei cicli precedenti il tasso di disoccupazione è salito in media di 280 punti base, non di 50.Se un rialzo di 500 punti base non provocasse una recessione sarebbe un evento senza precedenti storici (Figura 2).

    Figura 2: tasso di disoccupazione USA (media a 3 mesi)

    Fonte: BCA Research, 2023. Le aree ombreggiate indicano le recessioni registrate dal NBER; i cerchi indicano i periodi in cui la media a tre mesi del tasso di disoccupazione è aumentata di più di un terzo di punto percentuale rispetto ai minimi precedenti. Nel dopoguerra non è mai successo che la media del tasso di disoccupazione sia aumentata di oltre un terzo di punto percentuale senza che si avesse una recessione

    I timori di tassi d’interesse “più alti più a lungo” stanno deprimendo le obbligazioni: a metà ottobre il rendimento del Treasury USA decennale ha toccato il 4,9%. Le azioni globali, di contro, sono scese del 10% dai massimi di luglio. Se si escludono i sette maggiori titoli tecnologici degli Stati Uniti e si applicano ponderazioni paritarie all’S&P500, che ha raggiunto il picco a febbraio ed è rimasto poi stazionario da inizio anno ad oggi.

    I rendimenti decennali statunitensi sono saliti nel terzo trimestre sulla scia della decisione delle banche centrali di mantenere alti i tassi d’interesse. Inasprimento monetario sta dando i suoi frutti: i rendimenti dei prestiti a imprese e famiglie sono i più alti degli ultimi 15 anni.  Inoltre, le previsioni della Fed indicano un aumento dei tassi ufficiali reali a breve termine dall’1,3% al 2,5% entro la fine del 2024. Aumento che sta agendo sulle valutazioni azionarie, il cui premio al rischio dati i rendimenti attuali è il più basso dall’inizio degli anni ’70.

    In generale, le azioni hanno registrato una buona performance quest’anno, confortate dal fatto che la recessione non è ancora arrivata. Ma lo scollamento tra i listini azionari e lo slancio economico sottostante suggerisce che i corsi azionari rischiano di scendere se l’attività economica non si riprenderà.

    Europa
    La crescita europea rimane debole a causa del rallentamento dell’Asia e della politica monetaria restrittiva: gli indici PMI manifatturieri e dei servizi restano sotto quota 50. L’inflazione complessiva e quella di fondo sono ancora elevate, rispettivamente al 4,3% e al 4,5%, ma l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) e gli indicatori dei prezzi alla vendita segnalano una flessione. È probabile che i tassi della Banca centrale europea abbiano raggiunto il picco al 4%. La BCE ha affermato che se anche i rialzi sono finiti i tassi rimarranno elevati. Aumenti così imponenti sono un inedito, ed i livelli reali dei tassi si porteranno in territorio positivo con il calo dell’inflazione. In Europa gli standard di accesso al credito sono diventati restrittivi e la domanda privata di finanziamenti è diminuita. L’offerta di moneta si sta contraendo al ritmo più serrato dalla nascita dell’euro. Anche l’attività edilizia è in contrazione e le nuove licenze sono crollate, essendo questo settore il più sensibile ai tassi d’interesse.


    La politica monetaria restrittiva sta agendo sull’economia proprio quando la crescita è debole. Il settore manifatturiero si sta contraendo a causa del calo delle esportazioni, e anche i servizi segnano il passo. Le tensioni sul mercato del lavoro persistono ma si stanno allentando; un rallentamento della crescita dei posti di lavoro raffredda la crescita dei salari. La componente occupazionale delle indagini UE relative al settore manifatturiero e a quello dei servizi mostra una diminuzione dei costi salariali e un aumento della disoccupazione. L’inflazione dovrebbe riportarsi entro l’obiettivo nel 2024, ma ciò non condurrà a tagli dei tassi. Le famiglie dell’UE hanno 1.500 miliardi di euro di risparmi in eccesso risalenti al periodo della pandemia.

    Il calo dell’inflazione determinerà una crescita dei redditi reali. Ciò significa che, nonostante l’aumento della disoccupazione, le famiglie si sentiranno più agiate, con un effetto positivo sui consumi. È probabile che ciò avvenga di pari passo con la stabilizzazione della Cina, imprimendo slancio alle esportazioni. Le scorte globali sono basse, la deflazione cinese si sta attenuando e il renminbi si è deprezzato, il che stimola l’attività industriale globale e avvantaggia l’Europa. I rendimenti europei rimarranno su livelli più alti rispetto agli ultimi 10 anni. Le ore lavorate sono sui massimi storici e l’ONU prevede che nel 2030 la popolazione europea in età lavorativa conterà 12,4 milioni di persone in meno rispetto al picco del 2011. La disponibilità di lavoro diventerà scarsa nonostante l’immigrazione.

    Questo significa che la spesa in conto capitale aumenterà e la politica fiscale sarà più accomodante. La spesa per la difesa, la transizione verde e l’onshoring per rinnovare il vecchio stock di capitale dovrebbero portare a un boom degli investimenti europei.  Il calo dell’offerta di lavoro e la solidità degli investimenti freneranno la crescita della disoccupazione e spingeranno al rialzo i salari reali. Ciò avrà effetti inflazionistici e dunque manterrà tassi e rendimenti su livelli più alti, impedendo alla BCE di allentare la politica monetaria. Gli investimenti, i deficit di bilancio e l’erosione dei risparmi dovuta all’invecchiamento della popolazione faranno salire il tasso d’interesse neutrale, come successo negli Stati Uniti. Il lavoro rappresenta il 60% dei costi aziendali, quindi la crescita dei salari comprimerà i margini, così come la spesa in conto capitale e l’onshoring comprimeranno i cash flow. La stabilizzazione delle scorte e dell’economia cinese potrebbe fornire una tregua all’Europa, ma un tasso d’interesse neutrale più alto si traduce in valutazioni azionarie più basse.

    Cina
    La crescita cinese non è proseguita dopo il rimbalzo post-Covid. L’economia sta rallentando: la crescita dell’aggregato M1 (offerta di moneta) è scesa al 3% e quella del PIL al 3,2%, e ciò significa che l’obiettivo del 5% per il 2023 potrebbe non essere raggiunto. Quest’anno il renminbi è sceso del 6% toccando il minimo dal 2009, e le esportazioni non hanno dato segnali di ripresa. La crescita del credito è anemica e il ritmo  dei finanziamenti sociali totali è il più lento dal 2002. Entrambi questi indicatori e quello riferito alla spesa pubblica sono sui minimi decennali. I PMI cinesi ufficiali dipingono un quadro ottimistico; l’indice di attività economica Yicai, tuttavia, suggerisce un contesto più fragile a causa dell’indebitamento del mercato immobiliare e del tiepido sostegno monetario e fiscale.

    Il settore degli immobili residenziali è problematico e i prezzi alla produzione sono in calo. Salvo un intervento del governo, questa deflazione trascinerà al ribasso anche altri mercati emergenti. Le misure di stimolo, anche se limitate, e la ripresa delle scorte dovrebbero imprimere slancio, ma la Cina va incontro a diversi problemi strutturali: gli sviluppi geopolitici, l’onshoring verso gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa per i prodotti manifatturieri di fascia alta e il near-shoring degli Stati Uniti in Messico porteranno a un forte calo delle esportazioni di beni di fascia bassa.

