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Jobs on call: il lavoro a chiamata semplificato che calpesta la dignità umana

Raffaele Coppola, segretario PCI Salerno
Raffaele Coppola, segretario PCI Salerno
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Da tempo se ne parla – solo negli ambienti parlamentari e ministeriali – ma a pochi giorni dalla festa del lavoro è forte la sensazione che si stia arrivando alla definizione della legge sul lavoro intermittente, gestibile attraverso una piattaforma Inps.

Il vuoto normativo lasciato dall’abolizione della pessima legge sui voucher sarà presto colmato da una nuova pessima forma forma contrattuale.

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Infatti, in base a quanto recentemente reso noto dal Governo è allo studio un nuovo tipo di contratto a chiamata, che sarà notevolmente “semplificato” rispetto a quello attualmente esistente ed il rapporto di lavoro potrà essere gestito tramite un’apposita piattaforma interna al sito dell’Inps, proprio come i voucher; previste modalità di assunzione ancora più semplici, poi, per le famiglie e gli enti no profit, che potranno avvalersi di uno strumento molto simile ai vecchi buoni lavoro.

Il governo continua a lavorare alla “semplificazione dei diritti” e, nella fattispecie, alla “sburocratizzazione della dignità del lavoro” facendo però presente che unitamente alle procedure relative alla chiamata dei lavoratori saranno previste anche nuove tutele, sia dal punto di vista previdenziale, per fare in modo che i periodi lavorati non vadano sprecati ai fini della pensione, che anche in materia di malattia, maternità e disoccupazione.

Ovviamente, neanche a dirlo, non vi sarà un’equiparazione completa di trattamento con quella prevista per i dipendenti assunti in via continuativa.

L’attuale job on call – detto anche lavoro intermittente – è il contratto con cui un lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione su chiamata del datore di lavoro; il dipendente, a seconda della tipologia contrattuale di job on call, può avere o meno l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro e, nel caso in cui accetti, ha diritto a un’indennità per i periodi di disponibilità obbligatoria.

In base alle indiscrezioni circolanti, col nuovo lavoro a chiamata “semplificato” non sarà previsto il periodo “a disposizione”, ma si procederà direttamente alla chiamata del lavoratore; ad ogni modo, diversamente dal part-time, nel lavoro intermittente il lavoratore è titolare dei diritti normalmente riconosciuti ai dipendenti solamente nei periodi di effettivo impiego, mentre non è tutelato nei periodi in cui rimane a disposizione del datore di lavoro.

Attualmente il lavoro a chiamata è ammesso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi – nazionali, territoriali o aziendali – oppure da appositi decreti ministeriali o dalla normativa sull’orario di lavoro che definisce determinate attività come discontinue; non è ancora chiaro se le attuali limitazioni varranno anche per il nuovo lavoro a chiamata semplificato.

Il “contratto di lavoro intermittente” è ammesso per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un massimo di 400 giornate effettive nell’arco di 3 anni con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo; se il numero di giornate viene superato il contratto a chiamata si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Il “contratto di lavoro intermittente” può essere stipulato solo da lavoratori che abbiano almeno 55 anni di età, anche pensionati, oppure che non abbiano ancora compiuto 24 anni (ma in questo caso le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni ).

L’attuale procedura per assumere il lavoratore a chiamata è piuttosto articolata; non basta, infatti, l’assunzione del lavoratore ai servizi per l’impiego della propria Regione comunicata nelle forme ordinarie tramite modello Unilav in quanto, prima dell’inizio della prestazione lavorativa oppure di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto ad inviare un’ulteriore councazione all’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL) competente per territorio e nella maniera più “semplice” e “veloce” possibile (digital, mail, app, sms).

Come in fretta e furia il governo Gentiloni ha cancellato i voucher per cancellare il referendum proposto dalla CGIL così, con altrettanta fretta e furia, questo stesso governo sta “sburocratizzando” il diritto al lavoro, trasformando il lavoratore in “merce-lavoro sottocosto” acquistabile con offerte speciali che di volta in volta gli imprenditori danno in pasto a giovani e meno giovani.

Questa è una umiliazione che non può e non deve essere sottaciuta!!

I comunisti invitano tutti i sinceri democratici, i giovani, i lavoratori, le associazioni, i sindacati e tutte le forze progressiste presenti nel Paese ed in Parlamento a trasformare la festa del 1 Maggio da usuale e ricorrente celebrazione musicale ad effettiva giornata di lotta e di resistenza nel Paese, per il diritto al lavoro degno e per la piena occupazione!!

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