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  • Capital Group: Tre motivi per cui preferiamo il credito investment grade ai Treasury USA

    Capital Group: Tre motivi per cui preferiamo il credito investment grade ai Treasury USA

    A cura di Flavio Carpenzano, Investment Director Reddito Fisso di Capital Group

    Dato il generoso livello di rendimento attualmente offerto dai Treasury statunitensi e agli spread relativamente ridotti nel credito corporate investment grade, non sarebbe meglio semplicemente acquistare i titoli di Stato USA? Per alcuni investitori potrebbe essere la scelta giusta. Crediamo in particolare che investire in Treasury USA convenga se si è fortemente dell’idea che l’economia statunitense sia diretta verso una recessione grave. Il 2023 ci ha però insegnato che una recessione negli Stati Uniti è tutt’altro che sicura e, di fatto, esiste ancora una probabilità significativa che l’economia del Paese rimanga resiliente ed eviti una recessione anche nel 2024. In un tale scenario riteniamo che il credito IG rappresenti una migliore opportunità. Ecco i tre motivi per cui la pensiamo così:

    1. Le analisi storiche indicano che nel corso di gran parte dei periodi le obbligazioni corporate IG globali hanno messo a segno risultati migliori dei Treasury USA, salvo che in fasi di recessione o inasprimento della volatilità sui mercati finanziari.

    Un modo per osservare i risultati migliori delle obbligazioni corporate IG globali rispetto ai Treasury USA è mettere a confronto i rendimenti su periodi mobili di cinque anni delle due asset class obbligazionarie. Dal raffronto emerge che da settembre 2000 in poi le prime (con copertura in dollari USA) hanno sovraperformato i secondi nel 63% dei periodi. Salvo che in fasi di profonda recessione, ad esempio durante la crisi finanziaria globale e la pandemia, i risultati delle obbligazioni corporate sono stati inferiori a quelli dei Treasury di un margine relativamente ridotto e limitato.

    Questa analisi dei risultati indica che ha senso esporsi ai Treasury USA più che alle obbligazioni corporate globali solo in caso di recessione. Ma pur riconoscendo che il rischio di una recessione nel 2024 rimane significativo, esiste ancora una probabilità rilevante che la resilienza dell’economia statunitense consenta di scongiurare questo scenario. Questo è stato il quadro nel corso del 2023 e da inizio anno a oggi, nonostante gli spread creditizi rimangano vicini alla propria media storica, le obbligazioni corporate globali hanno conseguito risultati migliori del 3,1% rispetto ai Treasury USA (a fine ottobre 2023).

    2Gli spread creditizi sono vicini alla propria media storica, ma la dispersione rimane elevata; ciò ha creato un gran numero di opportunità in ottica di gestione attiva. Al momento un terzo del mercato scambia a differenziali superiori a 150 pb. Le banche europee, ad esempio, offrono uno spread extra di 30-40 pb rispetto al mercato globale delle obbligazioni corporate nel suo insieme nonostante i loro fondamentali complessivamente solidi: qualità degli asset resiliente, capitale elevato e significativi accantonamenti per perdite su crediti.

    3. Le obbligazioni corporate globali possono rappresentare la componente obbligazionaria core strategica del portafoglio offrendo reddito, conservazione del capitale e diversificazione rispetto all’azionario. Storicamente esse hanno evidenziato risultati simili a quelli di un portafoglio costituito al 50% da Treasury USA e al 50% da obbligazioni high yield globali. In un tale portafoglio l’esposizione ai Treasury fornisce una copertura contro il rischio di una recessione, mentre quella all’high yield genera reddito. Un portafoglio basato su un’allocazione core al credito IG consente di seguire un approccio potenzialmente più bilanciato. In caso di calo dei tassi a causa di una recessione l’IG globale trarrebbe vantaggio dalla propria duration, pari a sei anni. Se invece la crescita rimanesse resiliente potrebbe beneficiare di un’ulteriore compressione degli spread.

    I fattori alla base della resilienza della crescita USA 

    A supportare più del previsto la crescita, a nostro avviso, sono stati gli elevati deficit negli Stati Uniti, oltre alle difficoltà legate alla trasmissione degli effetti della stretta monetaria verso l’economia reale. La crescita economica statunitense potrebbe rimanere resiliente in ragione del maggior predominio delle politiche di bilancio, il che, a sua volta, può spingere la Fed a mantenere politiche restrittive più a lungo di quanto attualmente previsto dai mercati. Il consistente disavanzo pubblico rimarrà verosimilmente un importante fattore trainante per l’economia. Sebbene nel 2024 possa scendere, dovrebbe comunque rimanere vicino ai propri massimi storici. Il Congressional Budget Office (CBO) stima che i deficit di bilancio degli Stati Uniti continueranno a espandersi man mano che entreranno in vigore l’Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) e l’Inflation Reduction Act (IRA). Questa stima potrebbe rivelarsi perfino cauta dal momento che il CBO ipotizza che i tagli delle tasse messi in atto in passato verranno annullati in linea con la normativa vigente. In realtà raramente queste ipotesi si sono rivelate corrette. Per giunta l’impatto economico dell’imminente aumento della spesa pubblica potrebbe rivelarsi ancor più drastico con il mutamento della sua composizione. Sono infatti aumentati i fondi stanziati per finanziare in maniera diretta progetti di investimento in capitale fisso, che, storicamente, hanno avuto un effetto moltiplicatore sull’attività economica grazie al loro impatto a cascata su occupazione, settore dei servizi e crescita della produttività.

  • Capital Group: La nuova normalità per l’azionario nel 2024

    Capital Group: La nuova normalità per l’azionario nel 2024

    A cura di Winnie Kwan, Gestore di portafoglio di Capital Group

    La parola chiave, per noi, è “normalizzazione”. Stiamo entrando in un contesto di probabile normalizzazione di inflazione e tassi d’interesse. L’era del quantitative easing (QE) è finita, e dobbiamo iniziare a fare i conti con tassi d’interesse reali nei mercati sviluppati compresi tra l’1 e il 2%, livelli più elevati di quelli a cui molti di noi sono stati abituati per oltre un decennio.

    Un altro aspetto in via di normalizzazione è il rapporto tra azionario e obbligazionario. I dati storici ci dicono che le due asset class hanno generato contemporaneamente rendimenti positivi nell’arco di 33 degli ultimi 46 anni. L’unico anno in cui è accaduto l’opposto è stato il 2022. Ma considerate le loro performance nel 2023, sembra che stiamo tornando a un rapporto più normale tra le due asset class.

    Al momento c’è un’enorme quantità di liquidità ai margini, con circa 5600 miliardi di dollari USA investiti in strumenti del mercato monetario a fine settembre 2023. La liquidità, ultimamente, ha generato rendimenti apprezzabili grazie all’aumento dei tassi d’interesse registrato in tutti i mercati sviluppati. Ma quando la sua quantità raggiunge livelli così inediti, si tratta spesso di un segnale che gli investitori farebbero bene a valutare la possibilità di diversificare.

    Guardando agli ultimi quattro cicli di aumento dei tassi negli Stati Uniti (dal 1977 al 2023), nei 12 mesi successivi all’ultimo rialzo da parte della Federal Reserve USA (Fed) i titoli azionari a livello globale hanno generato un rendimento cumulativo medio del 14%. La liquidità ha reso solo il 4,5%, mentre il rendimento dell’obbligazionario si situa all’incirca a metà tra quello di liquidità e azioni. Ipotizzando che la storia si ripeta, una volta che i tassi avranno raggiunto il proprio picco i rendimenti dei fondi del mercato monetario scenderanno e agli investitori converrà diversificare tra azioni e obbligazioni.

    Nel 2023 l’indice S&P 500 ha messo a segno ottimi risultati (con rendimenti da inizio anno a oggi pari al 14,6% ), trainati tuttavia in buona parte dai titoli delle “magnifiche sette”: Alphabet, Amazon, Apple, Meta Platforms, NVIDIA e Tesla. Al di fuori di queste sette società le valutazioni sono reputate abbastanza normali. Di fatto alcuni settori sono in perdita sull’anno dato che l’economia statunitense si trova nel bel mezzo di una “rolling recession”, che si ha quando diversi settori sperimentano una flessione in diversi momenti.

    Nel 2022, ad esempio, il settore immobiliare residenziale USA ha evidenziato una brusca contrazione dopo che la Fed ha iniziato a innalzare aggressivamente i tassi d’interesse. Oggi sembra che stia iniziando a riprendersi, mentre altre aree del mercato immobiliare, come quello commerciale, rimangono in crisi.

    Il settore dei semiconduttori, allo stesso modo, è stato fortemente penalizzato dai timori sulle catene di approvvigionamento e dalla minore domanda di chip nel 2022, con il conseguente crollo dei titoli. Nel 2023, invece, il contesto si è stabilizzato, con la ripresa della domanda e i titoli del settore divenuti una delle forze trainanti dei mercati azionari globali.

    L’industria chimica mostra poi segnali di un esaurimento delle scorte, e una situazione simile si registra anche in determinati segmenti del settore industriale. Il messaggio, insomma, è che l’azionario ha ancora molto da offrire e che gli investitori rimasti finora a guardare possono ancora trarre profitto dall’asset class.

    Un’area che ci piace in questo momento è quella dei titoli azionari dividend. Nel 2022 le azioni che versano dividendi hanno agito da cuscinetto, controbilanciando in parte i ribassi, ma nel 2023 hanno sottoperformato il resto del mercato. Una parte di questa sottoperformance è giustificata dall’aumento dei rendimenti dei Treasury USA a lungo termine, che ha penalizzato i risultati di molti “bond proxy” .

    Abbiamo l’impressione che alcune aree dell’azionario dividend siano state punite ingiustamente, tra cui quella dei “dividend grower”, che versano sistematicamente dividendi via via maggiori. Dalle analisi di Capital Group emerge che i dividend grower sono tipicamente società di maggiore qualità caratterizzate da una migliore allocazione del capitale. Ciò dipende dal fatto che si tratta generalmente di aziende con utili in crescita e flussi di cassa disponibili tali da favorire la crescita dei dividendi. Questi titoli, di conseguenza, presentano una volatilità generalmente inferiore e hanno maggiori chance di battere il mercato sottostante. Dato il numero di società penalizzate dalla più ampia flessione dei titoli dividend, i dividend grower rappresentano di certo un’interessante area in cui andare alla ricerca di opportunità alle porte del 2024.

    Un’altra conseguenza di ciò è il potenziale ampliamento dell’attuale rally del mercato azionario. La storia ci insegna che i rally di una ristretta platea di titoli in seguito a una recessione sono stati spesso seguiti da stabili guadagni da parte del mercato nel suo insieme, il che significa che è possibile trovare opportunità anche al di fuori delle magnifiche sette.

    Sotto il profilo settoriale, stiamo guardando ai settori industria, sanità ed energia. Il mix tra basse valutazioni e vincoli all’offerta ha dato luogo a un gran numero di opportunità interessanti tra le aziende energetiche statunitensi ed europee. Un altro settore interessante è quello delle tecnologie mediche negli Stati Uniti a causa del derating subito nel 2023 nonostante un’innovazione ininterrotta.

    Per quanto riguarda l’innovazione, pensiamo che rappresenti un fattore essenziale per il successo degli investimenti a lungo termine. L’innovazione favorisce crescita e produttività. E una maggiore produttività può aiutare a porre un freno all’inflazione. I nostri professionisti degli investimenti continuano a svolgere ricerche sull’IA e la conclusione, per ora, è che sarà un grosso affare.

    Stiamo iniziando ad assistere all’adozione, da parte di molte aziende a livello globale, dell’IA generativa per accelerare la propria trasformazione digitale e aumentare la propria produttività migliorando i processi di lavoro già esistenti.

    Un esempio in tal senso è quello di una multinazionale europea di bevande alcoliche e non. La società ha impiegato cinque anni a trasformare i propri dati operativi in un formato digitale e leggibile a macchina. Sfruttando l’IA generativa è poi riuscita ad analizzare istantaneamente i dati sulle proprie vendite dentro e al di fuori dei propri locali commerciali. L’azienda, in tal modo, ha potuto ricavare informazioni in tempo reale su quanto inventario dedicare a ciascun punto vendita o ristorante. Il risultato finale? A parità di budget, oggi la società è in grado di portare avanti 15 campagne di brand marketing allo stesso tempo contro le sole cinque del passato.

  • Capital Group: L’evoluzione dei mercati emergenti

    Capital Group: L’evoluzione dei mercati emergenti

    A cura di Lisa Thompson, Gestore di portafoglio azionario di Capital Group

    #capitalgroup #mercatiemergenti

    La ricostruzione delle filiere di molti settori può giovare ai Paesi in via di sviluppo e contribuire a promuovere nuove fonti di crescita per una gamma più ampia di Paesi. Ad esempio, anziché allinearsi con una superpotenza economica, Paesi come l’Indonesia, l’India e il Messico stanno sfruttando finanziamenti e investimenti provenienti sia dai Paesi occidentali leader che dalla Cina. Inoltre, nel tentativo di diversificare le loro filiere, le multinazionali stanno anche creando impianti di produzione in diverse aree geografiche. Le società cinesi si stanno diversificando anche all’estero: alcune di esse realizzano l’assemblaggio del prodotto finito ai fini dell’esportazione negli Stati Uniti in Paesi quale il Messico. 

    Un incremento degli investimenti diretti esteri (IDE) può influire positivamente sulle economie locali. Quando una multinazionale costruisce un impianto di produzione, spesso attira investimenti da parte di altre società dell’ecosistema dei fornitori, che a loro volta stabiliscono una presenza fisica in quella specifica regione del mondo. Inoltre, gli investimenti IDE tendono a essere più vischiosi rispetto ai flussi di portafoglio. Oltre a rappresentare un investimento di capitale a lungo termine, i flussi relativi agli IDE hanno in genere un effetto moltiplicatore sulle economie, generando occupazione che a sua volta favorisce i consumi.

    I cambiamenti a livello di filiera ampliano il panorama degli investimenti

    La diversificazione delle filiere globali dovrebbe giovare a diversi mercati. L’Indonesia sta adottando un approccio concertato per diventare un importante trasformatore di nichel e parte integrante della filiera legata alle batterie per veicoli elettrici, sfruttando la sua posizione in qualità di fornitore leader mondiale di nichel – un minerale fondamentale per le batterie per i veicoli elettrici. Nel 2020, il presidente del Paese ha vietato le esportazioni di minerale di nichel non lavorato, nell’ambito di un piano più ampio che prevede la transizione del Paese da esportatore di materie prime a trasformatore di metalli a valore aggiunto.