    Gli investimenti diretti esteri sono diminuiti. Gli immobili residenziali sono sopravvalutati e in una situazione di offerta eccedente, inoltre i costruttori sono più indebitati di quanto non accadesse in Giappone a fine anni ’80/inizi anni ’90. Le dinamiche demografiche sono preoccupanti: secondo le Nazioni Unite la popolazione attiva si ridurrà del 60% entro la fine del secolo. Si prospetta quindi uno scenario poco sostenibile, in cui servirebbe un’azione forte di sostegno da parte del governo centrale, che però non ha dato finora alcun segnale di voler intervenire.

    Conclusioni
    I rendimenti obbligazionari stanno schizzando verso l’alto per i motivi sbagliati: non per la forza della crescita ma per l’aumento del premio a termine, l’eccesso di offerta obbligazionaria e la diminuzione degli acquirenti dovuta al calo dei risparmi globali. I rendimenti sono in forte rialzo, ma la leadership non è ciclica. I rendimenti obbligazionari dovrebbero calare in parallelo alla moderazione dei mercati del lavoro e all’allentamento delle pressioni sui prezzi, ma ciò non sta accadendo.

    Gli annunci di utile del terzo trimestre sono importanti e dobbiamo concentrarci sulle dichiarazioni previsionali. Le previsioni per il 2024 parlano di una crescita degli utili del 12% negli Stati Uniti e dell’8% in Europa. La crescita degli utili nel 2023 è stata scarsa, ma vi sono speranze di una ripresa. I prezzi di mercato non scontano delusioni.

    Con i rendimenti reali su questi livelli, i rapporti prezzo/utili delle azioni statunitensi dovrebbero essere cinque punti sotto l’attuale livello di 18-19. Il cuscinetto valutativo è minimo. Il conflitto in Medio Oriente spingerà al rialzo il prezzo del petrolio e frenerà il calo dell’inflazione. In generale, l’espressione “tassi più alti più a lungo” riassume bene la politica monetaria statunitense. Il mercato prevede tagli di 80 punti base prima delle elezioni, ma l’unica ragione per la Fed di tagliare i tassi sarebbe un’economia debole.

    Il tasso di disoccupazione statunitense è ai minimi storici ed è difficile immaginare l’avvio di un ciclo senza un azzeramento. A gennaio il consenso era ribassista perché allora l’economia era vigorosa, e ciò spiega l’apprezzamento da inizio anno ad oggi. I titoli ciclici e value hanno già registrato buone performance.

    Nel mercato creditizio non vediamo ancora segnali di cambiamento radicale: gli spread sono sotto controllo. I pagamenti degli interessi nel settore societario sono in calo perché solo una ristretta cerchia di grandi aziende genera cassa, ma questo non vale per l’intero mercato. Le perdite delle banche statunitensi sulle obbligazioni detenute fino a scadenza sono passate dai 500 miliardi di dollari di marzo agli 800 miliardi di dollari di ottobre. Gli standard di erogazione dei prestiti si stanno inasprendo e ci troviamo in un periodo di transizione. Negli ultimi otto cicli di inasprimento della Fed i rendimenti obbligazionari sono scesi. Questo è un buon momento per approfittare di rendimenti più elevati.

    Il quarto trimestre è un periodo stagionalmente propizio per le azioni. Nei mercati, l’energia ha già archiviato buone performance e anche le altre materie prime dovrebbero cominciare a fare meglio, così come i difensivi. I settori dei consumi – auto, compagnie aeree, vendita al dettaglio e tempo libero – registreranno performance disomogenee. L’Europa ha generato solide performance fino a maggio, ma ha poi perso metà di tali guadagni. L’aggregato M1, che è l’indicatore anticipatore per l’Europa, appare ancora debole.

    Generalmente, passano 12-18 mesi dal punto di inversione della curva dei rendimenti prima che gli Stati Uniti entrino in recessione. La curva 10 anni/2 anni si è invertita a luglio 2022 e quella 10 anni/3 mesi a ottobre 2022. Il PPI globale e gli utili globali sono fortemente correlati. Di norma il PMI e le revisioni degli utili sono correlati, ma è venuto a crearsi uno scarto. O il PMI dell’eurozona rialza la testa, o gli utili dovranno essere rivisti al ribasso. 

    Considerate le diverse prospettive in termini di inflazione, tassi d’interesse e crescita negli Stati Uniti e in Europa, i mercati azionari europei potrebbero nuovamente sovraperformare quelli statunitensi.

  • Tassi, occupazione e petrolio: a cosa guardano i mercati

    Tassi, occupazione e petrolio: a cosa guardano i mercati

    • Nonostante la decisione della Fed di lasciare i tassi d’interesse invariati fosse ampiamente prevista, i mercati hanno reagito in modo piuttosto brusco, con il rendimento del decennale statunitense che è sceso di circa 40 punti base la scorsa settimana
    • Gli ultimi dati sull’occupazione negli Stati Uniti evidenziano una leggera contrazione dei nuovi posti di lavoro e un lievissimo aumento della disoccupazione, lasciando intendere che la politica monetaria restrittiva della Fed potrebbe finalmente cominciare a dimostrarsi efficace
    • Il Tesoro americano prevede un’emissione trimestrale di debito pari a 112 miliardi di dollari, una cifra inferiore alle aspettative di alcuni investitori che potrebbe aver contribuito all’impennata dei rendimenti a cui abbiamo assistito la scorsa settimana
    • Oggi la quotazione del Brent è sostanzialmente sovrapponibile a quella del periodo precedente alla crisi in Israele, ma un peggioramento della situazione geopolitica 
    • potrebbe portare il prezzo del petrolio fino ai 150 dollari al barile

    A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm

    Milano, 7 novembre 2023 – La scorsa settimana l’attenzione dei mercati si è concentrata sui tassi di interesse, lasciati invariati sia dalla Federal Reserve statunitense che dalla Bank of England. Nonostante le mosse di entrambe le banche centrali fossero ampiamente previste, i mercati hanno reagito in modo piuttosto brusco, con il rendimento del decennale statunitense che è sceso di circa 40 punti base. Una reazione che può essere, in parte, ricondotta alle parole pronunciate dal presidente Powell nel corso della conferenza stampa post-riunione, che gli investitori hanno interpretato come il segnale di una fine ormai prossima del ciclo di rialzi dei tassi. 

    I mercati hanno seguito con attenzione anche gli ultimi dati sull’occupazione negli Stati Uniti: il rapporto stilato mercoledì dall’agenzia di elaborazione delle buste paga ADP dipinge il quadro di un mercato del lavoro in rallentamento, una tesi supportata anche dai Non-Farm Payroll di venerdì 3 novembre, che registrano una leggera contrazione dei nuovi posti di lavoro e un lievissimo aumento della disoccupazione. Questi ultimi dati suggeriscono che la politica monetaria restrittiva della Fed potrebbe finalmente iniziare ad avere effetto, nonostante l’ultimo rapporto sul Pil Usa evidenzi una crescita economica ancora solida. 

    Le ultime considerazioni riguardano l’entità di nuovo debito che il governo Usa sarebbe pronto ad emettere: il deficit di bilancio degli Stati Uniti è già piuttosto elevato in rapporto al PIL e si prevede crescerà ulteriormente, nonostante l’aumento del costo di emissione. L’attuale impasse politico rende inoltre difficile per il governo adottare le misure per la riduzione del deficit che pure sarebbero necessarie. Il Tesoro americano prevede un’emissione trimestrale di debito pari a 112 miliardi di dollari, una cifra inferiore alle aspettative di alcuni investitori che potrebbe aver contribuito all’impennata dei rendimenti a cui abbiamo assistito la scorsa settimana. 

