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AcomeA SGR è una società di Gestione del Risparmio specializzata in fondi comuni d’investimento e gestioni patrimoniali, nata nel 2010 dall’iniziativa di un gruppo di gestori e imprenditori con una lunga esperienza nel settore: Alberto Foà, Giordano Martinelli, Giovanni Brambilla, Matteo Serio e Daniele Cohen. La Società si contraddistingue per un approccio innovativo e in continua evoluzione, proponendo servizi che semplificano la finanza e gli investimenti in ottica inclusiva. La strategia di investimento predilige un approccio value contrarian, affidandosi a una valutazione razionale dei titoli, indipendentemente dal consenso sui mercati o da previsioni sul futuro. L’offerta prodotti è composta da un’accurata selezione di fondi comuni di investimento e da mandati di gestione.

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  • Bce: non siamo ancora giunti a destinazione

    Bce: non siamo ancora giunti a destinazione

    a cura di Martina Daga, Junior Macro Economist, AcomeA SGR.

    In occasione del meeting di politica monetaria di oggi, la Bce ha deciso di alzare di altri 25bp i tassi di riferimento, come da attese, portando così il depost rate al 3.50%, il refinancing rate al 4% ed il marginal lending facility rate al 4.25%. Dall’inizio del ciclo dei rialzi a luglio dello scorso anno, la Be ha alzato i tassi complessivamente di 400bp. La forward guidance è chiara sul fatto che ancora il ciclo dei rialzi non è arrivato. Durante la conferenza stampa Lagarde ha infatti chiaramente comunicato che non siamo ancora arrivati ad un livello di tassi sufficientemente restrittivo da essere consistente con l’inflazione al 2%. Le future decisioni rimarranno completamente dipendenti dai dati. Rimane dunque un tightening bias, Lagarde ha dichiarato che molto probabilmente, considerando le attuali condizioni economiche, alzeranno anche al meeting di luglio, ma non ha dato indicazioni sulle decisioni successive. Per il momento, tuttavia, il board non sta pensando ad una pausa.

    Come già annunciato in occasione del meeting di maggio, il programma di Quantative Tightening, da luglio procederà ad un ritmo più veloce rispetto ai primi mesi dell’anno, con il completo mancato reinvestimento dei titoli del programma APP in scadenza (corrispondenti a circa euro 25 bn al mese in media, rispetto ai 15 bn/mese programmati da marzo a fine giugno). È invece confermato il reinvestimento dei titoli in scadenza del programma PEPP. La liquidità in eccesso nel sistema rimane comunque a livelli molto alti (ad oggi pari a Euro 4.16 tn).

    Le proiezioni macroeconomiche puntano ad un livello di inflazioni ancora troppo alto e troppo a lungo. Lo scenario delineato dalla Bce proietta un’inflazione più persistente di quanto atteso nel mese di marzo, sia guardando l’inflazione headline che l’inflazione core e per tutto l’orizzonte temporale in analisi, anche nel 2025 l’inflazione proiettata rimane leggermente sopra il target del 2%. In particolare la componente core ha subito una sostanziale revisione al rialzo sia per il 2023 che per il 2024, trainata principalmente dal costo del lavoro (dalle proiezioni unit labour cost è previsto crescere in media di 5.6%, 4.4%, 2.6% rispettivamente nel 2023, 2024 e 2025, valori rivisti al rialzo rispetto alle proiezioni di marzo quando la crescita era attese per 5.1%, 3.2% e 2.3%). Questo è consistente con il tono della conferenza stampa che punta ad ulteriori aumenti, almeno al prossimo meeting di luglio. Durante la conferenza stampa è stato tuttavia sottolineato che l’inflazione sta scendendo, non solo nella componente energetica, ma che le proiezioni puntano ad un livello ancora troppo alto, la decrescita si sta mostrando quindi più lenta del previsto. Per quanto riguarda la crescita economica invece, la revisione è stata marginale, ma al ribasso, a seguito della debolezza degli ultimi dati e in considerazione del rallentamento delle attività economiche a livello globale. Un potenziale rischio al rialzo sulla crescita economica può essere la spinta ai consumi sostenuta dalla crescita salariale.

  • Durante il meeting di politica monetaria di ieri la Fed ha deciso all’unanimità di mantenere il target range dei fed funds fermo, pari al 5% – 5.25%.

    Durante il meeting di politica monetaria di ieri la Fed ha deciso all’unanimità di mantenere il target range dei fed funds fermo, pari al 5% – 5.25%.

    a cura di Martina Daga, Junior Macro Economist, AcomeA SGR.

    Un hawkish skip era sostanzialmente nelle attese. In occasione dello scorso meeting di politica monetaria la Fed aveva infatti indicato una pausa condizionale, ma i dati forti usciti nelle ultime settimane avevano posto alcuni dubbi a riguardo, portando il mercato a prezzare un aumento di 25 bp al meeting di luglio, quindi non una pausa a giugno ma uno skip. Durante la conferenza stampa è stato sottolineato come i membri del FOMC abbiano espresso la necessità di prendere tempo per vedere altri dati e meglio valutare l’effetto dei 500 bp cumulati di rialzi dell’ultimo anno, considerando il lag temporale con cui avrà effetto sull’economia reale, servirà infatti tempo perché l’effetto dei rialzi mostri i suoi segni sull’economia. Questo richiede di non alzare ulteriormente i tassi a questo meeting, ma si tratta di una singola decisione che non implica una pausa anche nei prossimi mesi.

    Luce puntata sui dot plot, le proiezioni dei membri del FOMC, che mostrano come il terminal rate mediano sia cresciuto rispetto alle proiezioni di marzo quando il picco dei tassi era previsto per fine 2023 al 5.1%. Le sintesi delle proiezioni economiche (SEP) sono state sostanzialmente hawkish: ora, infatti, il terminal rate è stato alzato a 5.6% indicando quindi altri 50 bp di aumenti nel corso dell’anno. Inoltre, tassi alti più a lungo, con i primi tagli previsti per il 2024 quando le previsioni segnano tassi al 4.6%, implicando quindi 100 bp di tagli il prossimo anno, maggiori rispetto agli 80 bp previsti a marzo, ma partendo da un tasso a fine 2023 ben più alto. Alla luce degli ultimi dati che hanno mostrato che la decrescita dell’inflazione coresi mostra più lenta rispetto alle attese, anche le previsioni di inflazione core sono state riviste al rialzo per il breve termine, dal 3.6% al 3.9% a fine anno. Il dato di maggio pubblicato ieri, il primo giorno di riunione del FOMC, ha infatti mostrato che la componente dei beni core ha segnato per due mesi consecutivi una ripresa nella crescita dei prezzi dopo la decrescita iniziata alla fine dello scorso anno, e che la componente shelter fatica a rallentare. Infine, un significativo aumento delle proiezioni di crescita per il 2023 che passano da 0.4% al 1%, i membri del FOMC si aspettano quindi un’economia più forte, dato consistente con la revisione al ribasso del tasso di disoccupazione rivisto dal 4.5% al 4.1% per il 2023, alla luce di un mercato del lavoro che ha stupito fino ad ora mostrandosi più resiliente delle attese. Questo spiega la necessità di una politica monetaria maggiormente restrittiva rispetto a quanto anticipato a marzo.