    Rispetto al suo passato caratterizzato da forte crescita e repentina contrazione – trainate dai cicli delle materie prime – il successo in questo caso potrebbe rappresentare un mutamento strutturale per l’economia. Acquisire una quota maggiore dell’intera filiera, dalla fusione del nichel alla produzione di batterie e automobili, potrebbe cambiare il profilo economico del Paese. 

    L’Indonesia richiama gli investimenti delle società estere. Le imprese statali cinesi hanno speso miliardi di dollari per contribuire al finanziamento e alla costruzione di impianti di raffinazione del nichel nel Paese. Nel frattempo, multinazionali come la casa automobilistica sudcoreana Hyundai, il produttore chimico tedesco BASF e la casa automobilistica statunitense Ford hanno stipulato accordi per partecipare alla lavorazione del nichel.

    Di recente, il Messico ha sostituito la Cina come maggior partner commerciale degli Stati Uniti. Grazie a un solido fondamento nella produzione di automobili e di dispositivi elettronici di piccole dimensioni, oggi gli investimenti si stanno ampliando ai dispositivi medici, all’elettronica più complessa, ai mobili e ai beni industriali generali.

    Gli investimenti diretti esteri sono in aumento. Alcuni dei maggiori investimenti provengono dalle case automobilistiche Tesla e BMW e dai produttori di componenti elettronici Bosch e Continental. Un altro importante investitore è la giapponese Daikin, che sta espandendo la propria produzione di sistemi di condizionamento dell’aria ad alta efficienza energetica.

    La capacità produttiva dell’India si sta ampliando nei segmenti dei telefoni cellulari, elettrodomestici, computer e attrezzature per le telecomunicazioni. Il governo è stato aggressivo nel corteggiare le società giapponesi, taiwanesi e statunitensi al fine di investire in nuove capacità, tra cui Apple, Foxconn, Daikin e Mitsubishi Electric.

    La transizione energetica potrebbe rappresentare un altro fattore propizio per la crescita. Da quando nel 2011 si è concluso l’ultimo superciclo del settore minerario con bilanci fortemente indebitati e capacità in eccesso, le società minerarie sono diventate più disciplinate dal punto di vista finanziario, privilegiando il valore rispetto ai volumi. Inoltre, hanno speso maggiori flussi di cassa per le distribuzioni agli azionisti anziché per l’aumento della capacità. Attualmente, con lo slancio globale alla costruzione di veicoli, reti elettriche ed edifici ad alta efficienza energetica, si registra una domanda crescente per garantire l’approvvigionamento di rame, nichel, minerale di ferro e litio. A nostro avviso, ciò convoglierà importanti investimenti in nuovi progetti minerari in alcune zone dell’Africa, del Sud America e dell’Asia.

    I mercati emergenti si sono evoluti, così come le relative opportunità

    22 anni fa, è stata coniata l’espressione “BRIC” per descrivere il potenziale dei mercati emergenti di Brasile, Russia, India e Cina. Non tutti si sono dimostrati all’altezza di queste aspettative entusiastiche, e le azioni dei ME sono rimaste indietro rispetto ai mercati sviluppati nell’ultimo decennio.

    Riteniamo che le tendenze destinate a durare — reshoring delle filiere, forti cambiamenti demografici, crescita delle infrastrutture, transizione energetica, emergere di marchi nazionali vischiosi e di grandi dimensioni — possano ulteriormente ampliare i mercati azionari dei ME.

    Inoltre, i bilanci statali sono più solidi, l’inflazione è sotto controllo e, dopo dieci anni, il mercato rialzista per il dollaro USA potrebbe attenuarsi. Oltre a questo, le valutazioni di quasi tutti i settori all’interno dell’indice MSCI EM sono prossime ai minimi decennali, il che rende l’asset class interessante nel medio e lungo termine.

  • Capital Group: Obbligazioni corporate investment grade globali, un settore adatto a tutte le stagioni

    Capital Group: Obbligazioni corporate investment grade globali, un settore adatto a tutte le stagioni

    A cura di Flavio Carpenzano, Investment Director Reddito Fisso di Capital Group

    Tra le tante caratteristiche interessanti degli investimenti in obbligazioni corporate IG globali vi è la variegata gamma di fattori alla base dei loro rendimenti, che fornisce due principali vantaggi agli investitori:

    • L’ampia varietà di fattori consente di diversificare all’interno della strategia. Ad esempio, la correlazione tra tassi e spread creditizi è spesso ridotta, soprattutto nei periodi di stress del mercato. Pertanto, quando gli spread creditizi si allargano, in genere ciò è controbilanciato in una qualche misura dalla componente del portafoglio rappresentata dai tassi.

    • Per un gestore patrimoniale attivo, disporre di un’ampia gamma di driver significa avere un maggior numero di potenziali fonti di alfa/extra rendimenti.

    È possibile classificare i fattori alla base dei rendimenti delle obbligazioni corporate globali in sei componenti:

    Esposizione ai tassi

    Il mercato delle obbligazioni corporate globali è esposto per circa il 70% all’America del Nord e per quasi il 25% all’Europa (all’8 agosto 2023).

    Nel caso delle obbligazioni di alta qualità, utilizzare le ponderazioni di mercato per valutare rischio ed esposizioni può essere fuorviante. Prese isolatamente, infatti, le ponderazioni non sono sufficienti quando si intende valutare e costruire un portafoglio obbligazionario. È per questo che la maggior parte dei professionisti dell’investimento obbligazionario concepisce il posizionamento in termini di contributo al rischio di tasso d’interesse o di credito.  Per quanto riguarda il rischio di credito, indicatori come la spread duration e il duration times spread (DtS) possono contribuire a fornire un quadro più completo quando utilizzati insieme alle ponderazioni di mercato per comprendere l’allocazione e l’esposizione ai rischi di un certo portafoglio.

    Nell’ultimo decennio, tra l’altro, il tasso d’interesse complessivo (ovvero la duration) del mercato globale delle obbligazioni corporate è costantemente aumentato, sebbene l’indice abbia sperimentato un calo significativo nel 2022 a causa soprattutto del brusco sell-off del mercato IG. Questa componente di duration può contribuire positivamente o negativamente ai rendimenti del settore corporate nel suo complesso, a seconda dell’andamento generale dei rendimenti dei titoli di Stato a livello globale. Ad esempio, in presenza di una lieve recessione nel corso della quale i tassi d’interesse dovessero iniziare a scendere, le obbligazioni IG potrebbero offrire un certo grado di resilienza grazie al loro profilo di duration più lungo rispetto ai titoli corporate high yield.

    Esposizione a Paesi e aree geografiche

    L’universo delle obbligazioni corporate IG globali è composto da titoli di emittenti provenienti da 65 Paesi, il che dimostra la natura globale dell’indice.

    Non sorprende che a dominare siano gli USA, con circa metà del mercato composto da emittenti con sede negli Stati Uniti. L’altra metà dell’indice è composta da emittenti da tutto il resto del mondo.

    Esposizione valutaria

    Dato che i rendimenti obbligazionari sono spesso penalizzati dalle oscillazioni valutarie, i portafogli incentrati sulle obbligazioni corporate globali sono in genere sottoposti a copertura valutaria. Di conseguenza, sebbene il rischio di mercato sia di natura globale e gli emittenti abbiano sede in varie parti del mondo, le oscillazioni valutarie non rappresentano in linea generale una componente dei rendimenti del portafoglio.

    Anche nel caso di una copertura “perfetta”, si verificheranno comunque delle oscillazioni minime dato che i tassi d’interesse forward a breve termine variano nel corso del mese (la copertura valutaria viene tendenzialmente messa in atto dai fornitori degli indici con cadenza mensile alla fine di ogni mese) e i rinnovi delle coperture ne risentiranno quindi in qualche misura.

    Rating creditizi

    Generalmente a ogni emissione obbligazionaria viene assegnato un rating creditizio da almeno una delle tre maggiori agenzie di rating (S&P, Moody’s e Fitch). Possiamo pertanto raggruppare tutte le obbligazioni con lo stesso rating per delineare un quadro del profilo del rischio di credito complessivo nel mercato.

    Nell’ultimo decennio la qualità creditizia complessiva dell’indice è calata. Inoltre, due tendenze più a lungo termine in ambito creditizio sono:

    ·  L’incremento ormai evidente delle dimensioni della componente BBB dell’indice (pari oggi a circa il 50% del mercato nel suo insieme.

    ·  L’incremento complessivo dell’indebitamento aziendale nell’universo corporate.

    Settori e industrie

    Gli investimenti obbligazionari corporate sono suddivisi in tre grandi categorie industriali: prodotti industriali, servizi finanziari e servizi di pubblica utilità. All’interno di queste industrie esistono numerosi settori, a loro volta ulteriormente suddivisi in sottosettori.

    Naturalmente, per ciascuno di questi settori e sottosettori, le emissioni provengono in genere da molteplici aree geografiche (ad es. non solo banche statunitensi ma anche francesi, svizzere, britanniche, australiane ecc.).

    Uno tra i più importanti cambiamenti dell’indice negli ultimi 10 e più anni è stata la riduzione della ponderazione del settore bancario. Le banche, infatti, hanno ridimensionato i propri bilanci in seguito al deleveraging che ha avuto luogo dopo la crisi finanziaria globale. Il settore tecnologico, allo stesso tempo, ha assunto una posizione molto più importante nell’indice.

    Emittenti ed emissioni

    Gli indici del mercato delle obbligazioni corporate globali sono composti da oltre 2800 emittenti corporate e da circa 15.000 diverse emissioni obbligazionarie. Anche se non tutti i titoli sono negoziati attivamente, esiste chiaramente una gamma molto ampia di gestori degli investimenti con una presenza globale e dotati di ottime risorse per fare ricerche sui titoli sottovalutati e individuarli.

    Sintesi

    L’universo delle obbligazioni corporate IG globali è molto variegato. Questa varietà dà luogo a un terreno fertile affinché un gestore patrimoniale dotato di ottime risorse possa apportare sistematicamente valore ai rendimenti settoriali nell’arco del ciclo di mercato. Date le dimensioni dell’universo d’investimento, la selezione dei titoli bottom-up è cruciale per sfruttare le opportunità disponibili.

  • Capital Group: Veicoli elettrici nella corsia di sorpasso: chi vincerà la gara?

    Capital Group: Veicoli elettrici nella corsia di sorpasso: chi vincerà la gara?

    A cura di Michael Cohen Gestore di portafoglio di Capital Group

    In passato, una visita allo showroom del Salone dell’Auto in Germania era l’occasione per ammirare l’ultimo modello di Mercedes-Benz, Volkswagen o Bentley a benzina. Quest’anno la situazione è diversa e si percepisce che il futuro sarà dei veicoli elettrici. Due sono le domande principali che tutti si pongono: i consumatori europei saranno interessati ad acquistare veicoli elettrici (VE) cinesi? E i produttori di auto cinesi abbatteranno i prezzi per acquisire quote di mercato? 

    Ad oggi la Cina ha sorpassato il Giappone come maggiore esportatore di automobili su scala globale, un successo inimmaginabile solo un decennio fa. Numerosi produttori di VE cinesi stanno iniziando a muoversi nel mercato europeo, saggiando la domanda di veicoli elettrici cinesi nei mercati sviluppati.

    Le conseguenze si fanno già sentire in Europa, dove gli enti di regolamentazione e i vertici politici stanno cercando di capire come tutelare al meglio il loro settore automobilistico tradizionalmente solido. È troppo presto per sapere come si svilupperà la situazione, ma sembra chiaro che l’assetto odierno cambierà le dinamiche operative dei produttori di auto europei e le modalità con cui gli investitori ne valuteranno il business in futuro. 

    La Cina ha la tecnologia necessaria per competere su scala globale

    È sempre più chiaro che la Cina è ora in pole position nella produzione di veicoli elettrici e nella tecnologia delle batterie. Il Paese ha spinto molto sull’acceleratore intorno al 2009 e ad oggi rappresenta circa il 60% della produzione di veicoli elettrici globale.

    La dominanza della Cina in questo campo ci ricorda inoltre la sua capacità di avanzare lungo la curva della tecnologia e creare enormi economie di scala quando il governo e gli imprenditori uniscono le forze in un settore specifico. In Cina, il costo della manodopera inferiore, i progressi nel campo dei software e l’abbondanza di minerali chiave utilizzati nelle batterie dei VE stanno dando ai produttori di auto un vantaggio strategico. I produttori cinesi, ad esempio, hanno una maggiore capacità di costruire piattaforme integrate in-house piuttosto che affidarsi ai vendor esterni. È inoltre ormai chiaro che i produttori europei stanno perdendo terreno in Cina, almeno per ora. I marchi cinesi come BYD, Li Auto e XPeng hanno acquisito popolarità non solo tra i consumatori nazionali ma anche in diversi mercati europei e asiatici.

    Nell’ultimo paio d’anni, le società cinesi hanno raggiunto l’eccellenza nella progettazione dei modelli e nei software di infotainment per i clienti nazionali. Le auto traboccano di tecnologia e l’80% di esse è dotato di sistemi LiDAR (Light Detection and Ranging) in grado di misurare la distanza tra i punti di riferimento. In Europa solo i veicoli premium sono equipaggiati con tale tecnologia. Anche i sistemi di infotainment, che rappresentano sostanzialmente il computer dell’auto, sono più avanzati e gli interni di alcune auto sono una sorta di IMAX su quattro ruote.

    Gli enti di regolamentazione europei dovranno trovare un equilibrio a livello geopolitico.

    L’Europa sta facendo un passo indietro nel tentativo di tutelare il suo settore automobilistico, che contribuisce in gran parte al mercato del lavoro e alla crescita economica generale. A settembre, la Commissione Europea ha avviato un’indagine sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina e sulla possibilità che i produttori di auto cinesi stiano beneficiando dei sussidi pubblici.

    A nostro avviso l’Unione Europea (UE) sta oggi cercando di reagire alle difficoltà derivanti dalla sua dipendenza dalla Cina. In un contesto di rischi geopolitici crescenti, l’UE probabilmente vuole evitare una situazione analoga a quella che si era venuta a creare a causa dell’eccessiva dipendenza dall’energia russa quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Siamo inoltre dell’idea che l’UE stia ancora pagando le conseguenze della marcia indietro nel campo dei pannelli solari oltre un decennio fa, che si è tradotta nella cessione della principale quota di mercato ai produttori cinesi. 

