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  • Robeco: Servono idee chiare per selezionare le obbligazioni classificate come ESG che siano realmente sostenibili

    Robeco: Servono idee chiare per selezionare le obbligazioni classificate come ESG che siano realmente sostenibili

    a cura di Taeke Wiersma, Head of Credit team di Robeco

    Il crescente impegno degli investitori a favore di uno sviluppo sostenibile e di un impatto positivo hanno portato a controlli decisamente più rigorosi sugli asset che dichiarano di avere credenziali di sostenibilità positive. Questa tendenza si è notata soprattutto sul mercato dei bond ESG o GSS+, ovvero quello dei green bond, delle obbligazioni sociali, sostenibili e sustainability-linked.

    Da due anni si è passati a formalizzare i criteri con cui gli investitori valutano l’intero mercato obbligazionario classificato come ESG, riflettendo la maggiore consapevolezza dei rischi legati al greenwashing.

    In pratica, proprio il desiderio di mitigare questo genere di rischi ha spinto sempre più investitori – proprietari di asset e gestori patrimoniali – ad avviare processi interni di screening dei bond ESG. Screening che, come ammettono in molti, deve essere più rigoroso di un semplice controllo basato sulle linee guida e sui principi internazionali solitamente applicati a questa categoria del mercato obbligazionario.

    I principi internazionali in vigore per green bond e obbligazioni ESG sono una guida pratica per gli emittenti impegnati a strutturare un’obbligazione ESG, mentre agli investitori servono analisi più approfondite.

    Allocazione del capitale in linea con gli obiettivi di più lungo termine

    Per gli investitori, verificare le credenziali dei bond classificati ESG non significa solo affrontare la questione del greenwashing. Si tratta anche di garantire che l’allocazione del capitale sia in linea con i valori e gli obiettivi di più lungo termine dei proprietari di asset e dei gestori patrimoniali.

    Se noi investitori consideriamo le obbligazioni ESG come uno strumento prezioso per incanalare risorse finanziarie finalizzate ad affrontare le questioni climatiche o ambientali, allora dobbiamo agire in modo responsabile e assicurarci che i green bond selezionati stiano effettivamente finanziando progetti veramente sostenibili. Al tempo stesso evitando tutti quei progetti o green bond che non generano alcun impatto positivo sull’ambiente o sulla società.

    L’efficienza raggiunta attraverso un’allocazione mirata del capitale è particolarmente rilevante in situazioni in cui le obbligazioni ESG consentono agli investitori di affrontare grandi questioni che sembrano irrisolvibili. Nei mercati emergenti e in una regione come l’Asia, dove è risaputo che le questioni da affrontare sono molte, ha senso seguire un percorso di finanziamento che escluda l’uso dei proventi. Così facendo, non si pone più il problema di dover “sistemare” l’intera azienda o l’intero paese. E si dà la possibilità agli investitori di isolare i rendimenti, il rischio e l’impatto.

    Con il mercato del credito ESG ancora dominato dai green bond, è evidente che le obbligazioni sociali e sostenibili stanno guadagnando terreno, mentre quelle legate alla sostenibilità sono ancora agli albori in termini di accettazione da parte degli investitori. Le obbligazioni sociali sono state al centro dell’attenzione nel 2020, quando la decisione di emettere debito per alleviare l’impatto della crisi Covid-19 su famiglie e imprese ha rapidamente allargato il mercato. Da allora, si è passati a sostenere la ripresa economica attraverso i finanziamenti. È interessante notare che la maggior parte di questi finanziamenti è di natura green, con aziende e paesi che puntano a colorare di verde la propria capacità produttiva, in molti casi sfruttando proprio i green bond.

    All’inizio, l’emissione di obbligazioni sociali ha risentito dei dubbi sorti sulla definizione di impatto sociale. Se definire progetti verdi è sempre stato relativamente semplice, le cose si complicano quando si tratta di definire e misurare un progetto con impatto sociale. Ma si stanno facendo progressi. Ad esempio, abbiamo appena valutato un’obbligazione sociale i cui proventi sono destinati al settore degli alloggi. In questo caso, l’uso dei proventi è in linea con uno degli obiettivi della tassonomia sociale dell’UE (“Adeguati standard di vita e benessere”) ed è quindi coerente con l’impatto sociale.