  • La prossima decisione della Fed sui tassi non è scontata

    La prossima decisione della Fed sui tassi non è scontata

    A cura di Martina Daga, junior macro economist di AcomeA SGR

    Si preannuncia tutt’altro che scontata la decisione sui tassi di interesse della Federal Reserve alla prossima riunione del Federal Open Market Committee del 13 e 14 giugno.

    In occasione della riunione di politica monetaria di inizio maggio la Fed ha deciso all’unanimità di alzare i tassi di 25 punti base segnalando una pausa condizionale, ovvero la disponibilità a fermare il ciclo dei rialzi qualora le condizioni lo permettano.

    Ma le condizioni macroeconomiche sono consistenti o meno con una pausa del ciclo restrittivo? Dai verbali della riunione, pubblicati qualche settimana dopo il meeting, è emersa una divergenza di opinioni all’interno del board circa la necessità di ulteriori aumenti dei tassi di riferimento dopo il rialzo di maggio. “Some participants” hanno riconosciuto la necessità, considerando la lentezza dell’inflazione a scendere verso il 2%, di ulteriori misure restrittive di politica monetaria. “Several participants”, invece, hanno notato che ulteriori aumenti, dopo il meeting di maggio, non dovrebbero essere necessari alla luce delle attuali prospettive.

    La divergenza è emersa anche dalle recenti dichiarazioni pubbliche dei membri del board della Fed. Come osservato da Christopher Waller, Membro del board della Fed, le opzioni sul tavolo della prossima riunione di politica monetaria sono: continuare con i rialzi; saltare un meeting e lasciare le porte aperte ad ulteriori aumenti in futuro; segnalare una pausa nel ciclo dei rialzi.

    Il numero uno della Fed, Jerome Powell, dopo il meeting di maggio, ha mantenuto un tono molto dovish, sottolineando il ritardo temporale con cui la politica monetaria ha effetti sull’economia reale, come le tensioni nel settore bancario abbiano contribuito all’inasprimento delle condizioni finanziarie mentre i rischi derivanti dal fare troppo o dal fare troppo poco sono ora più bilanciati.

    Dello stesso parere prudente sono stati altri membri del board, Mary Daly e Raphael Bostic. Di recente Lorie Logan, Neel Kashkari, Patrick Harker e il vicepresidente della Fed, Philip Jefferson, hanno sottolineato che “to skip” un meeting non implica una pausa: potrebbe cioè essere necessario non alzare il costo del denaro a giugno per prendere tempo e valutare l’effetto dei rialzi cumulati sull’economia; ma, successivamente, potrebbero essere necessari ulteriori rialzi.

    Infine, James Bullard e Loretta Mester, tra i più hawkish del board ma che voteranno al prossimo meeting, hanno segnalato di essere favorevoli a continuare con rialzi dei tassi di riferimento anche a giugno.

    Nell’attuale contesto l’economia ha iniziato a dare qualche timido segnale di contrazione e l’inflazione sta rallentando, ma troppo lentamente. Ci si chiede, inoltre, se l’inflazione effettivamente convergerà verso il target del 2% nel breve periodo o se rimarrà più elevata più a lungo.

    Prendere tempo e valutare altri dati può essere una strategia adatta a un simile contesto.

    In questo momento il mercato assegna una bassa probabilità di un aumento a giugno, prezzando invece circa 20 punti base di rialzi entro il meeting di fine luglio. 

  • ACOMEA SGR ADOTTA UN NUOVO MODELLO DI ANALISI PER INDIVIDUARE LE GEMME DEL SEGMENTO EGM

    ACOMEA SGR ADOTTA UN NUOVO MODELLO DI ANALISI PER INDIVIDUARE LE GEMME DEL SEGMENTO EGM

    Sottovalutato il 56% delle microcap italiane sull’Euronext Growth Milan

    Milano, 24 maggio 2023 – AcomeA SGR,boutique di investimento indipendente italiana caratterizzata da un approccio value contrarian alla gestione attiva di fondi UCITS e liquid alternative, ha messo a punto un nuovo modello di ricerca quantitativo proprietario per effettuare un’analisi su misura delle microcap italiane, che presentano forti peculiarità rispetto alle realtà di maggiori dimensioni.

    Questo strumento innovativo ha messo in evidenza che il 56% delle società del segmento delle microcapitalizzazioni Euronext Growth Milan (EGM) è sottovalutato ai prezzi correnti e che l’upside potenziale medio di questi titoli è del 29%.

    Il nuovo modello si basa su un paper[1] di ricerca realizzato da Simone Benini, Junior Equity & ESG Analyst di AcomeA SGR, Antonio Amendola, Senior Fund Manager Azionario di AcomeA SGR, e Dennis Marco Montagna, professore dell’Università di Pavia e Responsabile Desks Advice & Portfolio Management, CIO Italy Client Solution di Unicredit WM. Esso considera, tra le variabili fondamentali del valore dei titoli, la crescita futura e inespressa delle società.

    Dalla ricerca emerge che, fra i 30 titoli con potenziale di crescita maggiore, quelli meno cari ma con più margini di apprezzamento sono: Lindbergh, ALA, MAPS, FOS, Identity, ABP Nocivelli e Take Off.

    Queste società, in base al modello, hanno un upside implicito maggiore del 75%. Nel gruppo dei 30 titoli con un potenziale intermedio, sia in termini di crescita attesa che di upside potenziale, spiccano: Omer, Fope, Officina Stellare, SIAV, Marzocchi Pompe e Osai.

    Sul fronte dei settori, quelli con il maggiore potenziale di apprezzamento ponderato per la capitalizzazione sono industriali e healthcare, mentre appaiono più penalizzati, in prospettiva, i communication services e i consumer staples.

    Questa ricerca, realizzata in collaborazione con il mondo accademico, è frutto dell’impegno di AcomeA SGR per migliorare i processi di gestione dei fondi che investono in PMI, un’area che va studiata con approcci innovativi per poterne cogliere le straordinarie opportunità di valore inespresso di lungo periodo spesso trascurate a causa della scarsa liquidità del segmento” – sottolinea Matteo Serio, direttore commerciale di AcomeA SGR.

    Le PMI italiane quotate all’EGM sono infatti un microcosmo spesso fuori dai radar delle analisi di broker e analisti delle grandi case di investimento internazionali perché:

    • l’EGM presenta una capitalizzazione mediamente inferiore del 30-35% rispetto a quella degli omologhi europei e pari ad un terzo rispetto all’AIM UK (31 miliardi di capitalizzazione vs i nostri 10 miliardi);
    • spesso la crescita futura deve ancora materializzarsi al momento della quotazione, in particolare nei numeri;
    • l’illiquidità e la volatilità di questi titoli li rende più esposti a temi macroeconomici e di mercato, piuttosto che relativi nello specifico all’azienda o al settore di appartenenza.