    Infine, mentre il conflitto in Medioriente non accenna ad esaurirsi, alcuni report mettono in evidenza quanto un peggioramento della situazione geopolitica potrebbe pesare sul prezzo del petrolio, che secondo la Banca Mondiale potrebbe arrivare a toccare i 150 dollari al barile in uno scenario di cosiddetta “grande perturbazione”. Considerando che negli ultimi vent’anni il prezzo del petrolio ha in diverse occasioni superato i 120 dollari al barile, queste stime non ci appaiono del tutto irrealistiche. Ancora più interessante è la questione del prezzo attuale del petrolio: oggi la quotazione del Brent è sostanzialmente sovrapponibile a quella del periodo precedente alla crisi in Israele. Diverse le ragioni che potrebbero essere alla base di questo fenomeno, tra cui il fatto che gli investitori petroliferi ritengono poco probabile un’escalation del conflitto. Ci auguriamo che questa interpretazione si dimostri corretta, ma occorrerà tenere monitorata da vicino la questione. 

  • COMGEST: EUROPA, ATTENZIONE PUNTATA SU INFLAZIONE E TASSI

    COMGEST: EUROPA, ATTENZIONE PUNTATA SU INFLAZIONE E TASSI

    Dopo il rialzo della prima parte dell’anno, all’inizio di agosto l’indice MSCI Europe ha iniziato ad arretrare. L’inflazione di fondo si sta allentando, ma non così velocemente come qualcuno aveva sperato. Il tasso sui depositi della Bce è stato aumentato sei volte quest’anno, fino all’attuale 4%, e la Presidente Lagarde si augura che non siano necessari ulteriori rialzi. Intanto, la crescita rallenta e la BCE ora prevede un incremento del PIL nell’Eurozona di solo lo 0,7% quest’anno e di poco superiore l’anno prossimo. Anche la Cina sembra in fase di rallentamento, come testimoniato negli ultimi mesi da molte società legate ai consumi. Le aspettative degli analisti stanno scendendo di conseguenza e, riguardo agli utili di mercato, ora si prevede un rialzo minimo quest’anno.

    Fino ad ora, il 2023 è stato un altro anno positivo dal punto di vista dei fondamentali. Per due volte Novo Nordisk ha rivisto al rialzo le previsioni dell’anno in corso e ha inoltre annunciato risultati incoraggianti dello studio SELECT sui benefici cardiovascolari di Wegovy, il suo farmaco contro l’obesità. Questo dato è importante perché aumenta le possibilità di accesso al mercato in un momento in cui i budget sanitari sono sotto pressione.

    Nell’area dei beni di consumo, Inditex ha pubblicato una serie di dati semestrali molto positivi, dove si evidenzia una forte progressione del fatturato e degli utili. La conquista di nuove quote di mercato da parte della società ha subito un’accelerazione dopo il Covid e non vi sono segnali di rallentamento.

    Ferrari ha pubblicato solidi risultati e rivisto al rialzo le previsioni dell’anno in seguito all’ottima dinamica del marchio. Il successo del SUV Purosangue, associato all’efficace strategia di “premiumisation” (tendenza dei consumatori ad acquistare prodotti di fascia di prezzo superiore), mette la società nell’invidiabile posizione di avere un portafoglio ordini che si estende fino al 2025.

    Le previsioni sull’inflazione e sui tassi d’interesse continuano a dominare i mercati, mentre le stime di crescita sono di nuovo oggetto di una revisione al ribasso. In questo manteniamo il nostro focus anche su società poco indebitate e poco influenzate dal ciclo economico, con alti livelli di ricavi ricorrenti che dovrebbero aiutarle a superare le fasi di rallentamento dell’economia. Crediamo sia importante applicare un nostro approccio rigoroso alle valutazioni, senza mai scendere a compromessi sulla qualità.

  • Columbia Threadneedle Inv. – Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    Columbia Threadneedle Inv. – Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Tassi di interesse: più alti più a lungo o grandi tagli nel 2024?

    • Le banche centrali avvisano che i tassi di interesse rimarranno probabilmente alti per un periodo prolungato.
    • Tuttavia, date le potenti forze disinflazionistiche attualmente in atto, potremmo vedere l’aumento dei prezzi ridursi più rapidamente di quanto molti si aspettino.
    • I prezzi delle materie prime si stanno attenuando e la spirale dei prezzi salariali si sta invertendo, soprattutto negli Stati Uniti.
    • I mercati del lavoro si stanno allentando a causa dell’aumento dell’offerta.  Le persone stanno rientrando nella forza lavoro e l’immigrazione sta riprendendo quota.
    • In questo contesto, potremmo assistere a un taglio dei tassi negli Stati Uniti all’inizio del 2024 e nel Regno Unito poco dopo.

    Le banche centrali dicono di aspettarci che i tassi di interesse rimangano alti per un periodo prolungato, mentre personalmente prevedo forti tagli dei tassi nel 2024. I toni da falco delle banche centrali sono rimasti anche quando queste hanno ammesso che i tassi ufficiali sono ormai vicini al loro picco. Infatti, sia la Federal Reserve che la Banca d’Inghilterra hanno mantenuto i tassi fermi nelle loro ultime riunioni. Perché possiamo essere più ottimisti sulle prospettive dei tassi d’interesse rispetto alle banche centrali o ai prezzi di mercato?

    Sullo sfondo abbiamo le banche centrali che, collettivamente, non sono state in grado di prevenire l’impennata dell’inflazione seguita alla fine della pandemia da Covid e all’invasione dell’Ucraina. Alcuni potrebbero dire che queste hanno tardato ad apprezzare la portata delle pressioni inflazionistiche, reputandole transitorie. Ora però è importante che le banche centrali si rendano conto della potenza delle forze disinflazionistiche in atto e che agiscano di conseguenza.

    Tra queste forze, i prezzi delle materie prime sono senza dubbio la più evidente. L’indice Bloomberg dei prezzi delle materie prime è sceso del 24% dal picco dello scorso giugno, dopo essere raddoppiato dai minimi della primavera 2020. Si tratta di un’inversione di tendenza enorme. Nonostante i recenti aumenti del prezzo del petrolio, l’indice è ancora in calo nel suo complesso. Inoltre, sebbene le banche centrali si concentrino sull’inflazione di base, che esclude i prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia, le materie prime hanno effetti indiretti su fattori quali i prezzi dei trasporti e dei ristoranti. Data la portata dell’inversione di tendenza, questo aspetto è importante. Inoltre, le contrattazioni salariali tendono a dipendere più dall’inflazione globale che da quella di fondo e la spirale dei prezzi salariali sta ora agendo al contrario, in particolare negli Stati Uniti.

    Il secondo fattore è il mercato del lavoro. Con la fine delle restrizioni della pandemia, si è sviluppata una grave carenza di manodopera in tutti i paesi sviluppati. Questo ha portato a un’impennata dell’inflazione dei salari nominali. Tuttavia, si è verificato un eccezionale adattamento a questa mancanza. Il tasso di occupazione è ancora in aumento nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa, ma il ritmo sta rallentando, mentre l’offerta di lavoro sta aumentando grazie all’attenuarsi dei postumi della pandemia: le persone stanno rientrando nella forza lavoro e l’immigrazione sta riprendendo quota. Nel Regno Unito, l’offerta di lavoro sta aumentando dell’1-1,5% all’anno, trainata dai lavoratori non nati nel Regno Unito. L’aumento è ancora più rapido negli Stati Uniti. Questi numeri possono sembrare piccoli, ma sono abbastanza grandi da portare a un aumento significativo della disoccupazione che dovrebbe essere evidente entro la fine dell’anno.