  • COMGEST: ESG, COME IL SALMONE È DIVENTATO IL PESCATO DEL GIORNO

    COMGEST: ESG, COME IL SALMONE È DIVENTATO IL PESCATO DEL GIORNO

    Petra Daroczi, ESG Analyst/Portfolio Manager di Comgest

    L’acronimo ESG è storicamente associato al colore verde. Tuttavia, per molti anni è stato forse più appropriato descrivere il settore degli investimenti sostenibili come un’area grigia. È emerso un abisso tra le ambizioni degli investitori e il significato pratico dei principi ESG che le aziende, consapevolmente o meno, sono state in grado di sfruttare.

    In qualità di investitori, accogliamo con favore il miglioramento del controllo, in quanto pone maggiore enfasi sul nostro processo di due diligence. Riteniamo che l’analisi non finanziaria sia diventata una via cruciale per individuare le società di qualità con modelli di business sostenibili. Un buon esempio di come questo processo abbia aggiunto valore ai nostri portafogli è rappresentato dal business dell’allevamento del salmone – un “odi et amo” tra gli osservatori che è diventato piuttosto controverso. Se da un lato si nutrono preoccupazioni per l’allevamento ittico su scala industriale, dall’altro è riconosciuto che molte di queste preoccupazioni sono applicabili a tutto lo spettro agricolo e che il pesce è una delle fonti di proteine animali più sostenibili al mondo.

    Per quanto riguarda i “pro”, le credenziali di sostenibilità del salmone d’allevamento sono positive rispetto a manzo, pollo e maiale. Ad esempio, il Feed Conversion Ratio (FCR), che misura quanti chili di mangime sono necessari per produrre un chilo di carne, e l’impronta di carbonio, misurata in grammi di CO2 per porzione, del salmone d’allevamento sono entrambi notevolmente inferiori.

    L’indice FCR è significativo anche dal punto di vista finanziario. Con circa il 40%, il mangime rappresenta il principale costo operativo nell’allevamento del salmone; pertanto, la riduzione del mangime migliora i margini. Sebbene la resa proteica sia leggermente inferiore a quella dei suoi concorrenti – il salmone d’allevamento offre 20 g di proteine per 100 g di carne, mentre la carne bovina ne offre 26 g – il salmone d’allevamento fornisce la più alta quantità di proteine animali con il più basso impatto ambientale.

    Tra i “contro” ci sono le preoccupazioni legate alle pratiche alimentari impattanti per l’ambiente, al benessere degli animali, all’impatto nascosto delle emissioni di carbonio e all’inquinamento generalmente associato all’allevamento su scala industriale. Quest’ultimo punto è spesso aggravato dagli scarti dei pesci, dal mangime non consumato e dalle sostanze chimiche utilizzate in acquacoltura che hanno un impatto negativo sugli ecosistemi marini, in particolare sui fondali.

    È comprensibile il dibattito sull’allevamento di salmoni dal punto di vista ESG ma, come per molte opportunità di investimento nel settore, se la destinazione è attraente, il viaggio è irto di insidie per la sostenibilità. È questo il caso di Bakkafrost, il terzo allevatore di salmoni al mondo. Avevamo dubbi su alcune sfide associate alle pratiche di allevamento del salmone in generale.

    Bakkafrost è stata in grado di illustrare le ragioni per cui si affida a ingredienti marini unite ai risultati di trial, all’interno dei propri allevamenti, di mangimi a base di ingredienti vegetali. L’azienda vanta un reparto di produzione di mangimi interno, che le permette di avere un controllo completo sia sui costi che sugli ingredienti. In questo modo il salmone d’allevamento riceve una dieta più naturale rispetto a quella di molti allevamenti concorrenti, con vantaggi non solo in termini di benessere animale, ma anche di risultati per i consumatori. Grazie agli alti livelli di contenuto marino nei suoi mangimi, il salmone Bakkafrost è uno dei leader nei livelli di omega-3, il che lo rende molto efficace nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, tra le altre cose.