    In virtù di tali caratteristiche, occorre un’analisi decisamente su misura. Secondo AcomeA SGR la risposta è in una sinergia tra analisi qualitativa – che la SGR già utilizza – raffinata e supportata da un’analisi quantitativa che tenga conto delle conclusioni del paper di Benini, Amendola e Montagna.

    Quest’ultimo strumento quantitativo, che si avvale di una variazione specifica del modello di valutazione del DCF (Discounted Cash Flow)[2], è infatti adatto ad analizzare società la cui crescita si manifesterà verosimilmente in periodi più lontani e per cui risulta complesso, spesso molto laborioso e incerto, stimare i cash flow negli esercizi futuri.


    [1] Advanced Valuation: Modelling DCF in Continuous Time di Dennis Marco Montagna, Simone Benini e Antonio Amendola (2023) Scaricabile da SSRN: https://ssrn.com/abstract=4362621 o http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4362621  

    [2] L’analisi è stata applicata a 119 delle 183 società dell’EGM, escludendo i titoli appartenenti ai settori financials e real estate, in quanto non valutati solitamente attraverso il DCF. In aggiunta, non sono stati considerati alcuni titoli sospesi dalla negoziazione e società con dati riportati e stimati che rendono inefficace e soprattutto incerta l’applicazione del modello.

  • Bond o equity? L’importante è che siano emergenti

    Bond o equity? L’importante è che siano emergenti

    A cura del Team di gestione di AcomeA SGR

    Nell’attuale congiuntura dei mercati finanziari, l’azionario sembra parlare di un’economia solida e dalle prospettive incoraggianti. L’obbligazionario, all’opposto, riflette un andamento dell’economia molto più incerto.

    Da una parte le valutazioni tutt’altro che basse sulle Borse delle due sponde dell’Atlantico fanno presupporre un certo ottimismo sulle prospettive degli utili e dell’economia. Dall’altro, l’inclinazione negativa (inversione, cioè quando la parte a breve rende di più di quella a lungo) delle curve dei tassi di Bund e Treasury segnala una recessione.

    Questo vuol dire che il mercato si attende una inversione della politica dei tassi di interesse e, negli Usa, sconta una riduzione del costo del denaro già dalla fine del 2023. Un simile scenario è tuttavia contraddetto dagli stessi banchieri centrali sia in Usa sia in Europa: questi ultimi continuano infatti a sostenere che i tassi rimarranno sugli attuali livelli per diversi trimestri e, verosimilmente, fino alle fine del 2024.

    Dubbi sulle condizioni dell’economia arrivano anche dalla lettura dei mercati del credito: gli spread delle emissioni high yield negli Stati Uniti e gli spread di cross-over delle obbligazioni investment grade e non investment grade in Europa, pur lontani dai picchi del 2022 e di marzo 2023, non sono ancora tornati su livelli coerenti con l’assenza di timori per le prospettive future degli emittenti societari e con un’economia in salute.

    Una indicazione di cautela ancora più forte arriva dagli spread dei bond bancari – soprattutto i subordinati Tier 1 e Tier 2 – anche in seguito al fallimento delle due banche regionali Usa e alla vicenda Credit Suisse. Anche se le banche hanno un conto economico in miglioramento per via dell’aumento del margine di interesse evidentemente il mercato ha dei dubbi sulla esigibilità dei loro crediti.

    La preoccupazione per le condizioni dell’economia e il timore che un aumento delle sofferenze bancarie pregiudichi la capacità reddituale degli istituti di credito è evidente anche dal multiplo p/e (price/earning) del settore che, nonostante il miglioramento degli ultimi trimestri, è ai minimi degli ultimi 20 anni. Tale multiplo, in altre parole, si attesta oggi sui livelli della crisi finanziaria, della crisi dello spread del 2011 e del marzo 2020 con l’esplosione del Covid.

    Un quadro totalmente diverso viene dipinto dal mercato azionario Usa ed europeo, dove gli indici sono abbastanza vicini ai massimi della prima metà del 2021 e l’equity risk premium (cioè la differenza fra il rendimento delle azioni e il rendimento del Treasury) è ai minimi dal 2013.

    Focus sull’alto rendimento per i bond ma con una riserva tattica di cash

    In un simile contesto occorre puntare, per l’obbligazionario, su aree ad alto rendimento come i paesi emergenti e il settore bancario europeo, tenendo tuttavia una riserva di liquidità elevata da impiegare tatticamente per approfittare della volatilità. Sul fronte degli emergenti largo al segmento in valuta locale, soprattutto in America Latina e Brasile dove c’è stato un forte rialzo dei tassi che ha contribuito a far apprezzare valute come il reais brasiliano, ma anche il peso messicano e il peso colombiano.

    Per il segmento bancario la parte senior è da privilegiare, ma anche Tier 1 e dei Tier 2. Le banche europee, infatti, escono da anni di regolamentazione molto scrupolosa, che le hanno portate ad una condizione di solidità finanziaria e patrimoniale molto diversa dal 2011. Tanto è vero che la crisi di Credit Suisse è stata legata non tanto ai suoi livelli di patrimonializzazione quanto alla credibilità del suo modello di business e del suo management ed è stato, dunque, un episodio idiosincratico che resta isolato.

    Sul fronte dei governativi, la parte lunga della curva è destinata ad essere penalizzata dal processo di riduzione della quantità monetaria che continuerà in Usa e si rafforzerà in Europa. Probabilmente già alla prossima riunione della Bce riceveremo indicazione di un aumento del quantitative tightening (QT). In simile contesto, difficilmente i tassi reali torneranno verso lo zero ma si attesteranno verosimilmente intorno o sopra 1. In termini di volatilità appare più rischioso il Bund decennale che un senior bancario europeo.

    Un regime di QT pronunciato e prolungato nel tempo esporrà il mercato a rischi come accaduto con le banche Usa e Credit Suisse. Di qui la necessità di un sostanzioso cuscinetto di liquidità in portafoglio per poter approfittare di fasi di accelerazione impreviste dei mercati, come accaduto sui subordinati bancari in seguito alla vicenda Credit Suisse.

    Azioni: nonostante la correzione di marzo continua ad esserci valore nei titoli value

    La convinzione che i tassi reali siano destinati a rimanere intorno all’1% per effetto del QT supporta anche la preferenza per l’investimento in titoli value rispetto a quelli growth. Questi ultimi, soprattutto negli Usa, hanno beneficiato fino al 2021 di condizioni di finanziamento ultra espansive e sono quindi oggi sfavoriti dalla risalita dei tassi di interesse anche per gli elevati livelli di debito accumulato. Non solo: lo spread di valutazione fra value e growth, nonostante le performance molto positive del value nel 2022, è ancora oggi su livelli vicinissimi se non superiori a quelli raggiunti durante la bolla dotcom, indicando quindi una forte convenienza dei titoli più sottovalutati e trascurati dal mercato, rispetto a quelli le cui valutazioni scontano già crescita importante dei fondamentali.