    La Commissione dovrà valutare attentamente gli interessi dei suoi Stati membri principali, in particolare Francia e Germania, i due Paesi più coinvolti.

    Fino a questo momento il governo francese ha adottato una linea più dura perché i veicoli elettrici cinesi potrebbero influenzare il mercato a basso/medio costo per le auto vendute in Europa, il segmento di maggiore interesse per gli automaker francesi. Inoltre, questi ultimi non hanno mai avuto un particolare successo in Cina, pertanto hanno meno da perdere. Per la Germania la situazione è diversa: i produttori di auto hanno una presenza sostanziale in Cina ma negli ultimi anni stanno gradualmente perdendo quote di mercato.

    Nel frattempo, lo Stato membro dell’UE più legato alla Cina è l’Ungheria. Alcune società cinesi come CATL, BYD e Nio hanno sfruttato l’Ungheria come una rampa di lancio per l’Europa. La Germania stessa ha accolto favorevolmente un investimento nella produzione di batterie da Gotion, produttore di batterie cinesi partner di Volkswagen.

    Siamo quindi dell’avviso che la Commissione Europea potrebbe decidere di evitare immediati e sostanziali incrementi dei dazi sui VE cinesi e focalizzarsi su una maggiore localizzazione delle supply chain dei VE. Considerando gli ampi collegamenti commerciali tra Europa e Cina, che vanno ben oltre le auto, è probabile che la Commissione preferisca evitare azioni ritorsive dal governo cinese. Ad oggi le importazioni di VE cinesi sono soggette a dazi d’importazione UE pari al 10%, mentre le importazioni di manifattura europea in Cina sono tassate tra il 15 e il 25% in funzione del modello. 

    Non dobbiamo poi dimenticare l’impegno dell’UE a chiudere la produzione di tutte le auto con motore a combustione interna entro il 2030. Pur essendoci stato scarso dibattito in merito a una possibile estensione della deadline, tale possibilità non può essere esclusa, in considerazione della dipendenza dai VE che la stessa creerebbe. Tutto dipenderà dall’esito dell’indagine anti-sussidi della Commissione.

    I produttori di auto europei devono cambiare marcia per mettersi al passo

    I principali produttori di auto europei si trovano probabilmente ad affrontare il contesto di business più complesso di sempre. Il loro svantaggio in termini di costi è significativo e saranno necessari ampi investimenti per mettersi al passo con i produttori di VE cinesi e con Tesla, il principale produttore statunitense di VE di lusso.

    Le attuali valutazioni dei maggiori automaker in Europa non scontano un futuro molto luminoso.  Molti trattano a meno di 4x gli utili attesi per i prossimi 12 mesi, secondo le stime di consensus raccolte da FactSet all’8 novembre 2023.

    Le aziende stesse ne sono consapevoli e stanno cercando di reagire. Volkswagen intende investire più di €180 miliardi nei prossimi cinque anni per sviluppare la sua strategia per i VE. Mercedes-Benz ha messo a budget oltre €40 miliardi per i veicoli elettrici fino al 2030. Anche BMW e Stellantis hanno annunciato sostanziali investimenti.

    A nostro avviso i produttori premium tedeschi BMW, Mercedes-Benz e Porsche sembrano i meglio posizionati per avere successo nel segmento dei VE. Mercedes, ad esempio, ha annunciato una line-up di VE di nuova generazione molto interessante, con l’avvio della produzione previsto per i prossimi due/tre anni.

    Laddove le aziende si rendessero conto di non poter essere competitive, potrebbero unire le forze come hanno fatto in passato. Le partnership più probabili interesseranno aziende cinesi ed europee: di recente, il produttore di VE cinese XPeng ha siglato un accordo con Volkswagen per sfruttare tecnologia e filiere. Stellantis sta investendo €1,5 miliardi per acquistare il 20% del produttore di VE cinese Leapmotor.

    I produttori minori potrebbero essere limitati da budget ristretti e decidere di creare delle joint venture. A rappresentare un’eccezione sarà probabilmente il produttore francese Renault, che ha creato una nuova unità per i VE e sta riscuotendo grande successo con il suo modello Megane E-Tech. L’azienda intende produrre i suoi veicoli elettrici nel nord della Francia e prevede che l’automazione possa abbattere i costi di produzione fino al 40%. Come altri produttori, Renault ha spostato parte della produzione di auto tradizionali a benzina ad altre regioni, come l’India, per ridurre la sua struttura di costo.

    È troppo presto per decretare vincitori e vinti

    La spinta globale per ridurre la dipendenza dai motori a combustione tradizionali, l’innovazione nei software e nella tecnologia delle batterie per VE e il raggiungimento di costi competitivi a livello di manodopera rendono quello automobilistico un settore complesso in cui investire.  Le preoccupazioni legate alla domanda a breve termine insieme all’incertezza economica hanno spinto alcuni produttori di auto a ridimensionare i loro outlook rialzisti sui VE. La statunitense Ford Motor ha dichiarato nel recente report sugli utili del terzo trimestre di aver rinunciato al target di costruire 400.000 VE entro metà 2024. Tesla ha espresso preoccupazioni in merito ai tassi di interesse elevati e all’accessibilità economica dei VE.

    Nonostante il vantaggio iniziale della Cina, molti dei produttori di auto nazionali sono in perdita. La corsa alla riduzione dei costi e dei prezzi potrebbe spingere fuori dal business i produttori di VE meno capitalizzati, con una possibile ondata di consolidamenti. Fino ad allora, riteniamo che sarebbe un errore escludere i produttori di auto europei. Le valutazioni ridotte e i progressi tecnologici potrebbero offrire agli investitori degli entry point interessanti. Gli automaker europei sono forti di un passato lungo e glorioso. Hanno già affrontato situazioni simili, riuscendo a eludere la concorrenza dei produttori giapponesi.

  • Rivitalizzare un mercato sottovalutato: il Giappone sta finalmente dando priorità agli azionisti

    Rivitalizzare un mercato sottovalutato: il Giappone sta finalmente dando priorità agli azionisti

    A cura di Christophe Braun, Investment Director di Capital Group

    Il Giappone sta adottando importanti misure volte a modernizzare il proprio panorama aziendale ed eliminare una ritrosia di lungo corso a dare priorità agli interessi degli azionisti.

    Dall’inizio della “Abenomics”[1], il programma di riforme deciso dall’ex primo ministro Shinzo Abe nel 2012, il Giappone ha avviato un percorso di miglioramento di redditività, allocazione dei capitali e corporate governance. Sebbene i progressi siano stati lenti, in parte a causa dell’approccio cauto del Paese ai cambiamenti, oggi sembra esserci un maggior senso di urgenza affinché si faccia fronte a bilanci caratterizzati da elevate riserve di liquidità e a rami d’attività inefficienti.

    A marzo la Borsa di Tokyo ha chiesto alle società quotate di presentare e mettere in atto politiche volte a migliorare redditività, rendimenti a lungo termine e valutazioni, con un’enfasi su redditività del capitale investito e proprio e sul far sì che i rapporti prezzo/valore contabile divengano superiori a 1. Secondo analisi della Borsa di Tokyo, a fine agosto circa il 39% delle aziende dell’indice TOPIX 500 (per numero di società) scambiava al di sotto del proprio valore contabile, contro il 5% di quelle statunitensi dell’indice S&P 500.

    Un rapporto prezzo/valore contabile inferiore a 1 significa che il valore attribuito a una società dal mercato è inferiore a quello del suo patrimonio netto. Se un’azienda genera una redditività del capitale proprio superiore al proprio costo del capitale, il rapporto prezzo/valore contabile dovrebbe migliorare, e alcuni modi per raggiungere quest’obiettivo sono:

    • ridurre la liquidità in eccesso;
    • incrementare la redditività dei rami d’azienda operativi;
    • concentrarsi sui core business e sbarazzarsi delle controllate con performance negative.

    Nel frattempo, il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria sta promuovendo un aumento delle operazioni di fusione e acquisizione nel Paese e all’estero, nella speranza che ciò renda più disciplinate le società, riduca bilanci inefficienti e favorisca una crescita inorganica. Più specificamente, le proposte renderebbero più difficile, per i Consigli di amministrazione, respingere offerte di acquisto a condizioni congrue senza motivazione. Si tratterebbe di un importante cambiamento dal momento che, a nostro avviso, le attività di fusione e acquisizione possono sbloccare valore sfruttando la liquidità non utilizzata nei bilanci aziendali.

    Il governo giapponese, infine, sta anche portando avanti un’agenda di riforme detta “dal risparmio all’investimento”, con politiche come l’“Asset Income Doubling Plan” (ovvero il piano per il raddoppio del reddito da investimenti). Nell’ambito di tale piano, la Financial Services Agency ha proposto una massiccia espansione del NISA, il programma che mira a incentivare i cittadini a incrementare i propri investimenti dal punto di vista fiscale.

    Nel breve periodo, questo quadro ha spinto al rialzo l’azionario giapponese a livelli mai così alti da fine anni ‘80, trainato in gran parte dai titoli value; il che non stupisce dato che le politiche sono indirizzate alle aziende sottovalutate. I piani di acquisto di azioni proprie[2] annunciati nel corso dell’esercizio finanziario 2022 hanno raggiunto livelli record, anche se alla fine di agosto quasi il 70% delle società quotate nella sezione “prime” della Borsa di Tokyo non aveva ancora risposto all’appello per una maggiore efficienza del capitale[3].

    Abbiamo assistito a un miglioramento anche sul fronte di CAPEX e investimenti esteri diretti, specialmente in aree legate al settore tecnologico come quella dei data center, e il Giappone è tra i pochissimi Paesi che mira a creare inflazione dopo decenni di deflazione.

    Ma dopo tante false partenze in Giappone, questa volta davvero è diversa?

    Da una parte questo mutamento del quadro nel Paese dimostra la sempre maggiore capacità degli investitori di dialogare con le società su temi ambientali, sociali e legati alla governance (environmental, social and governance, ESG), sfruttando i propri poteri di azionisti, a lungo inutilizzati, per risolvere le criticità esistenti.

    Nel lungo periodo questo mix di riforme potrebbe in effetti portare a passi in avanti su questo fronte tramite operazioni di cessione degli attivi, crescita dei dividendi versati e acquisto di azioni proprie. Tuttavia, anche se le società con un minor rapporto prezzo/valore contabile raggiungessero il target di 1, il listino giapponese salirebbe solamente di una percentuale relativamente contenuta (pari all’incirca al 15%), dal momento che tali titoli non costituiscono una porzione significativa dell’indice.

    Riteniamo che questi mutamenti non debbano fermarsi alle società con un rapporto prezzo/valore contabile inferiore a 1, bensì evolversi in un fenomeno più generalizzato “Molte aziende giapponesi con un prezzo/valore contabile superiore a 1 generano una redditività del capitale proprio troppo bassa a causa dell’eccessivo accumulo di liquidità o di una gestione inefficiente del portafoglio di rami d’attività. Se assistessimo a miglioramenti significativi in questi ambiti potrebbe davvero verificarsi un cambio di paradigma.

    [1] L’Abenomics mirava a incrementare l’offerta di moneta della nazione, a dare impulso alla spesa pubblica e a varare riforme volte a rendere l’economia più competitiva

    Acquisto di azioni proprie da parte di società per poi annullarle, riducendo il numero di azioni in circolazione e incrementando il valore di quelle rimanenti per gli investitori

    3. Al 31 agosto 2023. Fonte: Reuters

  • Capital Group: Mercati emergenti, segnali positivi

    Capital Group: Mercati emergenti, segnali positivi

    A cura di Lisa Thompson, Gestore di portafoglio azionario di Capital Group

    Nell’era post COVID-19 abbiamo assistito a un reset dei mercati finanziari da molti punti di vista: tassi di interesse, aspetti geopolitici e paradigmi di crescita. Tale condizione ha inoltre comportato una nuova definizione del panorama per i mercati emergenti. Riteniamo che la prossima fase di crescita per i mercati emergenti sarà diversa rispetto agli ultimi 20 anni. L’economia cinese è maturata e sta attraversando un difficile periodo di riforme. Le tensioni geopolitiche e la transizione energetica mondiale stanno spingendo gli investimenti esteri verso un mix più ampio di Paesi in via di sviluppo per il fabbisogno produttivo e di risorse naturali. Inoltre, le riforme governative stanno cambiando la traiettoria di alcuni Paesi in via di sviluppo, come l’India e l’Indonesia. A nostro avviso, le prospettive per i mercati emergenti sono ottimistiche nel medio termine e si estenderanno a mercati che non sono stati il primo pensiero per gli investitori.

    1. L’inflazione e i tassi di interesse seguono un trend discendente

    Le banche centrali di molti Paesi in via di sviluppo, in particolare in America Latina, hanno operato un rialzo dei tassi prima della Federal Reserve statunitense, al fine di neutralizzare il più possibile gli effetti dell’inflazione. La maggior parte dei mercati emergenti non ha avuto la capacità di intraprendere il quantitative easing nel corso dell’ultimo decennio, che ha penalizzato i tassi di crescita dei mercati sviluppati. Con il rallentamento dell’inflazione in alcuni Paesi emergenti, è probabile che le banche centrali di questi mercati si orientino verso un taglio dei tassi nei prossimi mesi e trimestri. Molte hanno già iniziato, tra cui Brasile, Cile, Ungheria e Cina. Un calo dei tassi e delle pressioni inflazionistiche dovrebbe favorire le economie e, di conseguenza, le aree cicliche del mercato. Le autorità monetarie dovranno bilanciare la pressione sulle proprie valute dovuta al calo dei tassi di interesse con il sostegno alle economie nazionali. Nel complesso, riteniamo che le minori pressioni inflazionistiche e il calo dei tassi dovrebbero favorire le economie e i mercati azionari dei mercati emergenti.