    Tutto ciò avviene in un contesto favorevole, in cui le persone hanno ancora fiducia che le banche centrali riusciranno a riportare l’inflazione verso l’obiettivo, nonostante i livelli attuali. Le aspettative di inflazione sono ancora ben ancorate, il che renderà il processo disinflazionistico più rapido e meno doloroso.

    Personalmente, ritengo che la Federal Reserve inizierà a tagliare i tassi di interesse all’inizio del 2024, che la Banca d’Inghilterra la seguirà a breve distanza e che la BCE si unirà a queste un poco più tardi, anche se la tempistica precisa dipenderà dai dati. Dovremmo assistere a tagli che si avvicinano al 2% nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mentre i tassi della BCE diminuiranno un po’ meno nel 2024.

  • Genève Invest, nuovi rialzi dei tassi all’orizzonte

    Genève Invest, nuovi rialzi dei tassi all’orizzonte

    Contributo a cura di Marco Poli, Relationship Manager di Genève Invest

    A metà settembre, solo la BCE ha optato per un rialzo sui tassi d’interesse pari a 25 punti base. Gli investitori attualmente si aspettano che Francoforte taglierà i tassi nella prima metà del prossimo anno, ma esiste il rischio che queste speranze vengano deluse in assenza di un sostanziale rallentamento delle pressioni sui prezzi core.

    Tutte le altre principali banche centrali invece hanno lasciato invariati i tassi di interesse. Un ennesimo rialzo è però alle porte – questo è il messaggio che ha fatto trapelare in conferenza stampa il numero uno delle Fed.

    Jerome Powell ha infatti affermato che, entro la fine dell’anno, è previsto un ulteriore aumento dei tassi e che, in qualsiasi caso, i tassi di interesse potrebbero rimanere così elevati più a lungo di quanto si potesse pensare inizialmente.

    A supportare questo scenario si vedano i dati di luglio dell’attività economica, delle buste paga non agricole di agosto e delle richieste di sussidi di disoccupazione. Le vendite al dettaglio core e la produzione industriale sono cresciute entrambe dell’1%, così come il dato delle buste paga non agricole (+187.000 unità contro le 170.000 delle aspettative). Inoltre, il PIL Americano nel secondo trimestre è risultato in crescita del 2,4%, superando le attese. Il numero di americani che ha richiesto per la prima volta un sussidio di disoccupazione è sceso inaspettatamente al livello più basso da febbraio.

    Detto questo, le attese indicano un mercato del lavoro più equilibrato e un allentamento delle pressioni salariali. Questo nuovo contesto dovrebbe consentire all’inflazione core di raffreddarsi e quindi alla Fed di rallentare la stretta monetaria.

    Sui mercati, i rendimenti dei titoli di Stato americani a 10 anni sono aumentati significativamente ad oltre il 4,6% e quelli dei titoli di Stato tedeschi a quasi il 2,8%.

    Riteniamo perciò che sia importante assicurarsi tassi d’interesse così elevati per i prossimi mesi e, in qualsiasi caso, il più a lungo possibile. A tal fine, puntiamo ad una duration minima per i nuovi investimenti obbligazionari pari o superiore a 5 anni.

  • Robeco: I tassi di riferimento sono vicini al picco

    Robeco: I tassi di riferimento sono vicini al picco

    a cura di Reinout Schapers, Portfolio Manager Investment Grade del Credit team di Robeco

    Il quadro economico generale rimane incerto; Stati Uniti ed Europa devono digerire l’aumento dei tassi e l’inasprimento delle condizioni di prestito, mentre la crescita economica cinese segna un forte calo. Di conseguenza, riteniamo molto probabile che le obbligazioni torneranno presto a fungere da strumento di copertura dalla volatilità dei mercati azionari. Indipendentemente dal tipo di atterraggio – morbido o duro – che ci attende, l’economia globale è destinata a rallentare e di conseguenza le banche centrali archivieranno i rispettivi cicli di rialzo dei tassi.

    Dal momento che si prospetta all’orizzonte il picco dei tassi d’interesse e le curve dei rendimenti globali rimangono tenacemente invertite, gli investitori dovrebbero cogliere l’opportunità di posizionarsi in modo da sfruttare efficacemente il contesto di tassi più elevati. Tale approccio consentirà di limitare i rischi, data l’incertezza delle prospettive economiche e di mercato. L’aumento dei rendimenti a breve termine e l’inversione delle curve dei rendimenti lasciano intendere il chiaro rischio percepito dagli investitori di eccessiva stretta da parte delle banche centrali, che potrebbe spingere le economie verso una recessione.

    Anche se gli utili delle aziende subiranno pressioni in caso di rallentamento dell’economia, tale scenario è generalmente associato a una buona performance del debito a breve termine di alta qualità e offre un’opportunità unica agli investitori che ambiscono a beneficiare di un contesto di tassi più elevati senza assumersi un rischio di duration significativo. Di norma i titoli a breve scadenza vengono scambiati a prezzi maggiori rispetto alle emissioni di più lungo termine. Attualmente, invece, le obbligazioni corporate a breve di alta qualità permettono di ottenere rendimenti analoghi (o superiori) a quelli offerti da titoli omologhi di qualsiasi scadenza, ma con rischio di tasso d’interesse minore. Pertanto, gli investitori possono disporre di uno strumento efficace per aumentare i rendimenti rispetto alla liquidità (senza sacrificare in modo significativo la qualità del credito), o per mantenere un rendimento e uno spread di credito interessanti, con rischi ridotti di volatilità dei tassi d’interesse.

    Con l’aumento dei tassi di riferimento, negli ultimi due anni abbiamo assistito a un corrispondente forte aumento dei tassi del mercato monetario, che hanno superato il 5% negli Stati Uniti e sfiorato il 4% nell’Eurozona. Di conseguenza, gli investitori hanno privilegiato gli strumenti del mercato monetario. Storicamente, tuttavia, i crediti a breve scadenza hanno sovraperformato significativamente i mercati monetari quando le banche centrali hanno effettuato l’ultimo rialzo dei tassi.

    Ciò emerge dall’analisi seguente, in cui si confronta la performance dei Treasury USA a 3 mesi con quella delle obbligazioni corporate statunitensi a breve termine e delle obbligazioni aggregate statunitensi. Ciò è avvenuto in occasione dell’ultimo rialzo dei tassi nei cicli di inasprimento attuati dalla Fed dall’inizio degli anni Ottanta in poi. Le obbligazioni corporate USA a breve termine hanno costantemente sovraperformato i Treasury USA a 3 mesi nei vari periodi di osservazione (6 mesi, 1-3 e 5 anni). Sui periodi di 1-3 e 5 anni le obbligazioni corporate USA a breve termine hanno mediamente sovraperformato i Treasury USA a 3 mesi di 300 punti base all’anno. Le obbligazioni aggregate USA hanno ottenuto risultati ancora migliori, ma a costo di un elevato rischio di tasso d’interesse (duration).

    Pertanto, la scelta di una strategia esposta a un portafoglio diversificato di crediti di alta qualità a breve scadenza è un valido sistema per sfruttare il contesto di tassi più elevati e l’inversione della curva dei rendimenti. Fino a quando la curva dei rendimenti rimarrà invertita, sarà possibile posizionarsi convenientemente sui crediti a breve duration. L’inversione della curva dei rendimenti è sempre stata un segnale affidabile di recessione. A causa della sua natura retrospettiva, tende a confermare un rallentamento o una recessione dopo che è avvenuta l’effettiva transizione verso uno scenario di depressione economica.

