Quando chi serve lo Stato finisce sotto accusa: la denuncia del MOSAC sulle contraddizioni del sistema
Il caso Legrottaglie e il paradosso dell’“atto dovuto”
L’uccisione del brigadiere Carlo Legrottaglie e il successivo arresto dei suoi assassini hanno sollevato nuove polemiche, aggravate dall’iscrizione nel registro degli indagati dei poliziotti che hanno fermato i responsabili, uno dei quali è deceduto in un conflitto a fuoco. Il tutto nel nome del cosiddetto “atto dovuto”, una formula che alimenta confusione e getta fango su chi dovrebbe essere invece tutelato.
Un linguaggio sbagliato che trasforma chi serve lo Stato in imputato
Nel codice di procedura penale italiano, il termine “atto dovuto” non esiste. Si tratta di una formula mediatica fuorviante, che rischia di attribuire colpe ancor prima che inizino le indagini. L’atto corretto è quello “garantito”, ovvero un atto di indagine a cui il difensore ha diritto di assistere. Iscrivere un agente nel registro degli indagati, anche per motivi di garanzia, senza indizi oggettivi, è un abuso della norma che genera danni psicologici, reputazionali ed economici.
Costi insostenibili per chi si difende e fondi insufficienti
Le spese legali sostenute dagli operatori delle Forze dell’Ordine indagati sono altissime. Il decreto sicurezza prevede un tetto di 10.000 euro a fase e un massimo di 860.000 euro complessivi: cifre che si esauriscono rapidamente con le perizie. Non a caso, molti sindacati e colleghi organizzano collette per aiutare chi si ritrova imputato per aver fatto il proprio dovere.
L’effetto devastante sulle motivazioni e sull’operatività
Oltre all’aspetto economico e legale, la situazione ha ripercussioni morali devastanti. Chi indossa una divisa comincia a chiedersi se valga la pena essere proattivi. Il rischio è quello di demotivare proprio chi protegge i cittadini. Il MOSAC rifiuta ogni forma di contrapposizione con la magistratura, ma chiede chiarezza e rapidità, nonché una tutela piena, anche economica, per chi serve lo Stato.
La politica deve fare la sua parte
Il sindacato MOSAC chiede alla politica un cambiamento normativo che garantisca tutela legale e psicologica completa a chi opera per conto dello Stato. Non si tratta di creare leggi speciali, ma di evitare automatismi dannosi e proteggere chi rischia la vita ogni giorno per gli altri.
Domande e risposte
1. Cos’è l’atto dovuto?
Non esiste nel codice penale. È un termine mediatico spesso impropriamente usato per giustificare iscrizioni nel registro degli indagati.
2. Perché i poliziotti vengono indagati anche se agiscono legittimamente?
Per garantire il diritto di difesa, ma senza prove oggettive può diventare un abuso.
3. Cosa comporta l’iscrizione nel registro degli indagati per un agente?
Stress, spese legali, possibile sospensione e danni reputazionali.
4. Quali tutele economiche esistono oggi?
Il decreto sicurezza prevede rimborsi, ma sono limitati e spesso insufficienti.
5. Che cosa chiede il MOSAC?
Norme più chiare, procedure più rapide, copertura economica completa per la difesa.
6. L’obiettivo è una guerra contro la magistratura?
No. Il MOSAC chiede solo tutela e giustizia, nel rispetto delle istituzioni.
7. Cosa propone per i colleghi più anziani?
Aumenti automatici biennali come per i dirigenti, per incentivare chi resta in servizio.
8. È vero che manca personale nelle forze dell’ordine?
Sì, e il problema aumenterà nel 2025-2026, secondo le previsioni.
9. Qual è l’effetto psicologico di queste indagini sugli agenti?
Un forte senso di abbandono e demotivazione operativa.
10. Come possiamo cambiare la narrativa?
Con leggi equilibrate, trasparenza mediatica e maggiore ascolto delle forze dell’ordine.
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