Home Salute ❤️ INQUINAMENTO E RISCHIO CORONARICO: QUANTO CONTA?

❤️ INQUINAMENTO E RISCHIO CORONARICO: QUANTO CONTA?

Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto
Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto
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Cuore ed ambiente. L’inquinamento è un big killer?

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati. L’eziopatogenesi degli eventi aterotrombotici è complessa e dipende dai ben noti fattori di rischio modificabili e non modificabili come la predisposizione genetica, lo stile di vita e fattori ambientali; tra questi ultimi, l’inquinamento atmosferico sta richiamando l’attenzione sempre maggiore dei ricercatori. Sebbene ci siano molte evidenze sugli effetti dannosi multisistemici dell’inquinamento atmosferico, un recente documento congiunto della European Respiratory Society (ERS) e della American Thoracic Society (ATS) ha identificato l’apparato cardiovascolare come il suo principale bersaglio.

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L’inquinamento atmosferico è una miscela complessa di gas (monossido e ossido di azoto, ozono, diossido di zolfo, ammoniaca), goccioline volatili (chinoni e idrocarburi aromatici policiclici) e particolato (particulate matter, PM). Negli ultimi 30 anni diversi studi hanno inequivocabilmente correlato gli inquinanti atmosferici, e soprattutto il particolato, alle malattie cardiovascolari. Il PM è una miscela eterogenea comunemente classificata sulla base delle dimensioni delle particelle in particolato grossolano (PM10: diametro aerodinamico <10 µm), fine (PM2.5: diametro aerodinamico <2.5 µm) e ultra-fine (PM0.1: diametro aerodinamico <0.1 µm). Il particolato fine è la principale componente dell’inquinamento atmosferico che causa malattie cardiovascolari. Ad oggi, sia l’esposizione a breve termine – ore o giorni – sia l’esposizione a lungo termine – anni o decadi –, si sono dimostrate associate direttamente o indirettamente al rischio di malattia coronarica. Infatti, mentre diversi studi prospettici di coorte hanno evidenziato come l’esposizione prolungata al PM2.5 si associava allo sviluppo di aterosclerosi e di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e diabete mellito, l’esposizione a breve termine al PM2.5 si è dimostrata un trigger per eventi coronarici acuti, soprattutto in soggetti con malattia coronarica preesistente.

Inquinamento atmosferico e aterotrombosi

Molti studi epidemiologici hanno dimostrato un’associazione diretta tra l’esposizione prolungata al PM2.5 e il carico (burden) aterosclerotico stimato attraverso misure surrogate quali l’ispessimento intima-media carotideo, le calcificazioni coronariche e aortiche e l’indice caviglia-braccio. Una riduzione della concentrazione di PM2.5 è associata inoltre a una minor progressione dell’ispessimento intima-media carotideo, rafforzando pertanto plausibilità biologica e nesso causale dell’associazione. Anche studi sperimentali sui topi con aterosclerosi hanno evidenziato che l’esposizione cronica al particolato determina progressione delle lesioni vascolari; l’esposizione si è inoltre dimostrata essere associata a caratteristiche di vulnerabilità di placca, quali ad esempio l’espressione del fattore tissutale.

In una meta-analisi pubblicata nel 2014, Cesaroni et al. dimostravano che l’esposizione prolungata al particolato era associata ad aumentata incidenza di eventi coronarici nelle 11 coorti incluse nell’European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE). Nello specifico, 100.166 soggetti senza storia di cardiopatia ischemica erano arruolati dal 1997 al 2007 e seguiti per una media di 11.5 anni. Di questi, 5157 soggetti sperimentavano eventi coronarici durante il follow-up. Lo studio dimostrava un aumento del 13% di eventi coronarici acuti non fatali per ogni 5 µg/m3 di aumento di esposizione al PM2.5, e un aumento del 12% di eventi coronarici per ogni 10 µg/m3 di aumento del PM10. Anche una più recente meta-analisi pubblicata nel 2021 ha dimostrato come l’esposizione prolungata al PM2.5 e al PM10 si associ a rischio di infarto miocardico. I ricercatori hanno incluso 27 studi di coorte condotti dal 2004 al 2019 includendo complessivamente 764 987 pazienti. La dimensione delle coorti era variabile, da 1120 fino a 4 404 046 soggetti. I risultati della meta-analisi hanno confermato che aumentati livelli di PM2.5 e di PM10 erano associati a un maggior rischio di sperimentare eventi coronarici.

