- Per i mercati sviluppati, il nuovo anno è iniziato all’insegna del dibattito sulle tempistiche e sulle modalità dell’allentamento della stretta monetaria, mentre le banche centrali dei mercati emergenti stanno già giocandosi la carta del taglio dei tassi, anche se con modalità diverse
- Sul fronte della crescita, i mercati emergenti si sono per ora mostrati resilienti, anche se con alcune differenze sostanziali tra regioni e con l’importante eccezione della Cina; sul fronte inflazione, gli EM stanno sperimentando una flessione generale del livello dei prezzi, più decisa per l’inflazione complessiva e quella legata ai beni di consumo, più graduale per l’inflazione core e quella legata ai servizi
- In Argentina il neopresidente Milei ha da poco avviato il suo ambizioso programma di riforme, che prevede una manovra fiscale, una significativa deregolamentazione e lo stop alla monetizzazione del deficit da parte della banca centrale
- In Cile, per la seconda volta nel giro di due anni, gli elettori hanno respinto l’adozione di una nuova Costituzione e un terzo tentativo di riforma ad oggi sembra improbabile, almeno nel prossimo futuro
- In Guatemala una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che il presidente eletto Arévalo assumesse finalmente l’incarico, dopo cinque mesi di transizione, il 14 gennaio 2024, nonostante i tentativi di emarginazione politica da parte della Procura Generale
A cura di Kristin Ceva, responsabile strategie paesi emergenti di Payden & Rygel
Milano, 23 gennaio 2024 – In dicembre abbiamo assistito al rally del debito emergente, con il reddito fisso che ha risposto positivamente al calo dell’inflazione e alle previsioni di un allentamento della politica monetaria da parte delle principali banche centrali nel 2024. Il credito sovrano e societario EM in valuta forte ha visto ridurre i rendimenti rispetto ai Treasury Usa, contribuendo al generale aumento dei ritorni sui prezzi, e anche i mercati del debito emergente in valuta locale hanno vissuto una congiuntura favorevole, sull’onda del calo dei rendimenti del debito locale e dell’apprezzamento delle singole valute rispetto al dollaro Usa.
Con l’inflazione in calo verso i livelli target, le banche centrali dei mercati sviluppati sembrano più a loro agio a discutere di un compromesso tra stretta monetaria e rallentamento della crescita; il nuovo anno è così iniziato all’insegna del dibattito sulle tempistiche e sulla portata dell’allentamento della stretta monetaria. Le banche centrali dei mercati emergenti, invece, stanno per lo più già giocandosi la carta del taglio dei tassi, anche se con modalità diverse, per via del mix di inflazione, crescita e rischi esterni che caratterizza ogni paese in modo differente. Il consenso indica un 2024 caratterizzato da un rallentamento della crescita a livello globale, ma per ora la crescita dei mercati emergenti si è mostrata resiliente, anche se con alcune differenze sostanziali tra regioni e paesi. La Cina, ad esempio, si trova ad affrontare sfide complesse a causa delle difficoltà in cui versa il settore immobiliare e per mitigare i potenziali rischi ha dovuto varare una serie di misure ad hoc. Sul fronte inflazione, la maggior parte dei paesi emergenti sta sperimentando una flessione del livello dei prezzi, più decisa per l’inflazione complessiva e quella legata ai beni di consumo, più graduale per l’inflazione core e quella legata ai servizi. La maggior parte delle banche centrali EM, al momento, ha messo in pausa i rialzi dei tassi, se non ha già intrapreso i primi tagli, sebbene resti alto il livello di attenzione a fattori esterni come i tassi d’interesse Usa, i flussi di capitali e i prezzi di energia e generi alimentari. In particolare, la banca centrale cilena ha optato per una riduzione dei tassi di interesse di 75 punti base, dopo il più prudente taglio di 50 punti base deciso in ottobre, mentre le banche centrali di Colombia e Repubblica Ceca hanno optato per tagli più contenuti, di 25 punti base.
A nostro avviso, le principali economie emergenti e le loro società hanno dato prova di saper affrontare le conseguenze della stretta monetaria, anche se occorrerà continuare a monitorare da vicino i fattori di rischio globali e specifici di ciascun paese, tra cui le nuove eventuali fiammate inflattive, l’ingresso in recessione di alcuni mercati sviluppati e i rischi politici che un anno di elezioni come il 2024 porta inevitabilmente con sé. Investire nel debito emergente presenta diversi benefici in termini di diversificazione di portafoglio e rendimenti elevati, con importanti ritorni nel lungo termine. Da non dimenticare neanche altri fattori positivi come il rapporto tra domanda e offerta e l’indebolimento del dollaro Usa, che giocano a favore del debito EM, anche se un approccio selettivo resta sempre preferibile.
Il punto sugli sviluppi economico-politici di Argentina, Cile e Guatemala
Abbiamo cercato di approfondire i recenti sviluppi economici e politici di alcuni dei principali paesi emergenti. Cominciamo dall’Argentina, dove il neopresidente Javier Milei ha da poco avviato il suo ambizioso programma di riforme, tra cui spiccano la svalutazione del tasso di cambio, la liberalizzazione delle importazioni, il blocco delle assunzioni nel settore pubblico e dei nuovi progetti infrastrutturali, la riduzione del numero dei ministri e dei sussidi statali. In parallelo, nel tentativo di compensare le pressioni inflazionistiche che verosimilmente si verranno a creare nei primi mesi delle riforme, è stato varato un consistente programma di welfare sociale. Nel complesso, il piano di adeguamento economico di Milei prevede una decisa manovra fiscale, una significativa deregolamentazione e lo stop alla monetizzazione del deficit da parte della banca centrale. È facile prevedere che il mandato del nuovo presidente non sarà privo di dibattiti e controversie, dal momento che sia il Congresso che i sindacati hanno già manifestato il loro dissenso nei confronti della sua agenda politico-economica.
In Cile, per la seconda volta nel giro di due anni, gli elettori hanno respinto l’adozione di una nuova Costituzione. Il processo di riforma costituzionale, scaturito dalle imponenti proteste popolari del 2019, non ha ancora portato a una revisione del documento elaborato nel corso della dittatura militare di Pinochet, nonostante gli oltre quattro anni di tentativi portati avanti sia dalla Destra che dalla Sinistra. L’affluenza alle urne è stata elevata (84%) e l’esito questa volta è stato più combattuto rispetto alla precedente tornata elettorale (con il 55,8% di voti contrari rispetto al 61,9% del settembre 2022). Ad oggi, la sfiducia nel processo costituente insieme alla polarizzazione politica che lo ha contraddistinto nelle sue varie fasi, rende improbabile un terzo tentativo di riforma, almeno nel prossimo futuro. Le implicazioni per il presidente cileno Gabriel Boric, il cui governo ha già dovuto lottare contro gli scarsi livelli di popolarità, sembrano per ora contenute.
In Guatemala una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che il presidente eletto Bernardo Arévalo assumesse finalmente l’incarico, dopo cinque mesi di transizione, il 14 gennaio 2024. Dopo la schiacciante vittoria di Arévalo alle elezioni dello scorso agosto, infatti, la Procura Generale guatemalteca insieme ad altri esponenti del partito al potere avevano lungamente tentato di invalidare il risultato elettorale, forse per timore che l’agenda anticorruzione del neoeletto si scontrasse con interessi consolidati. Ad ogni modo, nonostante il worst case scenario sia stato scongiurato, sono ancora in corso altri tentativi di emarginazione politica di Arévalo e per il nuovo governo il contesto resta sfidante.