    Un’altra critica mossa al settore è che la concentrazione delle popolazioni di pesci negli allevamenti possa portare alla diffusione di malattie e parassiti, che possono danneggiare sia le popolazioni di salmone d’allevamento che quelle selvatiche e richiedere l’introduzione di antibiotici e sostanze chimiche per il mantenimento. Peggio ancora, questo può a sua volta contribuire alla resistenza agli antibiotici e avere potenziali implicazioni per la salute dei consumatori. Consapevole di ciò, Bakkafrost si è impegnata a eseguire rigorosi test sulle malattie e a detenere un numero inferiore di pesci per recinto in modo da ridurre queste problematiche.

    ESG non è solo un’etichetta verde: è diventato un parametro chiave attraverso il quale consideriamo le opportunità di investimento e i potenziali rendimenti.

  • Lo studio di Capital Group rivela che i titoli azionari rimangono i più popolari per l’implementazione ESG

    Lo studio di Capital Group rivela che i titoli azionari rimangono i più popolari per l’implementazione ESG

    – Le allocazioni alle obbligazioni ESG dovrebbero aumentare con il calo dell’inflazione e il picco dei tassi d’interesse

    – Le società in transizione sono considerate una fonte di alfa

    – Gli investitori che superano le barriere all’adozione dell’ESG contribuiscono ad aumentarne la diffusione

    Milano, 9 ottobre 2023 – La percentuale di investitori globali che implementano l’ESG attraverso le azioni è pari all’81%, con tre quarti (74%) che preferiscono che i fondi attivi integrino l’ESG, è quanto emerge dalla terza edizione dello studio globale ESG di Capital Group, una delle maggiori società di investimento al mondo, con un patrimonio in gestione di oltre 2.300 miliardi di dollari1.

    L’azionario rimane l’asset class preferita in ambito ESG (81%), ma gli investitori vorrebbero investire maggiormente in obbligazioni ESG

    – Quattro investitori su dieci (40%) ritengono che le loro strategie azionarie ESG abbiano un bias di stile verso i titoli growth, ma c’è una crescente domanda di fondi ESG multitematici, con il 40% che afferma che questi potrebbero diversificare i rischi derivanti dal bias di stile.

    – Circa un terzo (32%) degli investitori dichiara di voler aumentare le allocazioni ai fondi obbligazionari ESG con il calo dell’inflazione e il picco dei tassi di interesse.

    – Tuttavia, quasi la metà (45%) degli investitori afferma che mancano fondi a reddito fisso allineati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite in cui investire.

    Le aziende in transizione2 sono considerate fondamentali per cogliere le opportunità di investimento 

    – Quasi sei investitori globali su 10 (59%) ritengono che le strategie che si concentrano sui leader3 a scapito delle società in transizione perderanno opportunità di investimento.

    – La percentuale di chi si concentra su una combinazione di leader e di società in transizione è raddoppiata, passando dal 23% di due o tre anni fa all’attuale 46%. Si prevede che questa percentuale salirà al 54% nei prossimi due o tre anni.

    – Quasi la metà (44%) degli investitori ritiene che le aziende in transizione siano sottovalutate dal mercato.

    Gli investitori si sforzano di superare alcuni ostacoli di lunga data all’adozione dell’ESG

    – La metà (54%) degli investitori globali afferma che la coerenza e l’affidabilità dei dati è ancora un problema molto vincolante per l’adozione di strumenti ESG, anche se in calo rispetto al 62% di due anni fa.

    – Gli investitori si rivolgono a più fonti per decodificare le difficoltà dei dati: Il 40% si affida alla ricerca proprietaria dei gestori attivi e il 40% conduce una propria analisi ESG.

    – In assenza di una definizione ESG a livello di settore, quasi quattro investitori istituzionali su 10 (39%) hanno creato una propria serie di definizioni ESG per garantire che i team adottino un approccio coerente. Più di un terzo (35%) ha sviluppato un proprio approccio interno alla categorizzazione dei fondi ESG.