Dati recenti supporterebbero inoltre l’ipotesi che i pazienti con malattia coronarica preesistente siano a maggior rischio di sperimentare eventi coronarici acuti rispetto ai soggetti sani dopo esposizione di breve durata a più alte concentrazioni di inquinanti atmosferici. A tal proposito, uno studio condotto nelle aree urbane dell’Utah’s Wasatch Front negli Stati Uniti ha valutato gli effetti dell’esposizione a breve termine al particolato fine sul rischio di sviluppare una sindrome coronarica acuta. I risultati dello studio hanno evidenziato che nei soggetti con malattia coronarica preesistente l’esposizione ad alte concentrazioni di particolato fine possa fungere da evento scatenante per eventi coronarici acuti, con un rischio maggiore per l’infarto con sopraslivellamento del tratto ST (ST elevation myocardial infarction, STEMI).

Meccanismi fisiopatologici

I meccanismi fisiopatologici attraverso cui l’inquinamento atmosferico, e in particolar modo il PM2.5, condizionano l’occorrenza di eventi cardiovascolari sono molteplici, complessi e interdipendenti. Si ipotizza che gli inquinanti causino in primis aumentato stress-ossidativo e infiammazione a livello polmonare. Le citochine pro-infiammatorie e le specie reattive dell’ossigeno generate a livello polmonare possono influenzare l’origine, l’evoluzione e le caratteristiche delle placche aterosclerotiche coronariche attraverso una risposta infiammatoria sistemica, la disfunzione endoteliale e l’attivazione protrombotica. Sono stati evidenziati inoltre fenomeni di disregolazione autonomica. La risposta infiammatoria sistemica e la disregolazione autonomica sono anche il substrato per lo sviluppo di fattori di rischio cardio-metabolici. L’insieme di questi meccanismi fisiopatologici condiziona l’evoluzione dei fenomeni aterotrombotici attraverso la progressione, l’instabilizzazione e la rottura di placca, rappresentando pertanto il substrato per lo sviluppo delle sindromi coronariche acute.

Infiammazione e stress-ossidativo

L’esposizione all’inquinamento atmosferico genera nei polmoni stress ossidativo e infiammazione, e si ipotizza che questo sia il primo momento patogenetico per l’attivazione di vie di trasduzione del segnale coinvolte nella fisiopatologia della malattia aterotrombotica. Questo meccanismo può essere amplificato quando gli inquinanti sono essi stessi ossidanti, come nel caso dell’ozono o del PM2.5. L’ampia superficie del PM2.5 facilita infatti l’assorbimento di materiale organico, metalli pesanti e altre sostanze tossiche e fornisce spazio per la formazione di radicali liberi dell’ossigeno. L’inalazione delle PM2.5 attiva all’interno degli alveoli polmonari cellule locali come macrofagi, cellule dendritiche e cellule dell’endotelio alveolare. I mediatori dello stress ossidativo e quelli prodotti dalle cellule locali attivate inducono una risposta infiammatoria inizialmente localizzata. Ciò comporta la produzione di mediatori biologici che attivano vie di segnale coinvolte nella risposta infiammatoria sistemica. Inoltre, il PM2.5 penetra fino alle basse vie respiratorie e, per traslocazione attraverso le membrane biologiche, sfugge alle difese dell’ospite e raggiunge il torrente circolatorio e gli organi bersaglio esercitando direttamente effetti pro-ossidanti e pro-infiammatori nei siti di deposito. Lo stress ossidativo è pertanto pro-infiammatorio, e l’infiammazione a sua volta genera stress ossidativo. A conferma del ruolo chiave dello stress ossidativo alcuni studi recenti hanno evidenziato come il potenziamento delle difese antiossidanti polmonari attraverso una sovra-espressione della superossido-dismutasi extracellulare potrebbe ridurre gli effetti avversi vascolari conseguenti all’esposizione all’inquinamento atmosferico.

Trombosi

L’associazione tra esposizione acuta al particolato e aumento a breve termine della mortalità cardiovascolare suggerisce l’attivazione di vie di segnalazione implicate nella cascata emocoagulativa e nei fenomeni di trombosi. L’esposizione al traffico automobilistico si è dimostrata essere, infatti, un trigger di infarto miocardico acuto entro poche ore. Studi sperimentali su modelli animali di trombosi arteriosa hanno evidenziato fenomeni di attivazione piastrinica entro 30 minuti dall’instillazione intra-tracheale delle particelle dei gas di scarico dei diesel. L’attivazione piastrinica e, in parallelo e a seguire, della cascata emocoagulativa, è stata anche evidenziata in studi condotti su volontari sani in seguito all’inalazione dei gas di scarico dei diesel. Allo stesso modo, nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare e maggior carico aterosclerotico si osservava una rapida attivazione piastrinica dopo inalazione acuta degli inquinanti atmosferici, come evidenziato in soggetti diabetici esposti acutamente al PM10.