    In un mondo normalizzato dove i tassi reali sono positivi e quelli nominali in risalita l’azionario è tornato ad essere guidato dalle valutazioni. Ed è ancora sulle borse emergenti, come per esempio quelle dell’America Latina, che si trova oggi migliori opportunità di rendimento, buona qualità delle singole storie di stock picking in presenza di valutazioni particolarmente interessanti.

    I mercati emergenti, infatti, consentono di esporsi a una buona crescita attesa dell’economia, pur con valutazioni particolarmente “a sconto”: per esempio oggi una crescita come quella dell’America Latina si paga un terzo del prezzo di quelle che sono state mediamente le valutazioni degli ultimi 15 anni. In queste aree, come anche in Giappone, c’è anche una percentuale di aziende net cash (con più liquidità che debito) che è cresciuta in maniera significativa rispetto a quanto avvenuto negli Stati Uniti e in Europa.

    Più che sul fronte della crescita le aziende giapponesi sono interessanti dal punto di vista delle valutazioni (enterprise value/Ebitda di cinque volte rispetto a una media di 10) in presenza di un continuo impegno al miglioramento dell’efficienza sia finanziaria sia di governance con l’obiettivo di chiudere il gap di competitività con le altre aziende mondiali.

    In un quadro, quindi, dove sembrano prevalere i mercati emergenti, anche l’Italia può regalare soddisfazioni con le sue PMI, piccoli gioielli con potenzialità di crescita superiori a quelle del resto del mercato, bassi livelli di debito su Ebitda e valutazioni relative molto più a sconto rispetto a quelle di aziende del FTSE Mib. Le Blue chip trattano infatti a 2,3 volte rispetto all’1,1 volte delle small cap 1,1, lo 0,8 volte delle mid cap e lo 0,6 volte del segmento Star.

  • Banche Centrali: un’inflazione persistente nello scenario macroeconomico

    Banche Centrali: un’inflazione persistente nello scenario macroeconomico

    A cura di Martina Daga, Junior Macro Economist, AcomeA SGR

    Le proiezioni macroeconomiche aggiornate al primo trimestre del 2023 della Fed e della Bce, presentate in occasione dei meeting di politica monetaria di marzo, mostrano sostanziali differenze: la Bce elabora le proiezioni prima del meeting e, in questo caso, prima delle recenti tensioni che hanno interessato il settore bancario partendo dagli Stati Uniti e poi in Europa, con il caso Credit Suisse. Sono, quindi, proiezioni soggette a un elevato livello di incertezza.

    Iniziando dalla crescita economica, il Pil è previsto crescere a un tasso medio pari all’1% nel 2023, in rallentamento rispetto al 2022, ma tale valore è stato rivisto al rialzo rispetto alle previsioni formulate a dicembre (0.5%). I dati pubblicati nei primi mesi del 2023 hanno mostrato un’economia più resiliente rispetto alle attese, costi energetici inferiori che hanno trainato al ribasso il valore dell’inflazione e la parziale ripresa della fiducia dei consumatori hanno fatto sì che le proiezioni di crescita per il 2023 fossero migliori rispetto a quanto non ci si aspettasse alla fine del 2022. La crescita nel medio termine è invece stata rivista leggermente al ribasso rispetto a quanto proiettato a dicembre. Per questi anni la Bce si aspetta, infatti, che le politiche monetarie avranno un peso maggiore e che gli incentivi fiscali da parte degli Stati per la crisi energetica verranno mantenuti per il 2023 ed eliminati in seguito.

    Per quanto riguarda la crescita dei prezzi, da un lato il valore dell’inflazione headline è stato rivisto al ribasso rispetto alle proiezioni di dicembre per il 2023 quando è previsto un forte rallentamento della crescita totale dei prezzi per poi stabilizzarsi nei due anni successivi. La marginale ripresa della crescita dei prezzi energetici nel 2024 e 2025 sarà dovuta alla rimozione dei sussidi fiscali energetici. Dall’altro lato, si prevede che l’inflazione core rimanga più persistente nel tempo, trainata principalmente dalle pressioni salariali. Il mercato del lavoro si sta, infatti, mostrando resiliente anche di fronte al rallentamento della crescita economica, in questo contesto la Bce si aspetta che il tasso di disoccupazione si assesti sui minimi storici per tutto l’orizzonte temporale in analisi, permettendo ai lavoratori di esercitare pressioni sui salari.

    Sul fronte Federal Reserve, invece, i singoli membri del board indicano le proiezioni relative alle varie variabili macroeconomiche e, dal momento che tra loro possono anche differire notevolmente, il valore di riferimento è la loro mediana. È tuttavia interessante analizzare anche la distribuzione di tali proiezioni. Questa distribuzione indica, infatti, se intorno a un dato c’è largo consenso o meno e verso quale direzione le visioni dei membri votanti della Fed siano orientate.

    Rispetto alle proiezioni di dicembre il contesto macroeconomico per i prossimi anni è rimasto sostanzialmente stabile. Tuttavia, i rischi inflattivi rimangono orientati verso l’alto; oltre al fatto che l’inflazione sia headline sia core sia stata rivista al rialzo in modo marginale per il 2023, guardando alla distribuzione delle proiezioni per l’inflazione core, mentre a dicembre il range massimo espresso dai membri del board era 3.7% – 3.8% per il 2023, a marzo la distribuzione è stata spostata verso l’alto, con 4 membri che hanno proiettato un livello di inflazione core compreso tra 3.9% e 4% e un membro al 4.1% – 4.2%. Anche per il 2024 il valore massimo si è spostato dal range 2.9% – 3% al 3.1% – 3.2%.

    Un elemento peculiare delle proiezioni della Fed sono i cosiddetti dots, ovvero le proiezioni dei membri del board riguardo il livello del Fed Fund target rate per i prossimi anni. La mediana per il 2023 è rimasta stabile rispetto alle proiezioni di dicembre, si è alzata per il 2024 ed è tornata a convergere per il 2025. Questo indica che si prevedono tagli dei tassi inferiori nel 2024, che quindi rimarranno più alti più a lungo, per poi recuperare l’anno successivo. Tuttavia, guardando alla distribuzione delle previsioni è importante notare che per il lungo termine, nonostante la mediana sia rimasta pari a 2.50%, un membro ha rivisto le proiezioni verso l’alto indicando un valore compreso tra 3.63% e 3.87%. Questo indica che all’interno del board alcuni membri si stanno spostando verso una visione più hawkish rispetto a dicembre, con l’inflazione più persistente e la necessità di azioni di politica monetaria più restrittive.