    Negli ultimi trimestri, invece, l’inflazione si è attenuata, la disoccupazione è rimasta ai minimi storici e la crescita economica ha sorpreso positivamente. Ciò rende possibile l’“atterraggio morbido”, anche se non esiste una definizione precisa di tale concetto a parte la capacità di evitare una recessione. Dal nostro punto di vista, la velocità del ciclo di rialzi e il suo potenziale effetto ritardato sui dati suggeriscono la probabilità di riuscire a sfruttare buoni punti di ingresso di lungo periodo per i crediti a breve scadenza, a livelli prossimi a quelli attuali (agosto 2023), man mano che il mercato obbligazionario si riprenderà e la curva dei rendimenti si normalizzerà

  • Capital Group: Con l’avvicinarsi della fine dei rialzi dei tassi, possono intravedersi opportunità storiche per gli investitori

    Capital Group: Con l’avvicinarsi della fine dei rialzi dei tassi, possono intravedersi opportunità storiche per gli investitori

    A cura di Mike Gitlin, Incoming President & CEO di Capital Group

    Dire che questo è stato un anno interessante per i mercati finanziari è un eufemismo. I titoli azionari sono stati più forti di quanto ci si aspettasse e il rendimento del Tesoro USA a 10 anni è salito di 37 punti base al 13 settembre. A che punto siamo ora, mentre ci avviamo verso il 2023? Ritengo che ci troviamo sulla cuspide di un’importante transizione, in cui gli investitori a lungo termine possono trovare interessanti opportunità di reddito grazie al passaggio delle banche centrali da una politica monetaria restrittiva a una politica che sembra molto più benevola.

    L’anno scorso è stato scioccante per molti investitori: È stata la prima volta in almeno 45 anni che sia le azioni che le obbligazioni hanno registrato rendimenti negativi in un anno solare. Per contrastare l’alta inflazione, la Federal Reserve ha aumentato i tassi di interesse in modo aggressivo. Questi aumenti hanno danneggiato i risultati assoluti in tutti i settori. Il ruolo abituale delle obbligazioni di alta qualità, che forniscono una diversificazione dalla volatilità del mercato azionario, su cui gli investitori fanno affidamento, è venuto meno.

    Le turbolenze dei mercati nel 2022 e la prospettiva di rendimenti relativamente elevati nei mercati monetari hanno spinto gli investitori ad affollare le alternative di liquidità. Secondo l’Investment Company Institute, i fondi del mercato monetario hanno raggiunto il massimo storico di 5,6 trilioni di dollari il 6 settembre. Gli investimenti in liquidità appaiono ancora oggi interessanti per molti investitori, ma la Fed sembra essere vicina a un punto di svolta. La storia ci insegna che questo potrebbe essere il momento giusto per tornare alle azioni e alle obbligazioni.

    La Fed alzerà ancora i tassi di interesse?

    Nessuno sa esattamente quando la Fed smetterà di aumentare i tassi. Tuttavia, sia i mercati che la stessa Fed prevedono che il suo tasso di riferimento raggiungerà un picco vicino ai livelli attuali per poi scendere di circa 100 punti base entro la fine del 2024. Se credete che la Fed sia finita o quasi, cosa ci dice la storia? Un’analisi della fine degli ultimi quattro cicli di rialzo della Fed mostra che gli investimenti in liquidità sono diminuiti, mentre le azioni e le obbligazioni hanno prosperato.

    La storia mostra che la liquidità è diminuita quando i rialzi della Fed sono terminati

    Chi si trova oggi in fondi del mercato monetario può sentirsi a proprio agio con un rendimento di circa il 5%, basato sul Treasury a 3 mesi di riferimento, soprattutto dopo un lungo periodo di politica sperimentale dei tassi di interesse a zero dopo la crisi finanziaria globale. Ma il vantaggio di rimanere in contanti ai rendimenti attuali è eroso dall’inflazione moderata di oggi. Inoltre, questi titoli in contanti potrebbero avere un ulteriore vantaggio quando la Fed finirà di alzare i tassi.

    È qui che la matematica conta. La storia mostra che nei 18 mesi successivi alla fine dei rialzi della Fed negli ultimi quattro cicli, i rendimenti degli investimenti assimilabili alla liquidità sono tradizionalmente diminuiti rapidamente. Il rendimento del Tesoro a 3 mesi, un titolo di riferimento del Tesoro con un rendimento simile a quello degli investimenti in liquidità, è sceso in media del 2,5%. Se la storia dovesse ripetersi, i rendimenti dei fondi del mercato monetario diminuirebbero e gli investitori sarebbero più avvantaggiati se investissero attivamente in azioni e obbligazioni.

    Dove investire la liquidità oggi

    Se siete d’accordo sul fatto che la Fed ha quasi terminato gli aumenti e che i rendimenti in contanti potrebbero diminuire nel tempo, la domanda è: dove investire oggi? Dopo l’ultimo rialzo della Fed negli ultimi quattro cicli, i rendimenti delle azioni e del reddito fisso sono stati forti nell’anno successivo. Per gli investitori a lungo termine, questi settori hanno mantenuto una forza relativa su un periodo di cinque anni. Oggi il reddito fisso è di nuovo all’altezza del suo nome, offrendo agli investitori un solido potenziale di reddito. L’indice Bloomberg U.S. Aggregate, un popolare benchmark per i fondi obbligazionari core di alta qualità, a fine agosto aveva un yield-to-worst (il rendimento più basso possibile che si può ottenere da un’obbligazione che opera pienamente nei termini del suo contratto senza andare in default) del 5,0%. Si tratta di un valore circa doppio rispetto alla media decennale, dato che la politica altamente accomodante ha pesato sui rendimenti nell’ultimo decennio. Questo potenziale di reddito costituisce oggi un solido punto di partenza per il rendimento totale.

    La stessa esposizione ai tassi d’interesse che ha danneggiato le obbligazioni nel 2022 potrebbe avvantaggiare le obbligazioni se i tassi iniziassero a scendere. Ecco un esempio ipotetico di come potrebbe funzionare. La duration dell’indice, una misura della sensibilità ai tassi di interesse, è di 6,25 anni. Ciò significa che se i rendimenti dovessero diminuire di quasi 100 punti base nel 2024, gli investitori potrebbero registrare un rialzo del 6,25% in termini di rendimento positivo dei prezzi, a parità di altre condizioni. Insieme, queste componenti di reddito e di rendimento dei prezzi equivarrebbero a un ipotetico rendimento a un anno che potrebbe avventurarsi in cifre doppie, a condizione che il credito non si deteriori in modo significativo. In questo stesso scenario, i rendimenti dei fondi del mercato monetario scenderebbero sotto il 5%.

    Per le azioni, quando la Fed smette di inasprire la politica monetaria, un rischio per il sistema finanziario si dissolve. E quando le aziende e i consumatori vedono i loro costi di finanziamento stabilizzarsi e infine iniziare a diminuire, questo dà una spinta all’economia e agli utili aziendali. Storicamente, gli investitori azionari ne hanno beneficiato. In questo momento, una strategia bilanciata potrebbe essere interessante anche per gli investitori più cauti. Un portafoglio bilanciato tende a detenere posizioni più difensive in azioni che pagano dividendi e obbligazioni di alta qualità. Se l’economia dovesse rallentare o entrare in recessione, potrebbe offrire una certa resistenza.

    Ci vuole coraggio per agire

    L’inerzia può essere una forza molto potente, soprattutto quella indotta dal 5% di rendimento in contanti. Le emozioni degli investitori sono reali. Le perdite del passato bruciano a lungo e i tassi apparentemente interessanti di oggi sui certificati di deposito (che, a differenza di altri investimenti, sono spesso assicurati dalla FDIC) e sui mercati monetari sono una buona sensazione. Ma come investitori, sappiamo che i mercati non rimangono fermi a lungo. Gli investitori potrebbero rimanere bloccati nella liquidità se aspettano troppo a rientrare nel mercato, quando emergono potenziali opportunità migliori.