    2. Le economie sono sostanzialmente più solide

    Il profilo economico di molti Paesi dei ME è nettamente migliore rispetto a quello di un decennio fa. I bilanci statali sono più solidi. Nel 2021, i surplus delle partite correnti delle economie in via di sviluppo hanno totalizzato 480 miliardi di dollari USA, ovvero più del triplo di quanto registrato nel 2019. Inoltre, durante la pandemia, a differenza di quanto accaduto in molti mercati sviluppati, i policymaker dei Paesi in via di sviluppo non hanno elargito grandi aiuti ai privati, il che ha aiutato la loro posizione fiscale. Le riforme statali hanno semplificato l’attività d’impresa in Paesi come l’India. Il governo indiano ha avviato riforme orientate all’imprenditoria e introdotto un sistema di identificazione digitale che hanno accelerato la crescita favorendo l’espansione del credito e portando ampie fasce dell’economia al livello formale. I programmi di incentivazione legati alla produzione elaborati per allargare la base manifatturiera nazionale dell’India stanno a loro volta acquisendo slancio. L’Indonesia ha costruito più aeroporti, strade e porti marittimi, ha aperto un maggior numero di settori alla possibilità di ricevere investimenti esteri e ha cercato di ridurre le procedure amministrative apportando modifiche alle norme fiscali e sul lavoro. 

    3. L’indebolimento del dollaro dovrebbe fornire sostegno nel medio termine

    Secondo il nostro analista valutario, il dollaro USA è sopravvalutato rispetto alla maggior parte delle valute principali e dei Paesi emergenti, in base a diversi parametri. Nel breve periodo, il dollaro potrebbe mantenere la forza nei confronti di diverse valute principali, tra cui l’euro, lo yen e la sterlina britannica, grazie soprattutto ai differenziali dei tassi di interesse. A medio termine, i nostri analisti e gestori di portafogli obbligazionari globali prevedono un indebolimento del dollaro o, come minimo, un suo mantenimento ai livelli attuali.

    Per quanto riguarda i mercati emergenti, in molti Paesi i tassi di riferimento delle banche centrali sono più alti rispetto agli Stati Uniti. Anche se alcune banche centrali hanno iniziato a tagliare i tassi di interesse in seguito al calo dell’inflazione, i tassi nominali rimangono ancora elevati. Molti Paesi dei mercati emergenti presentano inoltre surplus delle partite correnti, mentre gli Stati Uniti e le altre principali economie sviluppate registrano dei disavanzi. Questa situazione dovrebbe essere di buon auspicio per le valute dei mercati emergenti nel medio termine. Negli ultimi 12 mesi alcune valute dei mercati emergenti hanno iniziato a compiere progressi rispetto al dollaro, in particolare il peso messicano e il real brasiliano. Ciò dovrebbe favorire i rendimenti di tali mercati, grazie all’effetto delle operazioni di conversione valutaria sui portafogli.

  • Capital Group: Che fine ha fatto la recessione

    A cura di Peter Becker, Investment Director di Capital Group

    Peter Becker, Investment Director di Capital Group
    Peter Becker, Investment Director di Capital Group

    Finora, i mercati sviluppati hanno evitato una recessione, ma il rischio che si manifesti non è ancora escluso. Il contesto macroeconomico attuale è decisamente peculiare. Raramente, se non mai, si è venuta a creare una combinazione così singolare di pandemia globale, tecnologie rivoluzionarie, aumento del rischio geopolitico e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro. Questo insieme unico di circostanze potrebbe aiutare a spiegare il motivo per cui il ciclo economico si è discostato dai pattern tradizionali.

    Forse gli USA hanno evitato una recessione sincronizzata ma hanno registrato piccole crisi l’una dopo l’altra. È possibile che non si sia manifestata una tradizionale recessione economica ampia e sincronizzata, quanto piuttosto una serie di recessioni consecutive a livello settoriale. Fondamentale per raggiungere questo risultato positivo è stato il mercato del lavoro, che è rimasto resiliente e sta contribuendo alla crescita della spesa al consumo. Vale la pena ricordare che la spesa al consumo è un fattore chiave nella crescita economica statunitense, e rappresenta circa il 70% del PIL. Finché le persone hanno un lavoro e spendono, l’economia USA non avrà alcun problema. In questo ciclo il tasso di disoccupazione rimane estremamente basso. Le aziende hanno ancora difficoltà a trovare candidati qualificati e si tengono stretti i loro dipendenti oppure ne cercano di nuovi. Nonostante la resilienza del mercato del lavoro e dell’economia nell’ultimo anno, non ci riteniamo ancora del tutto al sicuro. La possibilità di una recessione è ancora piuttosto concreta.

    Come reagiranno le banche centrali? Gli sviluppi dell’inflazione rimangono fondamentali

    Le dinamiche dell’inflazione saranno probabilmente il fattore chiave che detterà la reazione delle banche centrali nel prossimo futuro. Nell’ultimo anno l’inflazione ha evidenziato un rallentamento, ed è plausibile che il prossimo anno tornerà ad avvicinarsi al 3%. L’inflazione primaria è in calo già da qualche tempo e l’inflazione inerziale inizia a muoversi sulla stessa traiettoria. Anche se l’inflazione è in discesa, così come la componente dei servizi core, c’è il rischio che il ritmo della disinflazione che abbiamo visto nel 2023 possa calare.

    Il ritorno dell’inflazione al 2%

    Nonostante i segnali incoraggianti nell’inflazione inerziale, la stessa rimane vischiosa e superiore al tasso target delle banche centrali. Il motivo potrebbero essere fattori strutturali come l’aumento del rischio geopolitico, il rallentamento della globalizzazione e una forza lavoro potenzialmente reclutata sul mercato domestico a un costo superiore rispetto ai decenni scorsi, quando i lavoratori erano delocalizzati in luoghi in cui la manodopera era più economica. Tutto questo potrebbe rendere più complicato ridurre stabilmente l’inflazione al 2%.

    La crescita dei salari nominali è ancora solida nei mercati sviluppati e rimane ben superiore ai trend pre-COVID. Nonostante questo, a causa della forte crescita dei salari e dell’importanza della credibilità delle banche centrali nel definire le aspettative sull’inflazione, i tassi potrebbero rimanere elevati più a lungo. L’elemento più importante sotto il profilo della politica monetaria è che il rallentamento dell’inflazione significa che le banche centrali potrebbero essere vicine, o aver già raggiunto, il picco dei tassi. Oggi dobbiamo chiederci non tanto di quanto la Fed alzerà ancora i tassi, ma per quanto a lungo li manterrà ai livelli attuali.

    Quali sono le conseguenze per i mercati obbligazionari

    Nel complesso, il contesto rimane favorevole per il reddito fisso; sia lo scenario del soft landing che quello della recessione sarebbero in generale positivi per l’asset class.

    Soft landing. Se le banche centrali centreranno il soft landing, significa che la politica era stata fissata al livello corretto. I tassi potrebbero quindi rimanere elevati e gli investitori obbligazionari continueranno a beneficiare di un buon livello di carry. Questo dovrebbe aiutare a compensare i periodi di volatilità e supportare i rendimenti totali.

    Recessione. Le condizioni finanziarie più rigide, l’impatto dei tassi più alti più a lungo, i segnali eterogenei sul fronte dei consumi e le continue incertezze sulla situazione delle banche regionali USA e dell’immobiliare commerciale fanno sì che la recessione rimanga un rischio concreto. Tuttavia, in uno scenario di recessione, gli obbligazionisti continuerebbero a beneficiare di un carry iniziale elevato e della potenziale decisione delle banche centrali di tagliare i tassi di interesse al fine di stimolare la crescita economica. Una decisione del genere favorirebbe le obbligazioni, in particolare la componente di qualità elevata del mercato.

    Alcune considerazioni importanti

    Il credito investment grade (IG) è ben posizionato per offrire rendimenti positivi su un anno considerando gli scenari macroeconomici più probabili. In uno scenario di recessione moderata, i risultati sono positivi. Anche in una situazione di recessione severa, i risultati potrebbero rimanere positivi in caso di riduzione dei tassi. E questo rispecchia due importanti caratteristiche dell’asset class: innanzitutto gli effetti positivi sulla duration del calo dei tassi d’interesse e, in seconda battuta, i rendimenti iniziali più elevati al momento offerti dal credito IG che forniscono un cuscinetto in periodi di volatilità dei prezzi.

    Anche la prosecuzione dell’attuale contesto in cui le banche centrali mantengono i tassi elevati più a lungo porta in linea generale a risultati positivi, ancora una volta grazie al carry elevato, in grado di assorbire la volatilità di spread e tassi. In uno scenario Goldilocks, l’asset class beneficia del carry elevato e dell’effetto positivo del calo dei tassi sulla duration. I rendimenti iniziali elevati aiutano a ridurre le perdite anche negli scenari più ribassisti.

  • Capital Group: Come equilibrare i portafogli se la FED prosegue la pausa nel rialzo dei tassi

    Capital Group: Come equilibrare i portafogli se la FED prosegue la pausa nel rialzo dei tassi

    A cura di Chitrang Purani, Gestore di portafoglio a reddito fisso di Capital Group

    Quando le azioni procedono in un senso, le obbligazioni dovrebbero andare nel senso opposto. Negli ultimi anni questa relazione, ormai consolidata, si è interrotta, ma ci sono segnali incoraggianti di un suo eventuale ritorno. Non c’è dubbio che questo sia stato un periodo difficile per il reddito fisso. Le perdite del 2022 sono state particolarmente consistenti. È stato il primo anno dopo decenni in cui le obbligazioni si sono mosse al ribasso insieme alle azioni. I rapidi aumenti dei tassi da parte della Federal Reserve (Fed) statunitense, in un contesto di tassi di inflazione tra i più alti mai registrati dall’economia americana in oltre 40 anni, hanno provocato forti turbolenze. Un’analisi della correlazione tra azioni e obbligazioni durante i periodi di correzione azionaria dal 2010 in poi mostra quanto sia stato insolito questo periodo.

    Tuttavia, man mano che ci lasciamo alle spalle il ciclo di rialzi dei tassi e i mercati si concentrano maggiormente sul contesto di crescita, il reddito fisso potrebbe riprendere il suo ruolo di ancora nei portafogli. Inoltre, rendimenti iniziali più elevati implicano un maggiore potenziale di performance per le obbligazioni. Questo ciclo di rialzi della Fed è stato il più rapido degli ultimi decenni ed è probabile che i segmenti dell’economia sensibili ai tassi si ritrovino presto in difficoltà. L’indebolimento economico rappresenta in genere un catalizzatore per le obbligazioni, sia dal punto di vista dei rendimenti assoluti che della diversificazione dalle azioni.

    Quando gli investitori obbligazionari potranno tornare a respirare?

    Nelle ultime due riunioni, la Fed ha deciso di non apportare rialzi ai tassi e il presidente Jerome Powell ha ribadito che la banca procederà “con cautela” nei suoi interventi futuri. Powell ha anche spiegato che la Fed sta monitorando il recente aumento dei rendimenti a lungo termine e che i cambiamenti persistenti nelle condizioni finanziarie in generale potrebbero influenzare il percorso della politica monetaria. È quindi probabile che la Fed stia per concludere il suo ciclo di rialzi.

    È stato più facile che l’inflazione scendesse dai livelli massimi dello scorso anno fino a sfiorare il 3%, piuttosto che tornare al target del 2% fissato dalla Fed. Dato che la crescita è stata più resiliente del previsto, è probabile che i tassi d’interesse rimarranno ‘più alti più a lungo’, e questo si è riflesso sull’andamento del mercato durante l’anno. La narrativa “higher for longer” prevede che i tassi, pur non aumentando necessariamente di molto, possano rimanere a livelli elevati per un periodo prolungato. L’ulteriore rivalutazione dei tassi d’interesse nel 2023 ha creato un equilibrio rischio/rendimento più favorevole per il reddito fisso rispetto a un anno fa. I risultati sono favoriti da rendimenti iniziali relativamente solidi, che di recente hanno toccato un massimo in circa 16 anni sull’indice Bloomberg US Aggregate.

    Dove concentrarsi nel reddito fisso

    Riteniamo che il rischio di esposizione ai tassi d’interesse nei portafogli sia meglio bilanciato. Se i tassi sono vicini al picco massimo, la duration – che misura la sensibilità di un fondo obbligazionario ai tassi d’interesse – potrebbe passare da una difficoltà all’altra per i rendimenti obbligazionari nel corso del prossimo anno. Gli investitori con una maggiore allocazione alle azioni o ad altri asset rischiosi potrebbero voler aumentare l’esposizione alla duration, vista la migliore compensazione attuale per l’esposizione ai tassi e il potenziale di incremento dei prezzi nel caso in cui la Fed tagliasse i tassi in risposta a una recessione economica.

    Un’altra considerazione che gli investitori possono fare per rendere i portafogli più resilienti riguarda la qualità del credito dei loro investimenti obbligazionari. I crediti di qualità superiore risultano più indenni alla debolezza economica rispetto alle controparti di qualità inferiore, che potrebbero risentire maggiormente degli effetti di una politica monetaria più restrittiva; gli investitori, quindi, potrebbero aggiungere un’esposizione di alta qualità senza rinunciare a un rendimento elevato. È importante capire cosa si può ottenere dal proprio fondo obbligazionario, poiché molte strategie che in teoria hanno come benchmark indici obbligazionari diversificati, in pratica possono essere portafogli di crediti. Questi fondi possono offrire un buon rendimento in caso di movimento laterale dei mercati, ma possono rivelarsi più correlati alle azioni in caso di ribasso. Anche l’analisi dei rendimenti storici a lungo termine durante i periodi di turbolenza dei mercati azionari può aiutare a fare luce sul potenziale di diversificazione.

    Quando i mercati sono volatili, puntiamo a utilizzare leve diversificate nella costruzione dei portafogli obbligazionari per offrire un reddito rettificato per il rischio e una diversificazione interessanti. Questo ci consente di perseguire rendimenti interessanti, offrendo al contempo una diversificazione rispetto alle azioni in periodi di stress del mercato.

    Prospettive più costruttive

    Dopo un lungo periodo di crisi, le obbligazioni potrebbero finalmente riprendere il loro ruolo di diversificatori rispetto alle azioni nei portafogli degli investitori. L’inflazione è in calo. I timori per la reinflazione sembrano attenuarsi. Il tasso di riferimento potrebbe aver già raggiunto il picco o esserci comunque molto vicino. Tutti questi fattori sono di buon auspicio per le prospettive di rischio/rendimento delle obbligazioni. Gli investitori che desiderano creare un equilibrio attraverso il reddito fisso dovrebbero considerare l’esposizione di un fondo a titoli di alta qualità e alla duration. Fondamentale è anche un comprovato track record a lungo termine di ottimi rendimenti relativi nelle fasi di ribasso dei mercati azionari, anche se i risultati passati non sono mai una previsione di quelli futuri.

