Il lavoro produce valore e reddito complessivo sociale ma, nella fase distributiva, si appropria di una quota assolutamente minore di tale reddito; i possessori/proprietari di capitale non svolgono alcun ruolo attivo nella produzione generale, ma si appropriano della quota maggioritaria del valore prodotto dal sistema sociale e la accumulano centralizzandola sotto forma di patrimonio privato.
Le classi sociali, minoritarie numericamente, che detengono il capitale in tutte le sue forme ed articolazioni, e dunque possiedono i mezzi patrimoniali più ingenti e la forza economica più rilevante, da un lato, si appropriano, sotto forma di profitti, rendite e plusvalenze finanziarie-immobiliari, dell’intera quota di maggior valore sociale prodotto dal lavoro collettivo; dall’altro, esse sfruttano un’ulteriore forma di redistribuzione regressiva del reddito a loro vantaggio, determinata sia dai meccanismi “fisiologici” del sistema tributario quali minore tassazione, o addirittura, completa detassazione, prevista dall’ordinamento per i profitti societari, per le rendite finanziarie, per le plusvalenze ed i redditi di capitale in genere, nonché per i grandi patrimoni, sia, come è ovvio, da fenomeni patologici ed ipertrofici, come evasione ed elusione fiscale, naturalmente presenti ed in qualche modo “tollerati” dal sistema complessivo.
Le classi lavoratrici, maggioritarie nella società, al contrario, sono gravate, sul loro reddito di lavoro dipendente ed assimilato, ossia sulla parte di prodotto sociale che gli viene attribuita, di un eccessivo e sperequato carico fiscale, per cui esse concorrono alle spese pubbliche, per una quota di ben oltre l’80% del gettito complessivo dell’Irpef,principale fonte delle entrate tributarie. Ciò genera un’enorme distorsione sul piano della giustizia distributiva, con un consistente e costante trasferimento unidirezionale di reddito e risorse: dalle classi e dagli strati sociali del lavoro dipendente, sia attivo ce quiescente, al profitto privato ed alla rendita parassitaria.
I risultati del rapporto Oxfam “Time to care” di inizio 2020 sulla concentrazione della ricchezza in Italia confermano ampiamente questa tendenza: il 20% più ricco della popolazione detiene il 70% di tutto il patrimonio nazionale che ammonta complessivamente, considerando la ricchezza dei privati, a 9.297 miliardi di euro mentre l’80% della popolazione meno ricca detiene il 20,2% della ricchezza privata nazionale. Solo una tassazione patrimoniale di tipo “progressivo” – ossia che cresce più che proporzionalmente al crescere del valore del patrimonio soggettivo – insieme ad una imposizione ugualmente progressiva, secondo la stessa regola di crescenza più che proporzionale, sui profitti e sugli utili societari – ossia sui “redditi” dei capitalisti – potrebbe, in linea teorica, invertire l’attuale trasferimento di risorse finanziarie dal lavoro al capitale ed attuare una redistribuzione del reddito e della ricchezza complessiva più conforme a criteri razionali di giustizia distributiva, spostando consistenti quote di prodotto sociale dalle classi possidenti a quelle popolari ed economicamente più svantaggiate attraverso un massiccio finanziamento di attività, beni e servizi di interesse pubblico/generale, erogati direttamente dallo Stato e, più in generale, dai poteri pubblici, aventi rilevante utilità pubblica e collettiva di natura marcatamente sociale, nel senso che siano funzionali a garantire, tutelare e soddisfare i bisogni, gli interessi ed i diritti sociali fondamentali ed universali di tutti i cittadini, quali lavoro, salute e sistema sanitario pubblico, istruzione e cultura, abitazioni popolari, previdenza ed assistenza sociale, trasporti pubblici, tutela dell’ambiente e del territorio, servizi di pubblica utilità riguardanti l’erogazione dell’acqua potabile, dell’energia elettrica e del gas, la manutenzione, il recupero, il ripristino e la conservazione delle infrastrutture pubbliche.