Home Economia Inflazione USA: A QUALSIASI COSTO!

Inflazione USA: A QUALSIASI COSTO!

Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR
Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR
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Commento a cura di Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR

Ancora una volta il dato sull’inflazione americana crea tensione sui mercati finanziari. In agosto la headline scende meno delle attese ma è soprattutto la “core”, quindi il dato depurato delle variabili più volatili di energia e cibo, che preoccupa: +6,3% dal +5,9% di luglio. La strada della Fed è ormai segnata. A pochi giorni dalla riunione del Fomc di settembre, il mercato rivede le stime sui tassi americani e penalizza sia azioni che obbligazioni.

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La rilevazione relativa al mese di agosto dell’indice dei prezzi al consumo americani pubblicato martedì ha sorpreso al rialzo, provocando una brusca inversione di tendenza sui listini europei che fino a quel momento viaggiavano in territorio positivo. Si è subito capito che il nuovo massimo toccato dall’inflazione core, +6,3%, sarebbe stato un boccone difficile da digerire. E in effetti i mercati US hanno aperto in territorio negativo e annullato il recupero dell’ultima settimana: S&P 500 -4,3%, Nasdaq -5,1% e nessun titolo azionario appartenente ai due indici è riuscito a chiudere in territorio positivo. Non accadeva dalla primavera del 2020. Eppure, Powell nella riunione del Fomc di fine luglio e a Jackson Hall in agosto era stato chiaro, l’inflazione rimarrà oltre il target fissato dalla Banca Centrale per diverso tempo quindi, una volta concluso il ciclo di rialzi, i tassi resteranno invariati il tempo necessario a piegare la dinamica dei prezzi. Ma è evidente che la flessione registrata negli ultimi mesi, sia sulla core che sulla headline inflation, portava con sé speranze di un percorso di rialzo più morbido e graduale. Così non sarà, ormai il mercato sconta un nuovo aumento da 75 punti base per la prossima settimana e tassi oltre il 4% già a dicembre di quest’anno. Aumentano anche le probabilità di un rialzo addirittura da 1 punto percentuale, sarebbe la prima volta dagli anni Novanta, quando la Fed ha iniziato ad usare il tasso di sconto come strumento attivo di politica monetaria. Andando ad analizzare nel dettaglio il dato d’inflazione di agosto, si vede come tutte le componenti principali dell’indice siano salite, con la voce dei servizi che è tornata ad essere il maggior contributore.

Se a questo aggiungiamo un mercato del lavoro molto forte, con pressioni salariali in aumento, è facile comprendere l’urgenza della Fed nell’agire con decisione. Stessa strada è quella imboccata anche dalla Bce, alle prese con dinamiche simili nell’Eurozona, che però hanno origine dalla crisi energetica legata alla guerra in Ucraina e dalla continua interruzione delle catene di approvvigionamento dalla Cina. I maggiori costi di input si stanno riversando sui prezzi finali, oltre ad erodere i margini delle aziende europee, quindi parliamo di spinte inflattive generate dal lato dell’offerta più che da quello della domanda. Le manovre restrittive della Bce saranno giocoforza più contenute e meno efficaci rispetto a quelle della Fed. Ma in questo caso dovrebbero arrivare in aiuto i Governi, con politiche fiscali accomodanti e interventi per alleviare il costo dell’energia a famiglie e imprese. Si preannuncia, quindi, un autunno molto caldo sui listini. Difficile trovare in questa fase dei porti sicuri sia fra le azioni che fra le obbligazioni. In mercati così volatili è sempre sconsigliabile rivoluzionare i portafogli: nel breve si può ancora puntare sulle azioni value mentre guardando avanti con un orizzonte di medio termine, si stanno creando opportunità interessanti nel il carry del credito euro IG e HY. Per ora prudenza e diversificazione restano le parole d’ordine, in attesa della prossima mossa della Fed.

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