Un’analisi globale di HAYS fotografa la scarsa soddisfazione dei lavoratori italiani. Benessere mentale, retribuzione e crescita le chiavi del cambiamento.
Dove il lavoro rende felici: l’Italia resta indietro
La nuova analisi globale di HAYS Italia coinvolge oltre 21 Paesi e rivela una realtà scomoda: l’Italia si colloca al 18° posto per soddisfazione lavorativa, con appena il 60% dei dipendenti che si dichiara contento del proprio lavoro. Peggio fanno solo Stati Uniti, Portogallo e Giappone, quest’ultimo fanalino di coda con un misero 40%.
Sul podio della soddisfazione svettano Repubblica Ceca (79%), Thailandia (76%) e Regno Unito (71%), seguiti da Paesi dell’America Latina e dell’Europa del Nord. Una conferma, secondo gli esperti, dell’efficacia di politiche orientate al benessere aziendale, alla valorizzazione del personale e al bilanciamento tra vita privata e professionale.
Stipendi: non basta guadagnare per essere felici
Quando si passa alla soddisfazione salariale, l’Italia resta in zona bassa, con un 57% di lavoratori soddisfatti, a pari merito con USA e Cina. Al vertice ancora la Repubblica Ceca (73%), seguita da Thailandia (70%) e UK (68%).
In fondo, invece, troviamo Spagna (46%), Portogallo (45%), Paesi Bassi (43%), Polonia e Giappone (entrambi al 42%), a dimostrazione che anche nei Paesi economicamente avanzati il malcontento può serpeggiare quando welfare e meritocrazia sono percepiti come insufficienti.
I nuovi driver per la felicità sul lavoro
Secondo Alessio Campi, People & Culture Director di HAYS Italia, è tempo che le aziende italiane ripensino il proprio approccio alla retention dei talenti. Le politiche retributive, da sole, non bastano più: servono investimenti su cultura aziendale, formazione, flessibilità e attenzione alla salute mentale.
Questi temi sono oggi più urgenti che mai. Unioncamere segnala che il 45,4% delle imprese italiane ha difficoltà a trovare i profili richiesti, spesso per mancanza di candidati. È un circolo vizioso che può essere rotto solo offrendo reali percorsi di crescita.
L’urgenza di un cambiamento culturale
L’Italia, storicamente legata a modelli gerarchici e poco orientata al feedback continuo, sconta un ritardo culturale nella gestione delle risorse umane. Serve una svolta che metta davvero al centro le persone, puntando su ambienti inclusivi, motivanti e coerenti con le esigenze delle nuove generazioni.
Solo così potremo risalire la classifica e costruire un tessuto produttivo resiliente e competitivo.
Domande e risposte
1. Cosa misura l’analisi HAYS?
La soddisfazione dei lavoratori rispetto al loro attuale impiego e alla retribuzione, in 21 Paesi.
2. Qual è la posizione dell’Italia?
18ª per soddisfazione generale, 11ª per soddisfazione salariale (ex aequo con USA e Cina).
3. Quali sono i Paesi con i lavoratori più felici?
Repubblica Ceca, Thailandia e Regno Unito.
4. E quelli con i lavoratori più insoddisfatti?
Giappone, Portogallo e USA.
5. Perché l’Italia è così indietro?
Mancanza di politiche concrete su work-life balance, crescita e benessere.
6. Cosa chiedono oggi i lavoratori?
Valorizzazione, flessibilità, crescita professionale e benessere mentale.
7. Quanto conta la retribuzione nella soddisfazione?
Conta, ma da sola non basta: è solo uno dei fattori.
8. Come possono reagire le imprese italiane?
Rivedendo la cultura organizzativa e puntando su retention e formazione.
9. I giovani sono più insoddisfatti?
Spesso sì, soprattutto se non trovano spazio per esprimersi e crescere.
10. Cosa rischia un’azienda che ignora questi segnali?
Alta rotazione del personale, difficoltà nel reclutamento e calo della produttività.
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