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Mercati emergenti: è vero amore?

Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets, Senior Portfolio Manager, BlueBay Asset Management.
Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets, Senior Portfolio Manager, BlueBay Asset Management.
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A cura di Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets, Senior Portfolio Manager, Emerging Markets, RBC BlueBay AM

Gli investitori si sono sicuramente innamorati del rendimento che l’universo obbligazionario emergente ha da offrire. I rendimenti degli indici obbligazionari sia in valuta forte sia in valuta locale si avvicinano ai massimi degli ultimi 20 anni, raggiungendo in molti casi livelli a due cifre. L’aumento della propensione al rischio per i mercati emergenti è visibile anche nell’inversione dei flussi da inizio anno, con il fixed income emergente che ha registrato finora afflussi per 2 miliardi di dollari, anche se in ritardo rispetto ai mercati azionari emergenti e del debito investment grade (IG) statunitense. La domanda principale rimane se questa tendenza sia un fenomeno tattico o un cambiamento strutturale.

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Ci sono alcuni elementi che fanno pensare a cambiamenti strutturali di lungo periodo. Oltre all’ortodossia della politica monetaria e a un contesto favorevole ai prezzi delle materie prime, stiamo assistendo a un interessante riassetto geopolitico del mondo. È improbabile che le tiepide relazioni tra Stati Uniti e Cina migliorino nel breve o addirittura nel medio termine. Tuttavia, date le interconnessioni tra i due Paesi, è altrettanto improbabile che si assista a un brusco deterioramento dell’attività economica tra le due maggiori economie mondiali. Cosa significa questo per il resto dei mercati emergenti? A nostro avviso, l’attuale situazione geopolitica presenta diversi vantaggi per le grandi economie dei mercati emergenti come India, Indonesia, Brasile, Messico e Cile, solo per citarne alcune.

Nel nuovo ordine geopolitico, data la guerra in corso tra Russia e Ucraina e le tensioni tra Stati Uniti e Cina, l’Occidente ha bisogno del maggior numero possibile di alleati tra i Paesi emergenti. Per questi mercati si tratta di un’opportunità per cambiare le regole del gioco e dettare le proprie condizioni in materia di accordi commerciali, flussi e livello di tolleranza nei confronti della condotta politica di determinate giurisdizioni.

Sebbene abbia i suoi vantaggi, la politica monetaria restrittiva ha anche un costo. In Brasile, ad esempio, un tasso di riferimento del 13,75% è ben al di sopra del tasso di crescita del Pil nominale dell’8,5% a dicembre 2022. Il governatore della banca centrale brasiliana è convinto che il tasso di riferimento sia appropriato, in considerazione dell’incertezza sulle prospettive dell’inflazione e della disciplina fiscale, nonché dello stato relativamente sano dell’economia. Tuttavia, dato che il Brasile ha il più alto rapporto debito pubblico/Pil tra le grandi economie emergenti, pari al 73%, gli investitori potrebbero iniziare a preoccuparsi della sostenibilità del debito e delle implicazioni per la crescita. In questo contesto, è necessario trovare un fragile equilibrio tra credibilità e sostenibilità delle politiche monetarie. In Colombia, invece, i policymaker sono alle prese con uno schema bipolare in cui da un lato il governo cerca di mantenere la disciplina fiscale e l’ortodossia monetaria, mentre dall’altro il Presidente di sinistra procede a un rimpasto di gabinetto, sostituendo tra l’altro un Ministro delle Finanze favorevole al mercato, alla ricerca di sostegno popolare e voti, ma creando maggiore volatilità sui mercati.

Sebbene gli investitori possano spesso essere attratti dai rendimenti a due cifre, dovrebbero anche fare attenzione a ciò che desiderano. Il costo del debito a due cifre non è generalmente sostenibile per i Paesi o le aziende nel lungo periodo. Credo che i policymaker dei mercati emergenti abbiano guadagnato molta credibilità trovandosi in prima linea nel ciclo di rialzo. La sfida è ora quella di passare da una politica monetaria restrittiva e una politica fiscale relativamente allentata per contrastare gli effetti della pandemia di Covid e del conflitto Russia-Ucraina a una politica monetaria più dovish e a bilanci più conservativi.

In questo scenario, gli investitori possono registrare rendimenti superiori negli asset obbligazionari emergenti rispetto ad alcuni mercati del credito dei Paesi sviluppati, dove è probabile che la scarsa liquidità continui a pesare sui margini delle società e la sostenibilità del debito possa essere messa a dura prova in alcune aziende di proprietà di private equity. Ritengo che la maggior parte delle economie emergenti sia in grado di realizzare questa transizione, passando da un’allocazione tattica (“tresca high coupon”) a un’allocazione strutturale nei portafogli degli investitori (“vero amore”). Tuttavia, come sempre, la chiave è nell’esecuzione.

L’attuale contesto può anche creare fonti di finanziamento alternative per i mercati emergenti attraverso i mercati del debito privato e la finanza mista. Data la necessità di capitali per i progetti infrastrutturali sponsorizzati dai governi, soprattutto nei Paesi emergenti più poveri, potremmo assistere allo sviluppo di soluzioni innovative da parte degli operatori di mercato per colmare il divario creato dalla chiusura del mercato pubblico. Questa dinamica non è troppo dissimile dalla formazione dei mercati europei del debito privato più di dieci anni fa. Tuttavia, storicamente gli investitori si sono trovati più a loro agio con un’esposizione liquida ai mercati emergenti, data la natura volatile dell’asset class.

L’estensione dell’orizzonte temporale della liquidità richiederebbe che molti investitori siano convinti dell’affidabilità del loro partner in questa relazione a lungo termine o che l’esposizione sia privata del rischio con garanzie o altre forme di sostegno da parte delle istituzioni multilaterali di finanziamento allo sviluppo o dei loro azionisti dei mercati sviluppati. Ciò contribuirebbe anche a rispettare gli impegni assunti nelle recenti conferenze internazionali affinché il ricco Nord trasferisca risorse al Sud più povero per le cosiddette “perdite e danni” derivanti dal cambiamento climatico.

A tal fine, i Paesi emergenti devono continuare a lavorare per migliorare le proprie istituzioni, in particolare l’aspetto giudiziario, comprese le procedure fallimentari, per allinearsi maggiormente ad alcune economie europee, dove negli ultimi anni sono stati compiuti progressi per migliorare la posizione dei creditori nelle ristrutturazioni del debito. Nei prossimi mesi, le discussioni in corso sulle ristrutturazioni sovrane con paesi come lo Zambia e il Ghana potrebbero fornire agli investitori maggiore chiarezza su come aspettarsi lo sviluppo di una nuova partnership con questi debitori in difficoltà. Se gli astri dovessero allinearsi con risultati positivi, ciò potrebbe aprire la strada a un nuovo quadro di relazioni più aperte e costruttive.

Attualmente ci troviamo a un bivio in cui i mercati emergenti hanno l’opportunità di essere aggiunti all’allocazione strutturale dei portafogli degli investitori, passando così da una tresca amorosa, sedotta da una cedola elevata, a una partnership a lungo termine, un vero amore.

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