  • T. Rowe Price – Mercati emergenti: allentamento dei tassi in arrivo

    A cura di Chris Kushlis, Chief of China and Emerging Markets Macro Strategy, T. Rowe Price

    Dopo una solida performance nel primo semestre, per i mercati emergenti si prospetta una conclusione dell’anno simile ai mesi precedenti, ma sarà importante tenere d’occhio la Cina e capire se il rallentamento del Dragone trascinerà il resto degli emergenti e peserà sul sentiment. Per il momento, vediamo una certa resistenza sul fronte della crescita, mentre l’inflazione è scesa rapidamente. Sul fronte della politica monetaria, diversi paesi sono posizionati per avviare presto un ciclo di riduzione dei tassi d’interesse, anticipando i loro omologhi dei mercati sviluppati. Questo è un segnale incoraggiante visto che gli emergenti stanno maturando come asset class.

    Inizia un nuovo ciclo di politica monetaria

    Con i progressi sostanziali compiuti nella riduzione dell’inflazione, le banche centrali dei paesi emergenti sono in procinto di allentare la pressione monetaria, guidando la svolta nel ciclo dei tassi d’interesse. Non solo hanno iniziato ad alzare i tassi prima dei mercati sviluppati, ma li hanno anche aumentati. Questa strategia ha creato un cuscinetto per gli emergenti per iniziare a tagliare, anche se è improbabile che la maggior parte dei mercati sviluppati si trovi presto in questa posizione. Tuttavia, non si sa quanto le banche centrali emergenti possano spingersi in questo ciclo.

    È possibile che i tassi non tornino ai livelli precedenti al rialzo, poiché le condizioni sono diverse.

    Le banche centrali delle nazioni emergenti dovranno anche tenere conto della stabilità valutaria durante i tagli. L’attuale forza del dollaro e l’aumento dei tassi statunitensi rappresentano un potenziale ostacolo, in particolare per i paesi a basso tasso di interesse che non dispongono di un cuscinetto di carry sufficiente.

    Il Cile ha già avviato il suo ciclo di allentamento e ci aspettiamo che altri paesi latinoamericani si uniscano a loro nei prossimi mesi. Nell’Europa centrale e orientale, l’Ungheria ha iniziato il ciclo di allentamento e prevediamo che la Repubblica Ceca seguirà presto il suo esempio. La regione asiatica è in controtendenza: è probabile che i tagli inizieranno nel 2024. I problemi di inflazione non sono generalmente così profondi, quindi le banche centrali non hanno avuto bisogno di aumentare i tassi in modo così significativo.

    Rallentamento della Cina: pesa il settore immobiliare

    L’economia cinese sta rallentando a un ritmo più rapido del previsto. Una serie di sviluppi negativi riguardanti i settori immobiliare e fiduciario potrebbero minare la fiducia nella seconda economia mondiale e portare a un ulteriore indebolimento. I rischi di ribasso stanno aumentando, minacciando di creare feedback negativi.

    Per sostenere l’economia, la Banca Popolare Cinese ha iniziato ad allentare la politica monetaria, una tendenza che ci aspettiamo continui nei prossimi mesi. Ma con una domanda di credito bassa, il meccanismo di transizione monetaria potrebbe essere debole, quindi resta da vedere quanto saranno efficaci le misure di allentamento.

    Sul fronte fiscale, la risposta delle autorità è stata incrementale. Se questo approccio continuerà, ci vorrà del tempo per ravvivare la fiducia delle famiglie e delle imprese. Finora sembra esserci un’avversione per i tipi di stimolo su larga scala che le autorità hanno attuato in passato, a causa del rischio di un aumento del rapporto debito/Pil.

    Riteniamo che le autorità vorranno premunirsi contro i rischi di feedback negativi per evitare che si trasformino in una crisi finanziaria più grave o che trascinino l’economia in recessione. La politica fiscale dovrà probabilmente essere la leva principale per gestire questi rischi.

    Tre fattori della futura crescita economica

    Finora la crescita dei Paesi emergenti ha mostrato una certa resistenza a fronte di un notevole rallentamento del ciclo manifatturiero globale e dell’economia cinese. Come per i mercati sviluppati, la parte non manifatturiera di queste economie ha retto meglio, mentre il rallentamento della Cina non si è ancora tradotto in una flessione più profonda dei prezzi delle materie prime. Questo dato è incoraggiante per gli emergenti, ma è importante notare che la qualità della crescita è eterogenea e c’è una certa dispersione geografica. 

    In generale, i servizi sono rimasti resistenti come i mercati sviluppati. Ciò indica una rotazione negli emergenti dal consumo di beni a quello di servizi.

    In futuro, la tenuta della crescita di questi Paesi dipenderà probabilmente da tre fattori. In primo luogo, dal fatto che i prezzi delle materie prime rimangano stabili di fronte all’indebolimento del ciclo industriale. In secondo luogo, dalla tensione tra il rallentamento del settore manifatturiero e la tenuta del mercato dei servizi e del lavoro. In terzo luogo, dal fatto che la Cina riesca a stabilizzare la propria economia e non trasformarsi in un vero e proprio freno alla crescita. 

    L’andamento dell’inflazione

    Negli emergenti l’inflazione è scesa rapidamente dopo gli shock strutturali della pandemia e dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Per il futuro, analizziamo i prezzi dei generi alimentari a causa dei rischi di rialzo posti da El Niño e dalla fine dell’accordo sul grano tra Russia e Ucraina. Anche se siamo vigili su quest’ultimo aspetto, ci aspettiamo che l’impatto sia modesto rispetto allo shock dei prezzi causato lo scorso anno dallo scoppio della guerra.

    Nel complesso, riteniamo che i rischi di rialzo segnalino un punto di inflessione nella tendenza alla disinflazione alimentare. Questo potrebbe a sua volta rallentare il ritmo dei tagli dei tassi qualora i rischi si concretizzassero in sorprese al rialzo dell’inflazione, anche se questo non è il nostro scenario di base. Dato che i paesi emergenti stanno uscendo da un periodo di politica monetaria restrittiva e la crescita è intorno, o leggermente al di sotto, del trend in una serie di paesi, i rischi di effetti di secondo impatto sull’inflazione derivanti da shock dei prezzi alimentari dovrebbero essere contenuti.

    Tassi, credito e valute

    Il contesto di disinflazione e l’avvio di cicli di riduzione dei tassi da parte delle banche centrali sono costruttivi per i tassi locali degli emergenti. La nostra analisi mostra che le posizioni lunghe sui tassi locali tendono storicamente a generare rendimenti positivi durante i cicli di riduzione.

    Nell’ambito degli emergenti esterni, siamo incoraggiati dalla bassa volatilità e dalla resilienza che stiamo osservando nel segmento di mercato di alta qualità.

    Tuttavia, dopo un periodo di forte crescita, le valutazioni in questo settore sono limitate, il che spinge alcuni investitori a inseguire le parti più in difficoltà del mercato, dove la ricerca fondamentale e la selezione dei titoli sono essenziali. In generale, al momento vediamo più valore nello spazio societario emergente rispetto al debito estero emergente. Per quanto riguarda le valute di questi paesi, il nostro entusiasmo è diminuito in quanto il differenziale dei tassi d’interesse sembra destinato a indebolirsi, dato che le banche centrali emergenti iniziano a tagliare i tassi d’interesse prima dei mercati sviluppati. Anche se riteniamo che si possano ancora realizzare guadagni interessanti, sarà importante scegliere con attenzione i momenti in cui farlo.