    “Questo è il terzo anno consecutivo che conduciamo un’indagine ESG globale e vediamo che gli investitori a livello globale continuano a privilegiare un approccio attivo con una ricerca fondamentale, in quanto ciò aiuta a identificare le società con piani di transizione credibili che saranno fondamentali per un’ulteriore adozione dell’ESG”, ha dichiarato Jessica Ground, Global Head of ESG, Capital Group. “Le risposte di quest’anno suggeriscono un crescente interesse per i fondi multitematici, in quanto possono offrire una copertura più ampia dello spettroESG e contribuire a neutralizzare la volatilità dello style bias, e per i fondi obbligazionari ESG, in quanto l’inflazione si allontana e i tassi di interesse raggiungono il massimo. È inoltre incoraggiante vedere segnali che indicano che alcune barriere di lunga data all’adozione dell’ESG, come i dati e le definizioni, stanno iniziando a diminuire, poiché più gli investitori conoscono l’ESG, più trovano modi proattivi per affrontarne le sfide.”

    Per ulteriori informazioni sugli approfondimenti ESG di Capital Group, compresa una copia dello Studio globale ESG 2023, Link: https://www.capitalgroup.com/eacg/esg/en/esg/capital-group-esg-global-study-2023.html


    NOTE

    ESG: ambiente, sociale e corporate governance

    Al 30 giugno 2023

    Società in trasizione: società che stanno cercando di trasformare i loro modelli di business in un futuro sostenibile.

    3 Leader: società best-in-class in settori sostenibili con elevati rating ESG

  • Pictet AM – Come investire nell’ESG 3.0?

    Pictet AM – Come investire nell’ESG 3.0?

    A cura di Yuko Takano, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management

    03.07.2023

    • In questi ultimi anni, gli investitori si sono riversati su aziende ESG ad alto punteggio. I mercati li hanno ampiamente ricompensati, ma alla fine si sono ritrovati con portafogli sostenibili pieni di titoli growth e tecnologici. Penso che adesso siamo in procinto di entrare nella fase successiva. Ciò che contraddistingue l’ESG 3.0 è il ritorno ai fondamentali e all’esecuzione di ricerche approfondite sulle aziende. È necessario che gli investitori guardino oltre i leader di mercato per trovare opportunità di investimento interessanti in aree meno battute, ad esempio tra le aziende in fase di transizione.
    • Il nostro obiettivo è investire in società in fase di transizione, il cui potenziale non è ancora stato del tutto apprezzato dal mercato. Riteniamo che esistano molte opportunità di investimento in alcuni dei settori meno apprezzati, come quello industriale e in alcuni casi quello energetico e delle utility, senza i quali non sarebbe possibile una transizione veramente sostenibile.

    Quali innovazioni ha osservato nel contesto dell’investimento responsabile?

    Ho l’impressione che stiamo attraversando un periodo di transizione. I criteri ESG 1.0 erano incentrati sulle esclusioni, vale a dire i settori da eliminare dai portafogli dei clienti che desideravano investire coerentemente con determinate convinzioni. 

    Poi, nella seconda decade degli anni duemila, gli asset manager hanno iniziato a lanciare strategie incentrate meno sulle esclusioni e più sulla ricerca di società innovative in grado di contribuire a un futuro sostenibile: si trattava dell’ESG 2.0. A mio parere, un punto debole di questo approccio è il ricorso a score di sostenibilità pubblicati da MSCI o Sustainalytics, che sono retrospettivi e strettamente focalizzati. Per fare un esempio, le aziende tecnologiche, bancarie o sanitarie raggiungono score molto elevati, poiché il loro impatto ambientale è nettamente inferiore a quello delle imprese del settore industriale o petrolifero. 

    In questi ultimi anni, gli investitori si sono riversati su queste aziende ESG ad alto punteggio. I mercati li hanno ampiamente ricompensati, ma alla fine si sono ritrovati con portafogli sostenibili pieni di titoli growth e tecnologici. 