    In termini di decisioni di politica monetaria i meeting di marzo della Bce e della Fed hanno rappresentato una svolta in termini comunicativi. Se prima delle tensioni del settore finanziario iniziate con la Silicon Valley Bank negli Stati Uniti l’approccio dei membri di entrambe le banche centrali era sostanzialmente hawkish, a seguito di questo evento la retorica è diventata molto più cauta, sottolineando che a causa dell’elevata incertezza non sia possibile dare indicazioni precise sulle future decisioni di politica monetaria. Mentre la Bce, in precedenza, aveva ripetuto che i tassi dovevano ancora essere alzati significativamente a un ritmo costante, ora l’incertezza del contesto macroeconomico lascia spazio a una strategia completamente dipendente dai dati. Allo stesso modo la Fed ha eliminato ogni riferimento a prossimi aumenti del Fed Fund target rate, dicendo solamente che potrebbero essere necessari ulteriori misure di rafforzamento della politica monetaria per rendere le condizioni finanziarie sufficientemente restrittive per il raggiungimento del tasso di inflazione del 2%. Inoltre, Powell durante l’ultima conferenza stampa ha enfatizzato il fatto che, nonostante sia troppo presto per dirlo, oltre all’aumento dei tassi di riferimento, l’inasprimento delle condizioni finanziarie potrebbe essere accelerato dalle tensioni nel settore finanziario. Sembra che le banche centrali siano ora più caute e vogliano mantenere maggiore flessibilità sulle loro future mosse, senza dare indicazioni precise che poi dovranno essere soddisfatte. Agire diversamente da quanto indicato minerebbe, infatti, la loro credibilità.

  • Reporting season delle Mid e Small Cap italiane: dove trovare opportunità

    Reporting season delle Mid e Small Cap italiane: dove trovare opportunità

    A cura di Antonio Amendola, Portfolio Manager, AcomeA SGR

    La reporting season delle Mid e Small Cap italiane è terminata riportando un’ottima performance nel 2022 con risultati in linea o sopra le attese. Alcuni fattori influenzeranno i prossimi mesi, ma è comunque possibile navigare questo momento volatile e trovare aziende più resilienti che possono trovarsi in occasione di “buy opportunity” qualora scendessero per motivi di mercato e non propri del business.

    Rallentamento della domanda

    Indipendentemente dai settori di riferimento, la maggior parte delle società considera il 2023 come un anno di transizione. Abbiamo visto come l’ultima reporting season metta in luce l’eccezionalità del 2022, aiutato dalla ripresa post-pandemica e da svariati vantaggi dei crediti di imposta (per investimenti in beni strumentali). I risultati positivi dell’ultimo trimestre sono stati rafforzati da un significativo incremento degli ordini allo scopo di poter beneficiare dell’ultima finestra disponibile per ottenere i crediti di imposta, in percentuale maggiore rispetto a quanto domandabile nel 2023. Tuttavia, la componente di benefici fiscali, sconti in fattura e crediti per energia che ha gonfiato la performance dell’anno, verosimilmente terminerà nel 2023 con ricadute sulla top line e una crescita più contenuta. A guidare il fatturato saranno principalmente le componenti di prezzo e mix di offerta, a discapito della crescita dei volumi. Pertanto, nonostante gli ottimi risultati del quarto quarter 2022, nei primi mesi del 2023 molti titoli industriali vedono un calo dei nuovi ordini e della domanda da parte dei clienti anche appartenenti a settori diversi, dalla manifattura ai servizi.

    Gli shortage e i costi delle materie prime stanno rientrando, ma non diminuendo

    I costi di determinate materie prime sono a livelli alti ma stabili, oppure in lieve aumento. Legata ai costi è la componente prezzi: i listini sono già stati aumentati (anche svariate volte) a partire dall’anno passato e il ribaltamento dei costi diventa sempre più difficile, per alcuni business, perché potrebbe iniziare ad intaccare la domanda. Combinando una serie di fattori, quali costi delle materie prime e dell’energia che rimangono ancora elevati, volumi che non crescono e prezzi con poco spazio di manovra per ulteriori rialzi, ci si attende una pressione al ribasso sui margini. Altro elemento di attenzione è la generazione di cassa, impattata dalla necessità di incrementare il magazzino per far fronte agli shortage di componenti, ma che in uno scenario di calo di domanda potrebbe avere un effetto inflattivo: le società potrebbero trovarsi con magazzini pieni di prodotti che non possono vendere a prezzi più bassi.

    Gli investimenti diminuiranno per il clima di rialzo dei tassi

    Il rialzo dei tassi a cui stiamo assistendo aumenta il costo del finanziamento per l’acquisto e il leasing di macchinari. Verosimilmente verranno ridotti gli investimenti nell’anno per rinviarli al prossimo, contribuendo alla riduzione di domanda a cui stanno assistendo le società industriali e i general contractor, per le cui commesse è spesso necessario il ricorso alla leva. Il mercato, particolarmente nelle Mid e Small Cap, non sta al momento scontando questo rallentamento atteso nel 2023: solo di recente alcuni analisti hanno abbassato le stime. I titoli delle Mid e Small Cap italiane da inizio anno riportano una performance rispettivamente del 9% e dell’8,3%, in calo in queste ultime due settimane dopo le crisi bancarie in US e il caso Credit Suisse (che ha eroso circa 3,8 e 1,8 punti percentuali dall’8 marzo). Nonostante questi eventi, che aggiungono ulteriore incertezza, sono comunque rimaste molto indietro rispetto al movimento delle Large Cap.

    In questo contesto di rallentamento sul 2023 e di ritardo nella performance delle PMI rispetto alle società Large, diventa ancora più necessario essere selettivi sulle storie idiosincratiche che possiedono quegli elementi distintivi per poter performare anche quest’anno. Tra le caratteristiche che individuiamo vi sono un’efficiente gestione del circolante e delle scorte di magazzinoun’offerta di prodotti distintivi per cui la domanda rimane forte, bassa competizione nel mercato di riferimento; vediamo anche positivamente alcuni operatori a monte della catena del valore e infrastrutturali.

    Alcuni titoli che osserveremo con attenzione in questo contesto sono:

    • Zignago Vetro per cui i volumi non sono destinati a rallentare dato che la domanda rimane molto forte, non ha magazzino perché gli ordini saturano la capacità produttiva (che è in ulteriore espansione) e la competizione è scarsa, pertanto, i prezzi nel mercato non sono ancora previsti in discesa
    • Landi Renzo vede prospettive di forte crescita del fatturato e di miglioramento dei margini per il 2023, grazie a investimenti in idrogeno, bio-metano per applicazioni industriali e truck (mid/heavy duty) nonché in ambito PNRR, Inflation Reduction Act in USA e RepowerEU volti alla decarbonizzazione. É una società ben posizionata: opera in un mercato ristretto e specifico con pochi competitor, mentre i nuovi contratti prevedono pass-through dei costi con miglioramento sui margini
    • Generalfinance è attiva nel factoring di crediti a imprese distressed e, in un clima di rallentamento economico come quello che potrebbe caratterizzare i prossimi mesi, si attende un crescente flusso in ingresso di crediti
    • Salcef, in controtendenza, si aspetta un incremento degli ordinativi in entrata, con una contribuzione positiva sul fatturato e sui margini. L’essere verticalmente integrato minimizzando il rischio sulla supply chain e la presenza in un mercato in espansione sono tra i fattori decisivi per poter sovra performare
    • Mondadori raggiunge una crescita a doppia cifra delle vendite nelle prime settimane del nuovo anno; l’ingente cassa disponibile (per M&A o buyback) e il trend di aumento dei lettori più giovani sono sicuramente tra i temi a cui prestare attenzione per la crescita della società
    • Fine Foods Pharmaceuticals sta vedendo una forte ripresa dal mercato della nutraceutica dopo lo stop del pre-Covid. Ha, inoltre, importanti richieste anche dal mercato farmaceutico e della cosmetica storicamente anticiclici. Il tutto per una società che tratta molto lontano dai multipli storici ai quali era abituata.
    • Omer sta iniziando a beneficare del calo del prezzo dell’energia e delle materie prime in particolare dell’alluminio. La società inoltre è saldamente in un trend tutto in crescita ovvero quello della mobilità sostenibile dove è fornitore strategico dei principali player mondiali
    • Take off presenta una forte generazione di cassa e può approfittare della debolezza del mercato per acquisire competitor e stock di merci a prezzi sempre più vantaggiosi. La debolezza dei negozi wholesale classici rappresenta inoltre una occasione per aprire nuovi punti vendita in posizioni strategiche e a prezzi favorevoli.

    Infine, a livello di portafoglio preferiamo avere una esposizione cauta al livello di asset allocation e una concentrazione alle società con le caratteristiche di cui sopra. Riteniamo che il maggior contributore alla performance del mercato italiano da inizio anno, il settore bancario, possa essere a questo punto elemento di volatilità per i portafogli. Siamo quindi esposti a pochi nomi lontani dalle tematiche che hanno colpito le banche regionali americane e Credit Suisse.

  • AcomeA SGR entra nel Club dei Partner di Assoprevidenza

    AcomeA SGR entra nel Club dei Partner di Assoprevidenza

    Milano, 19 dicembre 2022 – AcomeA SGR entra a far parte del Club dei Partner di Assoprevidenza, l’Associazione italiana per la previdenza e l’assistenza complementari. Il Club riunisce i sostenitori della diffusione della cultura previdenziale e del welfare in Italia.

    AcomeA SGR è una Società di Gestione del Risparmio specializzata in fondi comuni d’investimento e gestioni patrimoniali nata nel 2010 dall’iniziativa di un gruppo di gestori e imprenditori con una lunga esperienza nel settore. La strategia di investimento predilige un approccio value contrarian, affidandosi a una valutazione razionale dei titoli indipendentemente dal consenso sui mercati e supportata dal lavoro del team di ricerca interno. Il metodo di lavoro e i risultati raggiunti hanno portato a ottenere diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Alto Rendimento promosso dal Gruppo24ORE per le ultime otto edizioni consecutive. Dal 2021 AcomeA aderisce in qualità di Premium Partner al programma Sustainable Finance Partnership di Borsa Italiana.

    Alberto Foà, Presidente di AcomeA SGR, ha commentato: “Siamo molto lieti di entrare a far parte di Assoprevidenza. Gli investitori previdenziali giocano un ruolo cruciale nello sviluppo del paese e siamo convinti che l’ingresso di AcomeA nel network possa rendere il dialogo ancora più proficuo, portando il punto di vista di una boutique di investimento indipendente e italiana e dandoci l’opportunità di posizionarci ulteriormente come fornitori di soluzioni di investimento efficaci, oltre che di contribuire insieme alla maggiore diffusione di una cultura nazionale di previdenza complementare”.

    ASSOPREVIDENZA
    Assoprevidenza – Associazione italiana per la previdenza e l’assistenza complementare è un’entità priva di fini di lucro che, quale Centro tecnico nazionale di previdenza e assistenza complementare, da quasi trent’anni è fortemente impegnata nella diffusione di un’adeguata “cultura previdenziale generale”, presupposto fondamentale per lo sviluppo di un moderno sistema di welfare in grado di rispondere ai nuovi bisogni dei lavoratori e, più
    in generale, dei cittadini. Essa ha per scopo primario lo sviluppo della tutela complementare in Italia, sia in campo pensionistico e dell’assistenza sanitaria, sia in quello della non autosufficienza.

    L’Associazione conta tra i propri aderenti, quali Associati ordinari, circa un centinaio tra regimi di secondo pilastro esistenti nel Paese, nonché vari operatori dei servizi per il comparto, in veste di Soci osservatori e un selezionato gruppo di sostenitori, partecipanti a un apposito Club.

    Nell’espletamento del proprio ruolo istituzionale, Assoprevidenza organizza, fra l’altro, convegni ed eventi di carattere seminariale volti a stimolare il dibattito sulle tematiche di attualità per il comparto. Tra queste ultime, risultano sempre più significative le questioni connesse agli investimenti degli attivi patrimoniali delle forme complementari.

  • BCE: UN RIALZO PIÙ  CONTENUTO MA NESSUN PIVOT. TASSI OLTRE IL 3% NEL 2023?

    BCE: UN RIALZO PIÙ  CONTENUTO MA NESSUN PIVOT. TASSI OLTRE IL 3% NEL 2023?

    di Pasquale Diana, Head of Macro Research di AcomeA SGR.

    La BCE rallenta il passo ma inasprisce il tono. In linea con le attese, la BCE ha alzato di 50bp i tre tassi di riferimento, portando il tasso sui depositi al 2%. Questo è un rialzo più contenuto dei due precedenti (+75bp), ma ciò non deve far pensare a una svolta della BCE verso posizioni più dovish. Al contrario, il comunicato menziona che i tassi devono ancora “aumentare in misura significativa a un ritmo costante”. Inoltre, dovranno rimanere su livelli restrittivi per far diminuire nel corso del tempo i rischi di un aumento delle aspettative d’inflazione. Questo tono appare senz’altro più aggressivo rispetto a quello di ottobre. 

    QT “passivo” inizia a marzo 2023. A partire da marzo 2023, la BCE ridurrà il portafoglio dell’APP di 15 mld al mese reinvestendo solo parte del capitale rimborsato sui titoli in scadenza. Questo ritmo di 15 mld al mese durerà fino a giugno 2023 e verrà poi rivisto nel tempo.  15 mld rappresenta circa il 50% delle scadenze mensili. Tutto sommato, questo era nelle attese. 

    Le nuove previsioni: un messaggio chiaramente hawkish. Le nuove previsioni macro rappresentano la parte più hawkish del messaggio della BCE di oggi. In particolare (vd. tabella) le previsioni sull’inflazione sono state riviste al rialzo in maniera significativa, anche a fronte di una revisione al ribasso della crescita. Colpisce in maniera particolare il fatto che la BCE veda l’inflazione ancora ben oltre il 3% nel 2024, e che non vi sia nessuna convergenza al 2% nel 2025. Addirittura, l’inflazione core rimane al 2,4% in media nel 2025, ovvero nel medio periodo. Inoltre, i rischi rimangono nella direzione di un’inflazione ancora più elevata, secondo la Lagarde. Questo spiega come mai la BCE veda la necessità di un inasprimento delle condizioni monetarie. 