  • Columbia Threadneedle Inv. – Quando avverrà il taglio dei tassi di interesse?

    Weekly market outlook a cura di Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments

    Quando avverrà il taglio dei tassi di interesse?

    • Nel Regno Unito, Stati Uniti ed Eurozona i tassi sono ormai vicini al loro picco e le banche centrali hanno dichiarato che taglieranno i tassi nella prima parte del 2024.
    • A causa della forte inflazione imprevista, le banche centrali hanno perso fiducia nei loro modelli di previsione.
    • La disoccupazione, che al momento si attesta ai minimi storici o quasi, sulla base di diversi dati è destinata ad aumentare.
    • Un mercato del lavoro più debole limiterà l’impatto degli aumenti salariali e contribuirà a ridurre ulteriormente l’inflazione. È probabile che la riduzione dell’inflazione complessiva si traduca rapidamente in una riduzione delle retribuzioni, invertendo così la spirale salari/prezzi.
    • Sembriamo giunti a un punto di svolta, sperando ora nell’arrivo di tagli dei tassi significativi

    Quando potrebbero scendere i tassi di interesse?

    Può sembrare una domanda strana da porsi subito dopo l’ultimo aumento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea e in vista delle riunioni della Fed e della Banca d’Inghilterra di questa settimana. Quest’ultima aumenterà probabilmente i tassi, mentre la Federal Reserve statunitense si appresta a mantenerli fermi, confermando però la volontà di ulteriori possibili aumenti. Anche la Banca del Giappone, dopo aver mantenuto i tassi ufficiali in territorio negativo per molti anni, prevede ora un aumento, sebbene non prima della fine dell’anno. È naturale, dunque, chiedersi quando i tassi potrebbero scendere. Nel Regno Unito, Stati Uniti ed Eurozona questi hanno raggiunto, o quasi, il loro picco e le rispettive banche centrali hanno dichiarato che i tagli dei tassi avverranno quando si sentiranno sicure che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il target del 2%. 

    Quando avverranno i primi tagli?

    Prevediamo che gli Stati Uniti ridurranno i tassi di interesse all’inizio del 2024 e che Regno Unito ed Eurozona seguiranno subito dopo. Se così fosse, sarebbe una piacevole sorpresa per il mercato, che stima oggi un mantenimento dei tassi ai livelli attuali, o al di sopra, fino al 2024 inoltrato. Abbiamo, infatti, chiaro che la politica monetaria opera con ritardi lunghi e variabili. Le banche centrali cercano di guardare avanti, inasprendo la politica prima che l’inflazione decolli e allentandola prima che la recessione colpisca. Il problema è che collettivamente non sono riuscite a prevedere l’attuale impennata dell’inflazione. Hanno perso fiducia nei loro modelli di previsione e dichiarano ora di essere “dipendenti dai dati”, senza fornire dettagli su cosa questo possa esattamente significare, al di là delle ripetute affermazioni che i tassi di interesse potrebbero aumentare ulteriormente e che probabilmente rimarranno alti per un periodo prolungato. Tuttavia, la disoccupazione potrebbe cambiare l’attuale atteggiamento da falco, al momento vicina o inferiore ai minimi livelli storici in tutte e tre le economie. Con l’inflazione al di sopra dell’obiettivo, è facile per le banche centrali servirsi di toni più duri.

    Personalmente, ritengo che la disoccupazione sia destinata ad aumentare in tutte e tre le economie. Gli Stati Uniti sono l’economia con i migliori fondamentali, ma anche qui la crescita dell’occupazione sta rallentando costantemente. La media trimestrale degli aumenti dell’occupazione nel settore privato negli Stati Uniti è di 140.000 unità. Può sembrare molto, ma è in calo rispetto ai 200.000 di tre mesi fa e a quelli precedenti.  E questo è importante perché l’offerta di lavoro, soprattutto grazie alla ripresa dell’immigrazione, sta aumentando di 200.000 unità al mese. La disoccupazione sembra destinata a salire e probabilmente potrebbe raggiungere entro Natale la soglia della regola di Sahm, che ha identificato con precisione le recessioni passate. Inoltre, sebbene l’inflazione rimanga al di sopra dell’obiettivo, il tasso di inflazione core CPI negli ultimi tre mesi è sceso al 2,4%, un calo notevole.

    Nel Regno Unito, l’occupazione è in calo e la tendenza al rialzo della disoccupazione sembra ormai consolidata. Il problema che la BoE si trova ad affrontare è che l’inflazione salariale è ben al di sopra del livello coerente con il suo obiettivo del 2%. Anche il tasso di inflazione di fondo è troppo elevato, sebbene se la situazione potrebbe cambiare a fronte dei dati che verranno pubblicati in settimana. La BoE necessita di prove concrete del fatto che l’indebolimento del mercato del lavoro sta rallentando il ritmo dell’inflazione salariale, prima di poter anche solo iniziare a prendere in considerazione una riduzione dei tassi. Ma questo potrebbe avvenire prima di quanto molti pensino: i sondaggi indicano già un marcato rallentamento della pressione salariale.

    Infine, nell’Eurozona la disoccupazione è ai minimi storici e continua a scendere. La disoccupazione è solitamente un indicatore ritardato e i dati suggeriscono che l’eurozona sia già entrata in recessione. È dunque probabile che la disoccupazione aumenti presto e, sebbene la BCE debba convincersi che questa dinamica si traduca poi in una riduzione dell’inflazione di salari e prezzi prima di prendere in considerazione un taglio, ciò dovrebbe essere evidente entro la prossima primavera. Un aspetto incoraggiante è che la recente ondata di inflazione non ha aumentato di molto le aspettative di inflazione a lungo termine. C’è una buona probabilità che la riduzione dell’inflazione globale si traduca rapidamente in una riduzione delle retribuzioni, con la spirale salari/prezzi che si inverte. Una simile dinamica è già evidente negli Stati Uniti.

    Pertanto, ci stiamo avviando verso l’ora del taglio dei tassi che, una volta giunto, dovrebbe essere particolarmente significativo e molto più consistente di quanto attualmente previsto. Questo dovrebbe portare sollievo a tutti i mercati finanziari. La battaglia contro l’inflazione è stata dura – molto più dura di quanto molti si aspettassero – ma la marea è cambiata e dovremmo vedere i frutti della vittoria tra non molto.

  • PGIM Fixed Income: Il reset dei tassi potrebbe alimentare una nuova fase rialzista del mercato obbligazionario

    PGIM Fixed Income: Il reset dei tassi potrebbe alimentare una nuova fase rialzista del mercato obbligazionario

    A cura di Gregory Peters, co-chief investment officer di PGIM Fixed Income

    Gli aggressivi rialzi dei tassi della banca centrale e la successiva fase ribassista del mercato obbligazionario nel 2022 sono stati molto dolorosi per gli investitori. Poiché la crisi bancaria del 2023 si aggiunge a uno scenario già messo a rischio dai rialzi, ora le economie devono fare i conti con i contrasti e la coda lunga della crisi. È in atto un forte rallentamento della crescita del PIL nelle principali economie occidentali. Alla luce degli shock recenti e della capacità limitata della Fed di contenere una crisi più ampia, il nostro scenario base prospetta una fase di “weakflation”, cioè di crescita debole e inflazione superiore al 2%, ma in calo. Abbiamo significativamente diminuito anche le probabilità di recessione, vista la solidità persistente del mercato del lavoro. In linea con questi adeguamenti, lo shock ha ridotto le probabilità di un atterraggio morbido (crescita moderata e inflazione) o di uno scenario esuberante negli anni 2020 (crescita elevata e bassa inflazione). Il nostro scenario base per l’Eurozona, inoltre, prevede un contesto di weakflation.