    Con le prospettive di oggi, non ci sono certezze. Ma nei prossimi 12 mesi il reddito fisso di alta qualità ha il potenziale per offrire opportunità interessanti sia dal punto di vista della performance che del rendimento totale, a riprova del suo tradizionale ruolo di ancora all’interno di portafogli diversificati.

  • Capital Group: Settore automotive, opportunità di investimento idiosincratiche

    Capital Group: Settore automotive, opportunità di investimento idiosincratiche

    A cura di Flavio Carpenzano, Investment Director Reddito Fisso di Capital Group

    A prima vista, il settore automobilistico sembrerebbe uno strano posto dove cercare opportunità di investimento: l’economia globale sta rallentando e potrebbe ancora cadere in recessione; la Cina, un mercato chiave per molti produttori, sta sperimentando un significativo rallentamento della crescita economica; i tassi di interesse sono stati portati al livello più alto degli ultimi anni, il che rende più costoso l’acquisto di un’auto con un finanziamento (il metodo principale per acquistare un’auto oggi); il motore a combustione interna (ICE) deve essere sostituito da veicoli elettrici (EV) con margini più bassi in poco più di 10 anni e, di conseguenza, i produttori storici non solo devono trasformare le proprie attività nel settore dell’ICE, ma devono farlo combattendo al contempo i nuovi concorrenti a basso costo nello spazio dei veicoli elettrici.

    Come se non bastasse, i produttori devono affrontare le richieste salariali in un contesto di recenti forti profitti e della più alta inflazione degli ultimi decenni. 

    Eppure, nonostante questo contesto difficile, il settore automobilistico continua a offrire opportunità di investimento. Ma quali sono le logiche di investimento e come gli investitori dovrebbero considerare il settore?

    Sconfiggere la recessione

    La prospettiva di una recessione è chiaramente un vento contrario per un settore ciclico come quello automobilistico. Tuttavia, vi sono diverse società automobilistiche di alta qualità che, a nostro avviso, saranno in grado di superare la recessione e di mantenere un buon profilo creditizio difensivo. Molte di queste società hanno prodotti orientati al consumatore premium, che tende a presentare una minore ciclicità, il che dovrebbe aiutarle a mantenere il flusso di cassa.

    Durante la pandemia, il settore automobilistico è stato afflitto da vincoli e colli di bottiglia che hanno impedito la consegna dei prodotti, ma la domanda in eccesso si è rivelata redditizia. La maggior parte di tali problemi di approvvigionamento è stata risolta e l’attenzione si concentra ora sulla capacità delle aziende di sostenere la domanda repressa derivante dalle vendite perse durante il periodo della pandemia. I produttori che riescono a raggiungere tale obiettivo dovrebbero essere in grado di compensare le perdite normalmente associate a una recessione.

    Insieme ai produttori di prodotti più pregiati, gli autocarri rappresentano un sub-settore dell’automotive che, a nostro parere, può aiutare le aziende a mantenere le vendite. Questo perché la domanda di autocarri tende a essere meno ciclica. Una volta che un camion ha raggiunto la fine della sua “vita”, la spesa per la manutenzione aumenta in modo significativo e diventa rapidamente antieconomico mantenerlo in funzione. Anzi, spesso può essere più conveniente sostituirlo. Oltre a essere relativamente isolati dalla recessione, i produttori di autocarri non sono esposti allo stesso livello di minaccia dei nuovi operatori che sfidano i produttori di autoveicoli storici.

    Affrontare la sfida dell’elettrificazione

    Per le case automobilistiche storiche, in particolare quelle europee, il passaggio ai veicoli elettrici rappresenta una sfida più significativa e potenzialmente esistenziale. I nostri analisti stimano che i produttori europei siano in ritardo di circa tre anni rispetto al leader di mercato Tesla e ai nuovi arrivati dalla Cina nella transizione verso i veicoli elettrici. Gli europei dispongono attualmente di una tecnologia delle batterie molto limitata e l’infrastruttura di ricarica europea è carente. Inoltre, si trovano in una situazione di grave svantaggio in termini di costi, poiché la produzione di automobili in Europa è molto più costosa che in Cina. Questo probabilmente offre ai nuovi operatori un vantaggio materiale nel tentativo di conquistare quote di mercato. Inoltre, a differenza delle loro controparti statunitensi, molti produttori europei hanno attività significative in Cina. Ciò limita la possibilità di ricorrere alle tariffe commerciali.

    I produttori premium sono in una posizione relativamente forte per affrontare la transizione, in quanto dovrebbero essere in grado di continuare a imporre prezzi elevati per le proprie auto. Tuttavia, se questa strategia funziona nei loro mercati nazionali, in Cina si tratta di una sfida più grande. In Cina, infatti, i veicoli elettrici sono visti come un prodotto più economico rispetto a un’auto ICE. Le aziende esistenti su scala globale, come VW e Toyota, devono affrontare una sfida leggermente diversa. Queste aziende dovranno investire nella tecnologia delle batterie e nelle stazioni di ricarica se vorranno mantenere la loro portata globale. I produttori regionali come Renault, invece, non hanno altra scelta che puntare su joint venture per progettare e costruire veicoli elettrici.

  • Come evolveranno le valutazioni azionarie? L’effetto IA

    Come evolveranno le valutazioni azionarie? L’effetto IA

    A cura di Beth Beckett, Economista di Capital Group

    Se osserviamo gli ultimi 75 anni dell’indice S&P 500, le valutazioni azionarie possono essere raggruppate in diverse “ere”. Tali ere sono state tipicamente trainate da macro-trend più ampi: alcune dalla politica industriale o dall’innovazione tecnologica, altre dal tasso di inflazione o dal ritmo della crescita.

    Questi periodi hanno spesso un impatto enorme sulle valutazioni delle singole aziende, anche quando l’analisi bottom-up porterebbe a conclusioni diverse.

    Guardando ai prossimi anni, la traiettoria delle valutazioni dipenderà in ultima analisi dalla situazione della crescita e dei tassi di interesse. Abbiamo valutato i potenziali scenari in base a due domande che attualmente dominano i mercati: quanto sarà rivoluzionaria l’intelligenza artificiale (IA)? L’inflazione tornerà stabilmente al target del 2% delle banche centrali?

    Nel medio periodo, il ritmo e la volatilità dell’inflazione avranno ripercussioni di rilievo sul livello dei tassi di interesse, mentre la diffusione delle tecnologie IA potrebbe rivelarsi una determinante chiave della produttività e della crescita in generale.

    Su quest’ultimo fronte, abbiamo cercato di capire se la disruption innescata dall’adozione dell’IA si rivelerà costruttiva o distruttiva. In una disruption costruttiva, le nuove tecnologie vengono facilmente assorbite nelle strutture di capitale e manodopera esistenti, creando nuove opportunità di lavoro e incrementando l’output.

    Con una disruption distruttiva, la tecnologia sostituisce manodopera e capitali più velocemente rispetto al ritmo con cui possono essere reimpiegati altrove, generando disoccupazione.

    Per quanto riguarda l’inflazione, può variare da bassa e stabile – con un ritorno sostenibile al target del 2% delle banche centrali – a elevata e imprevedibile. Quest’ultima situazione implica la fine della “Grande moderazione”, con un’oscillazione dell’inflazione a un livello superiore rispetto al decennio chiuso nel 2020.

    Quattro scenari

    Inserendo l’inflazione e l’adozione dell’IA come variabili nei due assi (come da grafico successivo), abbiamo costruito quattro scenari deliberatamente estremi che avrebbero grosse ripercussioni sulle valutazioni in un mondo trainato dall’IA.

    Per quanto attiene alla disruption costruttiva, abbiamo uno scenario “1960/Secondo dopoguerra” di crescita più elevata e reflazione in un quadrante, e una cosiddetta era “Goldilocks” equivalente a una “Grande moderazione 2.0” nell’altro. Nel caso in cui l’IA inneschi una rivoluzione più distruttiva, il progresso tecnologico genererebbe disoccupazione, perché i posti di lavoro verrebbero sostituiti più rapidamente di quanto possono essere creati. Abbiamo denominato lo scenario di inflazione più elevata “Apocalisse tech” e quello di inflazione più ridotta “Deserto tech”.

    Se da un lato tutti e quattro gli scenari sono chiaramente estremi, alla richiesta di scegliere il più probabile, un gruppo di professionisti di Capital Group ha classificato al primo posto lo scenario 1960/Secondo dopoguerra (33%), seguito da Goldilocks (29%), Apocalisse tech (25%) e Deserto tech (13%).

    Nello scenario 1960/Secondo dopoguerra, il progresso tecnologico non penalizza manodopera e capitali, ma li favorisce velocizzando la crescita della produttività. Al contempo, la maggiore incertezza geopolitica incoraggia la spesa pubblica in settori come la difesa e il potenziamento della resilienza delle filiere. Questo determina deficit fiscali più ampi, un debito pubblico più elevato e una maggiore pressione al rialzo sull’inflazione. Le banche centrali scelgono di reagire in maniera pragmatica a questo aumento dell’inflazione per evitare di creare dinamiche di debito insostenibili.

    In una situazione simile, ci aspetteremmo multipli azionari compresi tra 20-25x, con opportunità in settori come la difesa, l’automazione, i titoli value e i farmaceutici. I segmenti sottoperformanti potrebbero comprendere i titoli growth, i mercati privati e gli investimenti alternativi.

    Nello scenario Goldilocks, l’adozione dell’IA determina anche una crescita più rapida della produttività. Ma in questo contesto una migliore governance globale promuove un allentamento delle tensioni geopolitiche e delle incertezze sul fronte commerciale, riducendo i costi delle transazioni globali. Questo amplia la capacità di offerta delle economie, facendo scendere l’inflazione e salire i salari reali e il tenore di vita.

    In questo contesto estremamente positivo, ci aspetteremmo multipli azionari superiori a 25x e un rally generalizzato nei mercati. Emergerebbero opportunità nell’IA, nell’immobiliare residenziale, nei titoli growth, nei titoli farmaceutici, nel debito sovrano dei mercati emergenti e sviluppati, nel credito investment grade e high yield. Il comparto della difesa e i tipici beni rifugio come il dollaro USA e l’oro potrebbero realizzare una sottoperformance.

    I due scenari in cui il progresso tecnologico ha effetti distruttivi sono stati ritenuti meno probabili dai nostri professionisti degli investimenti. In sostanza, in entrambi la rapida diffusione della tecnologia IA sostituisce i lavoratori a un ritmo più sostenuto rispetto alla possibilità di reimpiegarli altrove, generando un aumento della disoccupazione.

    Nello scenario Deserto tech, l’IA fagocita la domanda, incentivando una deflazione e una prolungata recessione o depressione; nell’Apocalisse tech, i governi entrano in scena per attutire l’impatto sui lavoratori, innescando un circolo vizioso tra inflazione elevata e maggiore spesa pubblica.

    I multipli azionari nello scenario Deserto tech si attesterebbero nell’intervallo 15-20x e i settori più promettenti sarebbero probabilmente IA, titoli a dividendo, farmaceutici, titoli di Stato e liquidità alla luce del contesto deflazionistico. Meno interessanti sarebbero titoli value, difesa, finanziari, lusso e società fortemente indebitate.

    Il nostro scenario caratterizzato dalle valutazioni inferiori è l’Apocalisse tech, dove i multipli faticherebbero a uscire dall’intervallo 10-15x. Potrebbero rimanere alcune opportunità nei settori IA, difesa, sicurezza informatica, farmaceutici e titoli minerari/materie prime, ma qualunque altro settore realizzerebbe una sottoperformance, specialmente duration, lusso e debito dei mercati emergenti.

    Sottolineiamo ancora una volta che si tratta di scenari potenziali, agli estremi più positivi e negativi dello spettro, che non riflettono previsioni future. Comunque, considerando la portata e il ritmo dell’innovazione nel settore IA e l’ampiezza del suo potenziale impatto, questo tipo di pianificazione sarà per noi fondamentale nella costruzione dei portafogli per il futuro.

  • Capital Group: Giappone, le riforme possono sbloccare le valutazioni azionarie?

    Capital Group: Giappone, le riforme possono sbloccare le valutazioni azionarie?

    A cura di Emily Liao, Equity Investment Director di Capital Group

    In Giappone sono in atto mutamenti significativi, e i mercati azionari se ne stanno accorgendo. Se in molte economie sviluppate l’inflazione ha creato delle difficoltà, in Giappone, alle prese con la deflazione da tre decenni, è stata accolta positivamente.

    Sul fronte delle riforme l’attenzione è fortemente concentrata sul miglioramento della corporate governance, mentre le società pongono maggiore enfasi sui rendimenti per gli azionisti. Le valutazioni appaiono ragionevoli rispetto ad altri mercati, la situazione politica è relativamente stabile, gli investimenti esteri nel settore manifatturiero stanno tornando. I tassi d’interesse rimangono inoltre contenuti rispetto a quelli di altri mercati sviluppati.

    Nonostante tutti i suoi guai economici, il Giappone si è dotato di un enorme vantaggio competitivo in determinati settori. Le imprese giapponesi hanno sviluppato tecnologie esclusive in mercati di nicchia che hanno consentito loro di sviluppare business durevoli con elementi fortemente differenzianti. Tra queste aree vi sono quelle delle apparecchiature legate all’automazione industriale, dei sensori, degli strumenti di ispezione per la produzione di semiconduttori, dei sistemi di condizionamento dell’aria ad alta efficienza energetica e delle tecnologie connesse alle batterie. Altri ambiti in cui le aziende del Paese hanno acquisito quote di mercato sono quelle dei dispositivi medici e dei prodotti farmaceutici. SMC, ad esempio, è leader nell’ambito dei componenti specializzati per le apparecchiature legate all’automazione e per la produzione di semiconduttori. Shin-Etsu è il più grande produttore al mondo di wafer di silicio per i prodotti connessi ai semiconduttori, mentre TDK è tra i maggiori fabbricanti di batterie di alta gamma e circuiti specializzati impiegati nei veicoli elettrici.