    La Lagarde non è d’accordo con il market pricing Nel corso della conferenza stampa, la Lagarde ha chiarito e – ove necessario – rafforzato il messaggio del comunicato. In particolare, ha chiaramente detto che ci attende un periodo di rialzi di 50bp e che il mercato al momento non sta prezzando un ciclo di rialzi coerente con quello che la BCE deve fare per portare l’inflazione al 2%. Addirittura, la Lagarde ha aggiunto che la BCE ha più strada da fare rispetto alla Fed sul fronte dei rialzi dei tassi. Infine, ha posto molta enfasi sul fatto che i tassi rimarranno elevati a un livello restrittivo per favorire la discesa dell’inflazione. In altre parole, la BCE pensa che anche dopo aver alzato i tassi più di quanto si attenda il mercato eventuali tagli dovranno attendere. 

    Che sta succedendo all’interno della BCE? Appare ragionevole pensare che la BCE sia meno unita al suo interno che nei mesi scorsi, adesso che il tasso sui depositi è salito dal -0,50% al 2%, un livello già restrittivo e destinato a salire ancora di più. Infatti, la Lagarde ha indicato che la decisione di oggi ha ricevuto ampio supporto ma non è stata unanime. Un rialzo di 50bp (invece che 75bp) ma con un tono chiaramente hawkish è stato probabilmente un compromesso accettabile per il Consiglio. 

    Oltre il 3%? Appare quanto mai probabile che alla luce del messaggio di oggi molti osservatori dovranno rivedere al rialzo le proprie attese sui tassi, in gran parte a causa di una funzione di reazione della BCE chiaramente più hawkish delle attese. Un paio di rialzi di 50bp nei prossimi due meeting ad esempio – totalmente verosimile visto il tono di oggi – porterebbe il tasso sui depositi al 3% già a metà marzo. Non è escluso che la BCE vada anche oltre, a meno che l’inflazione di tipo core non inizi a rallentare chiaramente come sta facendo negli USA.

  • NASCE ACOMEA ITALIAN GEMS: IL PIR ALTERNATIVO APERTO CHE PUNTA SULLE SMALL E MICRO CAP ITALIANE QUOTATE CON MARKET CAP <100 MILIONI DI EURO

    NASCE ACOMEA ITALIAN GEMS: IL PIR ALTERNATIVO APERTO CHE PUNTA SULLE SMALL E MICRO CAP ITALIANE QUOTATE CON MARKET CAP <100 MILIONI DI EURO

    ·         Target di investimento del fondo: circa 200 PMI quotate con market cap <100 milioni di euro, una nicchia di mercato non coperta dagli investitori istituzionali, che contiene molte realtà sottovalutate e un forte potenziale di upside

    ·         AcomeA Italian Gems è un Fondo di Investimento Alternativo aperto non riservato, che, grazie a una liquidità trimestrale, riesce a cogliere le opportunità presenti sui segmenti a minor capitalizzazione di Borsa Italiana, per convogliare il risparmio privato verso realtà di eccellenza

    ·         Soglia minima di investimento per gli investitori retail pari a 100 euro, che permette ampia accessibilità rispetto ai PIR Alternativi esistenti

    Milano, 28 novembre 2022 – Le small e micro cap quotate su Borsa Italiana rappresentano un segmento di mercato dal grande potenziale ancora inesplorato. Sono circa 200 le PMI quotate con capitalizzazione inferiore ai 100 milioni di euro: il livello contenuto di scambi rende questa nicchia poco liquida e inefficiente, poco coperta dagli investitori istituzionali e dai broker, con molte realtà sottovalutate e un forte potenziale di upside. Per convogliare il risparmio privato verso le “gemme” italiane, AcomeA SGR, Società di Gestione del Risparmio specializzata in fondi comuni d’investimento e gestioni patrimoniali, annuncia la nascita del fondo AcomeA Italian Gems, il PIR Alternativo aperto dedicato ai segmenti a minor capitalizzazione di Borsa Italiana.

    AcomeA Italian Gems è un Fondo di Investimento Alternativo (FIA) aperto non riservato, che, grazie ad una liquidità trimestrale e ad un team di gestione con un importante track record, punta a selezionare, con approccio attivo, le migliori realtà aziendali in target con multipli vantaggiosi, sfruttando così le inefficienze del mercato delle small e micro cap quotate. Per un investitore retail la soglia minima di ingresso è di 100 euro e questo lo rende uno strumento molto più accessibile rispetto ai PIR alternativi presenti sul mercato (presentati come fondi chiusi e riservati nella totalità dei casi).

    In un segmento caratterizzato da limitata copertura della ricerca e da scambi contenuti, l’attività di stock picking fa la differenza: la selezione delle aziende viene effettuata attraverso criteri qualitativi e quantitativi in ottica value, su un orizzonte di investimento di 3/5 anni. Attraverso competenze trasversali, sia finanziarie sia industriali, il team dedicato di AcomeA SGR instaura poi un dialogo continuativo con la singola azienda inserita in portafoglio, con un approccio da azionista “attivo”.

    Alberto Foà, Presidente di AcomeA SGR, ha commentato: “Le PMI italiane stanno attraversando una fase di sviluppo dal potenziale senza precedenti, alla luce dei fondi stanziati a livello europeo e degli investimenti previsti dal PNRR. In particolare, il segmento delle small e micro cap quotate rappresenta una vera e propria «miniera» del Made in Italy, trascurata dagli investitori istituzionali per via degli scambi contenuti, dove trovare realtà fortemente sottovalutate e con immenso valore inespresso. Con Italian Gems comincia un nuovo capitolo del percorso di gestione attiva che ormai da anni rappresenta il cuore dell’esperienza di AcomeA sul mercato azionario italiano”.


    Edoardo Loewenthal, Senior Advisor del fondo AcomeA Italian Gems, ha aggiunto: “Il listino azionario di Milano presenta, nella fascia delle capitalizzazioni inferiori ai 100 milioni di euro, una grande quantità di aziende di qualità e con ottime prospettive. I principali investitori istituzionali sono però assenti da questa fascia di mercato, proprio per il tema della bassa liquidità. Questo nuovo Fondo, grazie anche al Nav trimestrale, permette ai risparmiatori di approfittare delle inefficienze che caratterizzano il segmento, beneficiando in più dei vantaggi fiscali offerti dal PIR”.

    “Tra le small e micro cap quotate vi sono realtà di grande valore a multipli vantaggiosi: la nostra missione come investitori di lungo termine vuole essere quella di individuarle attraverso uno stock picking accurato e aiutarle a esprimere il proprio potenziale latente, affiancando il management nello sviluppo sostenibile del modello di business” – ha concluso Antonio Amendola, gestore del fondo AcomeA Italian Gems.