    Penso che adesso siamo in procinto di entrare nella fase successiva, in parte anche per via della flessione attuale del mercato. Ciò che contraddistingue l’ESG 3.0 è il ritorno ai fondamentali e all’esecuzione di ricerche approfondite sulle aziende. È necessario che gli investitori guardino oltre i leader di mercato per trovare opportunità di investimento interessanti in aree meno battute, ad esempio tra le aziende in fase di transizione. 

    Cosa si intende per transizione?

    La transizione è la fase in cui un’azienda comincia a ridurre il proprio impatto e ad assumere una condotta ESG migliore. 

    Nel settore energetico, ad esempio, ci riferiamo a quelle aziende che stanno abbandonando i combustibili fossili in favore di fonti energetiche con emissioni di carbonio minime o pari a zero.

    Cambiamenti fondamentali stanno avvenendo anche in ambito sociale, sia negli aspetti legati alla diversità che nel modo in cui le aziende trattano i propri dipendenti. Per fare un esempio, da un punto di vista sociale o commerciale, non ha più senso sottopagare i dipendenti, eppure è quello che osserviamo in alcune società statunitensi che operano nel settore del retail o dei servizi. Nel caso di Walmart o Amazon, la fidelizzazione dei collaboratori è un aspetto importante da tenere in considerazione quando si decide di investire, perché si ripercuote direttamente sui bilanci. Le aziende con elevati tassi di turnover sono costrette ad assumere nuovo personale che andrà formato, causando costi elevati, a scapito dei rendimenti degli azionisti.

    Come investite nell’ESG 3.0?

    Il nostro obiettivo è investire in società in fase di transizione, il cui potenziale non è ancora stato del tutto apprezzato dal mercato. Riteniamo che esistano molte opportunità di investimento in alcuni dei settori meno apprezzati, come quello industriale e in alcuni casi quello energetico e delle utility, senza i quali non sarebbe possibile una transizione veramente sostenibile. 

    Cerchiamo di affrontare gli investimenti con un approccio olistico, raccogliendo una grande quantità di informazioni e analizzando le aziende da diverse prospettive. Effettuiamo autonomamente le nostre ricerche e altrettanto autonomamente prendiamo le nostre decisioni. Sebbene le agenzie di rating si siano specializzate nel fornire una gamma sempre più vasta di dati e ricerche, non ci riteniamo vincolati alle conclusioni che forniscono.

    Per me è come tornare ai fondamentali dell’investimento, ed è un approccio innovativo se paragonato alle recenti tendenze del settore.

    Si tratta effettivamente di una sfera privilegiata dei gestori di fondi attivi, data l’ampia attività di ricerca che sta alla base e che li rende profondamente diversi dai fondi ESG passivi. Il nostro compito è comprendere appieno un’azienda, i rischi e le opportunità che porta con sé e il potenziale di cui dispone per compiere la transizione. Nella nostra strategia, un elemento chiave è rappresentato dall’engagement. Collaboriamo con un numero selezionato di aziende, con le quali ci confrontiamo fino a quattro volte all’anno, per guidarle lungo il percorso di transizione. 

    Che tipo di aziende state cercando?

    Innanzitutto, cerchiamo aziende con bilanci solidi e potenziale per rendimenti elevati, perché una maggiore sostenibilità può richiedere molto capitale. In secondo luogo, vogliamo investire in aziende in cui l’impatto ambientale o sociale dei prodotti e servizi si traduce direttamente in miglioramenti operativi. E, a volte, queste opportunità non sono le più ovvie. 

    Prendiamo, ad esempio, i veicoli elettrici. A parte Tesla, non sono molte le case automobilistiche che producono veicoli elettrici in modo redditizio: tendenzialmente ricorrono a un mix diversificato di prodotti che include altri tipi di auto o beneficiano di sovvenzioni governative. In sostanza, queste aziende stanno sacrificando i propri margini e rendimenti per produrre veicoli elettrici. Questa strategia non è sostenibile nel lungo termine, in quanto finirà per erodere gradualmente il capitale.