    Le riforme della corporate governance stanno acquisendo slancio

    Molte aziende giapponesi sono arrivate ad eccellere in aree avanzate della scienza e dell’ingegneria. Eppure, i prezzi delle loro azioni, in gran parte dei casi, sono stati penalizzati da una corporate governance inadeguata. Un certo numero di società ha accumulato liquidità, creato strutture societarie isolate e gestito conglomerati non sempre efficienti o redditizi. Dall’inizio della Abenomics, nel 2012, le aziende giapponesi hanno avviato un percorso di miglioramento di redditività, allocazione dei capitali e corporate governance. Riteniamo ormai che esista una maggiore convergenza tra imprese e governo sulla necessità di migliorare standard di governance, modelli di business e strutture patrimoniali. Negli anni a venire ciò potrebbe dare luogo a maggiori rendimenti per gli azionisti tramite operazioni di disinvestimento, aumento dei dividendi staccati e acquisti di azioni proprie.

    La trasformazione delle imprese tradizionali può liberare valore per gli azionisti

    Alcune aziende si sono reinventate sbarazzandosi di rami d’attività non core e specializzandosi maggiormente in un certo ambito. In altre ci sono dirigenze e consigli di amministrazione vecchi o nuovi che paiono intenzionati a mettere in atto dei cambiamenti. In passato la casa farmaceutica Daiichi-Sankyo è stata penalizzata da uno sviluppo dei prodotti poco efficace, da un portafoglio di farmaci non differenziati e dalla fallita acquisizione del più grande produttore indiano di medicinali generici. Diversi anni fa l’azienda ha messo in atto un cambio di passo, tagliando vari programmi di ricerca e sviluppo per concentrarsi sulla costruzione di quella che è divenuta una pipeline promettente di terapie oncologiche innovative, e oggi figura tra le società giapponesi con la maggiore capitalizzazione di mercato e vanta una gamma differenziata di coniugati farmaco-anticorpo e uno tra i medicinali più utilizzati per il trattamento del cancro al seno. In generale, riteniamo che queste dinamiche di miglioramento grazie a iniziative autonome possano contribuire a un incremento di valutazioni, redditività del capitale proprio e valori contabili.

    Le tensioni geopolitiche stanno riportando in auge gli investimenti nel settore manifatturiero

    Il Giappone possiede un settore manifatturiero affidabile ed esperto. Grazie alla crescente rischiosità di fare affari in Cina, di recente il Paese del Sol Levante ha attratto maggiori investimenti esteri. Dopo decenni di deflazione e indebolimento dello yen, inoltre, i costi produzione risultano più ragionevoli. Un caso che vale la pena monitorare è la costruzione di un impianto produttivo di Taiwan Semiconductor a Kumamoto, dove secondo i media la società potrebbe costruire anche un secondo stabilimento. Tra il 2021 e oggi il governo giapponese ha attratto investimenti programmati per oltre 14 miliardi di dollari USA da parte di società di Stati Uniti, Europa, Corea del Sud e Taiwan. Tra queste vi sono la sudcoreana Samsung Electronics e la statunitense Micron Technology, entrambe leader nello sviluppo di chip di memoria.

    Il Giappone, a nostro parere, è posizionato in maniera tale da acquisire capacità manifatturiera di gamma più elevata dato il proposito delle multinazionali di diversificare le proprie catene di approvvigionamento in Asia. Paesi come Vietnam e Cambogia sono in grado di produrre articoli come scarpe e giocattoli, ma non possiedono le competenze e le infrastrutture necessarie per fabbricare prodotti tecnologicamente più avanzati. Qualora questo trend proseguisse si tratterebbe di un brusco dietrofront rispetto al passato, capace di rinvigorire l’economia e favorire gli hub industriali locali.

    Un rimbalzo dello yen dovrebbe contribuire favorevolmente ai rendimenti azionari

    Riteniamo che, nell’arco dei prossimi 12-18 mesi, l’inflazione sia destinata verosimilmente a permanere al di sopra del target del 2% della BoJ. L’istituto potrebbe dunque trovarsi costretto a porre fine alla propria politica di tassi d’interesse negativi il prossimo anno e ad allentare ulteriormente anche la propria controversa strategia di controllo della curva dei rendimenti. Questa catena di eventi dovrebbe dare luogo a una stabilizzazione dello yen a questi livelli o perfino a un suo rafforzamento, ma molto dipenderà anche dalle altre banche centrali e, in particolare, dai tassi USA. E un rafforzamento dello yen dovrebbe essere un fatto positivo per chi investe in dollari solamente grazie all’effetto delle operazioni di conversione valutaria sui portafogli.

    La riduzione dello slancio riformatore e la possibile flessione dell’economia globale rappresentano dei rischi

    Nell’ultimo decennio abbiamo visto rally di mercato simili a questo scemare. Sebbene si stiano verificando degli sviluppi positivi, assumiamo un approccio cauto. Gli investitori stranieri rappresentano un’ampia porzione del mercato azionario giapponese. L’economia del Paese è trainata dalle esportazioni e fortemente incentrata sulla produzione industriale. Nell’eventualità di un indebolimento dell’economia globale o di una riduzione dello slancio riformatore, i titoli azionari potrebbero ritrovarsi sotto pressione in un contesto di avversione al rischio. Eppure, al momento, siamo più fiduciosi sul Giappone di quanto lo siamo mai stati negli ultimi due decenni.

  • Capital Group: Per le valute dei mercati emergenti il contesto rimane favorevole nonostante il calo del carry trade

    Capital Group: Per le valute dei mercati emergenti il contesto rimane favorevole nonostante il calo del carry trade

    A cura di Jens Søndergaard, Analista valutario, Capital Group

    Da inizio anno il carry trade dei mercati emergenti (ME)[1] si è rivelato una strategia di successo, poiché molti Paesi di tali mercati, in particolare quelli dell’America Latina, sono stati in grado di offrire agli investitori tassi di interesse reali elevati, rischi politici ridotti e valutazioni interessanti. La solidità del carry trade dei ME sembra ora svanire con l’avvio dei tagli dei tassi da parte delle banche centrali di questi mercati. L’Ungheria ha dato il via al ciclo di tagli dei tassi a maggio, mentre Cile, Brasile e Polonia hanno seguito l’esempio nel corso dell’estate. I mercati prevedono che la maggior parte dei restanti Paesi dell’America Latina e dell’Europa centrale/orientale si uniranno al ciclo di taglio dei tassi nel corso dell’anno, mentre l’Asia probabilmente inizierà l’anno prossimo. Nel frattempo, i tassi reali statunitensi sono saliti (e ora sono positivi), mentre le aspettative di taglio dei tassi sono state posticipate al 2024 per Stati Uniti ed Eurozona.

    Tale riduzione dei differenziali dei tassi di interesse tra i Paesi dei ME e quelli dei mercati sviluppati (MS) potrebbe indebolire alcune valute dei ME, come accaduto in Cile all’inizio di quest’anno. L’affollato posizionamento degli investitori rispetto ai carry trade dei ME, inoltre, è potenzialmente in grado di amplificare qualsiasi inversione di tendenza. Detto questo, dato l’elevato tasso di interesse di partenza di molti Paesi dei ME, i tassi reali potrebbero continuare a sembrare interessanti anche quando le banche centrali opereranno tagli dei tassi. Il Brasile ne è un esempio, con tassi reali superiori al 4%[2]. L’andamento ribassista dell’inflazione primaria dei ME sta portando anche a un miglioramento dei premi al rischio reali. Inoltre, in molti casi, gli investitori si basano sulla propensione al rischio e sui fondamentali, oltre che sul differenziale dei tassi reali. Di seguito analizzeremo entrambi questi fattori. 

    Aumento dell’avversione al rischio, ma relativamente contenuto

    In genere, i tassi di cambio dei ME sono percepiti come asset class a più alto rischio e pertanto, in caso di contesti di propensione al rischio, le valute dei ME tendono a ricevere maggiori afflussi, mentre è vero il contrario nei contesti di avversione al rischio. La propensione al rischio comprende un’ampia gamma di fattori, tra cui il ciclo macroeconomico globale, i rischi finanziari e geopolitici e gli shock ad hoc, come la pandemia. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina sono forse la principale fonte di rischio geopolitico per i mercati globali, in quanto le società europee e americane continuano a dipendere dalla Cina per quanto riguarda ricavi, filiere e produzione, mentre il conflitto in corso tra Russia e Ucraina e la de-dollarizzazione dell’economia globale (anche se non crediamo che possa avvenire a breve) pongono ulteriori rischi al panorama geopolitico. Sul fronte positivo, una recessione negli Stati Uniti sembra ora meno probabile, mentre i ME escl. Cina sembrano resilienti con dati relativi all’attività relativamente solidi unitamente a una continua disinflazione.

    I fondamentali dei ME offrono supporto ad alcune valute di tali mercati

    I fondamentali dei Paesi dei ME svolgono un ruolo attivo nel determinare il livello di vulnerabilità delle valute dei mercati emergenti a una riduzione del differenziale dei tassi reali o a un cambiamento della propensione al rischio. Ad esempio, un calo della propensione al rischio nel 2022, insieme a un aumento dei tassi di interesse statunitensi, ha comportato un netto aumento dei costi di finanziamento per gli emittenti di debito in dollari nei ME con fondamentali più deboli, quali Sri Lanka, Ghana e Pakistan. Alcuni di questi Paesi più di frontiera hanno dovuto affrontare importanti adeguamenti valutari – alcuni sono stati di fatto esclusi dai mercati primari – mentre le ristrutturazioni del debito sovrano hanno raggiunto livelli record.

    La situazione si è rivelata completamente diversa per alcuni dei Paesi dei ME più sviluppati, quali Brasile e Messico, molti dei quali sono stati meno dipendenti dai finanziamenti esteri rispetto ai periodi di volatilità precedenti. Questi Paesi emettono ormai titoli a più lunga scadenza e la quota delle obbligazioni in valuta locale in capo a soggetti esteri è generalmente diminuita. Molti di essi presentano situazioni patrimoniali sull’estero sufficientemente robuste e un accesso ai capitali che consentono loro di far fronte alla volatilità e si sono dotati di ampie riserve in valuta estera che rimarrebbero consistenti anche in caso di pressioni.

    In genere, i Paesi che non dipendono eccessivamente da una specifica materia prima o da un particolare Paese sono meno esposti a un cambiamento delle condizioni macroeconomiche. Se la crescita cinese continuerà a deludere, ad esempio, ciò potrebbe avere un impatto sulle valute con forti legami commerciali con il Paese, come il Cile (che risente anche di un pesante deficit delle partite correnti), sulle valute che dipendono dalle materie prime, come il ringgit malese e il rand sudafricano (entrambi dipendenti dall’acciaio) e su quelle che hanno legami finanziari con la Cina, come il baht thailandese e il won coreano. Valute come la rupia indiana, il peso colombiano e il peso messicano, invece, dovrebbero dimostrarsi più resilienti.

    Infine, anche le solide prospettive di crescita, che possono essere in parte cicliche, sono in grado di sostenere la solidità delle valute. In genere, i Paesi a forte crescita attirano maggiori afflussi, contribuendo al rafforzamento delle valute. L’India è un esempio di Paese che continua a esibire una crescita robusta mentre gran parte del mondo rallenta. Il Paese sta beneficiando di dinamiche demografiche favorevoli e di un credito robusto, unitamente a bilanci solidi del settore privato, un’ampia base di risparmio nazionale ed elevate riserve in valuta estera. I modelli sui tassi di cambio basati sui fondamentali tengono conto di alcuni di questi fattori e cercano di valutare il fair value delle valute. Il grafico seguente mostra il nostro modello valutario interno, FEVER, secondo cui la maggior parte delle valute dei ME rimane sottovalutata, sebbene alcune appaiano ora sopravvalutate, nonostante una prospettiva relativamente positiva a livello di fondamentali, in quanto si sono già apprezzate in modo significativo.   

    Conclusioni

    In linea generale, i fattori alla base del posizionamento dei tassi di cambio dei ME sono tre: i differenziali dei tassi di interesse reali (il carry trade), la propensione al rischio e i fondamentali. I differenziali dei tassi reali si sono ridotti, mentre l’avversione al rischio si è probabilmente accentuata con la flessione della crescita globale. Tuttavia, i fondamentali relativamente solidi della maggior parte dei principali Paesi dei mercati emergenti dovrebbero sostenere i tassi di cambio di tali mercati a partire da un’impennata dell’avversione al rischio. Quest’anno si sono verificati alcuni eventi che avrebbero potuto portare a un netto aumento dell’avversione al rischio (come una crisi delle banche regionali e i timori per una recessione negli Stati Uniti e un rallentamento in Cina), ma i fondamentali relativamente solidi dei principali Paesi dei mercati emergenti hanno fatto sì che le eventuali contrazioni siano state relativamente modeste e i tassi di cambio si siano ripresi rapidamente.

    1. Un “carry trade” sul tasso di cambio è in contrasto con la teoria della parità scoperta dei tassi di interesse.  Secondo tale teoria, la variazione attesa di un tasso di cambio dovrebbe essere pari al differenziale del tasso di interesse delle due valute nello stesso periodo. Se ciò non accade, in teoria, è possibile ottenere un rendimento anomalo, utilizzando il carry trade, prendendo in prestito una valuta a basso tasso di interesse e investendo in una valuta a tasso di interesse più elevato.

    2. Dati al 5 settembre 2023. Fonte: Bloomberg

  • Capital Group: L’obiettivo di inflazione del 2% della Fed potrebbe essere raggiunto in anticipo

    Capital Group: L’obiettivo di inflazione del 2% della Fed potrebbe essere raggiunto in anticipo

    A cura di Jared Franz, Economista di Capital Group

    L’ex Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan sosteneva che l’inflazione è sotto controllo quando i consumatori non devono riflettere prima di effettuare un acquisto. Dopo venti mesi di ciclo di rialzi dei tassi da parte della Fed, le persone ancora riflettono prima di acquistare. I prezzi rimangono spiacevolmente alti, con l’Indice dei prezzi al consumo (IPC) degli Stati Uniti in aumento del 3,7% a settembre rispetto a un anno fa. Molti investitori temono che il tratto finale verso l’obiettivo di inflazione del 2% della Fed sarà impegnativo. Tuttavia, alcuni segnali indicano che i prezzi potrebbero diminuire sensibilmente e, il tanto atteso 2% di inflazione potrebbe essere raggiunto in anticipo. Ciò avviene in un momento in cui l’economia e i mercati del lavoro statunitensi continuano a essere in fermento, sfidando le previsioni di una recessione.