    L’inflazione inizia a scendere da livelli elevati, soprattutto negli Stati Uniti, sotto la spinta dei beni core e, in misura minore, dei servizi. L’inflazione nell’Eurozona si dimostra invece più persistente a causa degli effetti indiretti dei prezzi dell’energia e delle turbative più profonde nelle catene di approvvigionamento.

    Prima della crisi bancaria, la riduzione dell’inflazione era la massima priorità delle banche centrali. Ora adottano probabilmente un approccio più bilanciato al contenimento dell’inflazione in quanto hanno di recente preso atto di rischi imprevisti. 

    Sebbene la moderazione dell’inflazione offra alle banche centrali qualche spazio di respiro, i dati economici divergenti fanno emergere aspettative contrastanti sulle loro politiche di rialzo dei tassi.

    Nonostante il difficile percorso intrapreso dai mercati, vi sono periodi in cui gli sviluppi negativi possono essere positivi per il mercato. Ad esempio, storicamente non passa molto tempo tra la fine di un ciclo di inasprimento e l’inizio un ciclo di allentamento della Fed: stando agli ultimi quattro cicli di rialzo dei tassi, tra i due cicli vi è infatti un intervallo medio di nove mesi. In generale, i 12 mesi successivi alla fine dei cicli di rialzo sono stati favorevoli per gli investitori obbligazionari.

    L’impatto complessivo dei tassi più elevati e dei rischi crescenti è negativo per la crescita, ma una volta che i rendimenti raggiungano livelli elevati e l’economia inizi a rallentare, le obbligazioni possono risultare alquanto interessanti. Siamo fermamente convinti che le obbligazioni siano ancora in gioco e che ci troviamo negli stadi iniziali di una nuova fase rialzista del mercato obbligazionario. Dopo un anno in cui le obbligazioni hanno faticato a conferire ai portafogli l’equilibrio disperatamente ricercato dagli investitori nei periodi di volatilità azionaria elevata, prevediamo che esse — in virtù dei loro rendimenti più elevati — siano destinate a offrire nuovamente un certo equilibrio in presenza della persistente volatilità di mercato. A nostro avviso la prossima fase del ciclo rappresenterà per gli investitori un periodo ottimale per identificare opportunità di generazione di alfa.

    Lo scenario macroeconomico attuale probabilmente tornerà alle condizioni pre-COVID-19 nel lungo termine. I fattori secolari, come l’invecchiamento demografico globale, gli elevati livelli di debito e la riduzione della leva finanziaria, oltre a maggiori tensioni geopolitiche, probabilmente ci riporteranno a un rallentamento della crescita e inflazione moderata.

  • T. Rowe Price – Inflazione e Pil dell’area euro sorprendono al rialzo, verso un altro aumento dei tassi a settembre

    T. Rowe Price – Inflazione e Pil dell’area euro sorprendono al rialzo, verso un altro aumento dei tassi a settembre

    A cura di Tomasz Wieladek, Chief European Economist, T. Rowe Price

    La scorsa settimana la Bce ha confermato il passaggio alla piena dipendenza dai dati. Questa mattina sono stati rilasciati due dati importanti per orientare ulteriormente i mercati su ciò che probabilmente accadrà a settembre.

    Il Pil dell’area dell’euro è cresciuto dello 0,3% nel secondo trimestre e la recessione tecnica prevista a inizio anno è stata rivista. Si tratta di un dato superiore alle aspettative del consenso, nonostante alcuni dati sulla crescita fossero già stati diffusi venerdì. Tuttavia, nonostante questa performance migliore del previsto, vi sono prove di debolezza della domanda interna. Sebbene la Francia abbia registrato una crescita dello 0,5% nel secondo trimestre, questa è stata trainata dalle prossime esportazioni che hanno più che compensato la debolezza della domanda interna. L’economia italiana si è ridotta dello 0,3% nel secondo trimestre a causa della debolezza della domanda interna. L’economia tedesca ha ristagnato. Tuttavia, nonostante la chiara evidenza dell’indebolimento della domanda interna a livello nazionale, e quindi la prova che la politica monetaria sta funzionando, la crescita dell’area euro ha sorpreso complessivamente al rialzo. È importante notare che la recessione tecnica dello scorso inverno è stata rivista, quindi, i dati di questa mattina potrebbero indurre la Bce a dare meno peso alla recente debolezza delle analisi sull’attività.

    I dati sull’inflazione CPI core dell’area euro hanno sorpreso il consenso al rialzo questa mattina, nonostante la disponibilità dei dati CPI dei singoli paesi per Germania, Francia e Spagna di venerdì scorso. Mentre l’inflazione complessiva è scesa dal 5,5% al 5,3% a luglio, l’inflazione CPI core, che è quella che interessa alla Bce, è rimasta al 5,5% a luglio, lo stesso valore di giugno. È importante notare che l’inflazione dei servizi è salita al 5,6% annuo a luglio dal 5,4% annuo di giugno. La dinamica mensile dell’inflazione dei servizi è passata dallo 0,4% di giugno allo 0,6% di luglio. Quindi, su base mensile, l’inflazione dei servizi annualizzata è salita dal 4,8% di giugno al 7,2% di luglio. Non c’è dubbio che una parte di questa resistenza nei dati dell’inflazione CPI di questa mattina sia dovuta a effetti statistici, come le variazioni dei pesi. Tuttavia, sarà molto difficile distinguere questo dato da un aumento dell’inflazione dei servizi dovuto a fattori economici. Riteniamo che una Bce cauta darà maggior peso alle spiegazioni economiche alla base dell’ultimo aumento dell’inflazione CPI dei servizi.

    Questi dati indicano chiaramente che la Bce, che dipende dai dati, alzerà i tassi a settembre. Sebbene la componente della domanda interna della crescita si sia chiaramente indebolita, la crescita complessiva dell’area euro nel secondo trimestre è stata comunque più forte del previsto. È importante notare che la crescita del Pil dell’area euro rivista lo scorso inverno si è rivelata chiaramente più forte di quanto implicito nelle indagini sull’attività dello scorso inverno. Chiaramente, i dati che interessano maggiormente alla Bce sono quelli relativi all’inflazione. L’inflazione CPI dei servizi, che sta più a cuore alla Bce, è risultata più forte del previsto sia su base annua che su base mensile. Ci sarà un’altra pubblicazione di dati sull’inflazione il 31 agosto, l’indagine della Bce sulle aspettative dei consumatori l’8 agosto e i salari negoziati nell’area euro ad agosto, il tutto prima della riunione di settembre. A meno che questi dati non risultino molto più deboli del previsto, ritengo che i dati di oggi indichino chiaramente alla Bce di procedere a un rialzo a settembre.

    È interessante notare che i mercati finanziari non hanno reagito come ci si aspetterebbe. I mercati monetari quotano solo il 33% di possibilità di un rialzo a settembre. Il rendimento del Bund a 2 anni ha annullato il sell-off iniziale. La reazione dell’euro è stata modesta. Anche se tutti i dati finora indicano un rialzo della Bce, i mercati finanziari continuano a scommettere che non avverrà a settembre. Forse sono necessari altri dati per convincere i mercati finanziari, ma spesso i mercati sono lenti a rispondere ai dati, soprattutto in estate. Ritengo quindi plausibile un repricing in vista della decisione della Bce di settembre.