A cura di Tim Love, Investment Director, Emerging Markets Equities di GAM
L’anno scorso i mercati azionari emergenti hanno dovuto affrontare ostacoli eterogenei. Nel primo semestre dell’anno hanno risentito della forza del dollaro, il tasso di cambio effettivo reale è salito sul massimo in 25 anni e, infine, vi è stato un irripidimento della curva dei rendimenti e le aspettative di una stretta monetaria negli Stati Uniti. Tali fattori hanno gravato in particolare sui mercati emergenti.
È interessante che questi mercati in realtà non sono scesi quanto ci si potesse aspettare. Perché? La maggior parte degli investitori aveva già disinvestito in questi mercati nei 14-15 anni precedenti. Non c’è stata una ripresa significativa praticamente dal 2009 circa. Dunque, per definizione, posizionamento, fiducia e liquidità erano già in territorio negativo. Nel primo semestre dell’anno questi ostacoli, il dollaro e la stretta monetaria, ci hanno fatto fare un passo indietro, ma non più dei Paesi sviluppati. Abbiamo riportato una performance migliore dei Paesi sviluppati nel secondo semestre, ma non grazie alla Cina, che è stata vicino al collasso. Il Congresso Nazionale non ha chiuso la politica zero-Covid con la rapidità che ci aspettavamo. Si sono poi sommati diversi fattori geopolitici che hanno alimentato le pressioni sui tassi di interesse, a causa della guerra tra Russia e Ucraina, oltre ai problemi nelle catene di distribuzione.
Se sommiamo tutti questi fattori è interessante che i mercati emergenti non abbiano perso come quelli sviluppati nella seconda metà dell’anno. In realtà, se la sono cavata abbastanza bene. Il secondo semestre è stato quindi positivo rispetto ai Paesi sviluppati, nonostante alcuni sviluppi negativi a livello locale, soprattutto in Cina, la legge sui semiconduttori negli Stati Uniti e il rallentamento della crescita nei Paesi sviluppati. Nel complesso è stato un anno complicato, costellato di ostacoli. I nostri modelli avevano previsto che la seconda metà dell’anno sarebbe stata un buon periodo in cui investire, ma alla fine eravamo in anticipo di quattro o cinque mesi.
Gli ostacoli, però, si sono trasformati in fattori positivi nel primo trimestre di quest’anno. Il dollaro è sceso molto, le valute investment grade con un carry positivo e i mercati emergenti sono risaliti e, inoltre, la stretta monetaria nei mercati emergenti è stata molto più aggressiva (per esempio in Brasile col tasso Selic passato dal 3% al 13% in un anno soltanto). Gli interventi molto aggressivi delle banche centrali hanno cercato di contenere l’inflazione. Questi mercati hanno reagito con più rapidità e gli ostacoli sono diventati fattori positivi: il dollaro è sceso, la politica monetaria si è fatta più accomodante e si sconta un ulteriore accomodamento in futuro. In aggiunta a qualche società orientata alla domanda locale in Cina che finalmente, e non grazie al ritiro della politica zero-Covid da parte del Congresso Nazionale, ma grazie all’interesse per la Coppa del Mondo che ha spinto la Cina a un approccio più aperto, Nel complesso, la discesa del dollaro ha favorito le materie prime in America Latina ed è stato un buon inizio d’anno. Ci aspettiamo ancora l’espansione dei multipli e la crescita degli utili.
Un fattore importante è rappresentato dalla domanda locale in Cina. La situazione patrimoniale delle famiglie è robusta dopo i continui lockdown per circa tre anni. Riprenderà dunque il turismo, e la domanda locale di e-commerce continueràa a beneficiare di questa ripresa. Ci sarà una ripresa della crescita a livello globale nella previsione che i tassi di interesse raggiungano il picco. Non scordiamoci che i mercati emergenti hanno iniziato a rallentare nel gennaio 2021, i Paesi sviluppati a dicembre 2021. Dunque, questa fase dura già da oltre 2 anni. Attendiamo un’inversione di tendenza nel segmento value del mercato, che comprende buona parte dell’America Latina. Pensiamo allora alle materie prime, sia hard che soft, o al petrolio in Medio Oriente dopo l’oscillazione del prezzo del. Ci sono buone opportunità di investire in titoli liquidi, ESG, di alta qualità nel lungo periodo in tutte queste regioni. Bisogna fare attenzione a dove si investe, ma la qualità non manca, sul fronte della governance, ci sono opportunità nella crescita a prezzi ragionevoli, più bassi nei mercati emergenti rispetto ai FANG, o nei titoli value più convenienti nei mercati emergenti rispetto a BHP o Rio, per esempio. Poi c’è lo yield: alcune banche offrono un rendimento del 7-8% sulle valute, con un carry positivo del 3-4%.
Ci sono molte opportunità nel valore, nella crescita e nel rendimento, non solo per l’espansione dei multipli ma anche per la crescita degli utili. Nei mercati emergenti l’espansione dei multipli può andare da 11 fino a 16/17 abbastanza facilmente. Crediamo che la composizione degli utili nei mercati emergenti sia molto diversa rispetto alla comune percezione. Sono ormai lontani i giorni dei mercati di frontiera, dei mercati meno liquidi e sub-investment o non investment grade. Oggi otto su nove dei principali mercati emergenti sono investment grade, e la composizione degli utili è estremamente moderna. Intelligenza artificiale, veicoli elettrici, robotica, cloud, oltre alle energie alternative, eolica e solare, fino alle terre rare e poi il rame, il nichel, il litio, tutte produzioni eccellenti a costi più bassi con volumi più elevati. Tutto ciò avrà un enorme impatto, oltre ai temi secolari più ovvi, come Gen X e Z in India, e poi la ripresa in Cina correlata alla riapertura che sarà forse più lunga del previsto, anche grazie alle dinamiche demografiche, più di quanto molti credono.