    D’altro canto, deteniamo partecipazioni in una società di servizi petroliferi con la quale portiamo avanti un’attività di engagement estremamente positiva. Questa azienda dispone di una tecnologia di compressione applicabile non solo al petrolio, ma anche al gas naturale liquefatto (GNL) e, in futuro, all’idrogeno. Questa particolare divisione è mediamente più redditizia per l’azienda e contemporaneamente ci segnala che la società ha buone probabilità di sopravvivere alla transizione energetica.

    Come riuscite ad assicurarvi che la vostra voce venga ascoltata dalle aziende? 

    Recentemente ho avuto un pranzo di lavoro con 20 clienti wholesale, che a loro volta forniscono consulenza alle imprese sui loro fondi pensione. Erano tutti interessati alle questioni ESG perché sono importanti per i loro clienti. 
    Cinque o sei anni fa, se avessi contattato Amazon o Walmart per parlare di ESG, mi avrebbero indicato la porta. Tuttavia, si è verificato un grande cambiamento nella consapevolezza dei clienti verso questi temi e le aziende sono ora tenute a prestare maggiore attenzione a ciò che dicono gli investitori.

    L’engagement, la collaborazione attiva, è un processo bidirezionale. Se ci aspettiamo che le aziende si impegnino a raggiungere gli obiettivi ESG che formuliamo, da parte nostra dobbiamo condividere le nostre best practice e le nostre conoscenze in materia. Le aziende sono desiderose di imparare, in primo luogo come gestire la reportistica o come muovere i primi passi. 

    Non molto tempo fa, il mio collega Peter è stato invitato a un evento di settore da un’azienda del comparto energetico. Noi eravamo uno dei soli quattro investitori partner presenti all’evento, gli altri tre erano grandi asset manager globali. Anche se la nostra partecipazione nella società era molto più piccola, l’azienda ha voluto che fossimo presenti perché sa che siamo una voce influente nel campo dell’investimento responsabile. Le aziende cominciano davvero a prestare ascolto.

    Come misurate un aspetto così complesso come l’impatto?

    La misurazione dell’impatto è possibile in tante forme diverse. Una cosa che vogliamo evitare è dire “investendo nel fondo avete risparmiato una quantità X di CO2” o “avete piantato 10.000 alberi”, perché non c’è modo di comprovare effettivamente questi numeri e, inoltre, spesso non significano nulla per i nostri clienti. Preferiamo, invece, considerare i dati riferibili all’impatto a livello di ogni singola azienda presente nel nostro portafoglio. Monitoriamo tutti gli indicatori chiave di performance (KPI) e ci assicuriamo che le aziende raggiungano i nostri obiettivi. Queste sono le informazioni che condividiamo con i nostri investitori.

    Per quel che riguarda la sfera ambientale, ci sono indicatori più immediati come, ad esempio, gli obiettivi “net zero”. Un alto numero di aziende già dichiara le emissioni Scope 1 e 2, in quanto correlate più direttamente alla loro attività. Il calcolo dello Scope 3, però, è più complesso, perché comporta una misurazione dell’impatto ambientale del proprio prodotto dopo la vendita. 

    In questo compito, alcune aziende fanno da apripista. Ad esempio, deteniamo partecipazioni in un’azienda di attrezzature per la produzione di semiconduttori che ripara e riconverte i suoi macchinari ed è in grado di dimostrare quanti ne ha sostituiti e la quota di apparecchi ancora in funzione. 

    Un altro esempio di indicatore KPI che riguarda, ad esempio, le aziende alimentari, è la percentuale di prodotto biologico utilizzato rispetto a quello sintetico o il grado di diffusione dei suoi prodotti in aree con problemi di malnutrizione. Ancora, la fidelizzazione dei dipendenti, cui abbiamo accennato prima. 

    Nel complesso, i KPI sono diversi per ogni azienda. Per quanto ci riguarda, dipendiamo dalla qualità dell’informativa delle aziende, che, per inciso, può anche diventare uno degli obiettivi del nostro engagement. È un lavoro in divenire e ci troviamo ancora nella fase in cui ogni giorno abbiamo accesso a nuovi dati. 

    Le informazioni, opinioni e stime contenute nel presente documento riflettono un’opinione espressa alla data originale di pubblicazione e sono soggette a rischi e incertezze che potrebbero far sì che i risultati reali differiscano in maniera sostanziale da quelli qui presentati.