    Gli affitti alle stelle stanno diminuendo

    Il quadro dell’inflazione oggi è molto diverso da quello del 2022 e il motivo è uno solo: gli affitti sono diminuiti. Qualunque sia la direzione verso cui si muovono gli affitti, l’inflazione finirà per seguirli.  È quindi ragionevole che gli economisti partano dalle aspettative sugli affitti per prevedere l’IPC. In particolare, l’aumento degli affitti deve rallentare al 4% affinché la Fed abbia qualche possibilità di raggiungere il suo obiettivo. L’aumento post-pandemia degli affitti si è drammaticamente avvicinato a tale dato del 4%. Un’analisi della componente degli affitti dell’IPC statunitense mostra che l’aumento dei prezzi è rallentato a circa il 5,9% a settembre, rispetto al picco del 9,1% di giugno 2022. I dati sugli affitti forniti dalla società immobiliare Zillow, che misura gli affitti richiesti nei nuovi contratti di locazione, indicano un aumento ancora inferiore, pari al 3,2%. Possono essere necessari diversi mesi affinché gli affitti più bassi, rilevati da Zillow e da altri siti, confluiscano nell’IPC. Nonostante ciò, possono verificarsi alcuni sbalzi ma gli affitti stanno accelerando nella giusta direzione.

    Nel frattempo, la produttività, che misura l’efficienza dei lavoratori, ha registrato una ripresa. Negli ultimi quattro trimestri, i dati del Bureau of Labor and Statistics statunitense indicano che la produttività è salita all’1,2%, mentre un parametro correlato, noto come costo unitario del lavoro, è sceso al 2,5%. Si tratta di modelli che si osservano quando le economie iniziano la ripresa. La maggiore produttività e il minore costo unitario del lavoro esercitano una pressione al ribasso sull’inflazione.

    In combinazione con la stabilità dei prezzi delle materie prime dovuta alla scarsa crescita della Cina, riteniamo che l’inflazione potrebbe raggiungere il 2% entro la fine del 2024. Ciò è in anticipo rispetto alla previsione mediana della Fed di un’inflazione primaria al 2,5% e di un’inflazione core al 2,6%. Il parametro preferito dalla Fed per misurare l’inflazione è l’indice core delle spese per consumi personali, che esclude i generi alimentari e il gas, e che in genere corrisponde strettamente all’IPC core.

    E se l’inflazione rimanesse al di sopra del 2%?

    Il fatto che l’inflazione si sia mantenuta al 3% indica che i prezzi di una serie di beni sono tornati a crescere. Questo scenario è meno probabile. Uno dei motivi è che le distorsioni dell’era pandemica, come la rapida crescita dell’offerta di moneta, o M2, hanno invertito la rotta. Questo indicatore di massa monetaria in circolazione è diminuito del 3,7%, passando da un picco di 21.700 miliardi di dollari a luglio 2022 a 20.900 miliardi di dollari ad agosto 2023. M2 comprende contanti, monete, depositi in conti correnti, conti di risparmio e fondi del mercato monetario. C’è molto meno denaro disponibile per il pagamento di beni e servizi, il che mi fa pensare che l’inflazione continuerà a scendere.

    È bene ricordare che l’obiettivo del 2% della Fed non è un obiettivo vincolante, bensì una media temporale annunciata dai funzionari senza troppa enfasi ad agosto 2020. Un’inflazione prossima all’obiettivo potrebbe contribuire a sostenere le azioni e le obbligazioni statunitensi. In passato, i rendimenti medi annui di azioni e obbligazioni sono stati positivi quando l’inflazione era compresa tra lo 0% e il 6%, con i rendimenti migliori per le azioni quando l’inflazione era compresa tra il 2% e il 3%. I risultati passati, ovviamente, non sono indicativi dei rendimenti futuri.

    Il conflitto tra Israele e Hamas è da tenere sotto controllo, in quanto un aumento sostenuto dei prezzi dell’energia potrebbe comportare un rischio al rialzo per le prospettive dell’inflazione. Franz ritiene che una ripresa dell’inflazione potrebbe spingere la Fed a mantenere alti i tassi per un periodo prolungato. La Fed si è impegnata a fondo per guadagnare credibilità, quindi è improbabile che cambi l’obiettivo di inflazione mentre continua a impegnarsi per promuovere la stabilità finanziaria.

    Possiamo raggiungere il 2% di inflazione senza dover affrontare un atterraggio brusco?

    Tutto dipende dai consumatori statunitensi. Con un tasso di disoccupazione prossimo ai minimi degli ultimi 50 anni, pari al 3,8%, la recessione che è dietro l’angolo rimane inafferrabile perché i consumatori continuano a superare le cupe aspettative di crescita. I tassi elevati hanno raffreddato alcuni settori dell’economia, ma finora questo processo si è verificato in momenti diversi in vari settori. Di certo, il recente aumento dei tassi d’interesse a lungo termine ha sollevato questioni spinose sull’onere totale del debito pubblico e su quanto ancora i consumatori possano tenere in piedi l’economia.

    I massicci stimoli dell’era pandemica hanno fornito un sollievo temporaneo a molte famiglie e hanno indirizzato la nuova spesa federale verso l’energia pulita attraverso un mix di incentivi fiscali, sovvenzioni e garanzie sui prestiti. Tuttavia, con la ripresa dei pagamenti dei prestiti agli studenti a ottobre dopo una pausa durata anni, la spesa dei consumatori si stabilizzerà? I consumatori hanno in gran parte esaurito i risparmi in eccesso degli anni del COVID-19, ma i recenti aumenti della crescita salariale dovrebbero essere direttamente destinati alla spesa. L’impatto della ripresa dei pagamenti dei prestiti agli studenti sarà probabilmente minimo: secondo la Federal Reserve Bank di New York, i mutuatari dovrebbero ridurre la spesa di circa 56 dollari in media al mese.

    Al contempo, la spesa pubblica per alcuni settori, come quello degli industriali, continuerà ad alimentare la ripresa nei prossimi cinque anni. Alcuni aspetti dello stimolo dell’era pandemica potrebbero durare ben oltre tale finestra temporale. In breve, il governo statunitense continuerà probabilmente a sostenere l’economia creando domanda di beni e servizi. Ciò potrebbe contribuire a tenere sotto controllo i mercati del lavoro e lontana la recessione. La crescita occupazionale è stata robusta, con 336.000 posti di lavoro in più a settembre. Finché la crescita mensile dei posti di lavoro sarà superiore a 120.000, l’economia continuerà a mantenersi stabile. Non sono stato così ribassista sull’economia perché i mercati del lavoro hanno avuto un andamento molto positivo, e penso che gli Stati Uniti possano registrare una crescita del PIL del 2% nel prossimo anno.

  • Capital Group: L’India sarà inclusa nell’indice obbligazionario

    Capital Group: L’India sarà inclusa nell’indice obbligazionario

    A cura di Kirstie Spence, Portfolio Manager di Capital Group

    Di recente, JPMorgan ha reso noto che i Titoli di Stato Indiani (TSI) saranno inclusi nella serie di indici GBI-EM di JP Morgan[1], compreso l’indice GBI-EM (emerging market) Global Diversified, ampiamente utilizzato. Si inizierà con una ponderazione dell’1% a giugno 2024, con un successivo graduale incremento fino a una ponderazione massima del 10% entro marzo 2025.

    Il mercato dei TSI è il secondo mercato obbligazionario dei ME per dimensioni (dopo la Cina) e l’India è l’unico paese ad avere un rating investment grade senza essere incluso in uno dei principali indici obbligazionari. JPMorgan ha inserito i TSI in una watch list nel 2021, in vista di un loro eventuale inserimento, a seguito dell’introduzione del programma indiano FAR (Foreign Accessible Route)[2] nel 2020.  Finora, l’ostacolo all’inclusione era legato al sistema fiscale del paese; tuttavia, l’inserimento sembra essere avvenuto in assenza di un impegno da parte dell’India per modificarlo. Attualmente, 23 TSI, con un valore nozionale complessivo di 330 miliardi di dollari USA, sono idonei all’inclusione nell’indice e consentirebbero all’India di raggiungere una ponderazione del 10% all’interno dello stesso[3].

    Nonostante l’ammontare e la liquidità dei TSI, gli investimenti stranieri in titoli di Stato risultano tra i più bassi nei ME[4] e potrebbero potenzialmente offrire una significativa opportunità di aumento nei prossimi anni. Secondo le stime di Goldman Sachs, l’inserimento dell’India potrebbe determinare flussi in entrata passivi di circa 30 miliardi di dollari USA e flussi attivi per altri 10 miliardi di dollari USA, considerando i rendimenti nominali relativamente elevati dei TSI, pari al 7% circa, a fronte di una volatilità relativamente contenuta[5].

    Tali flussi in entrata dovrebbero determinare una diminuzione dei rendimenti dei TSI e un rafforzamento della valuta, anche se vi sono alcuni potenziali ostacoli, come l’aumento del prezzo del petrolio e il divieto di esportazione del riso indiano. Nel medio termine, i flussi in entrata dovrebbero contribuire a finanziare il deficit delle partite correnti e fiscale del paese, mentre la diversificazione della base di investitori dovrebbe estendere ed ampliare il mercato obbligazionario e potrebbe potenzialmente ridurre i costi di finanziamento del debito pubblico, senza alcun rischio di crowding out per il governo. Più a lungo termine, possiamo attenderci una diminuzione del costo del capitale, che contribuirebbe a finanziare maggiori investimenti e potenzialmente una maggiore crescita economica.

    Quando l’India raggiungerà la ponderazione del 10%, probabilmente l’Asia arriverà a rappresentare poco meno del 50% dell’indice GBI-EM Global Diversified. Secondo JPMorgan, Cina e Indonesia dovrebbero mantenere le rispettive ponderazioni del 10% all’interno dell’indice, mentre Messico, Malaysia e Brasile dovrebbero scendere sotto tale soglia. I principali ridimensionamenti includono Thailandia, Sudafrica, Polonia e Repubblica Ceca.  Nel contempo, l’inserimento dell’India nell’indice GBI-EM Diversified determinerebbe un aumento dei rendimenti dell’indice di 8 pb (e di 33 pb per l’indice GBI-EM Global) e della duration di 0,24 anni, al completamento di questo straordinario processo[6].

    L’India continua a essere un mercato obbligazionario interessante per noi, considerando le dimensioni del mercato obbligazionario e i progressi economici compiuti in generale dal paese. Più recentemente, l’inflazione è diminuita, riavvicinandosi al target, e il governo si è progressivamente orientato verso il consolidamento fiscale. 

    [1]JP Morgan Global Bond Index – Emerging Markets.

    [1] Il Foreign Accessible Route consente agli investitori stranieri di investire in titoli di Stato indiani senza alcuna restrizione

    [1] Fonte: Capital Group. Dati al 22 settembre.

    [1] I possessori stranieri di TSI rappresentano l’1,85%. Fonte: Morgan Stanley. Dati al 22 settembre 2023.

    [1] Fonte: Goldman Sachs. Dati al 22 settembre 2023.

    [1] Fonte: JPMorgan. Dati al 21 settembre 2023.

  • Capital Group: Propensione per l’incertezza, è giunto il momento di riconsiderare i mercati azionari?

    Capital Group: Propensione per l’incertezza, è giunto il momento di riconsiderare i mercati azionari?

    A cura di Andy Budden, Investment Director di Capital Group

    Da marzo 2022, la Federal Reserve (Fed) statunitense ha aumentato il proprio tasso di interesse di riferimento di oltre il 5%, rispondendo a livelli di inflazione che non si registravano dagli anni ‘80. Altre banche centrali dei mercati sviluppati a livello globale hanno avviato azioni analoghe. Di conseguenza, per la prima volta da decenni gli investitori hanno potuto accedere a rendimenti significativi sui depositi di liquidità e sui fondi del mercato monetario. Questi rendimenti interessanti, unitamente ai risultati negativi a doppia cifra dei mercati azionari globali nel 2022 e alla maggiore volatilità dei mercati registrata quest’anno, hanno comportato l’uscita di ingenti flussi dai fondi azionari verso i fondi del mercato monetario e i depositi vincolati.

    Di recente, tuttavia, il mercato sta scontando sempre più una minore probabilità che si verifichino ulteriori rialzi dei tassi di interesse, che potrebbero addirittura subire dei tagli nel corso del 2024. I rischi di recessione si sono ampiamente ridotti, la crescita degli utili è aumentata. Qualora i tassi di interesse avessero effettivamente raggiunto il picco, la storia insegna che per gli investitori potrebbe essere giunto il momento di riportare le azioni all’interno dei loro portafogli. Se consideriamo gli ultimi periodi in cui la Fed ha smesso di aumentare i tassi di interesse, il rendimento medio delle azioni globali nei 300 giorni successivi è stato dell’11,8%, rispetto al 4,3% relativo alla liquidità. In effetti, l’enorme quantità di denaro che potrebbe tornare a confluire nei mercati azionari potrebbe di per sé contribuire a un rally di tali mercati.

    Analisi più in dettaglio

    Gli investitori che all’inizio dell’anno hanno abbandonato le azioni per passare alla liquidità o alle obbligazioni a breve termine, seguendo l’esempio di molti operatori del settore della gestione patrimoniale, potrebbero chiedersi se non abbiano già perso il rally. Dall’inizio dell’anno a fine agosto, le azioni globali sono salite del 14,8% rispetto al 3,6% della liquidità e all’1,7% delle obbligazioni a breve termine. Tuttavia, è stato ben documentato che la maggior parte di questi guadagni è attribuibile ai cosiddetti “magnifici 7”, ovvero Tesla, Apple, NVIDIA, Microsoft, Amazon, Meta e Alphabet, che da sole hanno contribuito a più del 50% del rendimento totale. Sebbene le prospettive di crescita di queste sette società possano rimanere solide in futuro, riteniamo che vi siano ancora molte opportunità per le società con fondamentali interessanti in altri settori. Inoltre, l’ultimo consensus di mercato suggerisce sempre più un atterraggio morbido per l’economia globale. Con l’allontanarsi del rischio di recessione, il futuro appare più roseo per un’ampia gamma di società e i fattori di crescita secolari potrebbero registrare guadagni significativi per coloro che beneficiano di tendenze a lungo termine quale l’innovazione nel settore sanitario e gli effetti complessivi dell’IA.

