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La Federal Reserve probabilmente è ancora concentrata sull’inflazione elevata, ma non dà alcun segnale sul punto di arrivo della stretta monetaria

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a cura di Thomas Costerg, Senior US Economist di Pictet Wealth Management.

È probabile che oggi la Federal Reserve (Fed) effettui ancora una volta un rialzo dei tassi “jumbo” di 75 punti base. L’intervallo del tasso obiettivo dei Fed Funds dovrebbe quindi essere fissato tra il 3,75 e il 4,0%.

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È improbabile che la Fed modifichi il suo programma di “quantitative tightening”, che continua a rimanere sullo sfondo (il suo bilancio dovrebbe ridursi di circa 1.000 miliardi nei prossimi dodici mesi).

Nonostante le crescenti pressioni politiche, tra cui l’invio di lettere aperte al presidente Powell da parte di alcuni senatori democratici, e nonostante il deterioramento di alcuni indicatori di crescita, la Fed dovrebbe rimanere fedele alle proprie idee e continuare a dare priorità alla lotta all’inflazione.

I dati sull’inflazione core CPI rimangono l’alfa e l’omega della Fed. Il problema è che il CPI core ha registrato un altro valore elevato a 6,6% a settembre (mentre l’inflazione complessiva è stata dell’8,2% su base annua) e non è affatto vicino all’inizio di una fase discendente.

La funzione di reazione della Fed rimane molto arretrata e basata su dati reali, piuttosto che su modelli economici. Oltre all’inflazione, la Fed osserva in particolare la crescita occupazionale, che è ancora resistente (e le buste paga non agricole di venerdì dovrebbero ancora una volta confermare il trend).

Più preoccupante per la Fed è l’ostinazione delle aspettative di inflazione dei consumatori, un altro dato fondamentale per la Banca Centrale. L’inflazione attesa a 1 anno del Michigan si è attestata, a ottobre, a un livello ancora elevato, il 5,0%. Ciò a sua volta alimenta i timori della Fed che l’inflazione possa essere più radicata, in stile anni ’70, e a nostro avviso può spiegare perché è improbabile che Powell si impegni a porre fine all’inasprimento della Fed in questo momento.

Il deterioramento del mercato immobiliare statunitense dovrebbe essere ancora una volta messo da parte, poiché alcuni membri della Fed ritengono che sia un dolore necessario dopo l’euforia del periodo Covid-19. Altri potrebbero accogliere positivamente il fatto che ciò potrebbe portare a un rallentamento degli affitti, che ultimamente sono stati un fattore determinante dell’inflazione statunitense.

Anche se Jerome Powell potrebbe alludere a un rallentamento del ritmo dei rialzi dei tassi “a un certo punto“, riteniamo improbabile che segnali che la fine del ciclo di rialzi dei tassi sia vicina. Ciò sarebbe in contrasto con la Banca del Canada, che ha accennato alla possibilità di interrompere presto la stretta.

I mercati monetari attualmente prezzano un picco della Fed di quasi il 5% entro maggio 2023, ben al di sopra del tasso terminale del 4,6% indicato dalla Fed a settembre.

La nostra conclusione è che riteniamo elusivo credere che Powell possa segnalare che l’inasprimento stia per terminare a breve. La priorità della Fed è la lotta all’inflazione e i dati recenti non sono sufficienti. Ci si può rammaricare del fatto che la Fed guardi molto indietro, visto che le prospettive economiche per il 2023 si fanno sempre più cupe. Il rischio di un errore di politica monetaria, ovvero il rischio di un eccessivo irrigidimento, sta quindi aumentando, soprattutto in un contesto di alto debito e di contrazione della liquidità del mercato. La finestra per lo scenario centrale della Fed di un “atterraggio morbido” si restringe sempre di più.

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