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Epidermolisi Bollosa: quando le ferite si trasformano in punti di inserimento per le ali

Epidermolisi Bollosa
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Nell’articolo “Maneggiare con cura” di Caroline Swinburne si descrive il vissuto di una mamma che nel messaggio d’amore della venuta al mondo della sua piccola Anghard, deve condividere analogamente la realtà scomoda della rara patologia di chi aveva da poco messo alla luce.

La neo mamma Ann Williams, proprio nell’osservare le labbra sanguinanti della figlia, nella comparsa di vesciche alla caviglia provocate dal braccialetto di riconoscimento che la identificava, venne a conoscenza di ciò che avrebbe preso una piega diversa e inaspettata nella propria famiglia: l’Epidermolisi Bollosa.

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[easy_ad_inject_1]Nell’immaginario di ogni neo-genitore, prima di stringere e avvolgere il proprio neonato fra le braccia sembra tutto prevedibile, naturale, monitorato e controllato; una sinfonia da canticchiare senza mai esser stata scritta da alcuno. Ma non sempre è così consueta e indubbia questa melodia. Ci sono casi particolarmente difficili in cui si deve scegliere di essere genitore e non solo farlo.

Per Epidermolisi Bollosa si definisce un insieme di affezioni genetiche differenziato dal distacco della pelle fra gli strati dermici ed epidermici che comporta la vescicazione della cute oltre che delle mucose in risposta a un trauma minimo da attrito. Vi sono, in particolare, quattro differenti tipi di Epidermolisi Bollosa, determinati da mutazioni strutturali proteiniche nella zona della membrana cutaneo basale o delle proteine desmosomiche di adesione cellulare sovrabasali.

Tutte le diversità della sopraccitata patologia scaturiscono dalla mutazione di geni che intervengono nella formazione delle proteine strutturali nelle aree della membrana basale dermo – epidermica; le strutture indebolite o completamente assenti sostengono la separazione degli strati di pelle che diventa particolarmente fragile.

L’Epidermolisi Bollosa essendo un’affezione genetica, viene trasmessa per via ereditaria in modo recessivo o dominante. Nell’alterazione per dominanza un genitore portatore trasmette il gene malato al proprio bambino. Nelle forme ereditarie recessive, ben più gravi rispetto alle precedenti, entrambi i genitori sono portatori del gene alterato apportando, sfortunatamente, una possibilità su quattro di dare alla luce un bambino compromesso sia a livello genotipico che fenotipico.

Il vasto corollario della letteratura ci mostra come le ricerche sui trattamenti di questi “bambini farfalla” (l’analogia riprende la fragilità delle ali di farfalla) si sono focalizzate soprattutto sulla terapia a base di proteine e sulla terapia genetica. In alternativa, si può intercedere con il prelievo di campioni cutanei del paziente introducendo materiale genetico nelle cellule coltivate, per in ultima analisi proseguire con il ritorno di cellule geneticamente modificate in termini di trapianto di cute, come accade frequentemente nei pazienti con ustioni.
Chi è affetto da questa malattia è in potenza il proprio amico/nemico di se stesso e, fin dalla nascita, vive momenti difficili da condividere e accettare. Pensiamo al primo dei bisogni: il contatto fisico.

Quale beffa più atroce per il destino del neonato affetto da Epidermolisi Bollosa? Un’arma a doppio taglio: se da un lato, la vicinanza, soddisfa uno dei requisiti fondamentali per la sopravvivenza, dall’altro può causare lunghe medicazioni. Non è facile trovare un giusto equilibrio tra l’intimità necessaria e la malattia. Nella Epidermolisi Bollosa un piccolo trauma cutaneo da attrito o slittamento provoca bolle che a loro volta diventano ferite, presenti ovunque sul corpo. Le vesciche, comuni anche a livello subungueale, portano alla separazione completa o parziale della lamina dell’unghia; dopo uno o due episodi l’unghia di norma ricresce, ma la perdita reiterata di esse potrebbe condurre alla distrofia ungueale, quindi alla perdita definitiva. La presenza di ferite molteplici di varia durata e la ridotta capacità di guarire, rendono la cura difficile e complicata. Per di più se abbiamo la consapevolezza che il contatto si colloca proprio all’interno di una relazione di dipendenza fra madre e bambino; in quanto rappresenta il prototipo di tutte le relazioni future: un imprinting emozionale di straordinaria importanza, fisica ed emotiva.

Se pensiamo al contatto tra ciò che sono io e ciò che rappresenta l’altro, come uno spazio vuoto pronto ad essere colmato e riempito dall’amore genitoriale, potremmo definire la pelle dei “bambini farfalla” un contenitore fallito. Se interpretiamo l’epidermide di chi è affetto da questa malattia rara, come uno strato di protezione tra me e il mondo circostante, potremmo dipingere ogni carezza, ogni unione come una corazza priva di difesa e colma di alienazione.

In ogni risveglio, questi genitori con i loro bambini potrebbero trovare un momento in cui appaiono fermi, in una condizione che non collima con un <> e con un <>.
Un <> rappresentato dalle attese genitoriali infrante dalla malattia e un <> privo di controllo nei confronti della propria vita e della nuova vita. Un momento difficile in cui il significato della realtà che era vigente prima della nascita, non c’è più e nulla appare giusto né equo.

Proprio quando siamo a contatto con i nostri sentimenti e i nostri bisogni umani, occorre diventare dei veri genit-eroi. Di-venirlo rappresenta una fantastica occasione per ri-mettersi in gioco e per cercare di cambiare ciò che impedisce di esprimersi liberamente attraverso- modalità di relazioni limitate e limitanti. Dobbiamo concedere a noi stessi di riappropriarci il più rapidamente possibile della temporalità della vita. Ovviamente non perdendo la consapevolezza della realtà e non cancellando il passato che non può essere d’altro canto cambiato. Dovremmo aiutare noi stessi e il nuovo ruolo genit-eroi a ridisporre il passato nel passato, registrando i momenti difficili al fine di riattivare la capacità di vivere il proprio presente e progettare il proprio futuro. In quanto, ciò a cui si oppone resistenza inchioda, ciò che viene accettato come parte di se stessi e della propria vita, libera.

Ricordando la citazione di Hemingway “Il mondo ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti là dove sono stati spezzati”… possiamo ancora credere che non servono ali per poter volare ma solide sicurezze in cui credere e infinita fiducia nelle proprie risorse, al fine di poter ogni giorno riconoscere la propria unicità.

Francesca Lecce
Fb: Francesca LECCE Psicoterapeuta
Linkedln: Francesca Lecce

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