Disregolazione autonomica

Numerosi studi osservazionali hanno valutato l’associazione tra l’esposizione al PM e la variabilità della frequenza cardiaca (heart rate variability, HRV), marcatore quest’ultimo di disfunzione autonomica. Nel complesso, le evidenze fin qui ottenute mostrano come tale esposizione determini un aumento della frequenza cardiaca e una riduzione dell’HRV.

Inquinamento e rischio cardio-metabolico

Esiste una relazione bidirezionale tra inquinamento atmosferico e fattori di rischio cardiovascolari (CV). In effetti, se da una parte i soggetti con fattori di rischio tradizionali sono a più alto rischio di sviluppare eventi CV dopo l’esposizione al particolato, dall’altra gli inquinanti atmosferici possono promuovere lo sviluppo di questi fattori di rischio. Numerose evidenze dimostrano infatti come l’inquinamento atmosferico sia implicato nello sviluppo di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e insulino-resistenza. L’associazione tra inquinamento atmosferico e ipertensione arteriosa è stata ampiamente valutata, ed è stata oggetto di almeno 4 recenti meta-analisi. Un aumento del particolato fine atmosferico di 10 µg/m3 è associato all’aumento da 1 a 3 mmHg della pressione arteriosa sisto-diastolica già dopo pochi giorni di esposizione. Relativamente ai fenomeni di insulino-resistenza, una meta-analisi di studi di coorte coinvolgenti un totale di 2371907 partecipanti e 21095 casi incidenti di diabete mellito tipo 2 ha evidenziato come il RR di diabete aumenti del 39% per ogni 10 µg/m3 di PM2.5. Anche un’altra recente meta-analisi di 13 studi pubblicata nel 2015 ha evidenziato come PM2.5 e NO2 aumentino il rischio di diabete (hazard ratio, HR: 1.10; 95% CI: 1.02-1.18 e HR: 1.08; 95% CI: 1.00-1.17 per 10 µg/m3 di aumento di PM2.5 e di NO2, rispettivamente). I meccanismi fisiopatologici alla base di tale associazione sono la disregolazione autonomica, l’aumentata liberazione di mediatori dello stress ossidativo e dell’infiammazione e l’alterata vasodilatazione endotelio-dipendente.

Inquinamento atmosferico come fattore scatenante di infiammazione e di eventi cardiovascolari

Nel 2021 Abohashem et al. hanno dimostrato per la prima volta nell’uomo come l’inquinamento atmosferico aumenti il numero dei globuli bianchi e l’infiammazione a livello delle placche aterosclerotiche, e come questo risulti associato direttamente e indipendentemente con gli eventi avversi cardiovascolari maggiori. In questo studio i ricercatori hanno ipotizzato pertanto l’esistenza di un “asse leucopoietico-arterioso” come meccanismo fisiopatologico sottostante. Nello specifico, 503 soggetti senza malattia cardiovascolare sono stati sottoposti a una tomografia a emissione di positroni con fluoro-deossiglucosio accoppiata a tomografia computerizzata radiologica (PET/TC) per quantificare l’attività leucopoietica e l’infiammazione arteriosa dopo esposizione a inquinamento atmosferico definito sulla base dell’esposizione annuale al particolato con diametro inferiore a 2.5 µm nella zona di residenza. I risultati hanno evidenziato un’associazione significativa tra più alti livelli di particolato fine e l’aumento della leucopoiesi e dell’aterosclerosi anche dopo aggiustamento per i fattori di rischio CV tradizionali e altri potenziali fattori di confondimento. Alla luce di ciò, l’inquinamento atmosferico dovrebbe essere visto come uno dei principali fattori di rischio modificabili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. In tal senso, se da una parte oggi si ipotizza l’impiego di farmaci che contrastino il substrato fisiopatologico dell’aterosclerosi, quali statine e anti-infiammatori, dall’altra bisognerebbe sottolineare ed enfatizzare ancora maggiormente come un intervento primario sui fattori di rischio sia più drasticamente efficiente. Tra questi, la salubrità degli ambienti di vita dovrebbe essere un obiettivo primario di salute pubblica, da perseguire attentamente e tenacemente.

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