  • Come integrare i fattori ESG nelle strategie di investimento

    Come integrare i fattori ESG nelle strategie di investimento

    A cura di Altin Kadareja, CEO di Cardo AI, fintech che sviluppa tecnologie di intelligenza artificiale per la gestione e l’ottimizzazione del mercato del private debt

    02.05.2023

    L’inclusione di fattori ambientali, sociali e di governance nelle attività di investimento è diventata oggi una questione di “come” piuttosto che di “quando”. Infatti, è spesso difficile definire cosa costituisca esattamente un investimento conforme alle norme in materia di sostenibilità e quando sia opportuno incorporare i fattori ESG nella gestione degli investimenti.

    Seconda la nostra visione, un approccio corretto ai fattori ESG dovrebbe ricalcare quanto avviene per altri elementi presi in considerazione nelle strategie di investimento; definizione degli obiettivi, progettazione di una strategia, quantificazione del successo e applicazione di un’analisi dei dati per un progressivo e continuo perfezionamento dell’approccio stesso.

    Definizione di obiettivi significativi

    Anche per gli ESG, così come per altri ambiti tematici, il primo passo è identificare gli obiettivi della strategia di investimento. Nel caso della sostenibilità, quest’ultimi dovranno comprendere l’esercizio di un’influenza positiva sull’ambiente o sulla società, fattore che tuttavia può essere particolarmente difficile da tracciare e quantificare. In Cardo AI, riteniamo essenziale definire obiettivi chiari, limitati nel tempo e misurabili. Ad esempio, un fondo di private debt potrebbe fissare quale obiettivo ESG la riduzione dell’impronta di carbonio di almeno il 50% entro il 2030 per superare il benchmark con una media di 50 punti base anno su anno.

    Tuttavia, riteniamo che obiettivi strategici sostenibili non debbano essere necessariamente incentrati sul clima per risultare efficaci, potendo integrare anche altre tipologie di obiettivi. Ad esempio, considerando sempre il caso di un fondo di private debt, quest’ultimo potrebbe puntare a migliorare l’efficienza e la produttività delle risorse del 30% entro il 2026, allineando così il 75% dei suoi investimenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile secondo gli articoli 8 e 12 delle Nazioni Unite.

    Attuazione di una strategia vincente

    Sul fronte strategico, riteniamo essenziale adottare una politica di investimento sostenibile che tenga conto dei fattori ESG in tutto il ciclo di vita della gestione degli investimenti, dalla ricerca delle offerte alla valutazione, alla strutturazione, all’investimento, al monitoraggio e all’uscita. Un elemento particolarmente importante da considerare in questa fase è la disponibilità di dati. Anche i gestori più ambiziosi e intraprendenti spesso non riescono a realizzare politiche ESG efficaci in quanto non dispongono dei dati richiesti nelle fasi di applicazione e monitoraggio.

    Quella strategica rappresenta anche la fase più appropriata del processo per coinvolgere definire i covenant ESG. Gli strumenti da utilizzare sono sia quelli positivi – come l’applicazione di prezzi dinamici e la riduzione del tasso di interesse in caso di raggiungimento degli obiettivi ESG – sia quelli negativi – come la riduzione dei limiti di finanziamento o la conversione di azioni in caso di mancato rispetto dei fattori ESG.

    A integrazione della definizione di una chiara strategia di investimento, risulta essenziale anche la strutturazione di un preciso piano di monitoraggio che prenda in considerazione i progressi verso gli obiettivi e la conformità dell’accordo di gestione degli investimenti. Consapevoli che l’applicazione dei piani nella pratica comporterà sempre sfide, aree grigie e ostacoli imprevisti, riteniamo essenziale che il piano di monitoraggio venga rivisto regolarmente e che presenti anche la giusta flessibilità in caso di un serio cambiamento delle circostanze.