    Un team di gestione con track record consolidato

    AcomeA SGR negli ultimi due anni ha investito 40 milioni di euro in PMI quotate su Borsa Italiana. Dal 2021 ha partecipato a 50 IPO e condotto iniziative di engagement collaborativo con ben 17 società. L’attenzione alle small cap quotate sul mercato italiano è il fulcro della strategia AcomeA PMItalia ESG, un fondo PIR tradizionale nato nel 2011 (+ 62,41% da inception), che si differenzia da AcomeA ItalianGems in quanto caratterizzato da una liquidità giornaliera, da cui consegue un’esposizione più contenuta a emittenti a minor capitalizzazione. I risultati e l’esperienza del team maturata negli anni sono un ingrediente indispensabile per ampliare la gamma verso la nuova strategia proposta.

    Antonio Amendola, CFA – Fund Manager azionario Italia e gestore del fondo AcomeA Italian Gems

    Antonio Amendola è anche gestore del fondo AcomeA PMItalia ESG. Si è laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l’Università degli Studi di Siena e specializzato con lode in Economics, Finance and International Integration presso l’Università di Pavia. Ha iniziato l’attività lavorativa come portfolio manager presso la divisione di Asset Management di Intermonte SIM, con focus sul mercato azionario italiano ed europeo. Dal 2019 collabora con l’Università di Pavia come assistente per il corso di Portfolio Management. Dal 2022, Antonio è chartered financial analyst ed è stato inserito nella lista Forbes Under30 per la Finanza.

    Edoardo Loewenthal – Senior Advisor del fondo AcomeA Italian Gems

    Dal 1987 al 1996, Edoardo Loewenthal è stato analista finanziario, poi responsabile della gestione ed infine Direttore Generale di Sogersel (ora Ersel SGR), società di gestione di fondi comuni e successivamente Direttore Centrale Finanza del gruppo Banca Lombarda S.p.A. (poi confluita in Ubi Banca). Nel 2000 fonda Onlinesim, divenuta rapidamente il principale player in Italia nella distribuzione online di fondi comuni e Sicav, ceduta poi nel 2004. Successivamente viene nominato amministratore delegato di Compagnie Monegasque de Banque. Nel 2009, rileva la quota di maggioranza di 6sicuro S.p.A. primo comparatore online di Rc auto in Italia dove rimane fino alla cessione, avvenuta nel febbraio 2020. Dal 2021 è investitore, amministratore e advisor di numerose società.

    In qualità di PIR Alternativo, AcomeA Italian Gems si prefigge l’obiettivo di veicolare il risparmio privato a supporto dello specifico target di PMI italiane individuato, accordando allo stesso tempo ai sottoscrittori le esenzioni fiscali su plusvalenze e imposta di successione, a condizione che l’investimento sia detenuto per almeno cinque anni. Di seguito le principali caratteristiche tecniche del fondo:

  • Il difficile trimestre dei FAAMG

    Il difficile trimestre dei FAAMG

    Il difficile trimestre dei FAAMG

    A cura di Alberto Artoni, Portfolio Manager US Equity di AcomeA SGR     

    Milano, 7 novembre 2022 – Era il 2013 e Jim Cramer, volto noto della CNBC e storico presentatore della trasmissione tv “Mad Money”, coniò l’acronimo FANG riferendosi a quattro aziende (Facebook, Amazon, Netflix e Google), accomunate dal grande potenziale di crescita grazie all’elevato contenuto tecnologico. Negli anni l’acronimo fu modificato in FAAMG, includendo Apple e Microsoft a spese di Netflix (la cui capitalizzazione di Borsa era meno rilevante rispetto alle 5 più grandi aziende dello Standard&Poors). Il nuovo acronimo riflette i successi di Apple nei servizi (contenuti, pagamenti, ecc…) e quelli di Microsoft nel cloud. Seppur con le dovute differenze tra i singoli titoli, fino alla fine dello scorso anno circa, una scommessa su Big Tech si sarebbe rivelata fortemente vincente (negli scorsi anni la capitalizzazione di Borsa delle cosiddette FAAMG ha raggiunto quasi un quarto dell’intero S&P 500). Tuttavia quest’anno qualcosa sembra essere cambiato e i risultati del trimestre confermano un momento difficile per “Big Tech”.

    Con la sola eccezione di Apple (che pur non ha brillato), le altre quattro megacap hanno profondamente deluso le attese, con una conseguente performance fortemente negativa dopo la comunicazione dei risultati.

    Meta è stata sicuramente la peggiore, perché, oltre a confermare i timori legati all’andamento del business (penalizzato dalle tutele delle privacy introdotte da Apple e da una sempre maggiore concorrenza tra i social media), ha annunciato un rinnovato impegno ad effettuare ingenti investimenti nel Metaverso, senza offrire però una visione su come e quando questa strategia potrà eventualmente generare dei ritorni.

    Amazon e Microsoft, che gestiscono i servizi di Cloud n.1 (AWS) e n.2 (Azure) al mondo, hanno riscontrato un rallentamento nella seppur ancora forte crescita, prendendo in contropiede gli investitori che pensavano di trovare rifugio in un trend di crescita strutturale indipendente dalla congiuntura e impermeabile alla concorrenza.

    Anche Google ha riportato numeri deludenti, in particolare per quanto riguarda Youtube. Si segnala come, nel corso degli ultimi 12 mesi, la società abbia incrementato i propri dipendenti del +24% da 150K a 186K FTE, mettendo ulteriore pressione sulla marginalità.

    Queste dinamiche sono ancora più rilevanti a fronte di una stagione dei risultati che delinea una generale tenuta dei numeri, pur con le dovute differenze tra le singole aziende.

    Sulla base dei dati fino ad ora disponibili, possiamo osservare come nel complesso i numeri tengano, anche se con una sorpresa positiva contenuta rispetto alle attese (modesta soprattutto rispetto a fatturato e utili). Rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, i ricavi crescono quasi a doppia cifra, a fronte di utili decisamente meno brillanti. Questa dinamica è coerente con un quadro macroeconomico caratterizzato da una discreta vitalità e da un’elevata inflazione, che, unitamente al dollaro forte e al permanere (seppure in presenza di un chiaro trend di miglioramento) di alcune difficoltà sul fronte della supply chain, ha comportato una contrazione dei margini.

    Nel complesso, la cosiddetta “old economy” e il settore finanziario in particolare si difendono: il margine d’interesse beneficia del rialzo dei tassi a fronte di una tenuta della qualità del credito. Le grandi banche d’affari compensano il calo di attività di finanza straordinaria con un incremento delle commissioni di negoziazione, soprattutto nel reddito fisso.

    Questa stagione dei risultati sembra confermare il trend in essere da inizio anno a favore di uno stile di gestione value. Come si può osservare nel grafico sottostante, il rapporto tra l’indice MSCI US value ed MSCI US growth, dopo aver raggiunto nel dicembre 2021 il minimo storico dagli anni Novanta, evidenzia un recupero significativo dello stile value, sebbene rimanga ancora molto terreno da recuperare per riavvicinarsi ai valori medi su base storica.