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SUICIDIO ASSISTITO, LE PAROLE DI ROMANO PRIMA DELLA SUA SCELTA: “TROPPO DOLORE, NON MI ARRENDO ALL’IDEA DI NON ESSERE LIBERO”

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Il signor Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo e morto in Svizzera il 25 novembre tramite suicidio assistito, aveva spiegato in alcune lettere la sua condizione e le motivazioni dietro la sua scelta. 

Ho sempre fatto le mie scelte e ho sempre pensato  che la nostra vita ci appartenga, prima ancora che questa frase diventasse centrale nella campagna dell’Associazione Luca Coscioni. Così ho iniziato ad informarmi sulle possibilità di organizzare il mio fine vita nel modo più dignitoso possibile, ma presto mi è stato chiaro che la situazione italiana è più complicata di come potessi pensare. L’opzione di recarmi in Svizzera in clandestinità mi spaventa perché non voglio assolutamente mettere i miei familiari nella condizione di rischiare di affrontare vicissitudini giudiziarie. Trovo però che sottrarre la libertà di scelta in questi casi sia anacronistico e crudele, e non mi arrendo all’idea di non essere libero. 

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[…] Ho sempre detto che alla fine, se ce ne fosse stato bisogno, avrei deciso io cosa fare. Attualmente vivo in casa circondato dall’affetto dei miei cari. Ma non posso più svolgere da solo le azioni più semplici e questo è molto doloroso. 

La maggior parte del mio tempo trascorre in camera, a letto; la televisione sopperisce ai miei amati libri, ma non posso più leggere o scrivere, che erano le attività principali della mia vita.  Ho seri dolori muscolari che a volte mi tolgono il fiato e a volte sono più leggeri ma costanti. Il mio corpo è quasi completamente irrigidito. Non ho nessuna autonomia, non posso alzarmi se non con molto aiuto, non posso mangiare da solo o bere da solo, ho bisogno di assistenza per l’igiene personale. Ho una grave disfagia che non mi fa più mangiare cibi solidi. Sono completamente dipendente  dall’aiuto di familiari e personale specializzato. Comunico a fatica anche i bisogni più essenziali.  Vivo questa situazione con grande malessere. Inoltre, sono consapevole che la mia malattia, il Parkinson, può portare ad avere bisogno di ulteriori ausili; potrei essere attaccato ad una macchina per poter mangiare, o forse anche per respirare, e potrei non comunicare più con le parole. Sono anche consapevole che la capacità di discernimento  è fondamentale ai fini dell’accesso al fine vita secondo le normative, e anche questa capacità, purtroppo potrebbe un giorno venir meno, togliendomi la possibilità di scegliere se essere oggetto di cure o no.” 

Il signor Romano era un uomo di 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, affetto da Parkinsonismo atipico dal 2020, non tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Ex giornalista e pubblicitario, è stato costretto a letto dalla malattia, tra forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile che gli impediva di leggere, scrivere e fare qualsiasi cosa in autonomia. Dopo aver maturato la scelta di voler porre fine alle sue sofferenze ed essersi reso conto dell’impossibilità di procedere in Italia, ha chiesto aiuto a Marco Cappato per raggiungere la Svizzera ed evitare conseguenze legali per i suoi familiari. 

Per Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioi, è stata una nuova disobbedienza civile, dal momento che Romano non era “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale”, quindi, come la 69enne veneta Elena Altamira, non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Nel nostro paese, proprio grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani e quindi grazie alla sentenza 242 della Corte costituzionale, che ha valore di legge, il suicidio assistito è possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta è 1) affetta da una patologia irreversibile, 2) fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, 3)pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e 4) tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e queste condizioni siano state verificate dal SSN.  Requisiti sussistenti e verificati per Federico Carboni che lo scorso giugno ha invece potuto accedere al suicidio assistito senza che l’aiuto fornito configurasse reato.

Una nuova disobbedienza civile di Marco Cappato, dopo quella dello scorso agosto, con l’obiettivo di superare le attuali discriminazioni tra persone malate e consentire il pieno rispetto della volontà anche delle persone affette da patologie irreversibili, fonte di sofferenza, pienamente capaci ma non ancora tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, rientrato in Italia, si è autodenunciato sabato 26 novembre a Milano. 

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