    Il rischio di greenwashing

    La richiesta di trasparenza sulle pratiche sostenibili e socialmente responsabili è oggi in aumento. Tanto i clienti quanto i gestori di fondi e di patrimoni desiderano investire in organizzazioni che abbiamo un impatto positivo sul mondo, allineando così gli investimenti sia ai propri valori che alle richieste normative. Questa tendenza richiede quindi che gli investitori istituzionali si impegnino attivamente nel migliorare anche la reportistica in ambito ESG e, per farlo, servirà una crescente e sempre più rilevante disponibilità di dati ESG. Ad oggi, infatti, il rischio di greenwashing nell’ambito degli investimenti ESG resta ancora un problema significativo.

    Tra i molteplici modi per mantenere una rappresentazione accurata degli sforzi sul fronte della sostenibilità, come Cardo AI riteniamo particolarmente interessante ed efficace l’utilizzo di strumenti di monitoraggio che permettano agli investitori di ricevere dati dettagliati sugli investimenti e KPI ESG che dimostrino quanto la politica di investimento perseguita sia effettivamente in linea con le aspettative dei clienti. Questi strumenti sono particolarmente preziosi perché in grado di confrontare rapidamente e facilmente la gestione di tutti gli asset presenti nel portafoglio di un investitore.

    L’incorporazione dei fattori ESG nei fondi pensione

    Potremmo pensare che la maggiore enfasi posta sugli investimenti ESG richieda, nel caso dei fondi pensione, un diverso approccio al rischio. La natura stessa delle strategie di investimento dei fondi pensione, che hanno un orizzonte di lungo periodo e un’esposizione all’economia locale e globale, richiede una buona comprensione dei rischi legati al clima e degli impatti che potrebbero avere sui portafogli nel lungo termine. In particolare, oggi gli amministratori fiduciari sono tenuti a divulgare una dichiarazione che spieghi il modo in cui i fattori finanziariamente rilevanti e quelli non rilevanti vengano presi in considerazione e misurati, nell’orizzonte temporale del piano pensionistico, nella selezione, nel mantenimento e nella realizzazione degli investimenti. Nell’incorporare le questioni ESG nelle decisioni di investimento e nell’implementazione degli investimenti, riteniamo utile che per i fondi pensione applicare una distinzione per asset class.

    In particolare, nei mandati azionari si potrebbero valutare i fattori ESG finanziariamente rilevanti e il loro impatto sulla redditività futura nella valutazione delle società, considerando anche le attività di engagement attivo da parte dei gestori sulle società stesse. Per i mandati relativi al reddito fisso e private debt, si dovrebbe considerare il potenziale impatto dei rischi ESG sul rating del credito e sulla capacità futura dei debitori di far fronte ai rimborsi. Per gli investimenti immobiliari e infrastrutturali, si potrebbero prendere in considerazione i potenziali rischi ambientali e sociali durante l’acquisizione, lo sviluppo e la gestione dell’uso delle risorse durante l’occupazione.

    Comunicazione e trasparenza degli investimenti ESG nei fondi pensione

    Il quadro di rendicontazione della Task Force on Climate-Related Disclosures (TCFD) richiede che gli amministratori fiduciari comunichino agli iscritti l’esposizione delle loro pensioni al rischio climatico e le modalità secondo cui le società partecipate debbano rendere conto della riduzione delle emissioni di anidride carbonica. È bene ricordare, tuttavia, che quello sostenibile è un tema ancora nuovo e innovativo e, come tale, i dati non sono mai sufficienti o sufficientemente standardizzati per essere utilizzati, modellati o riportati. Pertanto, i sistemi attuali incontreranno delle difficoltà a riportare interamente i rendimenti non finanziari degli investimenti ESG. Per divulgare questo tipo di informazioni è necessario svolgere diverse attività, tra cui la creazione di una struttura di reportistica e di una governance ad hoc per l’approvazione della stessa, nonché un’analisi approfondita della strategia adottata per la gestione del rischio. Come Cardo AI, crediamo che l’analisi di scenari futuri, e il modo in cui questi possano avere un impatto sugli investimenti, e, di conseguenza, l’identificazione di quella che potrebbe essere una linea d’azione prudente, siano processi molto utili da includere nel quadro di gestione del rischio per far fronte all’attuale mancanza di dati storici.