La legge 76/2025 introduce la partecipazione in azienda, ma senza vincoli e con incentivi limitati rischia di restare solo sulla carta
Una legge attesa da decenni, ma senza forza vincolante
Dopo ottant’anni di silenzio normativo, l’Italia ha finalmente recepito l’articolo 46 della Costituzione con la legge 76/2025, entrata in vigore il 10 giugno. Per la prima volta viene definito un quadro normativo sulla partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale, con l’intento di rendere le imprese luoghi più democratici e condivisi. Tuttavia, secondo Unimpresa, la legge presenta limiti strutturali che ne compromettono l’efficacia concreta.
Le quattro forme di partecipazione previste dalla legge
Il nuovo testo normativo distingue tra partecipazione gestionale, economica e finanziaria, consultiva e organizzativa.
- La partecipazione gestionale consente ai lavoratori di entrare negli organi societari, ma solo su base volontariae se previsto dagli statuti aziendali, senza obblighi nemmeno per le società pubbliche.
- La partecipazione economica introduce agevolazioni fiscali temporanee: utili fino a 5.000 euro tassati al 5% e dividendi premiati con esenzione al 50% fino a 1.500 euro. Ma solo per il 2025.
- La partecipazione consultiva riconosce il coinvolgimento tramite pareri e commissioni, ma senza valore vincolante.
- La partecipazione organizzativa è citata ma non definita.
Il nodo centrale: tutto facoltativo, nulla obbligatorio
Il principale punto debole, secondo il consigliere nazionale di Unimpresa Marco Pepe, è la natura non obbligatoriadella legge. Le imprese non sono tenute ad adottare nessuna delle misure previste. Tutto resta affidato alla volontà degli statuti aziendali e alla contrattazione collettiva.
Proposte più ambiziose, come quella della Cisl che prevedeva deduzioni fino a 10.000 euro per i lavoratori che destinano una parte dello stipendio a strumenti partecipativi, sono state scartate. Le agevolazioni approvate sono invece simili a quelle già esistenti, con limiti leggermente alzati.
Opportunità per pochi o inizio di un nuovo modello?
Le aziende più evolute potrebbero cogliere l’occasione per sperimentare nuove forme di Employer Branding e fidelizzazione dei dipendenti, come già avviene con i piani di azionariato diffuso. Attualmente esistono già quasi 200 accordi di secondo livello che affrontano il tema della partecipazione.
Ma senza un vero impulso normativo, la legge rischia di dividere ulteriormente il mercato del lavoro: da un lato imprese avanzate e sindacati collaborativi, dall’altro chi rimarrà indietro. Il futuro dipenderà dalla capacità delle imprese di attrezzarsi e dalla maturità dei sindacati nel promuovere collaborazione.
10 domande frequenti
1. Cos’è la legge 76/2025?
È la prima legge italiana che disciplina la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione.
2. Quali forme di partecipazione prevede?
Gestione aziendale, partecipazione economica e finanziaria, consultiva e organizzativa.
3. La partecipazione è obbligatoria?
No, tutte le misure previste sono facoltative.
4. Quali agevolazioni fiscali introduce?
Tassazione al 5% sugli utili fino a 5.000 euro e esenzione del 50% sui dividendi premi fino a 1.500 euro, valide solo per il 2025.
5. Le aziende pubbliche sono obbligate ad applicarla?
No, nemmeno le società a controllo pubblico hanno obblighi.
6. Cosa dice Unimpresa sulla legge?
Secondo Unimpresa, la legge è debole perché non impone nulla e offre incentivi limitati nel tempo.
7. Quali erano le proposte iniziali più ambiziose?
Ad esempio, la Cisl proponeva deduzioni fiscali fino a 10.000 euro per chi destinava parte del salario a strumenti partecipativi.
8. Cosa sono i piani di azionariato diffuso?
Strumenti che permettono ai lavoratori di diventare azionisti dell’azienda, favorendo fedeltà e coinvolgimento.
9. Quanti accordi aziendali esistono già sulla partecipazione?
Secondo la Cisl, ci sono circa 200 accordi di secondo livello attivi.
10. Quali rischi corre il mercato del lavoro?
Una crescente divisione tra imprese partecipative e imprese passive, con effetti negativi sulla coesione sociale e l’innovazione.
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