    In seguito al cambiamento dirompente rappresentato dal COVID e agli eventi in Ucraina, riteniamo che si stia verificando una desincronizzazione dell’economia globale. Di fatto, alcuni settori hanno già subito la loro recessione: quello dei viaggi ha registrato una recessione acuta durante il COVID, ma da allora si è costantemente ripreso; i semiconduttori hanno avuto una massiccia correzione delle scorte l’anno scorso, ma ora il settore si sta riprendendo, mentre l’edilizia abitativa ha subito un forte shock con l’aumento dei tassi di interesse, ma ora sembra a sua volta in ripresa. Ci sono tuttavia altri settori che continuano a rallentare: l’energia ne è un buon esempio, così come alcuni comparti del settore manifatturiero. In questo contesto, la selezione dei titoli sarà fondamentale. Un approccio attivo agli investimenti è in grado di ridurre i rischi di investire in società con valutazioni eccessive e di individuare opportunità interessanti in settori poco apprezzati. Questo vale in generale per qualsiasi contesto di mercato, ma riteniamo che le tendenze secolari di alcuni settori possano offrire agli investitori solide opportunità a lungo termine.

    Motivi per accogliere con favore la situazione attuale

    Tra le aree che riteniamo offrire particolari opportunità vi sono le seguenti:

    Sanità: Ci stiamo affacciando a un’epoca d’oro per lo sviluppo di farmaci che potrebbero migliorare notevolmente la qualità della vita delle persone grazie ai progressi della terapia genica, del sequenziamento del DNA, nonché della diagnostica e del trattamento basati sull’intelligenza artificiale (IA).

    IA: Il prossimo impulso al trend della rivoluzione digitale verrà dall’adozione di massa e dalla commercializzazione dell’IA. Poiché l’IA permea ormai ogni aspetto delle nostre vite, la profondità della ricerca globale diventerà ancora più cruciale per individuare investimenti di successo a lungo termine. La gamma di opportunità è enorme e comprende calcolo (processori, stoccaggio, memoria), infrastrutture, sviluppatori e beneficiari virtualmente infiniti in tutti i principali settori.

    Prodotti Industriali: Un’ondata pluriennale di incentivi fiscali potrebbe sostenere una futura ripresa economica solida negli Stati Uniti. Riteniamo che leggi come l’Infrastructure Investment and Jobs Acts (IIJA), che prevede una nuova spesa di 500 miliardi di dollari da qui al 2030, favoriranno diverse società di carattere ingegneristico ed edilizio, oltre a quelle che operano nel settore dei materiali da costruzione. Inoltre, il reshoring dovrebbe favorire diverse società che sfruttano l’automazione.

    Implicazioni per gli investimenti

    Sebbene la liquidità offra attualmente un rendimento interessante rispetto alla storia recente e funga da bene rifugio in un contesto di incertezza economica, evitando le azioni gli investitori corrono il rischio di un calo dei rendimenti in futuro nonché di un costo opportunità relativo alla perdita di ottimi guadagni. La combinazione di spread più elevati e rendimenti in calo presenta opportunità interessanti nel comparto obbligazionario, ma per ottenere un portafoglio ben bilanciato con un potenziale di rendimento più elevato nel corso del tempo è necessario abbinare a questo un ritorno selettivo agli investimenti azionari. Storicamente, le performance delle azioni sono state ottime dopo la fine delle politiche di stretta monetaria. A nostro avviso, è giunto il momento di riconsiderare i mercati azionari, adottando un approccio attivo in grado di offrire flessibilità e diversificazione in un contesto di mercato in espansione, bilanciando al contempo rischi e opportunità.

  • Lo studio di Capital Group rivela che i titoli azionari rimangono i più popolari per l’implementazione ESG

    Lo studio di Capital Group rivela che i titoli azionari rimangono i più popolari per l’implementazione ESG

    – Le allocazioni alle obbligazioni ESG dovrebbero aumentare con il calo dell’inflazione e il picco dei tassi d’interesse

    – Le società in transizione sono considerate una fonte di alfa

    – Gli investitori che superano le barriere all’adozione dell’ESG contribuiscono ad aumentarne la diffusione

    Milano, 9 ottobre 2023 – La percentuale di investitori globali che implementano l’ESG attraverso le azioni è pari all’81%, con tre quarti (74%) che preferiscono che i fondi attivi integrino l’ESG, è quanto emerge dalla terza edizione dello studio globale ESG di Capital Group, una delle maggiori società di investimento al mondo, con un patrimonio in gestione di oltre 2.300 miliardi di dollari1.

    L’azionario rimane l’asset class preferita in ambito ESG (81%), ma gli investitori vorrebbero investire maggiormente in obbligazioni ESG

    – Quattro investitori su dieci (40%) ritengono che le loro strategie azionarie ESG abbiano un bias di stile verso i titoli growth, ma c’è una crescente domanda di fondi ESG multitematici, con il 40% che afferma che questi potrebbero diversificare i rischi derivanti dal bias di stile.

    – Circa un terzo (32%) degli investitori dichiara di voler aumentare le allocazioni ai fondi obbligazionari ESG con il calo dell’inflazione e il picco dei tassi di interesse.

    – Tuttavia, quasi la metà (45%) degli investitori afferma che mancano fondi a reddito fisso allineati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite in cui investire.

    Le aziende in transizione2 sono considerate fondamentali per cogliere le opportunità di investimento 

    – Quasi sei investitori globali su 10 (59%) ritengono che le strategie che si concentrano sui leader3 a scapito delle società in transizione perderanno opportunità di investimento.

    – La percentuale di chi si concentra su una combinazione di leader e di società in transizione è raddoppiata, passando dal 23% di due o tre anni fa all’attuale 46%. Si prevede che questa percentuale salirà al 54% nei prossimi due o tre anni.

    – Quasi la metà (44%) degli investitori ritiene che le aziende in transizione siano sottovalutate dal mercato.

    Gli investitori si sforzano di superare alcuni ostacoli di lunga data all’adozione dell’ESG

    – La metà (54%) degli investitori globali afferma che la coerenza e l’affidabilità dei dati è ancora un problema molto vincolante per l’adozione di strumenti ESG, anche se in calo rispetto al 62% di due anni fa.

    – Gli investitori si rivolgono a più fonti per decodificare le difficoltà dei dati: Il 40% si affida alla ricerca proprietaria dei gestori attivi e il 40% conduce una propria analisi ESG.

    – In assenza di una definizione ESG a livello di settore, quasi quattro investitori istituzionali su 10 (39%) hanno creato una propria serie di definizioni ESG per garantire che i team adottino un approccio coerente. Più di un terzo (35%) ha sviluppato un proprio approccio interno alla categorizzazione dei fondi ESG.

    “Questo è il terzo anno consecutivo che conduciamo un’indagine ESG globale e vediamo che gli investitori a livello globale continuano a privilegiare un approccio attivo con una ricerca fondamentale, in quanto ciò aiuta a identificare le società con piani di transizione credibili che saranno fondamentali per un’ulteriore adozione dell’ESG”, ha dichiarato Jessica Ground, Global Head of ESG, Capital Group. “Le risposte di quest’anno suggeriscono un crescente interesse per i fondi multitematici, in quanto possono offrire una copertura più ampia dello spettroESG e contribuire a neutralizzare la volatilità dello style bias, e per i fondi obbligazionari ESG, in quanto l’inflazione si allontana e i tassi di interesse raggiungono il massimo. È inoltre incoraggiante vedere segnali che indicano che alcune barriere di lunga data all’adozione dell’ESG, come i dati e le definizioni, stanno iniziando a diminuire, poiché più gli investitori conoscono l’ESG, più trovano modi proattivi per affrontarne le sfide.”

    Per ulteriori informazioni sugli approfondimenti ESG di Capital Group, compresa una copia dello Studio globale ESG 2023, Link: https://www.capitalgroup.com/eacg/esg/en/esg/capital-group-esg-global-study-2023.html


    NOTE

    ESG: ambiente, sociale e corporate governance

    Al 30 giugno 2023

    Società in trasizione: società che stanno cercando di trasformare i loro modelli di business in un futuro sostenibile.

    3 Leader: società best-in-class in settori sostenibili con elevati rating ESG

  • Capital Group: Cinque errori di investimento da evitare

    Capital Group: Cinque errori di investimento da evitare

    A cura di Lisa Thompson, Gestore di portafoglio azionario di Capital Group

    Un vecchio detto nel settore degli investimenti recita: se non hai mai affrontato un fallimento, probabilmente non stai correndo abbastanza rischi. Naturalmente, il fallimento non deve mai essere preso alla leggera. Tuttavia, investire è un’attività che prevede la valutazione del rischio e la ricerca del rendimento. Gli errori sono inevitabili. È molto complesso riuscire a battere in astuzia il mercato. Anche i gestori di portafoglio di maggior successo compiono la scelta giusta nel 55% dei casi e quella sbagliata nel restante 45%.

    Si impara di più dagli errori che dai successi. Quando si acquista un titolo e fin dall’inizio si rivela un buon affare, si ha un’ottima sensazione. C’è, tuttavia, la possibilità che ciò sia dovuto al fatto di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Abbiamo imparato molto invece quando un’idea non ha funzionato o ha richiesto molto tempo per diventare vincente. Di seguito cinque errori d’investimento da evitare:

    1.   Prestare attenzione agli “story stock”

    Abbiamo investito in un operatore di navi da crociera, che si chiamava American Classic Voyages, basandoci su una storia molto interessante. La società affondava le sue radici nella Delta Queen Steamboat Company, che gestiva popolari crociere sul fiume Mississippi. Il finanziere miliardario Sam Zell, che aveva intravisto l’opportunità di sconvolgere il settore delle crociere, era il presidente della società. American Classic Voyages progettava di ottenere i diritti esclusivi per le crociere nelle isole Hawaii in virtù di una legge marittima statunitense protezionistica. Abbiamo analizzato attentamente le dinamiche turistiche delle Hawaii e del settore delle crociere in generale per arrivare alla conclusione che ci sarebbe stata una forte domanda per questi viaggi. La società raccolse tutti i capitali necessari, assunse un eccellente team di dirigenti e iniziò a costruire la nave da crociera in un cantiere navale del Mississippi. All’epoca non se ne costruiva una sul suolo statunitense da oltre 25 anni, ma il cantiere aveva una vasta esperienza nella costruzione di navi militari. Cosa sarebbe potuto andare storto? Si scoprì che recuperare le competenze settoriali una volta perse non è così semplice. Lo sforzo da diversi miliardi di dollari profuso per la costruzione della nave non andò a buon fine e per questo e altri motivi la società andò in fallimento. Non ci era mai venuto in mente che non si potessero trovare i talenti per costruire una nave da crociera negli Stati Uniti. Alla fine, la nave incompleta è stata trainata in Europa per poi poter terminare i lavori di costruzione. Al contempo, la tesi d’investimento sprofondò come una roccia.

    La lezione: non dare per scontato che una società possa realizzare la propria strategia aziendale senza averne compreso il modo in cui lo farà.

    2. Evitare la paralisi da analisi

    Investire è una disciplina in parte scientifica e in parte artistica. Per avere successo, bisogna essere in grado di raccogliere dati e compiere calcoli. Tuttavia, è necessario anche esprimere giudizi basati sulle conoscenze acquisite con l’esperienza. La ricerca è fondamentale ma talvolta avere più informazioni è eccessivo. Per realizzare un investimento proficuo, occorre sapere quando è il momento di agire con le informazioni che si hanno a disposizione.

    3. Fidarsi ma con le dovute verifiche

    Capital attribuisce molta importanza alla conoscenza dei management, incontrandoli e comunicando regolarmente con loro. Comprendere i dirigenti come persone può aiutarci a valutare la loro strategia aziendale e se sono le persone giuste per realizzarla. Tuttavia, ciò può potenzialmente indurre a non domandarsi, “chissà se mi stanno mentendo”. La maggior parte dei dirigenti che incontriamo sono persone oneste e con buone intenzioni, ma questo non significa che sono sempre sinceri con noi o con sé stessi. Talvolta, però, anche gli investitori più accorti possono essere coinvolti in una frode. Per questo è importante considerare i bilanci e i dirigenti che li gestiscono con una sana dose di scetticismo.

    4. Resistere al proprio bias di conferma

    Questo lavoro è molto difficile e, proprio come tutti gli esseri umani, anche i gestori degli investimenti possono essere vittime delle proprie emozioni e dei propri pregiudizi. Possiamo essere vittime di bias di conferma, ovvero della tendenza a cercare informazioni che confermino i nostri pregiudizi preesistenti. Per tale motivo è fondamentale mettere in discussione il proprio punto di vista ed essere pronti ad agire rapidamente quando le circostanze cambiano.

    5. Sapere quando mollare

    Investire con successo nel lungo periodo è incredibilmente difficile, anche se potrebbe sembrare semplicissimo: occorre individuare con continuità le grandi società le cui azioni possono generare rendimenti superiori nel tempo. Abbiamo però imparato anche che le grandi società possono fare dei passi falsi; quindi, disporre di una solida disciplina di vendita e mantenerla può essere altrettanto importante. Questa capacità è stata evidenziata nel libro The Art of Execution: How the world’s best investors get it wrong and still make millions in the markets di Lee Freeman-Shor.  Una delle osservazioni più interessanti emerse dallo studio è l’importanza della ponderazione e della convinzione. L’autore ha scoperto che non è importante la frequenza con cui si compie la scelta giusta o sbagliata, ma quanto denaro si guadagna nel primo caso e quanto si perde nel secondo. Nei portafogli che gestisco evinco che queste decisioni di ponderazione e convinzione sono molto importanti. Il libro identifica cinque diverse “tribù” di investitori professionisti in base al loro comportamento. Uno dei gruppi era chiamato “assassins”, ovvero assassini, perché erano venditori spietati. Erano molto attenti a ridurre le perdite quando un titolo registrava un calo. Numerosi studi di psicologia comportamentale hanno dimostrato che per gli investitori è emotivamente 10 volte più difficile realizzare una perdita nella vita reale che sulla carta. In altre parole, tutti noi abbiamo una tendenza emotiva a evitare di ridurre le perdite e ad andare avanti.

    La capacità di abbandonare un investimento quando non è più redditizio può rappresentare una disciplina molto importante per un investimento di successo. Gli investitori a lungo termine devono imparare a essere disposti a cambiare rotta quando una tesi di investimento non è più valida. Ho scoperto che questa è una delle cose più difficili da compiere come gestore di portafoglio. Per questo è importante sapere quando vendere un titolo e passare ad altro può essere importante quanto sapere quando acquistare.